Contratto preliminare e contratto definitivo. La Cassazione “ripassa” alcune regole per la revocatoria

In tema di azione revocatoria fallimentare di compravendita stipulata in adempimento di un contratto preliminare, l’accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo in quanto l’art. 67 L.F. ricollega la consapevolezza dell’insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio del fallito, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l’obbligazione, di cui l’atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7281/21, depositata il 16 marzo Il caso. Il Fallimento di un’impresa di costruzioni agiva per la revoca di un atto di compravendita di un immobile trasferito dall’impresa all’epoca in bonis ad altra s.r.l. acquirente. Il Fallimento lamentava che il trasferimento era avvenuto in frode ai creditori sia perché il prezzo veniva corrisposto” in gran parte con mero accollo di debiti della venditrice, sia perché il valore dell’immobile era superiore a quello pattuito. La scientia damni in capo alla società acquirente si deduceva dal fatto che il socio di maggioranza 95% della stessa era fideiussore e socio di fatto della fallita. Il Tribunale accoglieva la domanda di revoca ritenendo provato l’ eventus damni poiché l’atto in revoca era successivo all’esistenza dei debiti dell’impresa di costruzioni poi effettivamente ammessi al passivo. I pagamenti inoltre avevano natura simulata e finalità pregiudizievoli poiché volti solo a liberare il socio di maggioranza fideiussore. La decisione era confermata dalla Corte d’Appello e la s.r.l. acquirente ricorreva in Cassazione. La decisione della Cassazione. La Corte di Cassazione respinge tutti i motivi di ricorso sollevati dalla s.r.l Con riguardo al primo la parte sottolineava che il contratto definitivo di compravendita era un atto dovuto in quanto effettuato in adempimento di un'obbligazione assunta con il contratto preliminare. Tale aspetto non era stato considerato – secondo la ricorrente – dai giudici di merito ed avrebbe impedito l’accoglimento dell’azione revocatoria. Secondo la Cassazione invece era stato giustamente ritenuto revocabile il contratto definitivo perché il contratto preliminare risultava preordinato a sottrarre con il definitivo appunto la garanzia patrimoniale del debitore verso i creditori della massa fallimentare. Nello specifico la Corte territoriale – con motivazione completa e non censurabile in sede di legittimità – aveva dedotto il carattere fraudolento dell'operazione da una serie di indizi tra cui le modalità e l’entità del pagamento, nonché la data di diversi assegni bancari emessi senza causale e addirittura prima della stipula del contratto preliminare. Con il secondo motivo il ricorrente eccepiva la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione per l'esperimento dell'azione revocatoria a far data dalla stipula del contratto preliminare. In realtà simile censura contrasta con i costanti arresti della Suprema Corte in base ai quali il termine quinquennale di prescrizione dell'azione revocatoria fallimentare non decorre dalla data dell'atto – come invece avviene per l’azione revocatoria ordinaria – ma dalla data del fallimento Cass. 1635/1998 e, in caso di azione revocatoria volta a far dichiarare l'inefficacia della compravendita di un bene dissimulante una donazione, la prescrizione comincia a decorrere dalla declaratoria della simulazione poiché solo da tale momento può essere fatto valere il relativo diritto Cass. 26460/2014 . Peraltro, osserva la Corte, in casi come questi l'elemento del pregiudizio - quale fatto costitutivo dell' actio pauliana - si configura solo al momento del contratto definitivo perché il preliminare non è atto depauperativo della garanzia patrimoniale del debitore Cass. 17365/2011 . In sostanza nell’azione revocatoria ordinaria si verifica, per così dire, una dissociazione tra il momento in cui verificare l' eventus damni da quello in cui accertare l'elemento soggettivo dell'azione. Nello specifico il primo va valutato in riferimento alla stipula del contratto definitivo giacché questo è l'atto dispositivo del patrimonio del debitore. Il secondo elemento invece va verificato al momento della stipula del contratto preliminare. Invece nell’azione revocatoria fallimentare di compravendita in adempimento di un contratto preliminare, l’accertamento dei presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo. Infatti l’art. 67 l.fall. ricollega la consapevolezza dell’insolvenza in capo all’acquirente al momento in cui il bene uscendo dal patrimonio del fallito viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo in sé con cui si è assunta l’obbligazione e di cui l’atto finale comporta esecuzione. Con il terzo motivo di ricorso la parte contestava in radice i presupposti dell’ eventus damni e del consilium fraudis . Gli Ermellini rilevano però che la censura è sollevata in modo criptico”, un po’ a volo d’uccello” e quindi confuso. In ogni caso la Corte osserva che nei gradi di merito il curatore aveva assolto all’ onere probatorio in ordine all’ eventus damni dimostrando l’insufficienza del residuo patrimonio del debitore fallito a garantire la soddisfazione delle ragioni dei creditori concorsuali come risultanti dallo stato passivo fallimentare. L’organo della procedura aveva infatti chiarito che il fallito non aveva ulteriori proprietà immobiliari oltre a quella oggetto della compravendita. Di fronte a tali prove spettava alla società terza acquirente fornire elementi di segno contrario per sostenere la capienza del patrimonio del debitore a garanzia del soddisfacimento dei creditori. Sotto altro profilo il ricorrente contestava la sussistenza del danno” quale presupposto dell’azione revocatoria affermando che il creditore avrebbe potuto comunque insinuarsi in via privilegiata al passivo. Il tema è importante, tanto che la Corte – pur respingendo la censura in quanto non ammissibile perché non autosufficiente – ribadisce in ogni caso l’orientamento giurisprudenziale in base al quale ai fini della revoca della vendita di beni effettuata dall’imprenditore fallito, l’ eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum legata all’uscita del bene dalla massa attiva. La Corte ribadisce che si tratta di una presunzione assoluta che non può essere vinta, né superata neppure se il prezzo ricavato dalla vendita sia stato poi utilizzato per pagare un creditore privilegiato. In altre parole la lesione delle regole del concorso è comunque sussistente dato che è solo con la ripartizione dell’attivo che si potrà tutt’al più verificare se il pagamento ha compromesso le ragioni dei creditori. Infine in ordine al consilium fraudis la Cassazione ripercorre le motivazioni della sentenza di appello ove si legge che il socio di maggioranza al 95 % della società acquirente era anche fideiussore e socio di fatto della fallita e quindi non poteva non essere a conoscenza dell’esposizione debitoria della stessa. Il ricorso viene in conclusione respinto e la sentenza impugnata viene confermata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 26 ottobre 2020 – 16 marzo 2021, n. 7281 Presidente Olivieri – Relatore Moscarini Fatti di causa 1. Con atto di citazione del 13/5/2013 il Fallimento omissis srl convenne davanti al Tribunale di Sassari la società Ma.Vlast srl, per sentir pronunciare la ricorrenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria di un atto di compravendita di un immobile, trasferito dalla società [ ] in bonis alla Ma.Vlast srl per il prezzo di Euro 1.400.000, corrisposto in contanti per Euro 400.000 e da corrispondere, per il restante importo di un milione di Euro, mediante accollo, da parte dell’acquirente, di un prestito concesso alla [ ] srl dal Banco di Sardegna a titolo di apertura di credito, garantito da ipoteca, rilasciata nella stessa data. Il fallimento lamentò che l’atto di trasferimento immobiliare era stato stipulato in frode ai creditori sia in ragione del fatto che il prezzo, per la quasi totalità, non era stato pagato ma era stato regolato mediante accollo di un corrispondente debito della omissis srl verso il Banco di Sardegna, sia perché il valore dell’immobile era certamente superiore a quello concordato, essendo stata iscritta ipoteca per un valore di Euro 2.000.000,00, sia infine perché l’atto era stato stipulato dopo l’insorgere dello stato di insolvenza della società. Infine l’attore rilevò la ricorrenza della scientia damni del terzo acquirente Ma.Vlast srl in quanto il 95% delle quote sociali appartenevano al Dott. M.L. , socio di fatto della omissis srl e certamente al corrente della situazione economica della società, mentre il residuo 5% spettava alla madre del socio di maggioranza. Si costituì in giudizio la Ma. Vlast srl eccependo la nullità della citazione, l’inammissibilità della domanda in quanto l’atto pubblico era stato preceduto da un contratto preliminare intercorso tra le stesse parti in data 7/1/1998, sicché l’atto di trasferimento immobiliare era atto dovuto, e la prescrizione del diritto ad agire in revocatoria eccepì altresì l’insussistenza nel merito della domanda non avendo la curatela specificato quale fosse il pregiudizio subito dalla massa fallimentare, avendo la società acquirente puntualmente versato il giusto prezzo convenuto per la vendita accollandosi un debito - certo liquido ed esigibile - della società venditrice verso il Banco di Sardegna, garantito da ipoteca regolarmente iscritta quanto alla scientia damni la convenuta eccepì che la curatela non aveva specificato le circostanze in forza delle quali la Ma. Vlast srl, soggetto diverso da M.L. , poteva essere a conoscenza della situazione patrimoniale della [ ] srl e della compravendita immobiliare, considerato che il momento cui riferire il consilium fraudis era quello afferente alla conclusione del preliminare. 2. Il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 1062 del 6/7/2015, rigettate le eccezioni preliminari della società convenuta, in applicazione di una consolidata giurisprudenza di questa Corte, ritenne di accogliere la domanda sul presupposto dell’assoggettamento a revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dei contratti definitivi stipulati in esecuzione di un preliminare una volta che sia provato il carattere fraudolento del negozio, potendo detta prova essere data nel giudizio introdotto con la domanda revocatoria del contratto definitivo, indipendentemente da un’apposita domanda diretta nei confronti del preliminare Cass., n. 18528/2009 . Il giudice ritenne provato l’eventus damni in quanto l’atto in revoca era successivo all’esistenza di debiti della [ ] srl poi ammessi al passivo ricorrente il mero pericolo di rendere più difficoltoso il recupero del credito e la conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori. Conclusivamente il Tribunale accolse la domanda sul presupposto che da le risultanze di causa emergeva con piena evidenza che i pagamenti indicati nel preliminare e nel definitivo avevano natura simulata e finalità pregiudizievoli essendo destinati non ad adempiere all’obbligazione di pagare il prezzo della vendita di un bene, comunque fuoriuscito dal patrimonio del debitore omissis srl,, ma a liberare il fideiussore M. , socio di maggioranza ed effettivo amministratore della Ma.Vlast srl, dalle proprie obbligazioni di garanzia nei confronti di tutte le società del gruppo [ ], con evidente ed inevitabile pregiudizio dei creditori della società [ ]. 3. La Ma.Vlast srl propose appello, riproponendo tutte le eccezioni preliminari già introdotte nel giudizio di primo grado, contestò che il preliminare avesse carattere fraudolento ed insistette nella tesi dell’atto dovuto nonché della insussistenza dell’eventus damni e della scientia fraudis. La curatela del fallimento [ ] si costituì in giudizio rappresentando la non corrispondenza tra il contenuto del preliminare e quello del definitivo, la natura fraudolenta del preliminare, la sussistenza del danno e della scientia damni. 4. La Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza n. 484 del 15/12/2017, ha rigettato l’appello di Ma.Vlast srl, ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, corretta la decisione del giudice di prime cure sul rigetto dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’appellante sussistente la rilevante esposizione debitoria della omissis srl e l’assenza di altri beni immobili atti a costituire la garanzia patrimoniale dei creditori provato dalla curatela il concreto pregiudizio per un corrispettivo non remunerativo per la venditrice, la quale non percepiva l’intero prezzo ma otteneva l’accollo da parte dell’acquirente di un debito nei confronti della Banca di Sassari, garantito dal Dott. M. , socio di maggioranza della Ma.Vlast esistente il presupposto della dolosa preordinazione derivante dallo scollamento tra le obbligazioni assunte con il preliminare e quelle trasfuse nel definitivo, e dalla circostanza che nè il rappresentante legale della venditrice nè l’acquirente Ma.Vlast srl, della quale il M. era socio di maggioranza al 95%, potevano ignorare che la liquidazione di un bene immobile fosse di per sé riduttiva della garanzia patrimoniale del credito. 5 Avverso la sentenza a società Ma.Vlast ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Ha resistito il Fallimento omissis srl con controricorso. 6. La causa è stata fissata ex art. 380 bis c.p.c., alla trattazione in Adunanza Camerale, in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria, mentre il Procuratore Generale non ha concluso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo - violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 3, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omesso esame degli indici che denotano il carattere asseritamente fraudolento del compromesso datato 7/1/2008 - la società ricorrente si duole che la corte territoriale non abbia valutato la natura dovuta dell’atto, stipulato in adempimento di un’obbligazione assunta con il contratto preliminare, e che abbia erroneamente ritenuto la natura fraudolenta del contratto preliminare, dal momento che quest’ultimo prevedeva il pagamento del prezzo senza alcuna previsione di un accollo. 1.1 Il motivo è inammissibile. La Corte d’Appello non ha negato che la stipula del definitivo fosse atto dovuto rispetto al preliminare, ma ha applicato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il definitivo è revocabile se il preliminare risulta preordinato a sottrarre con il definitivo la garanzia patrimoniale del debitore verso i creditori di diritti di credito pacificamente riconosciuti preesistenti maturati nei confronti della società in bonis della massa fallimentare. La ricorrente Ma Vlast s.r.l, attraverso la deduzione del vizio di errore di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, tende piuttosto a richiedere il riesame del merito dell’intera vicenda, e quindi una nuova inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie esaminate dal Giudice di appello, avendo formato il proprio convincimento detto Giudice su plurimi elementi indiziari volti ad evidenziare palesi ed inesplicate discrasie tra l’accordo preliminare e quello definitivo tra i quali a la modifica della indicazione dell’importo della somma che sarebbe stata versata in contanti, da Euro 300.000,00 ad Euro 400.00,00 b la anteriorità della data di diversi assegni bancari che risultavano emessi addirittura un anno prima della stipula del preliminare e dei quali non era specificata neppure la causale c la anomalia di assegni, asseritamente versati a titolo di prezzo, che risultavano tuttavia emessi su un conto corrente intestato alla persona fisica del M. , anziché su quello intestato alla società acquirente Ma Vlast s.r.l. d la non decisività della attestazione datata 18.7.2008 della Banca di Sassari in cui si afferma che il M. avrebbe così estinto qualsiasi credito della Banca nei suoi confronti , sembrando riferirsi il pagamento, allora, ad un debito proprio del M. , tali da indurre a ritenere che il preliminare fosse preordinato a sottrarre il bene immobile alla garanzia generica dei creditori della omissis s.r.l La censura in esame, denunciando un vizio di error in judicando , viene ad introdurre piuttosto una critica alla valutazione delle risultanze probatorie compiuta dal Giudice di merito, investendo quindi accertamenti in fatto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis - consente di sindacare in sede di legittimità esclusivamente in relazione all’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , venendo a circoscrivere l’ambito in cui opera il vizio in questione soltanto alla omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un fatto storico , principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio, e che risulti di carattere decisivo , in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 id. Sez, U., Sentenza n. 19881 del 22/09/2014 id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/36/2016 non potendo più accedere, invece, alla verifica di legittimità, la critica rivolta alla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione, condotta alla stregua di elementi istruttori extratestuali, che può venire in rilievo soltanto nel differente caso in cui trasmodi nel vizio di carenza assoluta del requisito essenziale di validità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 , da intendersi nel suo contenuto minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ipotesi questa che deve incontrovertibilmente escludersi nel caso di specie. 2. Con il secondo motivo di ricorso - violazione e falsa applicazione dell’art. 2903 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la ricorrente assume che, in ragione dell’accertato nesso teleologico sussistente tra il contratto preliminare e quello definitivo, la corte territoriale abbia errato nel non stabilire il termine di decorrenza della prescrizione dalla stipula del contratto preliminare. 2.1 Il motivo è in parte inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in parte infondato. Inammissibile perché non considera la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in caso di fallimento, il diritto ad esercitare l’azione revocatoria è esperibile soltanto dopo la nomina del curatore fallimentare Si veda sul punto Cass., Sez. 1, n. 1635 del 16/2/1998. Il termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria fallimentare non decorre dalla data dell’atto, come avviene in tema di revocatoria ordinaria, ma dal momento della dichiarazione di fallimento, per effetto del principio generale che la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere Cass., 6-2, n. 26460 del 16/12/2014 La prescrizione dell’azione revocatoria volta a far dichiarare inefficace la compravendita di un bene dissimulante una donazione comincia a decorrere dalla declaratoria di simulazione, in quanto solo da tale momento può essere fatto valere il relativo diritto Cass., 3, n. 5889 del 24/3/2016, La disposizione dell’art. 2903 c.c., laddove stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, deve essere interpretata, attraverso il coordinamento con la regola contenuta nell’art. 2935 c.c., nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo . Il motivo è altresì infondato nella parte in cui si discosta dalla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’elemento del pregiudizio quale fatto costitutivo dell’actio pauliana si configura solo al momento del definitivo perché il preliminare non costituisce atto depauperativo della garanzia patrimoniale del debitore. Si veda sul punto Cass., 3, n. 17365 del 18/08/2011 secondo la quale In tema di azione revocatoria ordinaria di un contratto definitivo di compravendita di un bene promesso in vendita, la sussistenza dell’ eventus damni rispetto al creditore procedente va valutata in riferimento al momento della stipula del contratto definitivo, verificandosi soltanto in tale momento il compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore per contro, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c., in capo all’acquirente va valutato, invece, in relazione al momento della stipula dei contratto preliminare, dovendosi contemperare, in ossequio alla ratio dell’azione revocatoria, la garanzia patrimoniale dei creditori con l’affidamento del terzo nello svolgimento della propria autonomia privata si veda anche Cass., 6-1, n. 21927 del 21/10/2011 In tema di revocatoria fallimentare di compravendita stipulata in adempimento di contratto preliminare, l’accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto la L. Fall., art. 67, ricollega la consapevolezza dell’insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l’obbligazione, di cui l’atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento . 3. Con il terzo motivo - violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., omesso esame di un fatto decisivo A Mancata ricorrenza del danno e sussistenza di un’ipoteca iscritta in data 5/10/2006 in favore del Banco di Sardegna B Mancata ricorrenza del consilium fraudis - l’impugnante svolge, peraltro in modo piuttosto criptico, varie censure. Innanzitutto si duole che la Corte d’Appello abbia ritenuto di accollare al debitore la prova della residua capienza della massa attiva e che abbia registrato uno scollamento tra le obbligazioni assunte con il preliminare e le modalità di pagamento del prezzo, senza considerare che il prezzo era stato regolarmente pagato pur attraverso l’accollo di un prestito concesso alla [ ] srl. Riguardo al prezzo la ricorrente inserisce poi, un pò a volo d’uccello, la questione del se, essendo stato pagato con il prezzo della compravendita un credito ipotecario sul bene venduto dalla banca e cioè di un possibile creditore che avrebbe potuto insinuarsi in via privilegiata nella procedura concorsuale, il giudice avrebbe dovuto escludere il pregiudizio per il Fallimento. Poi infine censura la sentenza per aver ritenuto sussistenti i presupposti del consilium fraudis. 3.1 Il motivo è infondato perché la sentenza non ha invertito l’onere della prova sulla residua consistenza della garanzia patrimoniale . La sentenza ha detto che spettava al curatore di provare l’insufficienza patrimoniale residua in conformità alla giurisprudenza di questa Corte Cass., 1, n. 8931 del 12/4/2013 Cass., 1, n. 9565 del 18/4/2018 Cass., 3, n. 2336 del 31/1/2018 ed ha sostanzialmente ritenuto assolto detto onere con la prova della rilevante esposizione debitoria della società [ ] ammontante ad oltre cinque milioni di Euro e con la rilevata assenza di ulteriori proprietà immobiliari oltre quella oggetto della compravendita. La Corte d’appello ha dunque ritenuto assolto l’onere della prova, gravante sul curatore fallimentare, sia dell’ eventus damni sia della insufficienza del residuo patrimonio del debitore fallito a garantire la soddisfazione delle ragioni dei creditori concorsuali, di cui il curatore è il rappresentante, con la conseguenza che spettava alla società, terza acquirente, al fine di contrastare tale prova, fornire altri elementi contrari dimostrativi della capienza, non del proprio ma del residuo patrimonio della società fallita [ ]. In sostanza una volta dimostrato dal curatore che l’ammontare dei crediti concorsuali verso [ ] era di importo tale da non poter essere soddisfatto con il residuo patrimonio della fallita, allora spettava a Ma Vlast fornire la eventuale prova contraria. La censura relativa alla possibilità per il creditore di insinuarsi in via privilegiata al passivo è inammissibile perché non autosufficiente l’argomentazione è criptica e non è supportata dalla localizzazione della sua trattazione nei gradi di merito. In ogni caso, qualora la tesi difensiva fosse rivolta ad affermare la insussistenza del pregiudizio, in quanto il pagamento del prezzo mediante assunzione del debito della società poi fallita verso il creditore ipotecario, avrebbe comunque soddisfatto un creditore concorsuale munito di titolo preferenziale, osserva il Collegio che la tesi si palesa infondata alla stregua del principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui ai fini della revoca della vendita di beni effettuata dall’imprenditore successivamente fallito, l’ eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum , ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all’uscita del bene dalla massa a causa dell’atto dispositivo pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall’imprenditore per pagare un suo creditore privilegiato eventualmente anche garantito da ipoteca non esclude la possibile lesione della par condicio , nè fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell’attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 7028 del 28/03/2006 id. Sez. 1, Sentenza n. 4785 del 26/02/2010 id. Sez. 1, Sentenza n. 23430 del 19/12/2012 id. Sez. 6-1, Ordinanza n. 11652 del 14/05/2018 . Del pari inammissibile è la censura relativa al consilium fraudis perché non deduce un vizio di sussunzione ma richiede una rivalutazione degli elementi di fatto. La sentenza ha ritenuto che lo scollamento tra le modalità di pagamento del prezzo indicate nel preliminare e nel definitivo non poteva non essere conosciuto dal rappresentante della Ma. Vlast il quale doveva anche essere a conoscenza della situazione debitoria della omissis srl in quanto il socio di maggioranza della Ma Vlast, il M. , era fideiussore anche della [ ] e dunque ben conosceva l’esposizione della società poi dichiarata fallita. Trattasi di elementi di fatto considerati dalla Corte d’Appello nell’apprezzamento delle risultanze istruttorie e dunque censurabili solo ove venga indicato uno specifico fatto storico omesso che nella specie non è allegato. 4. Conclusivamente il ricorso va rigettato e la società ricorrente condannata alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.800 oltre Euro 200 per esborsi , più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.