L’estinzione della società non comporta l’automatica cessazione del giudizio

L'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare.

Lo ha chiarito la Cassazione con ordinanza n. 22432/20 depositata il 16 ottobre. Il caso. Un cliente conveniva in giudizio un Istituto di Credito affinché fosse dichiarata la nullità di un contratto di conto corrente con riferimento alle clausole che riguardavano il calcolo degli interessi con rimando al tasso di mercato, la clausola di capitalizzazione trimestrale, la clausola di massimo scoperto. Il Tribunale, accoglieva le domande di parte attrice e, rideterminato il saldo di conto corrente, condannava l’istituto di credito al versamento in favore del cliente del saldo ricalcolato. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado. L’istituto di credito ha proposto ricorso per cassazione. Cancellazione dal registro imprese ed estinzione dei diritti. Parte ricorrente eccepiva la nullità della sentenza di primo grado in ragione della intervenuta – medio tempore – cancellazione della società attrice s.r.l. dal registro imprese. Alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponde il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, atteso che si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale a l'obbligazione della società non si estingue l’estinzione sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione limitatamente o illimitatamente, in ragione del regime patrimoniale b i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore giudiziale o extragiudiziale , il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo. Inoltre, la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dall'art. 10 l. fall. . Pertanto, qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 c.p.c Qualora l'evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando non sarebbe più stato possibile il farlo constare in tali modi, l'impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l'evento estintivo è occorso. Ultrattività del mandato professionale. Il principio che regola l’estinzione della società deve essere contemperato con la regola dell'ultrattività del mandato professionale alla lite in capo al difensore SS.UU. n. 15295/2014 la morte o la perdita di capacità della parte costituita a meno di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, sia legittimato a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata rispetto alle altre parti ed al giudice nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione. Estinzione della società non corrisponde a rinuncia tacita del diritto. L'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare Cass. n. 9464/2020 . Rinuncia tacita e accertamento nel merito. I Giudici di legittimità hanno chiarito che l’eventuale rinuncia tacita deve, in ogni caso, essere oggetto di accertamento nel merito. Nel caso di specie, stante l’assenza dell’accertamento di merito e rilevato che la questione non può essere affrontata nel giudizio di legittimità, il ricorso va respinto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 15 settembre – 16 ottobre 2020, n. 22432 Presidente Scaldaferri – Relatore Scotti Fatti di causa e ragioni della decisione La Corte rilevato che con sentenza del 21/3/2018 la Corte di appello di Palermo ha rigettato l’appello proposto da Intesa Sanpaolo s.p.a. nei confronti di Sicilfin s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Marsala Sezione distaccata di Castelvetrano del 17/7/2013, con l’aggravio delle spese del grado la predetta sentenza di primo grado, in relazione al rapporto di conto corrente bancario intercorso fra le parti, aveva accolto le domande proposte da Sicilfin dirette a far accertare la nullità di varie clausole contrattuali relative alla determinazione del tasso di interessi mediante rinvio al tasso di mercato, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, alla commissione di massimo scoperto e alla natura usuraria dei tassi di interesse e aveva perciò condannato Intesa San Paolo al pagamento della somma di Euro 123.139,96 oltre interessi e spese di lite, nonché della somma di Euro 1.000,00 ex art. 96 c.p.c. avverso la predetta sentenza della Corte palermitana, notificata il 31/8/2018, ha proposto ricorso per cassazione Intesa Sanpaolo s.p.a., con atto notificato i129/10/2018, svolgendo due motivi, al quale ha resistito con controricorso C.A.O. , quale successore in qualità di socio della società estinta Sicilfin s.r.l., con atto notificato il 5/12/2018, chiedendone l’inammissibilità o il rigetto in seguito alla proposta di trattazione in camera di consiglio non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. le parti hanno illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le rispettive difese. premesso che con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza impugnata e del procedimento di secondo grado ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 la ricorrente a tal fine fa presente che l’attrice appellata Sicilfin s.r.l. era stata cancellata dal registro delle imprese e si era estinta ai sensi dell’art. 2495 c.c., comma 2, in data 19/12/2013 e quindi anteriormente alla prima udienza di trattazione del 24/1/2014 del procedimento di appello instaurato con atto di citazione e contestuale richiesta di sospensiva, notificato il 11/9/2013, poco dopo la costituzione in data 14/11/2013 di Sicilfin e la sospensione in data 2/12/2013 dell’esecutorietà della sentenza di primo grado da parte della Corte di appello adita inoltre il procuratore di Sicilfin aveva omesso di dichiarare l’evento interruttivo e il processo era pertanto proseguito nei confronti del soggetto estinto con il secondo motivo la ricorrente lamenta, in subordine, violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2495 c.c., comma 2, e all’art. 75, 110 e 300 c.p.c. perché il principio di successione dei soci nei rapporti attivi pendenti alla data della cancellazione della società riguarda esclusivamente i diritti già certi in via definitiva e non opera con riferimento ai pretesi crediti che al momento della cancellazione erano ancora controversi e incerti, per cui opera la presunzione di rinuncia a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo ritenuto che il ricorso è stato notificato all’avv. Giovanni Lentini, difensore costituito nel giudizio di secondo grado per la società di capitali estinta e non ai soci che ad essa erano succeduti, che avevano proceduto alla notificazione dell’atto di precetto e del successivo pignoramento immobiliare la predetta notificazione deve ritenersi corretta, come condivisibilmente sostenuto dalla ricorrente con la sua memoria difensiva del 9/9/2020, alla luce del principio dell’ultrattività del mandato difensivo scandito dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 15295 del 4/7/2014, che ha superato il precedente indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il giudizio di impugnazione doveva essere necessariamente promosso nei confronti della giusta parte processuale e la stabilizzazione del rapporto doveva essere limitata al grado di giudizio in corso al momento dell’incidenza dell’evento interruttivo il primo motivo del ricorso di Intesa Sanpaolo deve ritenersi infondato proprio alla luce degli stessi principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 15295/2014 e della predetta regola dell’ultrattività del mandato alla lite per la parte processuale costituita a mezzo di procuratore come è noto, dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, con l’introduzione del nuovo art. 2495 c.c. la giurisprudenza di questa Corte si è orientata a ritenere che le società di capitali si estinguano immediatamente per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, così abbandonando il precedente orientamento che, al fine di razionalizzare la situazione esistente in presenza di sopravvenienze attive o passive, reputava la società sempre in vita, purché esistessero ancora rapporti pendenti la sentenza delle Sezioni unite n. 4060 del 22/02/2010, Rv. 612084 01, ha affermato che in tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, imponeva un ripensamento anche della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1/1/2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore successivamente con le sentenze n. 6070 e 6071 del 12/03/2013 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale a l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali b i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore giudiziale o extragiudiziale , il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo inoltre la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio con la sola eccezione della fieno iuris contemplata dall’art. 10 L. Fall. pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. qualora l’evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando non sarebbe più stato possibile il farlo constare in tali modi, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso tuttavia tali principi devono essere contemperati con la regola dell’ultrattività del mandato professionale alla lite in capo al difensore per effetto della stabilizzazione della posizione giuridica della parte colpita dall’evento, enunciata nella sopra citata successiva pronuncia delle Sezioni Unite che ha significativamente temperato la portata e le conseguenze del precedente arresto Sez. U, n. 15295 del 04/07/2014 in forza di tale principio la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, sia legittimato a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata rispetto alle altre parti ed al giudice nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300 c.p.c., comma 4. nel caso in esame la sentenza di secondo grado è stata resa nei confronti di un soggetto estinto, dopo la radicazione e nel corso del giudizio di appello, eppur validamente rappresentato dal suo procuratore costituito, che ha scelto di non dichiarare l’evento interruttivo il primo motivo di ricorso deve pertanto essere ritenuto infondato alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale sopra ricordato appare inammissibile il secondo motivo con cui la ricorrente invoca il principio, espresso solo incidentalmente dalla sentenza 6070/2013 delle Sezioni Unite e poi applicato in alcune pronunce delle sezioni semplici Sez. 5, n. 30341 del 23/11/2018, Rv. 651560 01 Sez. 5, n. 15177 del 22/07/2016, Rv. 640969 01 Sez. 3, n. 23141 del 31/10/2014, Rv. 633443 01 , secondo cui la successione dei soci nei rapporti attivi pendenti alla data della cancellazione della società riguarda esclusivamente i diritti già certi in via definitiva e non opera con riferimento ai crediti oggetto di mera pretesa, che al momento della cancellazione erano ancora controversi e incerti, per cui opererebbe la presunzione di rinuncia a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo il tema della sorte di un credito controverso, esistente al momento della cancellazione volontaria della società dal registro delle imprese sulla base di uno spunto offerto dalla sentenza 16/7/2010, n. 16758 che riguardava la mera pretesa di accertamento della simulazione di un negozio risolutivo è stato così ripreso peraltro con un obiter dietum dalla decisione delle Sezioni unite del 12/3/2013, n. 6070 in essa si legge che è ben possibile che la scelta della società di cancellarsi dal registro delle imprese, nonostante una pendenza non ancora definita , ma ad essa nota, sia da intendere come tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa , potendo ciò postularsi agevolmente quando si tratti di mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, cui ancora non corrisponda la possibilità d’individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito, onde un tal diritto o un tal bene non avrebbero neppure perciò potuto ragionevolmente essere iscritti nell’attivo del bilancio finale di liquidazione , salvo aggiungere l’ulteriore precisazione Ma quando, invece, si tratta di un bene o di un diritto che, se fossero stati conosciuti o comunque non trascurati al tempo della liquidazione, in quel bilancio avrebbero dovuto senz’altro figurare, e che sarebbero perciò stati suscettibili di ripartizione tra i soci al netto dei debiti , un’interpretazione abdicativa della cancellazione appare meno giustificata, e dunque non ci si può esimere dall’interrogarsi sul regime di quei residui o di quelle sopravvenienze attive tale ulteriore profilo della presunzione di rinuncia implicita ai crediti, non ancora accertati giudizialmente per effetto della cancellazione della società, senza liquidazione o prosecuzione della fase liquidatoria, non viene in considerazione nel presente giudizio infatti tale presunzione di rinuncia meramente hominis o comunque suscettibile di prova contraria e non certo legale attiene alla ricostruzione dei fatti storici rilevanti e deve necessariamente trovare sfogo nel giudizio di merito secondo l’ordinata dialettica processuale e la relativa eccezione non può pertanto essere proposta per la prima volta nel giudizio di legittimità secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, soffermatasi con attenzione sulla verifica dei presupposti per la configurazione di una remissione tacita del debito, l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare Sez. 1, n. 9464 del 22/05/2020, Rv. 657639 01 nel presente giudizio proseguito, dopo l’estinzione della società nei confronti della parte rappresentata in forza dell’ultrattività del mandato dal procuratore costituito, non è mai stata introdotta, nè dibattuta, la questione della rinuncia al credito tacitamente posta in essere con la cancellazione senza liquidazione della società asserita creditrice, che deve pertanto ritenersi nuova e inammissibile nel giudizio di legittimità Sez. 6 5, n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036 01 Sez. 2, n. 2038 del 24/01/2019, Rv. 652251 02 Sez. 2, n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 01 il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini e accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, esorbitano dal giudizio di legittimità Sez. 3, n. 15196 del 12/06/2018, Rv. 649304 01 Sez. 2, n. 14477 del 06/06/2018, Rv. 648975 02 tali considerazioni non possono trovare ostacolo nella insindacabilità della scelta discrezionale del difensore della parte colpita dall’evento interruttivo di non dichiararne la verificazione e di determinare la prosecuzione del giudizio in forza dell’ultrattività del mandato difensivo, che gioca solo sul terreno della regolarità del rapporto processuale così proseguito ciò infatti non impedisce alla parte contro-interessata di far valere nel giudizio di merito, se del caso opportunamente avvalendosi della rimessione in termini di cui all’art. 153, comma 2, c.p.c., gli effetti giuridici di carattere sostanziale che assume essersi prodotti in conseguenza di fatti sopravvenuti, quand’anche riconducibili allo stesso evento interruttivo non dichiarato ritenuto pertanto che il ricorso debba essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 6.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.