Stipendio non compreso nel fallimento solo per effettive esigenze di mantenimento

L'art. 46 l.fall. consente di escludere dall'attivo fallimentare gli stipendi del fallito nei limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia. Tuttavia, ove risulti accertata la non sussistenza delle esigenze di tutela descritte perché ad esempio il fallito e la sua famiglia, come emerso, dispongono comunque di altre risorse sufficienti , è possibile l'acquisizione integrale degli stipendi stessi all'attivo fallimentare.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11185/20, depositata l’11 giugno. I soci illimitatamente responsabili di una società di fatto venivano dichiarati falliti unitamente alla società stessa. Con riferimento ad uno di essi il Giudice Delegato con decisione confermata dal Tribunale in sede di reclamo disponeva l' acquisizione integrale all'attivo fallimentare dello stipendio . L’interessato svolgeva ricorso in Cassazione per opporsi a tale statuizione. La decisione del Tribunale di acquisire per intero lo stipendio percepito dal fallito era conseguenza degli accertamenti svolti dal Curatore nel corso della gestione della procedura fallimentare. In particolare era emerso che il fallito disponesse di ingenti somme di denaro intestate a prestanomi , somme di denaro all'estero solo tardivamente dichiarate, disponibilità di un immobile non destinato a residenza familiare e concesso in locazione. Insomma lo stipendio percepito dal soggetto non era indispensabile per assicurare a sé e alla famiglia la sopravvivenza . Il ricorrente invocava la violazione e falsa applicazione dell'art. 46 l.fall La norma prevede I. Non sono compresi nel fallimento 1 i beni ed i diritti di natura strettamente personale 2 gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia 3 i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile 4 soppresso 5 le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. II. I limiti previsti nel primo comma, n. 2, sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia . Si è osservato che la ratio della norma è garantire il rispetto della persona del fallito e dei suoi familiari sia in relazione ai beni attinenti la sfera morale, sia in considerazione delle esigenze di vita in senso stretto . Ciò significa che i beni menzionati sono sottratti al fallimento solo ove vi siano effettivamente simili necessità. Se manca tale destinazione, viene meno anche l’esclusione. Secondo il ricorrente quindi non è consentita l'acquisizione all'attivo dell'intero stipendio perché la riserva” in favore del fallito per il mantenimento sarebbe comunque maggiore delle più ridotte esigenze alimentari e perché giurisprudenza costante imporrebbe di valutare anche la possibilità che l'attribuzione patrimoniale costituisca premio ed incentivo per l'attività produttiva svolta dalla parte stessa. Il provvedimento impugnato avrebbe quindi esorbitato le limitazioni descritte. Secondo la Cassazione le difese del fallito non sono però fondate. L'art. 46 l. fall. consente di sottrarre all’attivo della procedura la parte di stipendio nella misura in cui sia necessaria per il mantenimento della persona e della sua famiglia . Alle condizioni indicate la norma stabilisce quindi un vero e proprio diritto del fallito, mentre l'intervento del giudice delegato ha funzione di verifica dei presupposti e di liquidazione dell'importo in forza dell'istanza del curatore indipendentemente dalla richiesta della parte . Al riguardo la valutazione del giudice – osserva la Corte – è discrezionale e deve essere effettuata caso per caso. L'assegnazione delle somme al fallito non avviene quindi automaticamente a priori, tanto che se le necessità di mantenimento non sussistono, non scatta neppure la possibilità di escludere lo stipendio dall'attivo fallimentare. Nel caso di specie non si ravvisavano necessità di mantenimento dato che, anche dal procedimento penale in corso, erano in realtà emerse in favore della parte ingenti disponibilità economiche sia in Italia sia all'estero. In altri termini il Giudice Delegato era giunto ad un positivo accertamento della non sussistenza delle esigenze descritte nell'art. 46, n. 2, l. fall. e ciò escludeva ogni spazio per ragionare della quantificazione delle eventuali importi sottratti all'attivo fallimentare. Il ricorso viene quindi respinto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 14 febbraio – 11 giugno 2020, n. 11185 Presidente Sambito – Relatore Tricomi Ritenuto che Il Tribunale di Torre Annunziata, con il decreto in epigrafe indicato, ha confermato il provvedimento del Giudice delegato che aveva disposto l’acquisizione integrale dello stipendio di D.G.P. all’attivo del Fallimento della Società di Fatto composta da I.M. , L.M.L. , I.G. , L.G. , L.L. , B.L. , D.G.A. , D.G.P. e D.G.M. , nonché degli stessi quali soci illimitatamente responsabili. Segnatamente il Tribunale, innanzi tutto, ha ritenuto che il provvedimento del giudice delegato fosse stato esaustivamente motivato per relationem al parere del Curatore fallimentare, che aveva fondato la richiesta di integrale acquisizione alla procedura fallimentare degli emolumenti stipendiali percepiti dal Della Gatta, perché una serie di circostanze disponibilità di ingenti somme di danaro intestate a prestanomi, coinvolgimento in operazione fraudolente a seguito delle quali era stato arrestato, disponibilità di somme di danaro all’estero solo tardivamente dichiarate, disponibilità di un immobile, diverso dalla residenza familiare, sito in zona prestigiosa e locato ad alto prezzo riportate sulla stampa non solo locale e quindi rientranti nel notorio acquisito alla comune esperienza comprovano che il fallito dispone di risorse considerevoli che sono sfuggite all’acquisizione che in tale situazione, sembra evidente che, per un verso, la percezione di quello stipendio non appare indispensabile per assicurare a quel fallito la sopravvivenza, anche per la presenza di redditi e risorse nell’ambito del nucleo familiare, per l’altro lo agevola nel dissimulare l’esistenza di disponibilità finanziarie illecite, perché contribuisce a permettergli di giustificare un tenore di vita altrimenti inspiegabile, che l’acquisizione del quinto dello stipendio, attesa la dimensione del dissesto, sembra oggettivamente irrilevante per i signori creditori fol. 2 del decreto imp. . Quindi ha confermato il decreto, rimarcando che il Della Gatta era soggetto inattendibile , giacché, tra l’altro, aveva falsamente affermato di non avere altre disponibilità economiche se non lo stipendio del coniuge e ciò era stato smentito nei fatti ed ha evidenziato che il Della Gatta aveva continuato a godere di una vita agiata e che la situazione patrimoniale dallo stesso dichiarata, da identificarsi, in realtà, con quella accertata dal Curatore fallimentare, dimostrava ampie disponibilità economiche. D.G.P. ricorre per cassazione con un mezzo. Il Fallimento ha replicato con controricorso. Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c Considerato che 1.1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal Fallimento controricorrente, poiché il ricorso appare sufficientemente specifico rispetto al provvedimento impugnato. 2. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 46. La censura è focalizzata esclusivamente sulla tesi sostenuta dal D.G. che la disposizione in esame non consente l’acquisizione integrale dello stipendio all’attivo fallimentare, come avvenuto nel caso di specie, ciò perché l’esigenza di mantenimento del fallito e della sua famiglia non può essere ridotto alle esigenze puramente alimentari a differenza di quanto previsto dalla L. Fall., art. 47 , e perché l’attribuzione stipendiale va quantificato in una misura che costituisca premio ed incentivo per l’attività produttiva e reddituale svolta e di ciò il Tribunale non avrebbe tenuto conto nell’applicare la disposizione in esame. 3. Il motivo è infondato. 4. Giova ricordare che il R.D. n. 267 del 1942, art. 46, che detta la disciplina per i Beni non compresi nel fallimento prevede Non sono compresi nel fallimento 1 i beni ed i diritti di natura strettamente personale 2 gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attivita, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia 3 i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’art. 170 c.c. 4 NUMERO SOPPRESSO DAL D.LGS. 9 GENNAIO 2006, n. 5 5 le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. I limiti previsti nel comma 1, n. 2 , sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia. 5. In proposito è stato chiarito da questa Corte che, secondo il chiaro disposto della L. Fall., art. 46, comma 1, n. 2, è sottratto, all’attivo fallimentare soltanto la parte dello stipendio o pensione, o salario, o provento dell’attività lavorativa del fallito occorrente per il mantenimento del fallito e della sua famiglia e che il fallito ha un vero e proprio diritto a detta parte degli emolumenti di cui si è detto. Tale diritto scaturisce dalla mera sussistenza del suo unico presupposto di fatto richiesto la necessità per il mantenimento del fallito e della famiglia , non diversamente da quanto avviene per gli altri beni non compresi nel fallimento in base al disposto degli altri numeri della L. Fall., art. 46, comma 1, mentre il decreto del giudice delegato ha natura non già costitutiva, ma puramente dichiarativa, agendo sul piano non del perfezionamento del diritto, bensì del suo accertamento e liquidazione, come si ricava anche da considerazioni di ordine logico Cass. n. 20325 del 27/9/2007, in motivazione , accertamento che compete al giudice del merito. Invero, questa Corte ha affermato anche che In tema di effetti del fallimento, L. Fall., art. 46, delimita il perimetro dei beni del fallito non compresi nel fallimento in relazione alla necessità del mantenimento del fallito stesso e della sua famiglia, non potendo, pertanto, essere acquisita alla massa l’integralità delle somme che il primo percepisce a seguito dello svolgimento della sua attività lavorativa, essendone la concreta determinazione affidata alla discrezionalità del giudice delegato in forza della semplice richiesta del curatore fallimentare, non essendo necessaria apposita istanza del fallito medesimo. Cass. n. 26201 dei 19/12/2016 ed ha precisato che l’acquisizione delle somme provenienti da attività lavorativa deve soggiacere alla previa deduzione delle passività incontrate dal fallito per generare quel reddito e, quindi, sul residuo netto Cass. n. 1724 del 29/01/2015 . In epoca più risalente, inoltre, ha sottolineato – con giurisprudenza invocata dal fallito a fondamento del motivo – che Il giudice delegato, nel determinare la quota di reddito da lavoro dipendente disponibile per il fallito e quella da destinare alla soddisfazione dei creditori, deve considerare, da un lato, che il mantenimento del fallito e della sua famiglia non può essere limitato a coprire le esigenze puramente alimentari, dovendo invece essere ragguagliato ad una misura che possa costituire anche premio ed incentivo per l’attività produttiva e reddituale svolta, e dall’altro, che tale quota non può essere elevata fino a raggiungere il limite del minimo tenore di vita socialmente adeguato ex art. 36 Cost. , in quanto deve sempre considerarsi che nella condizione sociale del fallito ha un peso rilevante la sua condizione di debitore verso una collettività di debitori concorrenti. Cass. n. 17235 del 04/12/2002 6. Posti tali condivisibili e condivisi principi, il motivo va disatteso perché infondato. 7. La tesi sostenuta dal fallito circa il divieto a destinare tutto lo stipendio a favore della massa, non trova riscontro nè nella norma in esame, che si limita ad attribuire al giudice del merito un potere discrezionale volto ad accertare quanto occorra per il mantenimento suo e della famiglia, da esercitare caso per caso alla luce delle concrete emergenze afferenti, nè nei precedenti giurisprudenziali che all’esercizio di tale potere discrezionale fanno riferimento, potere che nel caso di specie è stato motivatamente esercitato accertando la non ricorrenza dell’unico presupposto di fatto la necessità per il mantenimento del fallito e della famiglia richiesto per l’attribuzione. 8. Va, infatti, rimarcato che il Tribunale si è soffermato analiticamente sugli elementi sulla scorta dei quali ha accertato che non emergeva alcuna esigenza di mantenimento del fallito e della famiglia direttamente riconducibile alla percezione dello stipendio posto che erano state accertate, anche in sede penale, rilevanti disponibilità economiche sottratte al fallimento in Italia ed all’estero e la conduzione di uno stile di vita sicuramente non proporzionato alla mera percezione dello stipendio ed ha escluso, quindi, la ricorrenza del presupposto previsto L. Fall., ex art. 46. Ne discende che il precedente ex Cass. n. 26201 del 19/12/2016 non risulta pertinente giacché riguardava il caso della mancata valutazione delle esigenze di mantenimento in assenza di domanda del fallito e non, come nel caso di specie, quello del positivo accertamento di insussistenza di tali esigenze, accertamento decisivo su cui peraltro il motivo non si sofferma affatto. Va, quindi, soggiunto che anche il precedente ex Cass. n. 17235 del 04/12/2002, invocato dal ricorrente, non risulta pertinente è evidente, infatti, che laddove non ricorra affatto il presupposto richiesto per il riconoscimento dell’attribuzione, come nel caso in esame, non vi è alcuno spazio per ragionare sulla sua quantificazione e sulla possibilità di ragguagliarla ad una misura che possa costituire anche premio ed incentivo per l’attività produttiva e reddituale svolta . 9. In conclusione, andando di diverso avviso dalla proposta del relatore, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo a favore del Fallimento costituito. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019 . P.Q.M. Rigetta il ricorso Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore del Fallimento controricorrente in Euro 2.000,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.