Fallimento in pendenza del processo: la cessazione del mandato difensivo è immediato

In caso di fallimento del mandante, il mandato difensionale conferito con la procura ad litem, in considerazione delle sue peculiari caratteristiche, non è soggetto alla disciplina del mandato in generale di cui all’art. 78, comma 2, l. fall Per effetto della dichiarazione di fallimento, infatti il mandato difensionale prestato nelle controversie non aventi natura personale per il fallito non entra né in una fase di sospensione, in attesa che il curatore eserciti la facoltà di cui all’art. 72 l. fall., nè è caratterizzato dall’ultrattività, bensì si scioglie immediatamente.

Il S.C., con la pronuncia del 24 febbraio 2020, n. 4795, interviene su una questione per la quale non risultano precedenti in termini, affermando che lo scioglimento del mandato difensionale per fallimento del mandante ha effetto immediato, non trovando applicazione il principio dell’ultrattività nè potendosi ipotizzare la facoltà riconosciuta al curatore di subentrare o meno nel contratto. Il caso. La sentenza in commento si esprime in ordine alla richiesta di un avvocato avverso il provvedimento della Corte d’Appello che, a conferma di quanto stabilito dal giudice di prime cure, aveva ritenuto tardiva l’insinuazione proposta dal legale stesso e relativa a competenze professionali per attività svolte in favore della società poi fallita, quando era in bonis . Secondo i giudici di merito, l’istanza in questione doveva ritenersi tardiva perchè proposta al termine del giudizio di Cassazione, mentre avrebbe dovuto proporsi al momento del fallimento della società assistita, in quanto in quel momento si sarebbe determinata la cessazione dell’incarico professionale, senza possibilità di riconoscere allo stesso ultrattitivà sino al termine del giudizio stesso. Considerata la novità della questione, il S.C. accoglie il ricorso e rimette alla corte di appello per una diversa valutazione in ordine alla tempestività della domanda di insinuazione. Fallimento del mandante la regola generale . Ai sensi dell’art. 78 l. fall., il contratto di mandato si scioglie per il fallimento del mandatario, mentre in caso di fallimento del mandante spetta al curatore decidere se subentrare o meno al contratto stesso. In particolare, lo scioglimento del contratto di mandato a seguito del fallimento del mandante presuppone che l'attività oggetto del mandato sia preclusa al fallito e dunque non opera quando l'attività svolta dal mandatario può essere effettuata dal mandante fallito. Fallimento del mandatario e scioglimento del contratto di mandato. In applicazione del principio di cui sopra, per la giurisprudenza il fallimento dell'impresa mandataria in un'associazione temporanea di imprese comporta lo scioglimento del rapporto di mandato, anche se irrevocabile e in rem propriam , non potendo più la fallita concorrere all'esecuzione dell'appalto e venendo meno, di conseguenza, il presupposto che giustifica la sua partecipazione all'associazione temporanea in veste di mandataria. Mandato difensivo e fallimento. Nel caso in esame, peraltro, il fallimento della parte determinata l’immediata ed automatica cessazione del mandato difensivo, senza riconoscere al curatore la possibilità di intervenire nel subentro. La Cassazione, sul punto, non ritiene tardiva la richiesta di insinuazione promossa dal difensore – depositata solo dopo la chiusura del giudizio di Cassazione – in quanto l’assenza di precedenti ben poteva lasciar intendere che il difensore dovesse attendere il termine del giudizio per poter proporre l’impugnazione. In realtà, il S.C. chiarisce che, stante l’immediata interruzione del processo, il difensore avrebbe dovuto proporre l’insinuazione subito dopo il fallimento – e quindi tempestivamente – ma l’assenza di precedenti fa ritenere tale ritardo scusabile, non ritenendo quindi corretta la valutazione della domanda promossa dal legale quale tardiva e, quindi, inammissibile. Il fallimento quale causa di interruzione del processo. Con riferimento, invece, al processo, si deve precisare che la dichiarazione di fallimento della parte costituita in un giudizio civile determina l'automatica interruzione del processo senza che sia necessario dichiarare l'evento, decorrendo il termine per la riassunzione dalla conoscenza legale della sentenza dichiarativa di fallimento, la quale deve essere acquisita nell'ambito dello specifico giudizio sul quale l'evento medesimo è destinato ad operare. In altri termini, una volta intervenuto il fallimento, l'interruzione è sottratta all'ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 c.p.c., nel senso, cioè, che la stessa è automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto comunque a conoscenza dell'evento. Fallimento della parte nel corso del processo di Cassazione. Per contro, l'intervenuta modifica dell'art. 43 l. fall. per effetto dell'art. 41 d.lgs. n. 5/2006, nella parte in cui stabilisce che l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo , non comporta l'interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest'ultimo, in quanto dominato dall'impulso d'ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge. Il principio, quindi, secondo il quale il processo di cassazione, caratterizzato dall'impulso d'ufficio, non è soggetto ad interruzione in presenza degli eventi di cui agli art. 299 segg. c.p.c., tenendo conto che tali norme si riferiscono esclusivamente al giudizio di merito e non sono suscettibili di applicazione analogica in quello di legittimità, non trova deroga quando, dopo la proposizione del ricorso, si rendano necessari atti od iniziative della parte o del difensore, atteso che, pure in questi casi, la mancata previsione dell'interruzione non implica lesione del diritto di difesa o menomazione del contraddittorio, restando a carico dell'interessato di attivarsi per ovviare ad evenienze conosciute o comunque conoscibili.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 dicembre 2019 – 24 febbraio 2020, n. 4795 Presidente Federico – Relatore Fidanzia Fatti di causa Con decreto depositato il 18 ottobre 2017 il Tribunale di Siracusa ha rigettato l'opposizione ex art. 98 legge fall, proposta dall'avv. Se. Le. avverso il decreto con cui il G.D. aveva dichiarato inammissibile per tardività la sua istanza finalizzata ad ottenere l'insinuazione allo stato passivo del fallimento Progema Impianti s.r.l. del proprio compenso professionale per l'attività di difesa giudiziale dallo stesso prestata innanzi alla Corte di Cassazione in un giudizio in cui era originariamente parte la Progema Impianti s.r.l. , quando era ancora in bonis, con il fallimento intervenuto quando era già pendente il giudizio di cassazione. Il Tribunale di Siracusa ha statuito - che il credito del difensore matura al momento della cessazione dell'incarico, momento che può anche essere procedente al completamento dell'attività difensiva che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il fallito perde la legittimazione processuale ed il curatore non è obbligato a subentrare nei giudizi incardinati dal fallito o contro il fallito, dovendo il curatore operare una valutazione in concreto di vantaggiosità per la massa e di coerenza con le esigenze della procedura che, nel testo riformato dell'art. 78 legge fall., il mandato difensivo non si scioglie più automaticamente per effetto del fallimento del mandante come avviene in caso di fallimento del mandatario , e, per effetto dell'applicazione della disciplina generale dei contratti pendenti di cui all'art. 72 legge fall, il mandato difensivo è sospeso in attesa che il curatore eserciti la facoltà concessagli dal terzo comma di optare per la prosecuzione o lo scioglimento - che, nel caso di specie, l'inerzia del curatore - dopo essere stato informato dal legale del deposito del ricorso per cassazione e della fissazione dell'udienza - doveva ritenersi espressione del medesimo di non voler subentrare nel rapporto in luogo del fallito - che il principio per il quale il fallimento di una parte in costanza di un giudizio di legittimità non costituisce una causa d'interruzione del giudizio attiene ad un profilo diverso dalla perdita della capacità processuale del fallito che si verifica automaticamente per effetto della dichiarazione di fallimento, dovendo il rapporto ritenersi estinto ex art. 1722 cod. civ. e per effetto dell'opzione del curatore di non subentrarvi che, pertanto, per effetto del fallimento, il difensore avrebbe dovuto subito insinuare il proprio credito al passivo e non attendere la definizione del procedimento pendente, essendo il credito sorto al momento stesso della cessazione del rapporto difensivo. Avverso la predetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l'avv. Le. affidandolo a tre motivi. La curatela del fallimento Progema Impianti s.r.l. non ha svolto difese. Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo l'avv. Le. ha dedotto la contraddittorietà della motivazione ex art. 360 comma 1. n. 5 cod. proc. civ. e la violazione degli artt. 42, 42, 72, 78 e 101 comma 1. Legge fall., degli artt. 83, 85, 299 e 365 cod. proc. civ. e 1722 cod. civ Lamenta il ricorrente che il giudice di merito ha errato nel ritenere sciolto il mandato difensivo conferito al ricorrente, che non è stato né revocato dal cliente ex art. 85 cod. proc. civ. né dal curatore. Ne consegue che, non applicandosi l'interruzione processuale nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione dominato dall'impulso d'ufficio , ed in virtù del principio di ultrattività del mandato, il ricorrente ha continuato a svolgere la sua attività professionale ed ha maturato il credito, sorto al momento della conclusione del procedimento di legittimità. Il ricorrente ha, altresì, affermato che è ius receptum che nel giudizio di cassazione non può dichiararsi il difetto di capacità processuale della parte dichiarata fallita, che comunque non è mai assoluta ma relativa nel senso che può essere eccepita solo dal curatore , con la conseguenza che in caso di inerzia del curatore, il fallito rimane in giudizio per proprio conto ed il difensore deve proseguire nel proprio incarico professionale. Infine, il ricorrente ha dedotto che al comportamento omissivo del curatore non può attribuirsi altro significato se non la volontà di prosecuzione dell'incarico - non potendosi ritenere il rapporto sospeso in attesa che il curatore eserciti la facoltà di cui all'art. 72 legge fall. - che può essere revocato solo esercitando espressamente il diritto di recesso. Ne consegue che non essendo estinto il mandato professionale del difensore per effetto del fallimento, nessun ritardo è imputabile al ricorrente nella presentazione dell'istanza di insinuazione allo stato passivo, avendo lo stesso presentato tale istanza subito dopo la comunicazione del deposito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione 1/12/2015 , in concomitanza con la cessazione di tale incarico. 2. Con il secondo motivo il ricorrente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 101 legge fall, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede espressamente che i creditori sopravvenuti ed incolpevoli possano presentare istanza di ammissione al passivo del fallimento entro il termine di un anno decorrente dall'insorgenza del credito. 3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 91 cod. proc. civ in relazione all'art. 360 comma 1. n. 3 cod. proc. civ. in considerazione del fatto che, se il Tribunale avesse fatto corretta applicazione dei principi esposti nei precedenti motivi, non sarebbe pervenuto alla condanna alle spese del ricorrente. 4. Il primo motivo è in parte fondato, nei termini sotto illustrati. Ritiene questo Collegio che in caso di fallimento del mandante, il mandato difensionale conferito con la procura ad litem, in considerazione delle sue peculiari caratteristiche, non sia soggetto alla disciplina del mandato in generale di cui all'art. 78 comma 2 . legge fall Infatti, per effetto della dichiarazione di fallimento, il mandato difensionale prestato nelle controversie non aventi natura personale per il fallito non entra né in una fase di sospensione in attesa che il curatore eserciti la facoltà di cui all'art. 72 legge fall. - come ritenuto dal decreto impugnato - né è caratterizzato dall'ultrattività, come, invece, invocato dal ricorrente, bensì si scioglie immediatamente. Ciò può evincersi sia dall'art. 43 comma 1. legge fall., secondo cui il fallito perde per effetto della dichiarazione di fallimento la legittimazione processuale in tutte le controversie non aventi natura personale, sia dall'art. 43 comma 3. legge cit., secondo cui l'apertura del fallimento determina automaticamente l'interruzione dei processi di merito in corso. L'ultrattività del mandato - intendendosi per tale la possibilità del difensore di continuare a compiere gli atti processuali in nome e per conto del cliente, che trova la propria fonte nel potere discrezionale del professionista di dichiarare o meno in quella fase del giudizio la causa interruttiva - non ha luogo in caso di dichiarazione di fallimento atteso che, proprio perché l'interruzione del giudizio di merito è automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dell'evento, la stessa è sottratta all'ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 cod. proc. civ cfr. Cass. n. 9016/2018 Cass. n. 5288/2017 . Né può invocarsi il principio di ultrattività del mandato in ipotesi di dichiarazione di fallimento intervenuta nel corso di un giudizio di cassazione solo perché l'apertura del fallimento non comporta l'interruzione del giudizio di legittimità, fondandosi la mancata interruzione di tale giudizio esclusivamente sull'impulso d'ufficio che lo caratterizza vedi recentemente Cass. n. 27143/2017 . In proposito, sin dalla lontana pronuncia delle S.U. n. 11195/1992, questa Corte ha osservato che . l'argomento sulla cui base la dottrina e la giurisprudenza sono contrarie all'operatività dell'istituto dell'interruzione è costituito dal rilievo che il giudizio di cassazione, una volta instauratosi con la notificazione del ricorso e con il deposito dello stesso, è dominato dall'impulso d'ufficio, sicché non possono operare eventi, previsti dagli artt. 299 e ss. c.p.c, che - nel giudizio di merito ispirato al principio dispositivo - determinano l'interruzione del processo . . Peraltro, la citata sentenza delle S.U., nel contrastare l'orientamento di quella dottrina e quella giurisprudenza che ritenevano che, in presenza degli eventi di agli artt. 299 ss c.p.c. , l'unico mezzo attraverso cui realizzare il diritto di difesa costituzionalmente garantito fosse appunto quello di procedere all'interruzione del processo, allo scopo di consentire il ripristino dell'effettività del contraddittorio ed una efficiente rappresentanza tecnica delle parti nel processo, ha argomentato in questi termini Le stesse osservazioni possono farsi per il giudizio di legittimità. E' ben vero che in tale giudizio, dominato dall'impulso d'ufficio, esistono una serie di attività che presuppongono la presenza del difensore, ma la circostanza che il legislatore non abbia previsto, proprio per tale motivo, la rilevanza degli eventi di cui all'art. 299 ss. c.p.c, non induce né ad applicare in via analogica le norme predette, ostandovi il divieto dell'art. 14 delle preleggi, né ad affermare l'incostituzionalità di tale mancata previsione, dovendosi invece ritenere che la struttura del giudizio di legittimità impone un particolare onere di attenzione per la parte, sicché è da dire che la mancata osservanza di quest'onere, per fatti relativi al procuratore -come nel caso di specie - ricadono sulla parte stessa che non si è attivata per ovviare alle conseguenze derivanti da eventi che essa avrebbe potuto e dovuto conoscere . . Emerge quindi con chiarezza dall'insegnamento della citata pronuncia, le cui conclusioni sono state anche tralaticiamente confermate in tutte le pronunce successive fino ai nostri giorni, che la mancata interruzione del giudizio di legittimità a seguito del verificarsi di uno degli eventi di cui agli artt. 299 e ss. cod. proc. civ. o dell'art. 43 legge fall, non dipende affatto dalla dedotta dal ricorrente ultrattività del mandato difensivo - che è invece venuto inesorabilmente meno - ma dall'impulso d'ufficio di tale giudizio, la cui struttura impone a ciascuna parte privata della assistenza tecnica un particolare onere di attenzione, gli effetti della cui inosservanza ricadono sulla stessa parte. Ne consegue che, a seguito della dichiarazione di fallimento intervenuta nel giudizio di legittimità, il legale cui era stato precedentemente conferito mandato ad litem, proprio perché nelle controversie non aventi natura personale del fallito è definitivamente venuto meno il rapporto professionale che lo legava alla parte assistita, non ha più alcun titolo per proseguire la propria attività difensiva. E' quindi priva di pregio l'affermazione del ricorrente secondo cui al comportamento omissivo posto in essere dal curatore dopo essere stato notiziato della pendenza del giudizio di cassazione in cui patrocinava lo stesso ricorrente non potrebbe attribuirsi altro significato se non la volontà di prosecuzione dell'incarico. Tale assunto si pone, altresì, in netto contrasto con la disciplina del mandato al procuratore legale del fallimento prevista dalla legge fallimentare vedi artt. 25 e 31 legge fall , che costituisce una fattispecie complessa di procura alle liti che si perfeziona con il concorso di tre distinti atti, uno solo dei quali - a seguito della riforma del diritto fallimentare del 2006 - è demandato alla competenza del giudice delegato autorizzazione a stare a giudizio, da concedersi per ogni grado e gli altri due alla competenza del curatore nomina e rilascio della procura al difensore . L'incarico al legale che patrocinava la società poi fallita prima della dichiarazione di fallimento non può quindi attribuirsi certo per effetto del comportamento omissivo del curatore, il quale, come sopra anticipato, non è comunque dotato di capacità processuale autonoma, essendo questa integrata dall'autorizzazione del giudice delegato vedi Cass. n. 26359/2014 . Accertato quindi che il legale nominato dalla società poi fallita quando era ancora in bonis non ha titolo per richiedere il compenso per l'attività giudiziale eventualmente prestata una volta intervenuto il fallimento - anche se tale attività è stata prestata in sede di legittimità - va, tuttavia, osservato che non può condividersi la valutazione dei giudici di merito di ultratardività del credito insinuato dal legale che era dovuto quantomeno per l'attività difensiva svolta prima della dichiarazione di fallimento . Infatti, tenuto conto che non constano precedenti specifici sulla questione che ha formato oggetto del presente procedimento e che il caso esaminato dai giudici di merito presentava la peculiarità che il legale ricorrente aveva continuato a patrocinare nell'ambito di un giudizio di cassazione - che non si interrompe per effetto della dichiarazione di fallimento - deve ritenersi che il ritardo da parte del ricorrente nella presentazione dell'istanza di insinuazione allo stato passivo fosse allo stesso non imputabile. Il ricorrente, infatti, confidando che il suo mandato difensivo non si fosse sciolto per effetto della dichiarazione di fallimento, non ha immediatamente presentato l'istanza di insinuazione per il credito maturato fino alla dichiarazione di fallimento ritenendo erroneamente, ma in una materia che non era stata ancora esplorata - che il suo mandato difensivo fosse cessato solo in coincidenza della conclusione del giudizio di cassazione. Deve quindi cassarsi la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Siracusa, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità. 5. Il secondo ed il terzo motivo sono assorbiti. P.Q.M. Cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Siracusa, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.