Sentenza di fallimento: la mancata o ritardata trascrizione non ne impedisce l’opponibilità ai terzi acquirenti di buona fede

Gli effetti della pronuncia di fallimento sono opponibili anche ai terzi di buona fede che abbiano stipulato contratti con il fallito dopo la sentenza dichirativa, ma prima della trascrizione della stessa.

Così si esprime la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24602/19, depositata il 2 ottobre. La vicenda. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la sentenza emessa dal Giudice di prime cure, dichiarando inefficace ai sensi dell’art. 44 legge fallimentare nei confronti della società fallita la vendita stipulata mediante rogito con cui il fallito aveva ceduto un immobile a due acquirenti. In particolare, la Corte non aveva autorizzato la chiamata in causa del curatore fallimentare proveniente dai convenuti al fine di esercitare verso di lui la domanda risarcitoria dovuta alla mancata trascrizione della sentenza di fallimento, e d’altra parte aveva confermato l’inefficacia dell’atto di vendita poiché trascritto dopo la pronuncia di fallimento, ritenendo che lo stato soggettivo dei terzi acquirenti non rileva a tal fine. Contro tale decisione, gli attuali ricorrenti propongono ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 44 l. fall L’integrazione della domanda originaria. La Suprema Corte dichiara infondata la prima doglianza dei ricorrenti, avente ad oggetto la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte dichiarato l’inefficacia del contratto verso i terzi creditori a fronte della domanda originaria della curatela fallimentare volta ad ottenere l’inefficacia nei confronti dei convenuti, osservando come l’ambiguità inizialmente contenuta nell’atto di citazione la cui nullità era stata rilevata d’ufficio in primo grado di giudizio sia stata superata dalla successiva nota depositata dall’attrice, che ha sostituito ed integrato l’atto introduttivo. In tema di nullità dell’atto di citazione, infatti, i vizi relativi alla editio actionis ” sono rilevabili d’ufficio e ai fini della sanatoria non è sufficiente la costituzione in giudizio del convenuto, conseguendone l’impossibilità di applicare gli artt. 156, comma 3 e 157 c.p.c., essendo la nullità oggetto del caso di specie prevista in vista di interessi che trascendono quelli del convenuto. L’effetto sanate, in virtù del principio generale del raggiungimento dello scopo, potrà invece attribuirsi all’integrazione della domanda ex art. 164 c.p.c., in modo tale che essa elimini l’incertezza e la contraddittorietà dell’originario atto di citazione. Dunque, gli Ermellini affermano che ai fini della validità, in base ai criteri di cui all’art. 163 c.p.c., va considerato l’atto che risulta a seguito della successiva integrazione. La buona fede dei terzi. La Corte disattende anche il secondo motivo di ricorso, attinente alla violazione dell’art. 44 l. fall., richiamando la giurisprudenza di legittimità in materia, la quale sostiene che in tema di pagamenti spettanti al fallito, qualora essi siano effettuati a seguito della dichiarazione di fallimento ed a soggetti diversi dalla curatela, ne deriva automaticamente l’indisponibilità del patrimonio del fallito, valevole erga omnes e senza che abbia alcuna rilevanza lo stato soggettivo del solvens . Anche la Corte Costituzionale si è espressa in tal senso sentenza n. 228/1995 , ritenendo infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 nella versione ratione temporis vigente in relazione all’art. 24 Cost., nella parte in cui non prevedeva che gli effetti della sentenza di fallimento potessero essere opponibili anche al terzo di buona fede che avesse contratto con il fallito a seguito del fallimento e prima dell’affissione della relativa decisione. Posto ciò, gli Ermellini rilevano che nel caso concreto sul bene oggetto di vendita era già stata eseguita la trascrizione del pignoramento, e che la pubblicità della sentenza di fallimento aveva ben posto i terzi in grado di tutelarsi dal pericolo di acquisti dal fallito, conseguendone che la mancata ovvero ritardata trascrizione della sentenza di fallimento non ne impedisce l’opponibilità ai terzi acquirenti in buona fede. Alla luce di quanto esposto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 10 luglio – 2 ottobre 2019, n. 24602 Presidente Genovese - Relatore Federico Fatti di causa La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1085/14 pubblicata il 15 luglio 2014, confermando la sentenza di primo grado, disattesa l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza della domanda, giusta integrazione della domanda ad opera della curatela attrice in data 1.12.2006, ha dichiarato inefficace L. Fall., ex art. 44 nei confronti del fallimento sas, in ragione della quota di 1/2, la vendita, stipulata con rogito del 29.8.2005 per notar L. , con cui il fallito G.G. cedeva a F.A. e P.N. l’immobile sito in e censito al NCEU al fg. , part. , sub X. La Corte territoriale, in particolare, disattendeva la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa del curatore fallimentare spiegata dai convenuti al fine di esercitare nei suoi confronti domanda risarcitoria derivante dalla mancata trascrizione della sentenza di fallimento e confermava la declaratoria di inefficacia dell’atto negoziale oggetto di causa in quanto trascritto successivamente alla pronuncia della sentenza di fallimento, ritenendo irrilevante lo stato soggettivo dei terzi acquirenti. Per la cassazione di tale pronuncia propongono ricorso, con tre motivi, F.A. e P.N. . La curatela fallimentare resiste con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c. oltre il termine previsto e di essa non può dunque tenersi conto. Ragioni della decisione Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c. per avere il giudice attribuito efficacia sanante alla nota integrativa depositata dalla curatela fallimentare in data 1.12.2006. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha infatti escluso la genericità dell’atto introduttivo, atteso che, alla luce della nota integrativa suddetta, risultava sufficientemente specifico il contenuto della domanda L. Fall., ex art. 44 formulata dalla curatela fallimentare. La statuizione è conforme a diritto. La domanda della curatela attrice, alla luce dell’integrazione effettuata l’1.12.2006, non può ritenersi indeterminata poiché risulta formulato con chiarezza il fatto costitutivo della pretesa, vale a dire l’inopponibilità al fallimento del negozio giuridico stipulato dal fallito dopo la sentenza di fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 44, superandosi in tal modo l’incertezza derivante dal richiamo contenuto nell’atto di citazione originario anche agli artt. 2901 e 2902 c.c. ed alla L. Fall., art. 66. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge, in particolare l’artt. 106 c.p.p. e art. 269 c.p.p., comma 2, per avere il giudice del gravame respinto l’istanza di annullamento dell’ordinanza con cui il giudice di primo grado aveva respinto la richiesta di chiamata in causa del curatore in proprio, al fine di esercitare nei suoi confronti l’azione individuale di responsabilità. Il motivo è infondato. È al riguardo sufficiente rilevare che, come questa Corte ha già affermato, fuori dall’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c., il provvedimento del giudice di merito, che concede o nega l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, in quanto tali, non possono formare oggetto di appello e di ricorso per cassazione Cass. 25676/2014 . Il terzo motivo, articolato in una duplice censura, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. Fall., art. 44. Con la prima censura, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, in violazione dell’art. 112 c.p.c., abbia dichiarato l’inefficacia della compravendita nei confronti dei terzi creditori, a fronte della domanda originaria della curatela fallimentare diretta ad ottenere che l’inefficacia fosse dichiarata nei confronti dei convenuti signori F. e P. . La censura è infondata. L’ambiguità iniziale contenuta nell’atto di citazione, la cui nullità è stata rilevata dal giudice di primo grado, è stata infatti superata, come rilevato dalla Corte d’Appello, dalla successiva nota, depositata dall’attrice ai sensi art. 164 c.p.c., comma 5, che ha sostituito ed integrato l’originario atto introduttivo. Come risulta dal contenuto di tale atto, riprodotto nel corpo del ricorso, la domanda della curatela attrice risulta correttamente formulata con riferimento alla disposizione della L. Fall., art. 45 nella formulazione vigente ratione temporis ed alla conseguente inefficacia della compravendita nei confronti della massa dei creditori, in quanto stipulata dopo la dichiarazione di fallimento del venditore G.G. . È infatti vero che in materia di nullità dell’atto di citazione, i vizi riguardanti la editio actionis sono rilevabili d’ufficio dal giudice e non sono sanati dalla costituzione in giudizio del convenuto, essendo la costituzione inidonea a colmare le lacune della citazione stessa, che compromettono lo scopo di consentire non solo al convenuto di difendersi, ma anche al giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale, con la conseguenza che non può farsi applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, e art. 157 c.p.c., essendo la nullità in questione prevista in funzione di interessi che trascendono quelli del convenuto Cass.6673/2018 . Tale effetto sanante, per il generale principio del raggiungimento dello scopo, può all’opposto attribuirsi, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., all’integrazione della domanda, che, come nel caso di specie, elimini incertezza, genericità e contraddittorietà dell’originario atto di citazione. È dunque l’atto quale risulta a seguito della successiva integrazione che va considerato ai fini della validità secondo i criteri indicati dall’art. 163 c.p.c., ed all’esito di tale valutazione risulta che l’eliminazione delle lacune originarie ha consentito alla controparte di esercitare pienamente il diritto di difesa ed al giudice di emettere una pronuncia di merito idonea al giudicato. Da quanto sopra enunciato, deriva anche la reiezione della seconda censura, che investe la statuizione della sentenza di appello che, confermando quella di primo grado, ha respinto l’eccezione di inammissibilità per novità della domanda L. Fall., ex art. 44, sia in quanto gli elementi costitutivi della domanda erano già indicati nell’atto di citazione originario, sia in considerazione dell’efficacia sanante ex nunc dell’integrazione del 1.12.2006. Vanno infine disattese, nel merito, le censure inerenti la sussistenza dei presupposti della L. Fall., art. 44 avuto riguardo in particolare alla buona fede degli odierni ricorrenti. Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, in tema di pagamenti spettanti al fallito, come pure di atti di disposizione, l’inefficacia degli stessi, se effettuati dopo la dichiarazione di fallimento ed a soggetti diversi dalla curatela, è conseguenza automatica dell’indisponibilità del patrimonio del fallito, valevole erga omnes e senza che assuma rilevanza lo stato soggettivo del solvens Cass.19165/2007 . In tal senso, del resto, la Corte costituzionale con la pronuncia n. 228 del 6.6.1995 ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 44 nella formulazione vigente ratione temporis , sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui considera gli effetti della sentenza di fallimento opponibili anche al terzo di buona fede che abbia contratto con il fallito dopo il fallimento e prima dell’affissione della correlativa pronuncia. È in particolare infondato e privo di rilievo per quanto sopra evidenziato il profilo fatto valere dai ricorrenti, i quali deducono la loro buona fede in conseguenza della mancata trascrizione della sentenza di fallimento. A parte il rilievo che nel caso di specie sul bene oggetto della vendita era stata già eseguita la trascrizione del pignoramento e che l’integrazione della pubblicità della sentenza di fallimento L. Fall., ex art. 17 nella formulazione vigente ratione temporis poneva i terzi in grado di salvaguardarsi contro il pericolo di acquisti dal fallito, come già osservato gli effetti della sentenza di fallimento si producono erga omnes dalla data del fallimento stesso, indipendentemente dal compimento delle formalità previste dall’art. 88 L. Fall Da cià discende che la mancata o ritardata trascrizione della sentenza di fallimento non ne impedisce l’opponibilità ai terzi acquirenti di buona fede. Pure tale motivo va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 5.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre al rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.