I crediti previdenziali, fondati su cartella esattoriale non opposta, sono ammissibili al passivo?

Il decisum pone al centro dell’attenzione il tema della riscossione a mezzo ruolo di crediti previdenziali. In particolare, si tratta di stabilire se, in caso di fallimento del debitore, il credito avente ad oggetto i contributi previdenziali, insinuato al passivo, divenga, o meno, incontestabile, per effetto della mancata impugnazione della relativa cartella di pagamento da parte del debitore stesso.

E, i Supremi giudici della Prima sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 24587/19, depositata il 2 ottobre 2019, conformandosi ad un recente grand arrêt delle Sezioni Unite, vedi SS.UU., n. 23397/16 , pur precisando che la mancata proposizione dell’opposizione non determina l’assoggettamento dell’azione di riscossione al termine di prescrizione previsto per l’actio judicati , hanno confermato che la scadenza del termine comporta l’incontestabilità del credito contributivo premesso infatti che la natura amministrativa della cartella esattoriale ne esclude l’idoneità ad acquistare efficacia di cosa giudicata, si è affermato che la mancata proposizione dell’opposizione non comporta la conversione del termine breve di prescrizione previsto dall’art. 3, commi nono e decimo, della l. 8 agosto 1995, n. 335 in quello decennale di cui all’art. 2953 c.c., applicabile soltanto nei casi in cui intervenga un titolo giudiziale definitivo, ma si è comunque confermato che la scadenza del termine di cui all’art. 24, comma quinto, del d.lgs. n. 46 del 1999, determina la decadenza dalla facoltà di impugnare la cartella, e quindi l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito. Trova pertanto applicazione il principio, enunciato da questa Corte in riferimento ai crediti tributari, ma riferibile anche a quelli contributivi, secondo cui il predetto effetto, ove verificatosi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore, in virtù dell’avvenuta notificazione della cartella quando quest’ultimo era ancora in bonis, preclude al curatore la proposizione di eccezioni fondate su fatti estintivi o impeditivi verificatisi in epoca anteriore alla notificazione della cartella, anche nel caso in cui si provveda alla rinnovazione della notifica nei suoi confronti soltanto nel caso in cui la dichiarazione di fallimento intervenga in pendenza del termine per la proposizione dell’opposizione, la relativa scadenza non produce l’incontestabilità del credito, risultando inopponibile alla massa dei creditori, in quanto la notificazione effettuata nei confronti del debitore è inidonea a far decorrere il termine anche nei confronti del curatore. Il fatto. Equitalia Sud s.p.a. propose opposizione allo stato passivo del fallimento della Beta s.r.l., chiedendo l’ammissione al passivo, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2753 c.c., di un credito complessivo di Euro 437.127,41, fondato su tre cartelle esattoriali emesse per il pagamento di contributi previdenziali, nonché il riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2752 c.c. su un credito di Euro 1.673.256,80, già ammesso al passivo in via chirografaria, ai sensi dell’art. 23, comma quarantesimo, del d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Si costituì il curatore del fallimento, resistendo alla domanda e chiedendone il rigetto. Il Tribunale di Crotone ha accolto in parte l’opposizione, ammettendo al passivo, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2753 c.c., un credito complessivo di Euro 317.548, 41, fondato su due delle tre cartelle indicate dalla ricorrente, dichiarando inammissibile la domanda di riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2752 c.c., e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. In particolare, il giudice crotonese ha rilevato che, mentre per i crediti previsti da due cartelle di pagamento la ricorrente aveva fornito la prova dell’avvenuto compimento di atti interruttivi della prescrizione, per quello avente ad oggetto i contributi relativi all’anno 1997 la cartella risultava notificata dopo la scadenza del termine quinquennale di prescrizione, ed ha pertanto ammesso al passivo i primi, in via privilegiata, mentre ha confermato l’esclusione dell’ultimo. Avverso il predetto decreto Equitalia Sud s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, cui ha resistito il curatore con controricorso. Nello specifico, con il primo motivo di gravame, la ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui ha dichiarato prescritto il credito relativo ai contributi previdenziali dovuti per l’anno 1997, senza considerare che la cartella di pagamento, notificata nel 2009, non era mai stata impugnata dalla società fallita. Afferma infatti che, nel caso in cui il concessionario della riscossione abbia proceduto alla notifica della cartella esattoriale nei confronti del contribuente in bonis, il quale, prima della dichiarazione di fallimento, abbia lasciato decorrere per intero il termine per l’impugnazione, la cartella stessa diviene un titolo definitivo, non più contestabile dal curatore, indipendentemente dalla circostanza che il ruolo abbia ad oggetto tributi o contributi. Pertanto, l’agenzia di riscossione sostiene che, nella specie, la prescrizione eventualmente maturata prima della notificazione della cartella non poteva più essere eccepita, aggiungendo che il termine quinquennale decorrente dalla data di notifica non risultava ancora scaduto alla data di deposito dell’istanza di insinuazione al passivo. E, gli Ermellini accolgono in toto la censura della ricorrente, precisando che non si può condividere il decreto impugnato, nella parte in cui, ai fini della dichiarazione dell’intervenuta prescrizione del credito avente ad oggetto i contributi previdenziali relativi all’anno 1997, si è limitato a rilevare che la cartella di pagamento agli stessi afferente, notificata nell’anno 2009, risultava successiva alla scadenza del termine quinquennale, previsto dall’art. 3, commi nono e decimo, della l. n. 335 del 1995, omettendo di tener conto della data di dichiarazione di fallimento, pronunciata con sentenza del 18 aprile 2011, e quindi verificare se alla predetta data il credito insinuato al passivo fosse già venuto incontestabile, per effetto della mancata impugnazione della cartella da parte del debitore in bonis. Pertanto, la causa va rinviata al Tribunale di Crotone, che provvederà in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. La riscossione dei crediti previdenziali avviene mediante iscrizione a ruolo. Il legislatore, al fine di rendere più agevole il procedimento di riscossione delle pubbliche entrate, ha inciso nel meccanismo di recupero dei crediti degli enti previdenziali, sottraendolo alla previgente disciplina di tipo privatistico ed estendendo, progressivamente, la normativa fiscale a quella contributiva e previdenziale. Difatti, il legislatore, con il decreto legislativo n. 46 del 1999, ha imposto l’utilizzazione del ruolo”, che è uno strumento di riscossione tipico delle imposte, e in particolare di quelle dei redditi, secondo la disciplina contenuta del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, anche per la riscossione dei crediti previdenziali. Il ruolo è un elenco dei debitori e delle somme che questi devono all’ente previdenziale, che lo rende esecutivo e lo affida al concessionario per la riscossione, il quale provvede all’emissione della cartella esattoriale e alla riscossione coattiva del credito. Il ruolo ha natura giuridica di atto amministrativo plurimo o collettivo, visto che consiste nell’ elenco dei debitori e delle somme ad essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo concessionario” art. 10 d.P.R. n. 602/73 ha forza di titolo esecutivo e, come tale, legittima il concessionario, qualora il debitore non versi la somma indicata nella cartella esattoriale, regolarmente notificata, a esperire una procedura di esecuzione forzata speciale, più rapida ed efficace di quella condotta secondo le regole generali art. 17 d.lgs. n. 46/99 . La cartella di pagamento non opposta non acquista efficacia di giudicato. I soggetti che ricevono la notificazione di cartelle di pagamento per il recupero di crediti previdenziali che intendano contestare nel merito la pretesa contributiva dell’ente devono presentare ricorso al giudice del lavoro, utilizzando la previsione contenuta nei commi 5 e 6 dell’art. 24 del d. lgs. n. 46 del 1999, secondo cui contro l'iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. L’effetto principale che consegue allo spirare del termine di quaranta giorni, previsto dall’art. 24 del d. lgs. n. 46 del 1999 per proporre l’opposizione di merito alla cartella di pagamento regolarmente notificata, consiste, qualora il debitore non provveda al pagamento del credito entro il termine di sessanta giorni, nel legittimare da parte del concessionario l’esercizio dell’azione esecutiva esattoriale per il soddisfacimento coattivo del credito iscritto a ruolo. Deve, per altro, escludersi che la cartella di pagamento non opposta acquisiti efficacia di giudicato, facendo stato tra le parti, secondo quanto previsto dalle disposizioni sul giudicato contenute nel codice civile. Infatti, secondo la disciplina dettata dagli articoli 2907 – 2909 c.c., la tutela dei diritti compete soltanto all’autorità giudiziaria, che la esercita nelle forme processuali previste dalla legge, e soltanto l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato è idoneo a fare stato, ad ogni effetto, tra le parti i loro eredi o aventi causa. La cartella di pagamento non opposta non assume gli effetti di una sentenza di condanna passata in giudicato. Essa, difatti, non può determinare una modificazione nel regime della prescrizione dei crediti previdenziali, che, a seguito dalla riforma introdotta con l’art. 3, commi nono e decimo, della legge n. 335/95, è, di regola, quinquennale. In altri termini, la prescrizione breve, quinquennale, non si trasforma, come nell’actio judicati di cui all’art. 2953 c.c., in decennale quale effetto della mancata opposizione della cartella di pagamento. Tali conclusioni appaiono, del resto, coerenti con il sistema delineato dal legislatore per il recupero dei crediti previdenziali, nel quale, a differenza di quello relativo ai crediti tributari, non sono previsti dalla legge termini specifici per l’impugnazione dei singoli atti di accertamento compiuti dagli enti previdenziali. Di conseguenza, non può dirsi che, in caso di mancata opposizione della cartella di pagamento, il credito dell’ente previdenziale sia stato accertato, non solo perché il debitore non ha promosso il procedimento di opposizione di merito di cui all’art. 24 del d. lgs. n. 46 del 1999, ma anche perché, a monte, può non esservi stato alcun contenzioso anche di tipo amministrativo. La cartella di pagamento non opposta, non assumendo gli effetti di una sentenza di condanna passata in giudicato, dunque, non può determinare una modificazione nel regime della prescrizione dei crediti previdenziali. Concludendo. La scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l'effetto della cosiddetta conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti, comunque denominati, di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione sostanziale più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la cartella di pagamento, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che dal primo gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto d.l. 31 maggio 2010, n. 78, articolo 30, convertito dalla L. n. 122 del 2010 .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 2 aprile – 2 ottobre 2019, n. 24587 Presidente Genovese – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. L’Equitalia Sud S.p.a. propose opposizione allo stato passivo del fallimento della omissis S.r.l., chiedendo l’ammissione al passivo, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2753 c.c., di un credito complessivo di Euro 437.127,41, fondato su tre cartelle esattoriali emesse per il pagamento di contributi previdenziali, nonché il riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2752 c.c. su un credito di Euro 1.673.256,80, già ammesso al passivo in via chirografaria, ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 23, comma 40, convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111. Si costituì il curatore del fallimento, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto. 1.1. Con decreto del 5 dicembre 2013, il Tribunale di Crotone ha accolto parzialmente l’opposizione, ammettendo al passivo, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2753 c.c., un credito complessivo di Euro 317.548,41, fondato su due delle tre cartelle indicate dalla ricorrente, dichiarando inammissibile la domanda di riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2752 c.c., e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Premesso che il credito per contributi previdenziali era stato escluso dallo stato passivo per intervenuta prescrizione, non essendo stata fornita la prova dell’avvenuta notifica delle cartelle nè dell’esistenza di validi atti interruttivi, il Tribunale ha osservato innanzitutto che, pur essendo stata originata da una pretesa azionata a mezzo di cartelle esattoriali, la controversia aveva ad oggetto diritti ed obblighi inerenti ad un rapporto obbligatorio previdenziale, con la conseguenza che non poteva ritenersi devoluta alla giurisdizione tributaria, ma a quella ordinaria ha aggiunto che, come per gli altri crediti derivanti da rapporti di natura pubblicistica extratributaria, il procedimento di accertamento del passivo non poteva ritenersi caratterizzato dalle peculiarità proprie dei crediti tributari, con la conseguenza che l’accertamento in ordine alla spettanza del credito ed alla maturazione della prescrizione era affidato al giudice delegato ed al tribunale fallimentare, in virtù del principio di esclusività dello stato passivo previsto dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 52. Ciò posto, il Tribunale ha rilevato che, mentre per i crediti previsti da due cartelle di pagamento la ricorrente aveva fornito la prova dell’avvenuto compimento di atti interruttivi della prescrizione, per quello avente ad oggetto i contributi relativi all’anno 1997 la cartella risultava notificata dopo la scadenza del termine quinquennale di prescrizione, ed ha pertanto ammesso al passivo i primi, in via privilegiata, mentre ha confermato l’esclusione dell’ultimo. In ordine al privilegio sul credito di Euro 1.673.256,80, il Tribunale ha invece osservato che il D.L. n. 98 del 2011, art. 23, comma 40 il quale consente ai titolari di crediti privilegiati ai sensi delle disposizioni che lo precedono di contestare i crediti agli stessi anteposti, si riferisce esclusivamente a quelli già ammessi al passivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge, e ne ha pertanto escluso l’applicabilità al credito azionato dalla ricorrente, il quale era stato fatto valere con istanza di insinuazione al passivo proposta in data anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge, ma era stato ammesso al passivo in data successiva, con la conseguenza che Equitalia avrebbe dovuto chiedere in quella sede il riconoscimento del privilegio, in conseguenza dell’intervenuta modifica legislativa. Ha escluso che la predetta disposizione consenta di proporre domande nuove o connotare diversamente il credito in sede di opposizione allo stato passivo, affermando che la natura impugnatoria del relativo giudizio comporta l’applicabilità del principio generale che esclude la modificabilità della domanda proposta con l’atto introduttivo. Quanto infine alle spese processuali, premesso che la documentazione attestante il compimento degli atti interruttivi relativi ai crediti previdenziali era stata prodotta soltanto unitamente al ricorso in opposizione, mentre in ordine al riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2753 c.c. la ricorrente era risultata soccombente, e ritenuto che nel giudizio di opposizione allo stato passivo il regolamento delle spese processuali è disciplinato dai medesimi principi applicabili in tema d’insinuazione tardiva, il Tribunale ha rilevato che non era stata fornita la prova dell’impossibilità di allegare i predetti atti all’istanza d’insinuazione al passivo, aggiungendo che con un minimo di diligenza la ricorrente avrebbe potuto depositarli fin dall’udienza di verifica dello stato passivo, e concludendo che l’avvenuta produzione degli stessi nel giudizio di opposizione aveva determinato la necessità di quest’ulteriore fase e delle spese sostenute dal fallimento. 3. Avverso il predetto decreto l’Equitalia Sud ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Il curatore ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5 e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3 censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha dichiarato prescritto il credito relativo ai contributi previdenziali dovuti per l’anno 1997, senza considerare che la cartella di pagamento, notificata nel 2009, non era stata mai impugnata dalla società fallita. Afferma infatti che, nel caso in cui il concessionario della riscossione abbia proceduto alla notifica della cartella esattoriale nei confronti del contribuente in bonis, il quale, prima della dichiarazione di fallimento, abbia lasciato decorrere per intero il termine per l’impugnazione, la cartella stessa diviene un titolo definitivo, non più contestabile dal curatore, indipendentemente dalla circostanza che il ruolo abbia ad oggetto tributi o contributi. Sostiene pertanto che, nella specie, la prescrizione eventualmente maturata prima della notificazione della cartella non poteva più essere eccepita, aggiungendo che il termine quinquennale decorrente dalla data di notifica non risultava ancora scaduto alla data di deposito dell’istanza di insinuazione al passivo. 1.1. Il motivo è fondato. In tema di riscossione a mezzo ruolo di crediti previdenziali, questa Corte, nell’affermare che l’opposizione alla cartella di pagamento comporta l’instaurazione di un vero e proprio giudizio di cognizione, volto all’accertamento della fondatezza della pretesa contributiva, ha più volte precisato che il termine previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, ai fini della sua proposizione ha carattere perentorio, in quanto diretto a rendere incontestabile il credito azionato, in funzione di una rapida riscossione, concludendo pertanto che la sua scadenza determina l’irretrattabilità della pretesa contributiva, che non può essere rimessa in discussione in un successivo giudizio cfr. Cass., Sez. lav., 15/03/2016, n. 5060 12/03/2015, n. 4978 15/10/2010, n. 21365 . Tale principio è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite, le quali, pur precisando che la mancata proposizione dell’opposizione non determina l’assoggettamento dell’azione di riscossione al termine di prescrizione previsto per l’actio judicati, hanno confermato che la scadenza del termine comporta l’incontestabilità del credito contributivo premesso infatti che la natura amministrativa della cartella esattoriale ne esclude l’idoneità ad acquistare efficacia di cosa giudicata, si è affermato che la mancata proposizione dell’opposizione non comporta la conversione del termine breve di prescrizione previsto dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, commi 9 e 10, in quello decennale di cui all’art. 2953 c.c., applicabile soltanto nei casi in cui intervenga un titolo giudiziale definitivo, ma si è comunque confermato che la scadenza del termine di cui all’art. 24, comma 5 cit. determina la decadenza dalla facoltà d’impugnare la cartella, e quindi l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito cfr. Cass., Sez. Un., 17/11/2016, n. 23397 Cass., Sez. VI, 18/05/2018, n. 12200 . Trova pertanto applicazione il principio, enunciato da questa Corte in riferimento ai crediti tributari, ma riferibile anche a quelli contributivi, secondo cui il predetto effetto, ove verificatosi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore, in virtù dell’avvenuta notificazione della cartella quando quest’ultimo era ancora in bonis, preclude al curatore la proposizione di eccezioni fondate su fatti estintivi o impeditivi verificatisi in epoca anteriore alla notificazione della cartella, anche nel caso in cui si provveda alla rinnovazione della notifica nei suoi confronti cfr. Cass., Sez. I, 27/10/ 2016, n. 21744 soltanto nel caso in cui la dichiarazione di fallimento intervenga in pendenza del termine per la proposizione dell’opposizione, la relativa scadenza non produce l’incontestabilità del credito, risultando inopponibile alla massa dei creditori, in quanto la notificazione effettuata nei confronti del debitore è inidonea a far decorrere il termine anche nei confronti del curatore cfr. Cass., Sez. I, 14/09/2016, n. 18002 . Non può dunque condividersi il decreto impugnato, nella parte in cui, ai fini della dichiarazione dell’intervenuta prescrizione del credito avente ad oggetto i contributi previdenziali relativi all’anno 1997, si è limitato a rilevare che la cartella di pagamento agli stessi afferente, notificata nell’anno 2009, risultava successiva alla scadenza del termine quinquennale previsto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, omettendo di tener conto della data della dichiarazione di fallimento, pronunciata con sentenza del 18 aprile 2011, e quindi di verificare se alla predetta data il credito insinuato al passivo fosse già divenuto incontestabile, per effetto della mancata impugnazione della cartella da parte del debitore in bonis. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2752 c.c., del D.L. n. 98 del 2011, art. 23 e della L. Fall., artt. 95, 98 e 99, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto tardiva la domanda di riconoscimento del privilegio sul credito già ammesso al passivo in via chirografaria, in quanto non proposta nel procedimento di verifica del passivo. Premesso che l’art. 23 cit., nell’estendere la disciplina dettata dal nuovo testo dell’art. 2752 ai crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, ha consentito ai titolari di crediti già ammessi al passivo alla predetta data di chiedere il riconoscimento del privilegio proponendo opposizione allo stato passivo, osserva che, a seguito della dichiarazione d’illegittimità costituzionale della predetta disposizione, nella parte in cui prevedeva l’applicabilità del privilegio anche nel caso in cui lo stato passivo fosse già divenuto definitivo, è rimasta salva la possibilità di chiederne il riconoscimento nel caso in cui, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, lo stato passivo non fosse ancora divenuto definitivo. Precisato che la norma non distingue a seconda che l’istanza d’insinuazione sia stata o meno esaminata o lo stato passivo sia stato o meno dichiarato esecutivo, rileva che lo strumento da utilizzare per ottenere il riconoscimento del privilegio non è costituito dalle osservazioni previste dalla L. Fall., art. 95, comma 2, non richiamato dalla norma in esame, ma dall’opposizione di cui all’art. 98 medesima Legge. 3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, in via subordinata, la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 23, commi 37 e 40, e della L. Fall., artt. 95, 98 e 99 ribadendo che, nell’individuare lo strumento da utilizzare per ottenere il riconoscimento del privilegio nelle osservazioni previste dall’art. 95, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’espresso richiamo degli artt. 98 e 99 contenuto nell’art. 23, comma 40 D.L. n. 98 cit. 4. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono infondati. Il D.L. n. 98 del 2011, art. 23, commi 37 e 38, nel sopprimere il privilegio immobiliare già previsto dall’art. 2771 c.c. per i crediti relativi alle imposte sui redditi immobiliari, ha modificato la disciplina del privilegio generale mobiliare già previsto dall’art. 2752 c.c., comma 1, per i crediti relativi alle imposte sul reddito e all’IRAP diversi da quelli indicati nell’art. 2771 c.c., comma 1, iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio di riscossione avesse proceduto o fosse intervenuto nell’esecuzione e nell’anno precedente, estendendolo a tutti i crediti attinenti alle predette imposte ed alle relative sanzioni, e disponendo contestualmente l’abrogazione dell’art. 2771 c.c. L’art. 23, comma 37 ha poi stabilito che le nuove disposizioni si applicano anche ai crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, mentre il comma 40 ha disciplinato le modalità di attuazione della nuova disciplina nelle procedure esecutive e concorsuali pendenti, disponendo che i titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell’esecuzione o ammessi al passivo fallimentare in data anteriore alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, possono contestare i crediti che per effetto delle stesse sono stati anteposti ai loro crediti nel grado del privilegio, valendosi, in sede di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui all’art. 512 c.p.c. oppure proponendo l’impugnazione prevista dalla L. Fall., art. 98, comma 3, nel termine di cui all’art. 99 cit. Decreto. Tale disciplina è stata peraltro dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 3 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, in riferimento all’art. 6 della CEDU, nella parte in cui non si limitava ad attribuire portata retroattiva al nuovo regime dei privilegi, ma, consentendone l’applicazione anche nelle procedure fallimentari in cui lo stato passivo fosse già divenuto definitivo, comportava il superamento del c.d. giudicato endofallimentare, favorendo le pretese economiche dello Stato a detrimento delle concorrenti aspettative delle parti private, e quindi determinando un’alterazione dei rapporti tra i creditori, già accertati con provvedimento del giudice ormai consolidato dall’intervenuta preclusione processuale, in contrasto con i principi del legittimo affidamento e della certezza delle situazioni giuridiche ed in assenza di motivi imperativi di interesse generale cfr. Corte Cost., sent. n. 170 del 2013 . Le predette disposizioni risultano pacificamente applicabili alla fattispecie in esame, avente ad oggetto l’ammissione al passivo di crediti per imposte dirette sorti in epoca anteriore alle predette modifiche normative, ma caratterizzata dalla circostanza che l’istanza d’insinuazione al passivo risulta depositata il 12 maggio 2011, e quindi in data anteriore a quella dell’entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011 6 luglio 2011 l’udienza di verifica del passivo si è invece tenuta successivamente a quest’ultima data, ovverosia il 16 febbraio 2012, ed all’esito della stessa il credito è stato ammesso al passivo in via chirografaria, non avendo la ricorrente fatto alcun cenno alle nuove disposizioni, la cui applicazione è stata sollecitata soltanto in sede di opposizione allo stato passivo. Ciò posto, pur dovendosi concordare con la difesa della ricorrente, laddove sostiene che, una volta intervenuta l’ammissione del credito al passivo, l’unico mezzo per ottenere il riconoscimento del privilegio è costituito dall’opposizione di cui alla L. Fall., art. 98 da proporsi prima che lo stato passivo sia divenuto definitivo, non può condividersi l’ulteriore affermazione secondo cui tale impugnazione dovrebbe ritenersi consentita anche nell’ipotesi in cui, come nella specie, il privilegio potesse essere fatto valere già nel procedimento di verifica, essendo le nuove disposizioni entrate in vigore prima della dichiarazione di esecutività dello stato passivo. Nessun rilievo può assumere, in proposito, il richiamo dell’art. 23, comma 40, alla L. Fall., artt. 98 e 99, il quale non si riferisce affatto alla impugnazione dello stato passivo proponibile dall’agente della riscossione per ottenere il riconoscimento del privilegio negato dal giudice delegato, ma a quella proponibile dagli altri creditori privilegiati che, per effetto delle nuove disposizioni, abbiano visto posporre i loro crediti a quelli insinuati dall’agente della riscossione tale interpretazione, fondata sul chiaro tenore letterale della disposizione in esame, è stata fatta propria dalla stessa Corte costituzionale, la quale, rilevato che l’espressa attribuzione della facoltà di proporre opposizione non avrebbe avuto senso qualora lo stato passivo non fosse ancora divenuto definitivo alla data di entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011, potendo in tal caso i creditori contestare la nuova collocazione del credito erariale in applicazione della disciplina generale dettata DALLA L. Fall., art. 98, vi ha rinvenuto una conferma dell’operatività delle nuove disposizioni anche nell’ipotesi in cui lo stato passivo fosse divenuto definitivo, concludendo pertanto per la contrarietà delle stesse al c.d. giudicato endofallimentare. Per effetto di tale pronuncia, non potendosi più procedere alla modifica dello stato passivo, ove lo stesso sia divenuto definitivo prima dell’entrata in vigore della L. n. 98 del 2011, l’opposizione degli altri creditori privilegiati resta assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 98 cit., al pari di quella dell’agente della riscossione, con cui quest’ultimo può contestare l’ammissione del credito in via chirografaria, facendo valere il nuovo regime dei privilegi, ove lo stesso sia entrato in vigore successivamente alla formazione dello stato passivo. Qualora invece, come nella specie, le nuove disposizioni siano entrate in vigore in data anteriore alla formazione dello stato passivo, la possibilità di ottenere il riconoscimento del privilegio resta subordinata, sempre in applicazione della disciplina generale, alla tempestiva formulazione della relativa richiesta nel procedimento di verifica del passivo, in mancanza della quale la stessa si configura come una domanda nuova, non proponibile per la prima volta nel giudizio di opposizione allo stato passivo. Tale giudizio, nella disciplina dettata dalla L. Fall., art. 99, come novellato dal D.Lgs. n. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. n. 12 settembre 2007, n. 169, costituisce infatti un rimedio di natura impugnatoria, ed è retto dal principio dell’immutabilità della domanda, il quale esclude la possibilità di avanzare domande nuove o d’introdurre modificazioni sostanziali delle domande già proposte in sede di insinuazione al passivo cfr. ex plurimis, Cass., Sez. VI, 3/11/2017, n. 26225 Cass., Sez. I, 30/03/2012, n. 5167 Cass., Sez. lav., 8/06/2012, n. 9341 tra queste modificazioni vanno annoverate anche la richiesta di applicazione di privilegi non fatti valere nel procedimento di verificazione del passivo o l’invocazione di titoli di prelazione diversi da quelli allegati in quella sede, trattandosi di mutamenti la cui incidenza non è limitata alla qualificazione giuridica della domanda, ma si traduce nell’introduzione di una nuova causa petendi, e quindi nella proposizione di una domanda diversa da quella originaria cfr. Cass., Sez. I, 19/01/2017, n. 1331 2/10/2015, n. 19714 15/07/2011, n. 15702 . Non può condividersi, in proposito, l’obiezione sollevata dalla difesa della ricorrente, secondo cui l’esclusione della possibilità di richiedere l’applicazione del privilegio in sede di opposizione, indipendentemente dalla formulazione della relativa richiesta in sede di verificazione del passivo, comporterebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra l’ipotesi in cui l’istanza d’insinuazione sia stata presentata ed esaminata in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 98 del 2011 e quella in cui, pur essendo stata presentata in epoca anteriore, sia stata esaminata in epoca successiva tale differenziazione trova infatti spiegazione nell’esigenza di evitare la lesione del diritto di difesa che il creditore sarebbe costretto a subire qualora, a fronte della retroattività delle nuove disposizioni, non gli fosse consentito di ottenerne l’applicazione, a causa dell’intervenuta chiusura della fase di verifica del passivo detta lesione, che giustifica l’introduzione di una deroga al richiamato principio dell’immutabilità della domanda in sede di opposizione, non è prospettabile nel caso in cui l’istanza d’insinuazione al passivo, già presentata prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, non sia stata ancora esaminata, ben potendo il creditore far valere il privilegio all’udienza fissata per l’esame dello stato passivo, alla stregua delle modificazioni normative intervenute successivamente alla presentazione dell’istanza d’insinuazione. La necessità che l’esistenza di eventuali titoli di prelazione emerga fin dalla fase di verificazione dei crediti trova d’altronde conferma nel disposto della L. Fall., art. 93, comma 1, n. 4 e comma 2, il quale richiede che gli stessi ed i beni sui quali la prelazione si esercita vengano indicati specificamente nell’istanza di ammissione al passivo, prevedendo che in mancanza il credito venga considerato chirografario, e ciò al fine di consentire agli altri creditori che ne risultano svantaggiati di valutarli attentamente, e quindi di potersi opporre ad insinuazioni non fondate, con possibilità di impugnare eventualmente l’erroneo riconoscimento dello specifico privilegio invocato cfr. Cass., Sez. I, 19/03/2012, n. 4306 15/07/ 2011, n. 15702 . Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui, rilevato che la ricorrente aveva lasciato decorrere inutilmente il termine previsto dalla L. Fall., art. 95, comma 2, per la presentazione di osservazioni allo stato passivo, nelle quali avrebbe potuto chiedere il riconoscimento del privilegio, previsto da disposizioni entrate in vigore nel corso del procedimento di verificazione dei crediti, ha ritenuto definitivamente preclusa la possibilità di ottenere l’applicazione delle predette disposizioni, dichiarando inammissibile, in quanto nuova, la richiesta avanzata con l’opposizione allo stato passivo. 5. Il decreto impugnato va pertanto cassato, nei limiti segnati dall’accoglimento del primo motivo, restando invece assorbito il quarto, con cui la ricorrente ha censurato il provvedimento per violazione e la falsa applicazione degli artt. 88, 91 e 92 c.p.c. e L. Fall., art. 101, nella parte concernente il regolamento delle spese processuali. La causa va conseguentemente rinviata al Tribunale di Crotone, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso rigetta il secondo ed il terzo motivo dichiara assorbito il quarto motivo, cassa il decreto impugnato, in relazione al motivo accolto rinvia al Tribunale di Crotone, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.