In attesa del dividendo Esselunga: gli eredi del fondatore di nuovo ai ferri corti

Esiste un diritto soggettivo dell’azionista alla distribuzione dell’utile? Attorno a questo interrogativo ruota la nuova querelle insorta fra gli eredi del fondatore di Esselunga e riportata dalle recenti cronache quotidiane.

Ciò offre l’occasione per ripercorrere l’orientamento giurisprudenziale in materia a partire dalla decisione della Corte Suprema di Cassazione n. 98 del 28 gennaio 1960 edita in Giustizia civile, 1960, I, 2185 la quale ebbe così ad esprimersi il diritto del socio agli utili di esercizio della società, pur essendo genericamente insito nello status di socio, non acquista in realtà natura e sostanza di vero e proprio diritto di credito, in linea concreta, se non attraverso la deliberazione assembleare che ne dispone l’erogazione ai soci, ond’è che da quel momento può ritenersi acquisito al patrimonio del socio il diritto stesso, relativamente all’esercizio nel quale gli utili si sono prodotti . La questione Esselunga. L’anno 2019 si è aperto per il Gruppo Esselunga ― principale catena italiana del settore della grande distribuzione con oltre 23.000 dipendenti ed un fatturato di 7,8 miliardi di euro ― con una informativa da parte degli azionisti di maggioranza. Giuliana Albera Caprotti e Marina Caprotti rispettivamente seconda moglie e figlia del fondatore Bernardo Caprotti , nella loro qualità di azionisti di maggioranza della controllante di Esselunga hanno difatti esercitato il diritto di acquisto delle azioni possedute da Violetta Caprotti e Giuseppe Caprotti figli del primo matrimonio del fondatore , che insieme rappresentano il 30% del capitale della controllante. Da qui la nomina di esperti indipendenti per determinare il valore del Gruppo Esselunga e conseguentemente quello del pacchetto azionario di minoranza. Dalle più recenti notizie di stampa si apprende che Giuseppe e Violetta si sono astenuti dall’approvazione del bilancio 2018, chiedendo precisazioni e contestando la mancata distribuzione di un dividendo cfr. S. Bennewitz, Esselunga, entro fine anno l’arbitrato. La valutazione del gruppo da parte degli esperti porrà fine alle questioni ereditarie , in Repubblica, 4 luglio 2019, 21. Sui risultati economici recentemente ottenuti da Esselunga, cfr. M. Cappellini, Esselunga, vendite record a 7,9 miliardi con margini in calo , in Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2019, 9 . La questione appena tratteggiata consente di interrogarsi sulla possibilità o meno dell’azionista di pretendere gli utili sociali. Diritto di credito del socio o mera aspettativa? Il problema di cui si discorre è stato affrontato per la prima volta dalla Suprema Corte di Cassazione la quale con decisione n. 98 del 28 gennaio 1960 ebbe a chiarire, muovendo il ragionamento dall’art. 2433 c.c., che non esiste un diritto di credito del socio al dividendo delle azioni prima di una deliberazione assembleare in tal senso. Gli utili, ricordava in quella sentenza il Supremo Collegio, vanno a far parte del patrimonio della società man mano che si maturano. Soltanto attraverso la delibera dell’organo sociale, al quale compete di disporre il patrimonio, può prendere vita un qualsiasi diritto dei soci stessi all’acquisto degli utili. La Corte di Legittimità aveva quindi già al tempo stabilito – nel richiamare concetti che trovavano eco nella prevalente dottrina ed in qualche responso giurisprudenziale sotto l’impero del codice di commercio del 1882 ― che il diritto del socio agli utili di esercizio della società, pur essendo genericamente insito nello status di socio, non acquista in realtà natura e sostanza di vero e proprio diritto di credito, in linea concreta, se non attraverso, la deliberazione assembleare. Prima di tale momento, come poi ulteriormente puntualizzato dalla Corte Suprema Cass. n. 2959 dell’11 marzo 1993 , il socio ha una semplice aspettativa potendo l'assemblea impiegare diversamente gli utili o anche rinviarne la distribuzione nell'interesse della società sul profilo dell’aspettativa, cfr. anche Cass. n. 9513 dell’8 settembre 1999 e recentemente, Comm. tributaria regionale Abruzzo L'Aquila, Sez. IV, 12 novembre 2018, in banca dati elettronica Leggi d’Italia . Evoluzione giurisprudenziale. Il principio di diritto appena ricordato è stato ribadito costantemente dalla giurisprudenza di merito e di legittimità cfr. Cass. n. 4170 del 17 luglio 1979 Cass. n. 1839 del 18 marzo 1986, ove ribadito che non esiste un diritto del socio alla distribuzione degli utili Cass. n. 4454 del 20 aprile 1995, ove segnalato che, a norma dell'art. 2262 c.c., nella società di persone, il singolo socio ha diritto alla immediata percezione degli utili risultanti dal bilancio, dopo l'approvazione del rendiconto, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, in cui l'assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili Cass. n. 10271 del 28 maggio 2004, ove confermato che gli utili sono parte del patrimonio sociale fin quando l'assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci. Nello stesso senso, v. Cass. n. 8359 del 3 aprile 2007 Cass. n. 2020 del 29 gennaio 2008 Cass. n. 6558 del 22 marzo 2011. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Roma, 19 luglio 2005, in Foro it., 2006, I, 1616 Trib. Roma, 5 luglio 2011, in banca dati elettronica Leggi d’Italia Trib., Milano n. 5209 del 20 aprile 2009, in De Jure, secondo cui soltanto la delibera che approvi la distribuzione dell’utile fa sorgere il credito del socio alla percezione del medesimo, nella misura che gli spetta, e l’immediato corrispondente debito della società Cass. n. 12793/2001 . A tale principio consegue, ad avviso del Tribunale, che con la delibera di distribuzione degli utili il patrimonio del socio acquista un diritto, che ha origine nella partecipazione e pertanto rientra nei rapporti societari, ma che è ormai autonomo rispetto alla medesima e non ne segue la sorte ove questa sia oggetto di cessione. Come può reagire il socio capitalista che non vede distribuiti gli utili dall’assemblea? Viene segnalato in giurisprudenza che la delibera assembleare di accantonamento degli utili a riserva può essere impugnata per eccesso di potere, qualora sia presente e dimostrabile uno scopo extra-sociale della maggioranza o un intento vessatorio nei confronti della minoranza in questi termini, Trib. Milano, 13 gennaio 1983, in Banca borsa, tit. cred., 1983, II, 328 . All’opposto, è stato osservato che il socio di minoranza della società controllata non può censurare sub specie di illecito esercizio dell'attività di direzione e coordinamento una decisione che è di stretta competenza dell'assemblea della medesima società, quando il controllo sussiste in ragione di una partecipazione maggioritaria. La mancata distribuzione degli utili della controllata non può costituire il fondamento di una richiesta di risarcimento del danno al valore e alla redditività della partecipazione causata dall'illegittimo esercizio del potere di direzione e coordinamento da parte della controllante che sia socia di maggioranza Trib. Milano, 17 febbraio 2012, in Corriere giur., 2012, 12, 1479 . Ancora, in merito alla fase di liquidazione, v. Trib. Cassino, 25 gennaio 2002, in De Jure ove chiarito che il diritto dei soci di una società di capitali alla percezione degli utili, e quello alla ripartizione, in proporzione alla quota di capitale posseduta, dell'eventuale attivo patrimoniale residuo, al termine della liquidazione, non sono assimilabili ne consegue che la sopravvenuta liquidazione della società non fa venir meno l'interesse del socio a coltivare la domanda di nullità della delibera di non distribuire gli utili di esercizio. La clausola statutaria la quale demandi all'assemblea il potere di decidere, a maggioranza qualificata, la destinazione degli utili realizzati, costituisce una deroga al principio generale per cui gli utili vanno distribuiti ai soci. Ne consegne che, se manca o è nulla la deliberazione assembleare che decida di non distribuire gli utili, i soci vantano un diritto immediato e perfetto alla distribuzione di questi ultimi.

Corte_di_Cassazione_sentenza_n._98_del_1960