Riforma del terzo settore: nuovi profili di responsabilità degli amministratori

In attesa della definitiva entrata in vigore del codice del terzo settore d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 , a decorrere, ai sensi dell’art. 104, dal periodo d’imposta successivo a quello di operatività del Registro Unico, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili ha recentemente aggiornato la propria precedente circolare sulla materia cercando di fornire un quadro di riferimento organico dei complessi risvolti connessi all’attuazione delle nuove disposizioni.

La circolare si pone l’obiettivo di approfondire i diversi aspetti interessati dalla riforma, prendendo posizione sulle principali criticità che potrebbero emergere in ambito professionale nell’adozione delle relative disposizioni, nel tentativo di coadiuvare gli operatori del settore nell’assunzione delle scelte fondamentali connesse all’entrata in vigore della riforma. In particolare vengono forniti interessanti chiavi di lettura in ordine alle modalità degli adeguamenti statutari da effettuare e alle complesse decisioni che gli enti dovranno assumere, a seconda dell’interpretazione che prevarrà in ordine all’attuazione delle norme civilistiche e fiscali contenute nel codice. Rinviando al corposo contenuto della circolare per l’analisi dei tanti aspetti di interesse applicativo, intendiamo qui soffermarci sui risvolti connessi alla rivisitazione della disciplina della responsabilità degli amministratori e dei restanti organi sociali, operata dall’art. 28 del codice, che non ha formato oggetto, a differenza di numerosi altri aspetti civilistici e fiscali della riforma, di adeguati contributi interpretativi e che invece la circolare cerca di approfondire par. 3.3. . Responsabilità degli amministratori. Preliminarmente viene fatto presente come il richiamo in toto della disciplina della responsabilità degli amministratori delle società per azioni, con inclusione dell’art. 2394- bis c.c. azione di responsabilità nelle procedure concorsuali , operato dall’art. 28, valga, da una parte, ad ammettere implicitamente la fallibilità degli ETS qualificabili in senso civilistico quali imprese commerciali, dall’altra, a sancire il definitivo abbandono del riferimento alle norme sul mandato, che avevano finora governato la responsabilità degli amministratori ai sensi dell’art. 18 c.c. e con esso la diligenza del buon padre di famiglia, sostituita dalla diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico, di cui al richiamato art. 2392 c.c Si ricorda che la dottrina e la giurisprudenza più recenti avevano già ritenuto applicabile, trattandosi di obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, come risultasse applicabile l’art. 1176, comma 2, c.c., ancorandosi alla diligenza di grado più elevato chiesta agli amministratori delle società commerciali, così da assimilare le relative forme di responsabilità. L’esigenza che gli amministratori degli ETS debbano essere dotati di adeguata professionalità, trova comunque adesso definitivo riconoscimento normativo, come necessario corollario della complessità del mondo no profit, in cui i relativi attori non siano animati unicamente da passione e generosità, ma anche da capacità e competenze tecniche di rilievo, in modo che risultino adeguatamente tutelati non soltanto l’ente, ma tutti i soggetti variamente coinvolti nella sua attività associati, fondatori, creditori, terzi . In particolare, per ciò che riguarda la responsabilità nei confronti dell’ente richiamo all’art. 2392 c.c. , risultano opportunamente sottolineati tutti i profili di responsabilità ulteriori e peculiari degli amministratori di ETS, rispetto a quelli degli enti lucrativi, inerenti il necessario e concreto perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale di cui all’art. 4, il contestuale svolgimento delle attività d’interesse generale previste dall’art. 5, il puntuale rispetto del vincolo di indistribuibilità diretta e indiretta della ricchezza raccolta e prodotta, secondo le previsioni dell’art. 8, il rispetto dei requisiti di secondarietà e strumentalità delle attività economiche eventualmente esercitate ai sensi dell’art. 6, la verifica che le raccolte fondi siano effettuate secondo i canoni posti dall’art. 7, la redazione della documentazione contabile comprensiva della relazione di missione e, ove richiesto del bilancio sociale effettuata secondo le norme del CTS e della regolamentazione secondaria ivi prevista, l’inquadramento dell’ente a fini tributari allineato alle disposizioni fiscali del CTS. Se l’azione di responsabilità esercitabile dai creditori sociali, in forza del richiamo all’art. 2394 c.c., non pare presentare profili di eccezionale peculiarità negli ETS rispetto agli enti lucrativi, l’art. 28 prevede che gli amministratori rispondano anche nei confronti degli associati, dei terzi e del fondatore. Non pare tuttavia agevole ipotizzare quale possa essere il danno sofferto dal fondatore o dagli associati in conseguenza della negligenza degli amministratori, attesa l’impossibilità di prefigurare per tali soggetti, perdite o mancati guadagni, in considerazione della necessaria assenza di legittime aspettative di qualsiasi tipo di ritorno di natura economica al di fuori dei soci di imprese sociali, per i quali è prevista una limitata forma di remunerazione . Sarà forse ipotizzabile la risarcibilità del danno morale eventualmente subito dal fondatore o dagli associati, in conformità ai principi fissati dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, nel fornire una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c I terzi” nei confronti dei quali gli amministratori di ETS potrebbero essere chiamati a rispondere potranno invece corrispondere con i destinatari delle attività di interesse generale statutariamente perseguite, che tuttavia appaiono di difficile individuazione nel caso appartengano ad una collettività indifferenziata di beneficiari, tutti portatori di un medesimo interesse diffuso. Responsabilità per le obbligazioni assunte dall’ente. Si è successivamente passati a trattare la diversa questione inerente la responsabilità per le obbligazioni assunte dall’ente. L’art. 22, comma 7, del CTS statuisce che nelle fondazioni ed associazioni riconosciute come persone giuridiche, per le obbligazioni dell’ente risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio . Si deve dunque ritenere che per gli ETS non riconosciuti risulti sempre applicabile il disposto dell’art. 38 c.c., costantemente interpretato nel senso che la responsabilità personale e solidale normalmente fatta rientrare fra le garanzie accessorie non sussidiarie ex lege assimilabili alla fideiussione non sia collegata alla mera titolarità formale della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale effettivamente svolta per conto di essa. Tale ricostruzione si fonda sull’assenza di qualsiasi forma di pubblicità legale per gli enti non riconosciuti e sulla conseguente impossibilità di ottenere informazioni certe in ordine alla generalità degli amministratori ed ai relativi poteri tutte questioni destinate a decadere a seguito del nuovo regime di pubblicità fondato sull’obbligo di iscrizione al RUNTS dei poteri di rappresentanza conferiti agli amministratori e delle relative limitazioni. Parte della dottrina è addirittura arrivata a sostenere che, essendo la responsabilità ex art. 38 c.c. fondata sul difetto di conoscibilità della situazione patrimoniale dell’ente, questa non avrebbe più ragione di esistere, stante l’obbligo gravante sulle associazioni non riconosciute, ex art. 48 CTS, di depositare il rendiconto annuale. In realtà deve riconoscersi che la norma si fonda, come nelle società di persone, sull’assenza della garanzia patrimoniale fornita dalla necessaria sussistenza di un patrimonio minimo iniziale e di adeguate norme volte ad assicurarne la permanenza nel tempo di qui la necessità di garantire l’adempimento delle obbligazioni dell’ente anche con il patrimonio di chi le ha contratte in suo nome e per suo conto, dando semmai prevalenza, a seguito dell’istituzione del RUNTS, al dato formale dei soggetti ivi iscritti, con i relativi poteri, così sancendo il definitivo abbandono del principio dell’apparenza.

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