Domanda per il sovraindebitamento inammissibile prima dell’apertura della procedura: il debitore può ripresentarla senza attendere 5 anni

La Cassazione chiarisce un tema delicato nell’ambito della disciplina del sovraindebitamento.

Con la sentenza del 26 novembre 2018, n. 30534 la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione chiarisce un tema delicato nell’ambito della disciplina del sovraindebitamento legato alla possibilità da parte del debitore di presentare una nuova proposta di piano o di accordo o di liquidazione dei beni dopo che una prima domanda è stata dichiarata inammissibile dal giudice. Il requisito temporale di ammissibilità. Ed infatti, in base all’art. 7, comma 2, lett. a , legge n. 3/2012 costituisce requisito di ammissibilità alle procedure disciplinate dalla legge la circostanza che il debitore non abbia fatto ricorso, nei precedenti 5 anni, ai procedimenti . Fare ricorso”. La questione che si è posta, però, è stata quella di capire quale sia il significato da attribuire all’espressione fare ricorso” alle procedure di sovraindebitamento. Ed infatti, quella norma copre sicuramente l’ipotesi del debitore che abbia ottenuto l’omologazione da parte del giudice ovvero abbia proceduto al piano di liquidazione ovvero l’ipotesi in cui, pur essendoci stata l’omologazione o l’apertura, il debitore non abbia poi adempiuto ovvero vi sia stata un’ipotesi di chiusura anomala della procedura. Ma potrebbe essere accaduto che – e qui risiedeva il punto critico rispetto al quale si sono registrate le maggiori problematiche pratiche - il debitore avesse depositato il ricorso per presentare la proposta di piano o di accordo ovvero chiesto la liquidazione dei beni e, successivamente, a il debitore stesso avesse rinunciato alla domanda b la domanda fosse stata dichiarata inammissibile dal giudice in limine litis e, cioè senza neppure emettere il decreto per l’assenza di requisiti di inammissibilità c la domanda fosse stata dichiarata inammissibile dopo l’emissione del decreto di fissazione dell’udienza e, quindi, senza omologa. Giurisprudenza di legittimità sino ad oggi. Ecco allora che, in presenza di decreti di inammissibilità delle domande una volta proposto reclamo ovvero pronunciati dal giudice del reclamo il debitore proponga ricorso per cassazione. Ricorso che, però, viene generalmente dichiarato inammissibile in quanto non ricorrono i presupposti di cui all’art. 111 Cost. ed infatti, a tacere d’ogni altra considerazione, la Cassazione non ritiene definitivo quel decreto siccome al debitore è, comunque, consentito ripresentare la domanda. Sino ad oggi l’esame della giurisprudenza prevalente della Cassazione consentiva di poter affermare che il debitore avrebbe potuto presentare una nuova domanda benché nei limiti temporali previsti dalla normativa così, ad esempio, Cass. n. 6516/2017 , con la conseguenza che, se il debitore avesse beneficiato degli effetti della legge, il debitore avrebbe dovuto attendere il termine di cinque anni per presentare una nuova domanda. Il punto controverso, però, era individuare quali fossero gli effetti dei quali il debitore avesse, o no, beneficiato proprio perché spesso la giurisprudenza non prendeva espressa posizione su quali fossero gli effetti rilevanti. Ed infatti, quegli effetti avrebbero potuto anche essere gli effetti cautelari” derivanti dal decreto di fissazione di udienza come, ad esempio, la sospensione di un procedimento esecutivo o il divieto di azioni cautelari ed esecutive sicché l’inammissibilità successiva a quel momento e, quindi, quella di cui alla lettera c di cui prima avrebbe potuto determinare l’inammissibilità di una nuova domanda. In almeno un caso, però, la Cassazione ebbe modo di precisare che la preclusione temporale a carico del debitore sarebbe scattata soltanto ove lo stesso avesse fruito degli effetti pieni dell'istituto stesso nel quinquennio anteriore così Cass. Civ. n. 1869/2016 . Gli effetti di cui il debitore deve aver beneficiato. Orbene, oggi, a seguito di quest’ultima sentenza della Cassazione sembra che possiamo dare una risposta più decisa alla domanda relativa a sapere quali siano gli effetti di cui il debitore deve aver beneficiato per far scattare l’inammissibilità della nuova domanda. Tali effetti – afferma la Suprema Corte – giocoforza conseguono all’emissione di un decreto di apertura, di modo che, in presenza di un provvedimento che, come nel caso di specie, abbia dichiarato inammissibile la domanda per carenza dei necessari presupposti, il debitore ben può presentare una nuova domanda senza dover attendere il decorso dei 5 anni previsti dalla norma sopra richiamata . Conclusione, questa, che per la Suprema Corte è coerente con la ratio dell’art. 7, comma 2, lett. a e, cioè, evitare condotte generatrici di ripetute esposizioni debitorie a cui far fronte con un sistematico ricorso alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento . Ne deriva che – volendo unire” i principi di quest’ultima sentenza e di quella del 2016 – il principio ricavabile è che il decreto di inammissibilità preclude la riproposizione della domanda nel limite del quinquennio a condizione che sia stato emesso dopo l’apertura della procedura e che il debitore abbia fruito degli effetti pieni dell’istituto. Con l’ulteriore conseguenza che – se è corretta l’interpretazione suggerita – le ipotesi dubbie” di cui abbiamo detto in apertura e, cioè, quelle di cui alle lettere a , b e c non determinano, ex se , nessuna preclusione temporale, consentendo la libera riproposizione della domanda di accesso al sovraindebitamento senza incappare nel limite di cui alla lettera a del comma 2 dell’art. 7.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 25 ottobre – 26 novembre 2018, n. 30534 Presidente Didone – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Il Giudice delegato alla procedura dichiarava, con decreto del 11 maggio 2015, l’inammissibilità del ricorso presentato da N.G. per essere ammesso alla procedura di sovraindebitamento prevista dalla legge n. 3/2012. 2. Il Tribunale di Parma in sede di reclamo rilevava, alla luce del parere redatto dal professionista incaricato quale organismo di composizione della crisi, l’impossibilità di procedere alla formulazione di una qualunque proposta di ristrutturazione dei debiti a favore del reclamante avente i requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9 della legge n. 3/2012, riteneva che non potesse applicarsi in via analogica la disciplina prevista dall’art. 182-ter legge fall. alla procedura di sovraindebitamento, con il conseguente venir meno dell’unica concreta possibilità per il N. di attuazione di un piano del consumatore, e rigettava l’impugnazione proposta. 3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia N.G. , affidandosi a tre motivi di impugnazione. L’intimato Dott. Commercialista V.M. , in qualità di organismo di composizione della crisi nella procedura di sovraindebitamento in questione, non ha svolto alcuna difesa. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ Ragioni della decisione 4. Occorre preliminarmente rilevare che secondo la giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 6516/2017, Cass. n. 4500/2018 il decreto di rigetto del reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato che ha dichiarato inammissibile la proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento è privo dei caratteri della decisorietà e definitività. Tale decreto infatti, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi, non è idoneo al giudicato sulla scorta della medesima ratio decidendi in materia di inammissibilità della proposta di concordato, ai sensi dell’art. 162, comma 2, legge fall., indicata da Cass., Sez. U., n. 27073/2016 . Peraltro, al procedimento per la definizione dell’accordo, si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e ss. del codice di procedura civile, come nella specie è avvenuto, con esito negativo, ma senza che questo esito, in mancanza dei requisiti della decisorietà e definitività del provvedimento impugnato, escluda la reiterabilità della proposta di accordo di composizione della crisi, seppur nei limiti previsti dalla legge, cosicché deve essere esclusa la ricorribilità davanti a questa Corte. 5. Nessuna illegittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., può poi essere ipotizzata rispetto agli artt. 7 e 11 L. 3/2012 per il fatto che, pur in presenza di un divieto di riproposizione della procedura per un periodo di cinque anni, non è prevista alcuna possibilità di impugnazione contro il provvedimento emesso in sede di reclamo. In vero il disposto dell’art. 7, comma 2, lett. b , L. 3/2012 prevede che la proposta non sia ammissibile quando il debitore abbia fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti previsti dal capo II della legge citata. La norma, finalizzata ad evitare condotte generatrici di ripetute esposizioni debitorie a cui far fronte con un sistematico ricorso alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, deve essere intesa come volta a precludere la presentazione di una nuova domanda nel caso in cui il debitore, nei cinque anni precedenti la domanda, abbia beneficiato degli effetti riconducibili a una procedura della medesima natura. Tali effetti giocoforza conseguono all’emissione di un decreto di apertura, di modo che, in presenza di un provvedimento che, come nel caso di specie, abbia dichiarato inammissibile la domanda per carenza dei necessari presupposti, il debitore ben può presentare una nuova domanda senza dover attendere il decorso dei cinque anni previsti dalla norma sopra richiamata. La questione di costituzionalità sollevata non assume quindi alcuna rilevanza in questa sede. 6. Il rilievo dell’inammissibilità del ricorso ha carattere assorbente e rende superfluo l’esame dei mezzi di impugnazione presentati. Non occorre adottare alcun provvedimento che regoli le spese di lite, dato che l’intimato organismo di composizione della crisi non ha svolto difese. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.