Quando la condotta della società debitrice è idonea a determinare la revoca del concordato?

La mancata indicazione, nella proposta concordataria, circa la pendenza di alcuni procedimenti giudiziari intentati dalla società debitrice non configura un’ipotesi di frode in danno ai creditori e non è dunque idonea a giustificare la revoca dell’ammissione della società alla procedura.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26646/18, depositata il 22 ottobre. La vicenda. In sede di omologazione del concordato preventivo proposto da una S.r.l., il Tribunale di Verona rilevava che la società aveva promosso alcuni procedimenti giudiziali nei confronti di istituti di credito per il recupero di somme di rilevante importo, ma la sussistenza di tali procedimenti non era indicata nel piano concordatario, né nella relazione di attestazione e del commissario giudiziale, essendo emersa solo nell’adunanza dei creditori. Inoltre alcune di tali azioni erano state intentate dopo l’ammissione al concordato ma senza la preventiva richiesta di autorizzazione ex art. 167 l. fall. Amministrazione dei beni durante la procedura . Il Tribunale revocava dunque l’ammissione della società al concordato con dichiarazione di inammissibilità della domanda di omologa. La società, dopo aver inutilmente proposto reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia, propone ricorso in Cassazione affermando che l’informativa in merito ai contenziosi pendenti non era necessaria in quanto non avrebbero potuto avere alcuna ricaduta negativa sulla situazione patrimoniale della società né sulla proposta formulata ai creditori. Veridicità. Fermo restando che le omissioni informative hanno inciso sulla veridicità e attendibilità della complessiva domanda di concordato e del relativo piano, il Collegio sottolinea che i contenziosi in essere non sottraggono risorse ai creditori, vista anche la rinuncia ai compensi da parte dei difensori della società, né integrano delle reali attività. Per quanto riguarda le prospettive circa l’esito delle lite infatti la Corte d’Appello non ha escluso una possibilità di soccombenza della società. In merito all’eventuale condanna alle spese di giudizio, i soci della s.r.l. hanno assunto il relativo ed ipotetico debito neutralizzando così il rischio di una sopravvenienza negativa. Frode. Con ulteriore doglianza, la società lamenta la violazione dell’art. 173 l. fall. affermando di non aver tenuto alcun comportamento qualificabile come atto di frode, avendo trasmesso al commissario giudiziale un’apposita relazione su tale profilo prima del deposito della relazione ex art. 172 l. fall La doglianza viene accolta dai Giudici di legittimità che richiamano il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui gli atti di frode rilevanti ex art. 173 l. fall. devono essere valutati, sul piano oggettivo, come le condotte che nascondono situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori e aventi valenza decettiva sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione. Sul piano soggettivo deve poi essere accertata la consapevole volontarietà della condotta, senza che sia necessaria una dolosa preordinazione. Nel caso di specie, dalla ricostruzione della vicenda, non è configurabile un comportamento decettivo della società ricorrente. Infine, in merito alla dedotta violazione dell’art. 167 l. fall., la Corte sottolinea che tale norma non ricomprende automaticamente e necessariamente ogni azione giudiziaria nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione che necessita di autorizzazione, la quale deve essere richiesta caso per caso in considerazione della specifica finalità che l’atto posto in essere risulta oggettivamente perseguire. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa il decreto impegnato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 giugno – 22 ottobre 2018, n. 26646 Presidente Didone – Relatore Dolmetta Fatti di causa 1.- Nel contesto del procedimento di omologazione del concordato preventivo della s.r.l. G.M., e precisamente con il decreto di fissazione dell’udienza per la comparizione della ricorrente e del commissario giudiziale, il Tribunale di Verona ha rilevato che la società ricorrente era parte in procedimenti giudiziali che aveva promosso nei confronti di istituti di credito, per il recupero di somme di rilevante importo che l’esistenza di tale contenzioso non era stato indicato né nel piano con la proposta di concordato, né nella relazione di attestazione, né nella relazione del commissario giudiziale, ma era emerso solo in sede di adunanza dei creditori che taluni di questi procedimenti erano stati avviati dopo l’ammissione alla procedura concordataria, ma senza una preventiva richiesta di autorizzazione ex art. 167 legge fall. che tali circostanze avrebbero potuto incidere sulla corretta rappresentazione della situazione debitoria della società G.M. Sulla base di questi rilievi, il Tribunale ha disposto che la detta società notificasse il decreto a tutti i creditori. Costituendosi nel procedimento di omologazione, G.M. ha rilevato, in via di contestazione di quanto ritenuto dal Tribunale, che i procedimenti in questione configuravano azioni di ripetizione di indebiti pagamenti effettuati a favore di certi istituti bancari che per talune di queste controversie si trattava, inoltre, di opposizioni a decreti ingiuntivi che i debiti verso questi istituti erano stati comunque appostati per intero nell’ambito del piano, mentre degli eventuali esiti positivi delle azioni si sarebbe direttamente giovato il ceto creditorio che i legali incaricati delle azioni da parte della società la avevano liberata dalla prestazione dei compensi che, per il caso di condanna al pagamento delle spese di giudizio, esisteva un fondo rischi per le sopravvenienze passive che, per l’ulteriore caso di incapienza di tale fondo, i soci di G.M. si erano obbligati a far fronte personalmente agli esborsi occorrenti. In assenza di opposizione dei creditori, il Tribunale di Verona ha revocato l’ammissione della società al concordato preventivo, in pari tempo dichiarando l’inammissibilità della domanda di omologa. 2.- G.M. ha proposto reclamo contro questo decreto, chiedendone la revoca e l’omologazione del concordato preventivo. La Corte di Appello di Venezia ha rigettato il reclamo. Con riferimento ai procedimenti anteriori all’ammissione della domanda, essa ha svolto due ordini di rilievi. Il primo è che l’omessa rappresentazione delle rilevanti poste che la reclamante afferma di vantare nei confronti degli istituti di credito per l’indebita percezione di interessi usurari o anatocistici ovvero, per converso, la mancata esposizione dell’altrettanto considerevole posta debitoria inerente all’eventualità di soccombenza e di condanna al pagamento delle spese di lite viola l’art. 161, comma 2, lett. a. e b. legge fall. queste omissioni informative pure rendono inattendibile, d’altro canto, la relazione di attestazione, cha ha trascurato di menzionare la pendenza di un rilevante contenzioso . L’altro è che il consapevole e intenzionale silenzio serbato da G.M. in merito all’esistenza delle cause promosse nei confronti di istituti bancari, quali che siano le soggettive ragioni ad esso sotteso, non può che indurre a ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 173 comma 1 legge fall. . Quanto poi alle controversie successive all’ammissione alla procedura concordataria, la Corte veneta ha rilevato che la società avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione del giudice delegato, prima di dare avvio ai procedimenti proprio per l’incertezza dell’utilità che essa si ripromette va di conseguire, avuto riguardo alla non modesta erosione dell’attivo concordatario, che le poste debitorie inerenti alle spese legali avrebbero potuto determinare . 3.- Contro tale decreto ricorre la s.r.l. G.M., articolando tre motivi di cassazione. La massa dei creditori del concordato, come impersonata dal commissario giudiziale, non ha svolto attività difensive. Ragioni della decisione 4.- Il primo motivo di ricorso è stato intestato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 161 commi 2, lettere a. e b., e 3 r.d. n. 267/1942 . Lo stesso assume, in sostanza, che l’informativa in merito ai conteziosi pendenti e alle loro possibili conseguenze non era affatto necessaria . I contenziosi non potrebbero avere alcuna ricaduta pregiudizievole né sulla situazione patrimoniale della società, né sulla proposta formulata ai creditori per contro, trattandosi di un concordato con cessio bonorum, le eventuali sopravvenienze attive sarebbero in ogni caso destinate a portare un vantaggio diretto alla massa dei creditori. 5.- Il motivo appare fondato. Non è da ritenere, invero, che - date le peculiari caratteristiche della fattispecie concreta - le omissioni informative circa il contenzioso in essere con le banche abbiano effettivamente inciso su veridicità e attendibilità dei dati complessivamente esposti nella domanda di concordato e nell’attestazione del piano. Nell’attuale, tali contenziosi non sottraggono risorse ai creditori posta la rinuncia al compenso effettuata dai difensori della società né, ovviamente, integrano delle reali attività. Neppure danno ragionevoli sicurezze di attivo in termini prospettici la stessa Corte di Appello, nel definire il rischio lite dei detti contenziosi, ha rilevato come la possibilità di soccombenza si configuri, nella specie, come ipotesi non certo irrealistica . Quanto poi all’eventualità di condanna alle spese di giudizio, questa risulta coperta dall’assunzione del relativo e ipotetico debito da parte dei soci della s.r.l. G.M. sotto il profilo giuridico, tale assunzione si può dire assorba il debito della società in causa, neutralizzando il relativo rischio di sopravvenienza negativa. In ogni caso ha errato la Corte territoriale a non tenere in nessun conto la detta struttura di copertura , come all’uopo predisposta a sostanziale integrazione del fondo rischi . 6.- Il secondo motivo di ricorso è stato intestato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 173, commi 1, 2, 3 r.d. n. 267/1942 . Lo stesso afferma che la G.M. s.r.l. non ha tenuto alcun comportamento neppure astrattamente qualificabile come atto di frode . La società - si viene in particolare a precisare - ha trasmesso al commissario giudiziale una relazione del legale incaricato di assisterla in tali procedimenti contenziosi in data antecedente al deposito della relazione ex art. 172 legge fall. . La società - ancora si aggiunge - ha ribadito tali circostanze di propria iniziativa nel corso dell’adunanza dei creditori, la quale è stata rinviata a una successiva data proprio per consentire ai creditori di essere informati di quanto emerso . I creditori pertanto, nel momento in cui hanno espresso il loro voto, erano a conoscenza della pendenza dei procedimenti di cui trattasi . Non vi è stato, dunque, nessun silenzio consapevole , e tantomeno intenzionale , come ha invece ritenuto la Corte territoriale. 7.- Il motivo risulta fondato. Secondo lo stabile orientamento seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, gli atti di frode, di cui all’art. 173 legge fall., vanno intesi, sul piano oggettivo, come le condotte volte a occultare situazioni di fatto idonee a influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione , purché siano caratterizzati, sul piano soggettivo, dalla consapevole volontarietà della condotta, di cui, invece, non è necessaria la dolosa preordinazione così Cass., 29 luglio 2014, n. 17191 Cass., 4 giugno 2014, n. 12533 Cass., 18 aprile 2014, n. 9050 Cass., 15 ottobre 2013, n. 23287 Cass., 11 aprile 2016, n. 7066 . Nel caso in esame non viene in realtà a configurarsi, attesa la dinamica dei fatti che è stata rappresentata, un comportamento decettivo della s.r.l. G.M. sempre a voler ritenere la conoscenza o la ignoranza del contenzioso in essere delle circostanze orientative in sé della decisione del ceto creditorio posto il già segnalato carattere liquidatorio della proposta formulata dalla società . 8.- Il terzo motivo di ricorso è stato intestato violazione e/o falsa applicazione dell’art. 167 comma 2 r.d. n. 267/1942 . Esso riguarda le controversie instaurate dalla società dopo l’ammissione alla procedura concordataria. La Corte territoriale ha ritenuto occorresse, per queste ulteriori controversie, l’autorizzazione del giudice delegato la mancanza della stessa in quanto, nel concreto, neppure chiesta comportando la revoca dell’ammissione alla procedura, secondo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 173 legge fall. Ad avviso del motivo, per contro, l’autorizzazione non andava richiesta la qualificazione dell’introduzione di un procedimento contenzioso come atto di straordinaria amministrazione essendo errata e non conforme alla ratio dell’art. 167 legge fall., per quale si debbono intendere come atti di straordinaria amministrazione quelli idonei a incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza. 9.- Il motivo è fondato. Non essendo atto preso in distinta ed espressa considerazione dalla norma dell’art. 167 legge fall., l’ipotesi di azione in giudizio non rientra in modo necessario e automatico nell’ambito della categoria di atti di straordinaria amministrazione rilevante al riguardo la relativa valutazione essendo frutto, per contro, di un riscontro caso per caso. Tra i parametri di questa valutazione va in particolare tenuto conto - è noto - la specifica finalità che l’atto posto in essere risulta oggettivamente perseguire. Ora, la Corte di Appello ha correttamente accolto questa impostazione di base, rilevando per l’appunto la necessità di fare perno, al riguardo, sul criterio finalistico del miglior soddisfacimento dei creditori . Sennonché, essa ha poi posto a confronto con tale criterio ordinante una fattispecie diversa da quella che è stata concretamente proposta al suo esame. La Corte si è infatti rappresentata un’ipotesi caratterizzata dall’ incertezza dell’utilità che essa si ripromette va di conseguire, avuto riguardo alla non modesta erosione dell’attivo concordatario, che le poste debitorie inerenti alle spese ò legali avrebbero potuto determinare . Non ha tenuto conto, cioè, della circostanza - su questo punto, in sé determinante - che l’assunzione dell’obbligo relativo al pagamento delle spese legali da parte dei soci della s.r.l. G.M. veniva a neutralizzare il detto rischio cfr. sopra, n. 5 . 10.- In conclusione, il ricorso va accolto. Di conseguenza, va cassato il decreto impugnato e la controversia rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.