Insinuazione al passivo fallimentare e riconoscimento del credito con decreto ingiuntivo

In tema di insinuazione nel passivo fallimentare, laddove il credito opposto sia stato riconosciuto con decreto ingiuntivo del quale non sia intervenuta la dichiarazione di esecutorietà prima della dichiarazione di fallimento, lo stesso non può considerarsi passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è dunque opponibile al passivo.

Sul tema è intervenuta la Corte di legittimità con l’ordinanza n. 21583/18, depositata il 3 settembre. Il caso. Una s.r.l. chiedeva l’insinuazione al passivo nel fallimento di un’altra società, ma il giudice delegato, nell’accogliere l’istanza di ammissione, escludeva la natura privilegiata del credito invocata in virtù della prelazione ipotecaria conseguita al decreto ingiuntivo che riconosceva il credito stesso. La società creditrice proponeva opposizione ex art. 98 l. fall., che veniva però respinta dal Tribunale secondo il quale il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale solo a seguito di dichiarazione di esecutorietà ai sensi dell’art. 647 c.p.c Conseguentemente, laddove tale dichiarazione sia sopravvenuta rispetto alla dichiarazione di fallimento, il provvedimento monitorio non è opponibile alla procedura. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione la società creditrice. Accertamento del credito e esecutività del decreto ingiuntivo. Il decreto ingiuntivo non opposto, secondo la consolidata giurisprudenza, acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne verificato l’avvenuta notificazione, lo dichiara esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c Si tratta di una verifica del contraddittorio da parte del giudice nell’ambito del processo d’ingiunzione che costituisce l’ultimo atto del procedimento e che non può essere in qualche modo delegata” al giudice competente per l’accertamento del passivo. Correttamente dunque il Tribunale ha affermato che, laddove il decreto ingiuntivo non sia munito di esecutorietà prima della dichiarazione di fallimento, lo stesso non può considerarsi passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è dunque opponibile al fallimento. Tale conseguenza resta immutata anche nel caso in cui il decreto di esecutività venga emesso successivamente in virtù del pacifico principio secondo cui, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 l. fall Né tantomeno può assumere rilevanza la dichiarazione di provvisoria esecutorietà pronunciata dal giudice che ha emesso lo stesso decreto ingiuntivo, poiché in quel momento non è comunque avvenuto il passaggio in giudicato. In conclusione, sottraendosi il provvedimento impugnato ad ogni censura, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 12 luglio – 3 settembre 2018, n. 21583 Presidente Genovese – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Eurotest s.r.l. domandava di insinuarsi al passivo del fallimento omissis s.r.l Il giudice delegato disponeva l’ammissione del credito allo stato passivo della procedura concorsuale detto credito, in particolare, era ammesso in via chirografaria per 153.036,08 veniva esclusa l’ammissione in via privilegiata in ragione della prelazione ipotecaria conseguita con la pronuncia del decreto ingiuntivo con cui era stato riconosciuto il credito oggetto di insinuazione non erano inoltre riconosciute le spese del procedimento monitorio e l’imposta ipotecaria. La. società proponeva opposizione ex art. 98. l. fall Questa veniva respinta con decreto del 28 giugno 2017 del Tribunale di Treviso. Secondo il Tribunale, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato sostanziale solo a seguito della dichiarazione di esecutorietà, ai sensi dell’art. 647 c.p.c. pertanto, ove quest’ultima non sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, il provvedimento monitorio non potrebbe ritenersi opponibile alla procedura. 2. - Contro il detto decreto Eurotest ha proposto un ricorso per cassazione basato su tre motivi. Il fallimento, intimato, non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. - Il primo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 93 l. fall., in relazione all’art. 647 c.p.c L’istante contesta, in sintesi, che l’opponibilità del decreto ingiuntivo alla procedura concorsuale dipenda dal fatto che il decreto di esecutorietà del provvedimento monitorio sia emesso prima della dichiarazione di fallimento. Secondo la ricorrente quel che rileva, ai fini indicati, è l’inutile decorso del termine di quaranta giorni entro cui il debitore può proporre opposizione. E nella fattispecie - è esposto - lo spirare del detto termine era intervenuto prima della dichiarazione di fallimento. Col secondo motivo è lamentato l’omesso esame della mancata proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo quale fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Secondo la ricorrente il Tribunale aveva completamente ignorato che il decreto ingiuntivo non era stato fatto oggetto di impugnazione circostanza, questa, su cui essa Eurotest aveva fondato l’opposizione allo stato passivo. Il terzo mezzo oppone la violazione dell’art. 1, primo protocollo addizionale CEDU. Muovendo dal rilievo per cui la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo accorda tutela alla legittima aspettativa consistente nel diritto di credito, l’istante osserva come tale aspettativa sia stata indotta dall’opponibilità al debitore del decreto ingiuntivo e dal riconoscimento della prelazione ipotecaria. 2. Gli esposti motivi, che si prestano a una trattazione congiunta, non possono trovare accoglimento. Secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte, da cui il Collegio non intende discostarsi, il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c Tale funzione si differenzia da quella affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo, non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di esecutorietà, non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c., venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 l. fall. Cass. 24 gennaio 2018, n. 1774 Cass. 24 ottobre 2017, n. 25191 Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650 Cass. 31 gennaio 2014, n. 2112 cfr. pure Cass. 11 ottobre 2013, n. 23202 Cass. 23 dicembre 2011, n. 28553 Cass. 13 marzo 2009, n. 6198 Cass. 26 marzo 2004, n. 6085 . Né rileva che il decreto ingiuntivo fosse stato dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice che lo ha emesso, a norma dell’art. 642 c.p.c., giacché, per quanto osservato, il passaggio in giudicato del provvedimento non si compie prima della spendita dell’attività giurisdizionale di cui all’art. 647 c.p.c., la quale - come è del tutto evidente - risulta necessaria anche nel caso in cui il provvedimento monitorio sia stato reso esecutivo in via provvisoria. È del resto incontestabile che il decreto provvisoriamente esecutivo non sia equiparabile alla sentenza non ancora passata in giudicato di cui all’art. 96, comma 2, n. 3 l. fall. , la quale viene pronunciata nel contraddittorio delle parti come tale essa è totalmente priva di efficacia nei confronti del fallimento Cass. 27 maggio 2014, n. 11811, per il caso di dichiarazione di fallimento soppravvenuta nel corso del giudizio di opposizione . In tale quadro, la mancata proposizione, alla data della dichiarazione di fallimento, di tempestiva opposizione da parte del soggetto ingiunto appare priva di giuridica rilevanza correttamente, pertanto, il Tribunale ha inteso prescinderne. Quanto al terzo motivo, esso va disatteso, al pari dei primi due. Anzitutto, e tale profilo è assorbente, parte ricorrente non precisa quale sia la norma italiana che si ponga in contrasto con la disposizione convenzionale da essa invocata. In secondo luogo, il richiamo al cit. art. 1 del primo protocollo CEDU non si mostra, comunque, risolutivo. Tale norma ha ad oggetto la protezione della proprietà e si limita a stabilire che ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni che nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale che tali disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende. Vero è che la sentenza della Corte EDU 4 febbraio 2014, Ceni c. Italia, richiamata nel corpo del motivo, chiarisce che la nozione di beni può riguardare sia beni effettivamente esistenti che valori patrimoniali, compresi i crediti, in virtù dei quali il ricorrente può aspirare ad avere almeno una aspettativa legittima ma è altrettanto vero che, come ricorda detta pronuncia, l’aspettativa legittima di poter continuare a godere di un bene deve poggiare su una base sufficiente nel diritto interno il che si verifica, ad esempio, quando l’aspettativa è confermata da una consolidata giurisprudenza, o quando essa è fondata su una disposizione legislativa o su un atto legale riguardante l’interesse patrimoniale in questione sent. cit., 39 . Ebbene, nel caso in esame la suddetta aspettativa della ricorrente di soddisfare il proprio credito non è anzitutto esclusa dalla ammissione dello stesso in chirografo ma, soprattutto, il radicarsi di una legittima aspettativa della società istante quanto all’insinuazione del credito in via privilegiata è negata da una giurisprudenza ultradecennale della Corte di legittimità, che è pacificamente orientata nel senso di cui si è detto evenienza, questa, sicuramente decisiva avendo proprio riguardo ai principi menzionati nella citata sentenza della Corte EDU . 3. - In conclusione, il ricorso va respinto. Non è da pronunciare condanna in punto di spese, stante la mancata resistenza al ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.