Dopo la riabilitazione, il fallito può agire in via risarcitoria contro il curatore

Il fallito che si ritiene danneggiato dall’attività del curatore durante la procedura fallimentare, non può, dopo essere tornato nel pieno della sua capacità, pretendere di rimettere in discussione l’intangibile e conclusa da anni attività di riparto dell’attivo .

Così la Cassazione con ordinanza n. 16132/18, depositata il 19 giugno. Il caso. La controversia traeva origine nel corso del fallimento di un impresa individuale di costruzioni creditrice nei confronti di un Comune in dissesto finanziario. Nello specifico nell’ambito del fallimento, la curatela accettava, nonostante il parere contrario del fallito, una transazione con il Comune che riduceva il credito originario. Il fallito conveniva in giudizio la curatela e il Comune, chiedendo l’annullamento o la risoluzione della transazione. Il Giudice adito dichiarava difetto di legittimazione del fallito. Nel frattempo il fallimento veniva chiuso e il proprietario dell’impresa individuale, tornato in bonis, chiedeva nuovamente davanti al Tribunale l’annullamento della transazione ex art. 1971 c.c Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, adita in secondo grado, rigettavano la domanda del richiedente. A tutto ciò premesso consegue il ricorso per Cassazione dell’interessato contro la decisione di merito fondato su 8 motivi. Il ruolo del curatore. Le doglianze, secondo il Supremo Collegio, concernono tutte l’omessa esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e veicolano questioni di stretto merito non ammesse al giudizio di legittimità. Nelle conclusioni della sentenza gli Ermellini hanno ritenuto opportuno sottolineare che, a monte, devono ritenersi affatto proponibili, per difetto di legittimatio ad causam , le domande dell’impresa individuale volte ad annullare la transazione conclusa dal curatore. Ciò in quanto deve negarsi al debitore, tornato in bonis, dopo la conclusione del fallimento, di rimettere in discussione, con effetti reali, l’operato degli organi della procedura ed in particolare del curatore, che è un organo del tutto peculiare . Infatti, quest’ultimo cumula la rappresentanza insieme del fallito e della massa, di talché non è in definitiva riconducibile né all’uno né all’altra . Azione risarcitoria. Sul questo punto, conclude la Suprema Corte, la giurisprudenza di legittimità ha infatti enunciato il principio di intangibilità delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in base al piano di riparto . Per questo motivo il fallito che si ritiene danneggiato dall’attività del curatore può, dopo essere tornato in bonis , attivare la sola tutela risarcitoria e non pretendere di rimettere in discussione l’intangibile e conclusa da anni attività di riparto dell’attivo . In conclusione la Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 7 marzo – 19 giugno 2018, numero 16132 Presidente Amendola – Relatore Rubino Ragioni in fatto e in diritto della decisione S.M. propone otto motivi di ricorso per cassazione illustrati da memoria avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro numero 1690 del 2016, depositata il 25.10.2016, cui resiste il Comune di Strongoli con controricorso. Questa la vicenda, per quanto qui interessa Il Comune di Strongoli nel 1989 dichiarava il proprio stato di dissesto finanziario l’impresa individuale di costruzioni S.M. , creditrice, concludeva col Comune due transazioni. Nell’ambito del successivo fallimento dello S. , la curatela accettava, nonostante il parere contrario del debitore fallito, una ulteriore transazione che riduceva ulteriormente il credito originario. Il fallito conveniva in giudizio la curatela ed anche il Comune di Strongoli chiedendo l’annullamento o la risoluzione della transazione affermando la legittimazione concorrente o sostitutiva del fallito a fronte di inerzia o disinteresse degli organi della procedura . Il tribunale adito dichiarava il difetto di legittimazione del fallito. Nel frattempo, grazie anche al denaro incassato in virtù della transazione, il fallimento S. veniva chiuso e il fallito riabilitato. Lo S. , tornato in bonis, introduceva una seconda causa in cui chiedeva l’annullamento della transazione ex art. 1971 c.c. Il tribunale rigettava sia la domanda principale di annullamento che la subordinata di risoluzione per inadempimento. La sentenza è stata integralmente confermata in appello. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., su proposta del relatore, nel senso della inammissibilità, in quanto esso travalicherebbe i limitati confini entro i quali è attualmente ammesso il controllo sulla motivazione. Il Collegio condivide i rilievi contenuti nella proposta, pur ritenendo che si debba complessivamente giungere, per il più ampio ordine di considerazioni che seguono, al radicale rigetto del ricorso. Infatti, i primi sette motivi di ricorso concernono tutti l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti all’interno di essi, però, il ricorrente non deduce che il giudice di merito non abbia effettivamente considerato una circostanza di fatto, principale o secondaria, rientrante tra le allegazioni processuali, e tale che, se fosse stata presa in considerazione e valutata nelle sue ricadute dal giudice di merito al momento di compiere il suo accertamento, avrebbe condotto ad un diverso esito del giudizio i fatti che il ricorrente lamenta non siano stati adeguatamente considerati sono in realtà i punti in cui si possono scindere concettualmente le domande da lui proposte e le argomentazioni in diritto da lui svolte. Ovvero, tramite la peraltro parcellizzata denuncia di fatti decisivi, il ricorrente lamenta la non persuasività della motivazione e vorrebbe indurre la Corte ad un nuovo accertamento in fatto, non consentito in questa sede, della consapevolezza della temerarietà del comportamento tenuto dalla commissione di liquidazione nel richiedere la transazione e degli organi della procedura nell’acconsentire ad essa sulla base della sua ricostruzione della fattispecie, non condivisa dalla corte d’appello. A ciò si aggiunga che le censure relative alla pretesa invalidità della transazione veicolano questioni di stretto merito, affrontate e risolte dalla Corte territoriale con motivazione congrua ed appagante così segnatamente per le critiche di cui ai motivi numero 1, 2 e 5 , ovvero sono assolutamente generiche oltre che confuse laddove sostengono l’illegittimità del medesimo contratto, per pretesa violazione della modifica normativa intervenuta medio tempore motivi 3 e 4 , posto che omettono di confrontarsi con i puntuali rilievi svolti dal giudice di merito in ordine alle iniziative assunte in proposito dagli organi ministeriali. Del pari, sono volte a sollecitare una rilettura dei fatti di causa le contestazioni aventi ad oggetto il rigetto della domanda di risoluzione della transazione per preteso inadempimento del Comune, questione affrontata e risolta negativamente dal decidente motivo numero 6 nonché il rigetto della domanda risarcitoria motivi numero 7 e 8 . Peraltro, il collegio non ritiene superfluo aggiungere che in realtà devono ritenersi, a monte, affatto improponibili, per difetto di legittimatio ad causam, le domande dello S. volte a caducare la transazione conclusa dal curatore, dovendosi negare al debitore tornato in bonis, come a qualsiasi altro soggetto, la possibilità, una volta chiuso il fallimento, di rimettere in discussione, con effetti reali, l’operato degli organi della procedura ed in particolare del curatore, che è un organo del tutto peculiare, posto che cumula la rappresentanza insieme del fallito e della massa, di talché non è in definitiva riconducibile né all’uno né all’altra. La giurisprudenza di legittimità, a questo proposito v. Cass. numero 4729 del 2018, Cass. numero 20748 del 2012 ritiene immanente nell’ordinamento un principio di intangibilità delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in base al piano di riparto, principio ora espressamente codificato dalla novella del 2006, di talché non si comprende a cosa possa mettere capo l’ablazione di un atto che ha permesso la chiusura del concorso, ablazione che sarebbe in ogni caso assolutamente asistematica e tale da scardinare l’intero impianto delle procedure concorsuali. In definitiva, il fallito che ritenga di essere stato danneggiato dall’attività, a suo avviso sconsiderata, del curatore può, una volta recuperata in pieno la sua capacità, attivare la sola tutela risarcitoria e non pretendere di rimettere in discussione l’intangibile e conclusa da anni attività di riparto dell’attivo. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza della ricorrente, la Corte, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 oltre 200,00 per spese, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.