Socio receduto oltre un anno prima della dichiarazione di fallimento: inammissibile l'estensione nei suoi confronti

In tema di estensione del fallimento della società regolare al socio illimitatamente responsabile, dopo la sentenza n. 319/2000 della Corte Costituzionale - che ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 147 l. fall. nella parte in cui prevedeva che il fallimento dei predetti soci potesse essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi avessero perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata - il recesso del socio, se anteriore di oltre un anno alla dichiarazione di fallimento, conduce all'accoglimento anche d'ufficio dell'opposizione al fallimento, in forza del principio di certezza delle situazioni giuridiche, che pone la necessità di un limite temporale all'assoggettabilità al fallimento del socio di società commerciale.

Con la sentenza n. 14069 del 1° giugno 2018, il S.C conferma, nel solco della giurisprudenza costituzionale sull’art. 10 l. fall., che decorso il termine di un anno dal recesso dalla società, un socio di una società di persone non può essere coinvolto, nè subire gli effetti, del fallimento della società stessa. Il caso. Nel caso di specie, due soci illimitatamente responsabili di una società in nome collettivo proponevano ricorso avverso la dichiarazione di fallimento per quanto riguarda il fallimento in estensione dichiarato nei loro confronti. In particolare, la società aveva dapprima promosso domanda per concordato preventivo e, successivamente, era stata dichiarata fallita i soci ricorrenti, peraltro, erano receduti dalla società ben prima della proposizione della proposta di concordato preventivo ma i giudici di merito avevano applicato il principio di unitarietà delle procedure e ritenendo, quindi, il loro recesso avvenuto a distanza di meno di un anno dalla dichiarazione di insolvenza. Il S.C, per contro, esprimendosi secondo quanto riferito nella massima in epigrafe, ha cassato la sentenza senza rinvio, posto che, con riferimento al concordato preventivo, non può operare il principio di consecuzione ed il decorso del termine annuale dev'essere valutato con riguardo al momento in cui ha luogo l'estensione del fallimento. Il principio di unitarietà delle procedure la regola generale. Secondo quanto comunemente affermato in giurisprudenza, il principio di unitarietà delle procedure concorsuali - fondato sul rilievo che presupposto comune delle stesse è l'insolvenza, anche quando, come nell'amministrazione controllata, essa si traduca in una temporanea difficoltà che solo ex post risulti corrispondente ad un vero e proprio stato di decozione - attribuendo alla sentenza dichiarativa di fallimento la natura di atto terminale del procedimento, in alternativa al naturale sviluppo delle procedure minori, comporta che, ai fini della verifica in ordine al decorso del termine annuale di cui agli artt. 10 ed 11 l. fall., nel caso in cui la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore defunto o cessato faccia seguito alla mancata omologazione o alla risoluzione o all'annullamento del concordato preventivo, cui l'imprenditore sia stato ammesso, deve tenersi conto della data di ammissione alla procedura minore. Fallimento e concordato preventivo applicazione della unitarietà delle procedure. Tale regola ha trovato applicazione anche dopo i vari interventi normativi di riforma della legge fallimentare, nel caso in cui, dopo l'ammissione di una società di persone al concordato preventivo, segua la dichiarazione di fallimento della medesima società e dei soci illimitatamente responsabili. Ai sensi dell'art. 147 l. fall., ad esempio, il termine di cui all'art. 67 l. fall. per l'esercizio dell'azione revocatoria dell'atto personale posto in essere dal socio decorre dal decreto di ammissione della società alla prima procedura concorsuale, e non dalla data della sentenza di fallimento del socio ciò in quanto il carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della società comporta che, ai fini della dichiarazione di fallimento, abbia rilevanza unicamente lo stato d'insolvenza della società, indipendentemente dalla sussistenza o meno dello stato d'insolvenza personale del socio, dovendosi escludere un vulnus ” all'affidamento dei terzi, cui sono noti sin dalla data di apertura della prima procedura i soggetti potenzialmente soggetti al fallimento in esito alla stessa. Recesso del socio e fallimento della società. La regola poc’anzi illustrata, peraltro, non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui si tratti di estendere il fallimento di una società, ammessa al concordato preventivo, ai soci illimitatamente responsabili che medio tempore ” siano receduti o deceduti, o siano stati esclusi dalla compagine sociale gli effetti del concordato preventivo, infatti, riguardano esclusivamente l'impresa, comportando la parziale sdebitazione del suo titolare e soltanto di lui, e, qualora si tratti di una società, non si estendono alle obbligazioni dei singoli soci, sicchè, rispetto a questi ultimi, ai quali il fallimento si estende in via eccezionale e come ripercussione dell'insolvenza della società, non può operare il principio di consecuzione che ne giustifica il coinvolgimento nella procedura concorsuale, ed il decorso del termine annuale dev'essere valutato con riguardo al momento in cui ha luogo l'estensione del fallimento. Termine annuale dal fallimento non è assimilabile alla prescrizione. Il termine annuale, entro cui deve essere dichiarato il fallimento dell'imprenditore ritirato o del socio illimitatamente responsabile cessato, ai sensi degli art. 10 e 147, comma 2, l. fall., non è peraltro assimilabile alla prescrizione, in quanto trova giustificazione nell'interesse alla certezza delle situazioni giuridiche, che verrebbe frustrato ove fosse sufficiente, entro l'anno, la mera presentazione dell'istanza pertanto, il deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento e la pendenza del relativo procedimento non ne interrompono il decorso, risultando inapplicabili gli artt. 2943 e 2945 c.c Fallimento e concordato preventivo diversità della procedure. A conferma di quanto sopra riferito, può essere utile rammentare che in più occasioni la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per contrarietà agli artt. 3 e 24 Cost., del combinato disposto degli artt. 2495 c.c. e 10 l. fall., che impediscono al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l'anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento, di richiedere il concordato preventivo. Quest'ultima procedura, infatti, diversamente dalla prima, che ha finalità solo liquidatorie, tende alla risoluzione della crisi di impresa, sicché l'intervenuta e consapevole scelta di cessare l'attività imprenditoriale, necessario presupposto della cancellazione, ne preclude ipso facto ” l'utilizzo, per insussistenza del bene al cui risanamento essa dovrebbe mirare né l'istanza concordataria può essere intesa come uno dei mezzi attraverso i quali si esplica il diritto di difesa del fallendo in sede di istruttoria prefallimentare.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 17 aprile – 1 giugno 2018, n. 14069 Presidente Cristiano – Relatore Terrusi Fatto e diritto Rilevato che C.M. e B. recedevano in data 26-3-2014 dalla omissis s.n.c., di cui erano soci illimitatamente responsabili a seguito di ricorso per dichiarazione di fallimento, la società depositava, all’udienza del 21-3-2015, una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, che veniva iscritta al registro delle imprese in data 29-4-2015 il tribunale di Benevento dichiarava inammissibile la domanda di ammissione al concordato e, con sentenza in data 13-6-2016, dichiarava il fallimento della società e dei suddetti soci illimitatamente responsabili la corte d’appello di Napoli, con sentenza in data 27-2-2017, ha confermato la statuizione, per quanto rileva identificando i momenti iniziale e finale del termine annuale per la dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili rispettivamente,nella data di cessazione del rapporto sociale e nella data di presentazione della domanda di concordato preventivo ciò in base al principio di consecuzione delle procedure e al carattere consequenziale e dipendente del fallimento dei soci dal fallimento della società come rimarcato da Cass. n. 2335-12 sottolineava poi che il beneficio esdebitatorio del concordato si sarebbe esteso ai soci i C. hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi, illustrati da memoria, ai quali la curatela ha replicato con controricorso e memoria non hanno svolto difese i creditori istanti. Considerato che nell’ordine i ricorrenti deducono i la violazione degli artt. 10 e 147, secondo comma, l. fall., in quanto i momenti iniziale e finale di decorrenza del termine annuale per la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile avrebbero dovuto essere identificati nella data di cessazione del rapporto sociale e nella sentenza dichiarativa di fallimento, essendo i cessati soci estranei alla procedura di concordato e non legittimati a presentare la relativa domanda ii la violazione degli artt. 168 e 10 l. fall., poiché, anche riconoscendo il momento finale di decorrenza del termine annuale per la dichiarazione di fallimento del socio nella domanda di concordato, si sarebbe dovuto far riferimento non alla data dell’udienza in cui tale domanda era stata presentata, ma alla successiva data in cui essa era stata iscritta al registro delle imprese iii la violazione degli artt. 15 e 136 l. fall., attesa la nullità del procedimento discendente dall’essere stata anticipata la data di prima udienza con conseguente eccessiva compressione dei termini a difesa, nonché dall’irregolarità della notificazione degli atti processuali a uno dei soci il primo motivo di ricorso, che, rispetto alla presentazione di una domanda di concordato, pone la questione del calcolo del termine annuale per la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile che sia anteriormente receduto da oltre un anno, è manifestamente fondato, e tanto assorbe tutti gli altri motivi in base all’art. 147, secondo comma, l. fall., il fallimento dei soci di una società appartenente a uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l’insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata il tribunale, prima, e la corte d’appello, poi, hanno posto a fondamento della dichiarazione del fallimento dei soci receduti da oltre un anno il principio di consecuzione tra le procedure di concordato preventivo dichiarato inammissibile e di fallimento, e la circostanza inerente al carattere meramente consequenziale e dipendente del fallimento del socio rispetto a quello della società hanno inoltre menzionato l’estensione ai soci dell’effetto esdebitatorio del concordato quest’ultima notazione a niente serve, visto che nella specie la domanda di concordato è stata dichiarata inammissibile il carattere meramente consequenziale del fallimento del socio rispetto al fallimento della società di persone, più volte sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, a sua volta comporta che, ai fini della dichiarazione di fallimento, debba darsi rilevanza unicamente allo stato d’insolvenza della società v. Cass. n. 233512, evocata dal giudice a quo, invero seguita da altre conf. v. per es. Cass. 5924-16 e tuttavia anche in tal caso il riferimento argomentativo, condiviso dalla corte territoriale, è inconferente, poiché la questione non è incisa né dal principio di consecuzione, che rileva ai distinti fini del computo della revocatoria di atti e pagamenti, né dall’ovvio carattere consequenziale del fallimento del socio rispetto a quello della società in termini di derivazione dalla comune situazione di insolvenza rileva invece la ratio degli artt. 10 e 147 legge fall., che va individuata nell’interesse alla certezza delle situazioni giuridiche v. C. cost. n. 319-00 in coerenza con tale ratio, questa Corte ha affermato che il termine annuale, entro cui deve essere dichiarato il fallimento dell’imprenditore ritirato o del socio illimitatamente responsabile cessato, ai sensi degli art. 10 e 147, secondo comma, l.fall., non è assimilabile alla prescrizione, con ciò elidendosi il fondamento di ciò che al contrario risulta sostenuto nel controricorso della curatela pag. 15 a proposito della necessità di intendere anche il detto termine interrotto e sospeso ai sensi dell’art. 168, secondo comma, l. fall. per converso è evidente che il termine ex art. 147 l. fall. non è assimilabile, per la diversa funzione a esso assegnata dalla legge, a un termine di prescrizione e tanto meno a un termine di decadenza come questa Corte ha avuto modo di precisare, l’interesse alla certezza delle situazioni giuridiche verrebbe frustrato ove fosse sufficiente, entro l’anno, la mera presentazione dell’istanza di fallimento e dunque né il deposito del ricorso per la dichiarazione di fallimento né la pendenza del relativo procedimento hanno rilevanza ai fini dell’interruzione del termine annuale Cass. n. 24199-13 la medesima ratio è stata posta a base dell’ulteriore affermazione, essa pure pacifica nella giurisprudenza della Corte, secondo cui, dopo la sentenza n. 319 del 2000 della Corte costituzionale - che ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 147 l. fall. nella parte in cui prevedeva che il fallimento dei predetti soci potesse essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi avessero perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata - il recesso del socio, se anteriore di oltre un anno alla dichiarazione di fallimento, deve condurre all’accoglimento anche d’ufficio dell’opposizione al fallimento ivi rilevante pro tempore ciò ancora una volta in forza del principio di certezza delle situazioni giuridiche, che pone la necessità di un limite temporale all’assoggettabilità al fallimento del socio di società commerciale v. Cass. n. 7965-08 una coerente interpretazione - tesa a scindere la rilevanza dei principi di consecuzione e di unitarietà dell’insolvenza dal profilo che qui rileva - è poi evinta dalla giurisprudenza formatasi in rapporto all’istituto dell’amministrazione controllata invero è stato in tal caso richiamato il principio per cui l’unitarietà delle procedure concorsuali - fondata sul rilievo che presupposto comune delle stesse è l’insolvenza, anche quando, come nell’amministrazione controllata, essa si traduca in una temporanea difficoltà che solo ex post risulti corrispondente a un vero e proprio stato di decozione - attribuisce alla sentenza dichiarativa di fallimento la natura di atto terminale del procedimento, in alternativa al naturale sviluppo delle procedure minori, e quindi comporta che, ai fini della verifica in ordine al decorso del termine annuale di cui agli artt. 10 e 11 l. fall., nel caso in cui la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore defunto o cessato faccia seguito alla mancata omologazione o alla risoluzione o all’annullamento del concordato preventivo, cui l’imprenditore sia stato ammesso, deve tenersi conto della data di ammissione alla procedura minore nondimeno, e nel contempo, tale regola - si è condivisibilmente osservato - non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui si tratti di estendere il fallimento di una società, ammessa al concordato preventivo, ai soci illimitatamente responsabili che medio tempore siano receduti o deceduti, o siano stati esclusi dalla compagine sociale, giacché gli effetti del concordato preventivo riguardano esclusivamente l’impresa, comportando la parziale esdebitazione del suo titolare, e, qualora si tratti di una società, non si estendono alle obbligazioni dei singoli soci, sicché, rispetto a questi ultimi, ai quali il fallimento si estende in via eccezionale e come ripercussione dell’insolvenza della società, non può operare il principio di consecuzione che ne giustifica il coinvolgimento ab imis nella procedura concorsuale, e il decorso del termine annuale deve essere valutato con riguardo al momento in cui ha luogo l’estensione del fallimento Cass. n. 21326-05 che questa sia la soluzione da mantenere ferma in relazione alla questione che rileva è confermato dalla considerazione discendente dal più recente arresto della Corte costituzionale in tema di riunione di una procedura di ammissione a concordato preventivo di società di persone e di già instaurata procedura prefallimentare relativa alla medesima società in particolare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 l. fall., nuovamente sollevata per essere intrinsecamente irragionevole la scelta normativa di riconoscere al debitore, durante la pendenza del termine previsto dall’art. 10, la possibilità di presentare un’istanza di concordato preventivo, e di frapporre quindi un ostacolo giuridico alla dichiarazione di fallimento, senza prevedere la possibilità della dichiarazione di fallimento nell’ipotesi in cui quell’istanza si riveli inammissibile o comunque infruttuosa, ma solo dopo la scadenza del suddetto termine, è stata dichiarata ulteriormente inammissibile v. C. cost. n. 9 del 2017 previa sottolineatura del fatto che, all’interno del periodo annuale decorrente dalla cancellazione dal registro delle imprese, difficilmente potrebbe riconoscersi la legittimazione della società ad accedere alla procedura di concordato preventivo, stante la cessazione dell’attività societaria donde alla società che ha cessato la propria attività di impresa, tanto da essere cancellata dal registro, l’accesso alla procedura concorsuale minore è precluso ipso facto, atteso il venir meno del bene al cui risanamento il concordato tende v. Cass. n. 21286-15 se dunque tale è la situazione relativa alla società, a maggior ragione la ratio si impone quanto ai soci, dal momento che, come esattamente osservato dai ricorrenti, i soci illimitatamente responsabili già receduti non sono legittimati ad avanzare proposte di concordato in nome della società donde pure in relazione a essi l’accesso alla procedura minore sarebbe in ogni caso precluso quanto esposto rende palese l’erroneità dell’impugnata sentenza e ne determina la cassazione senza rinvio art. 382 cod. proc. civ. l’evidenza della soluzione consente di decidere il ricorso in questa sede nonostante la mancanza di specifici precedenti giurisprudenziali restano assorbiti i restanti motivi le spese processuali seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa l’impugnata sentenza senza rinvio condanna la curatela e i creditori istanti, in solido, alle spese processuali, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, quanto alle fasi del giudizio di merito e in Euro 6.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, per il giudizio di legittimità, in entrambi i casi oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.