Fondi pensionistici integrativi: sì al cumulo interessi e rivalutazione, ma no al privilegio

Il trattamento pensionistico erogato dai fondi pensione integrativi ha natura previdenziale, fin da quando tali fondi sono stati istituiti, ma ad esso non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall'art. 16, comma 6, l. n. 412/1991.

Lo ha sottolineato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6928/2018, depositata il 20 marzo. Il caso. Il Tribunale di Palermo aveva ammesso al passivo privilegiato di un’azienda in liquidazione coatta amministrativa il credito vantato da una dipendente a titolo di riscatto dell'intera propria posizione contributiva affluita al Fondo Integrativo Pensioni al quale la persona era iscritta proprio in virtù del rapporto di lavoro con l'azienda finita in liquidazione coatta amministrativa oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Avverso tale provvedimento i commissari liquidatori proponevano appello, ma la Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado. I commissari liquidatori proponevano allora ricorso in Cassazione. Il trattamento pensionistico erogato dai fondi pensione integrativi ha natura previdenziale, fin da quando tali fondi sono stati istituiti, ma ad esso non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall'art. 16, comma 6, L. n. 412/1991 in quanto non è corrisposto da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria ma da datori di lavoro privati. Alla affermata natura previdenziale del corrispondente credito consegue, da un lato che ai relativi accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria e, d'altra parte, che nell'ammissione allo stato passivo del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa del datore di lavoro tale credito non è assistito da privilegio. Cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi per i crediti relativi a prestazioni previdenziali? Il ricorso in Cassazione si fonda su due motivi. 1 In primo luogo i ricorrenti ritengono che il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi per i crediti relativi a prestazioni previdenziali non sia ammissibile in quanto in contrasto con il divieto di cumulo previsto dall'art. 16, comma 6, L. n. 412/1991. 2 Con il secondo motivo i commissari lamentano il fatto che la creditrice sia stata ammessa al passivo privilegiato invece che chirografario. La prima questione è giudicata di massima e particolare importanza pertanto la Sezione Sesta Civile rimette la decisione alle Sezioni Unite. Il tema riguarda dunque l'applicabilità o meno del divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto per le prestazioni previdenziali dall'art. 16, comma 6, L. n. 412/1991 anche ai crediti maturati dal lavoratore con riguardo alle somme versate nei fondi integrativi di natura privatistica , come quello oggetto del giudizio giunto fino in Cassazione. L’art. 16, comma 6 citato stabilisce che gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali sulle prestazioni dovute a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda che risulti completa. La norma precisa altresì che l'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione delle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito. La Cassazione spiega che tale disposizione sancisce il divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria per le prestazioni erogate in ritardo. Successivamente con l'art. 22, comma 36, legge n. 724/1994 la disciplina dell'art. 16 comma 6, L. n. 412/1991 sopra richiamata è stata estesa anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale per i quali non sia ancora maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994 spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza. Tale disposizione è stata poi dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 36 Cost. limitatamente alla sua applicazione ai rapporti di lavoro subordinato privato Corte Costituzionale 450/2000 . Dal quadro normativo e giurisprudenziale brevemente riepilogato, la Cassazione deduce che la regola per cui non sia possibile cumulare interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria si riferisca esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso tali enti. La ratio sottesa a tale soluzione è legata alla necessità di contenere e contrastare il progressivo deterioramento degli equilibri di finanza pubblica si è parlato anche di funzione riequilibratrice” e di contenimento” della spesa a cui erano stati sottoposti tali enti in Cass. 14617/2002 . La giurisprudenza della Cassazione ha altresì osservato che poiché la norma fa decorrere gli interessi legali dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda essa può trovare applicazione solo per i crediti relativi a prestazioni che abbiano natura previdenziale, dato che solo queste sono erogate previa domanda dell'interessato. Al contrario per le prestazioni di natura retributiva l'esigibilità della relativa obbligazione scatta nel momento stesso in cui matura il diritto. Fondi privati In tema invece di fondi privati, a partire dalla Cassazione n. 25889/2008, si è affermato l'orientamento per cui la regola della non cumulabilità di interessi e rivalutazione ex art. 16, comma 6 non è applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro tramite fondi di natura privatistica, come avvenuto nella fattispecie in esame. Questo perché le sopra richiamate esigenze di bilancio pubblico e di contenimento di spesa sono ritenute proprie solo degli enti gestori di previdenza obbligatoria. Di conseguenza il divieto di cumulo è applicabile solo a questi ultimi. Tale indirizzo si è progressivamente consolidato Cass. 18041/2015 Cass. 20526/2015 Cass. 25358/2017 e secondo la pronuncia in commento è del tutto da condividere non essendo stati offerti argomenti idonei a provocare un revirement . In ordine poi al calcolo degli interessi e della rivalutazione, le Sezioni Unite ribadiscono l'orientamento giurisprudenziale costante in base al quale con riguardo agli accessori i crediti previdenziali hanno natura unitaria nel senso che gli accessori costituiscono componenti di un'unica prestazione. Consegue quindi che la domanda di pagamento del residuo credito per rivalutazione monetaria ed interessi legali va maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali in cumulo tra loro Cass. 8134/2008 Cass. 18558/2014 . Con riferimento quindi al primo motivo di ricorso relativo cioè alla contestazione del cumulo interessi + rivalutazione le Sezioni Unite respingono la censura dei ricorrenti. Omesso versamento contributivo In ordine al secondo motivo di ricorso invece le Sezioni Unite precisano che dalla natura esclusivamente previdenziale dei contributi versati al fondo in esame e dal conseguente trattamento pensionistico discende che, in caso di omesso versamento contributivo, il credito derivante insinuato passivo del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa del datore di lavoro non è assistito da privilegio così Cass. 19792/2015 . Questo perché tale credito non ha natura retributiva e ad esso non è applicabile il privilegio generale sui mobili del datore di lavoro previsto per i contributi di previdenza sociale. Infatti nel caso di specie trattandosi di fondi privati che gestiscono forme integrative di previdenza i contributi non versati dal datore di lavoro poi fallito non sono assistiti da privilegio perché dovuti non per legge come le forme di previdenza e assistenza sociali appunto , ma per contratto così Cass. 25173/2015 . Le Sezioni Unite pertanto accolgono tale secondo motivo di ricorso non riconoscendo la natura privilegiata al credito insinuato dalla dipendente nel passivo della liquidazione coatta amministrativa.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 30 gennaio – 20 marzo 2018, n. 6928 Presidente Mammone – Relatore Tria Esposizione del fatto 1. Con sentenza n. 3028/2012 il Tribunale di Palermo ammise in linea privilegiata al passivo della liquidazione coatta amministrativa LAC della SICILCASSA s.p.a. il credito già invano richiesto ai Commissari liquidatori vantato, per complessivi Euro 41.359,69 comprese le somme già ammesse , da S.D. a titolo di riscatto della intera propria posizione contributiva affluita al Fondo Integrativo Pensioni d’ora in poi FIP cui la S. era -iscritta in qualità di dipendente della SICILCASSA oltre agli interessi legali dall’1 novembre 1996 alla liquidazione dell’attivo mobiliare e alla rivalutazione monetaria con la medesima decorrenza e fino alla data di deposito dello stato passivo ai sensi dell’art. 86 d.lgs. n. 385 del 1993. 2. Avverso la suddetta sentenza propose appello la SICILCASSA, in persona dei Commissari liquidatori, eccependo preliminarmente la genericità della domanda avversa e chiedendo, nel merito il rigetto dell’opposizione allo stato passivo. 3. Con sentenza 13 gennaio 2016, n. 18 la Corte d’appello di Palermo ha respinto l’appello e, per l’effetto, ha confermato la sentenza impugnata. 4. Per giungere alla suddetta conclusione la Corte d’appello ha osservato quanto segue a i rilievi della SICILCASSA trovano compiuta risposta nella sentenza appellata che va pienamente condivisa b in particolare, è del tutto conforme alla giurisprudenza di legittimità Cass. 11 dicembre 2002, n. 17657, Cass. 5 giugno 2007, n. 13111 Cass. 21 marzo 2013, n. 7161 Cass. SU 14 gennaio 2015, n. 477 la decisione secondo cui il diritto all’ammissione al passivo non deve essere limitato al solo credito della S. corrispondente alle somme versate dalla stessa pari a lire 570.706 al Fondo, ma in conformità con l’art. 10 del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, applicabile anche ai fondi costituiti prima dell’entrata in vigore del decreto deve comprendere tutti gli accantonamenti previsti dall’art. 8 dello stesso d.lgs. sia del lavoratore, sia del datore di lavoro come quantificati nella sentenza appellata e comprendenti sia quanto versato dalla SICILCASSA sia la quota di spettanza del contributo aggiuntivo annuale, di cui alla lettera b dell’art. 4 del regolamento del FIP c ugualmente infondate sono le censure concernenti il riconoscimento della rivalutazione monetaria e i criteri di computo temporale della stessa e degli interessi legali d infatti, il riconoscimento della rivalutazione monetaria deriva dalla natura retributiva, sia pure con finalità previdenziale, degli accantonamenti in oggetto, quale riconosciuta da Cass. SU 1 febbraio 1997, n. 974 e le modalità di computo temporale degli accessori del credito quali stabilite nella sentenza di primo grado sono conformi alla giurisprudenza di legittimità che sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 1989 ha affermato che la rivalutazione monetaria dei crediti privilegiati dei lavoratori nei confronti delle società poste in LAC decorre dall’inizio della procedura concorsuale fino al deposito dello stato passivo mentre gli interessi legali sui medesimi crediti sono dovuti dalla maturazione del titolo fino al saldo f tale orientamento è del tutto condivisibile. 5. Per la cassazione di tale sentenza la SICILCASSA s.p.a. in LAC, in persona dei Commissari liquidatori, ha proposto ricorso nel quale dopo aver dichiarato espressamente di fare acquiescenza alla parte della sentenza relativa all’affermata riscattabilità dell’intera contribuzione affluita al FIP, in ossequio alla sentenza delle Sezioni Unite n. 477 del 2015 ha formulato due motivi di doglianza. 6. S.D. ha resistito con controricorso. 7. A seguito di contraddittorio camerale ai sensi degli artt. 380-bis, 376 e 375 cod. proc. civ. la Sesta Sezione civile I, con ordinanza 29 agosto 2017, n. 20512, ritenuto che con riguardo all’applicabilità, o meno, alla presente fattispecie del divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 per le prestazioni previdenziali il ricorso pone una questione qualificata di massima di particolare importanza , per le sue ricadute sulla generalità degli iscritti al Fondo di cui si tratta, peraltro con prevalenti implicazioni laburistiche, ne ha sollecitato la rimessione alle Sezioni Unite. 8. Il ricorso è stato perciò assegnato alle Sezioni Unite e discusso all’odierna udienza. 9. Entrambe le parti hanno depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ. Ragioni della decisione I Sintesi delle censure. 1. Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali si denunciano, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. a falsa applicazione dell’articolo 2099 cod. civ. e violazione dell’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., censurandosi la statuizione della sentenza impugnata con la quale è stato riconosciuto il diritto della S. di cumulare interessi e rivalutazione monetaria sul proprio credito primo motivo b violazione dell’art. 80 del TUB Testo Unico Bancario, di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e successive modifiche e integrazioni e dell’articolo 55 della LF legge fallimentare nonché falsa applicazione dell’art. 2751-bis, n. 1, cod. civ. per avere la Corte d’appello ammesso il credito della S. in linea privilegiata anziché in chirografo al passivo della liquidazione coatta amministrativa LAC della SICILCASSA s.p.a. secondo motivo . La società ricorrente sostiene che entrambe le statuizioni contestate sono basate sull’erronea attribuzione della natura retributiva, anziché previdenziale, al credito di cui si tratta. II Esame delle censure. 2. La questione qualificata di massima di particolare importanza sottoposta all’attenzione di queste Sezioni Unite dall’ordinanza di rimessione riguarda l’applicabilità, o meno, del divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto per le prestazioni previdenziali dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, anche ai crediti al credito maturati dal lavoratore, con riguardo alle somme versate nei fondi integrativi, come quello di cui si tratta nel presente giudizio. 3. Tale questione è già stata da tempo esaminata dalla giurisprudenza di questa Corte e la soluzione che ad essa è stata data è del tutto da condividere e va quindi confermata per le ragioni di seguito esposte non essendo stati offerti argomenti idonei a modificarla. 4. Deve essere, in primo luogo, ricordato che il menzionato art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, innovando la disciplina degli effetti del ritardo nella corresponsione delle prestazioni dovute dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria , ha stabilito che tali enti sono tenuti a corrispondere gli interessi legali sulle prestazioni dovute a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l’adozione del provvedimento sulla domanda che risulti completa , precisando, nell’ultimo periodo, che l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione delle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito . Con quest’ultima disposizione è stato sancito il cosiddetto divieto di cumulo fra interessi legali e rivalutazione monetaria riguardo alle prestazioni erogate in ritardo dagli enti suddetti, con la conseguenza che la mora deve essere risarcita mediante la corresponsione della maggior somma rispettivamente risultante dal calcolo degli interessi e da quello della rivalutazione monetaria. 5. Con sentenza 15 ottobre 2002, n. 14617 di queste Sezioni Unite è stato chiarito che quest’ultima disposizione nella sua formulazione originaria, non ancora attinta dalle successive modifiche legislative apportate dall’art. 1, comma 783, della legge 27.dicembre 2006, n. 296 e, successivamente, dall’art. 16, comma 8, lett. b , del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, le quali, peraltro, sono ininfluenti rispetto all’interpretazione offerta nella suindicata sentenza ai fini che qui interessano è stata dettata per assolvere ad una funzione riequilibratrice e di contenimento della maggiore spesa cui erano stati sottoposti i suddetti enti previdenziali per effetto della estensione, riguardo ai crediti per accessori sulle prestazioni da essi erogate in ritardo, del meccanismo di rivalutazione proprio dei crediti di lavoro, imposto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 12 aprile 1991. 6. Con tale ultima decisione era stata infatti dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 442 cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito . Nella stessa ottica, con la successiva sentenza n. 196 del 27 aprile 1993,. la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittima la stessa norma, nella parte in cui non prevede il medesimo trattamento dei crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale nel caso in cui il ritardo dell’adempimento sia insorto anteriormente al 31 dicembre 1991 . Mentre poi, con la sentenza n. 361 del 1996, è stata dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 cit., rilevandosi che con la norma in esame il legislatore, dopo la sentenza n. 156 del 1991, ha fatto valere la necessità di una più adeguata ponderazione dell’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri finanziari, con una scelta compatibile con l’art. 38 della Costituzione. 7. Nel frattempo, con l’art. 22, comma 36, seconda parte, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la disciplina dettata dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 è stata estesa anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza . E con la sentenza n. 450 del 2000 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma per violazione dell’art. 36 Cost., limitatamente alla sua applicazione ai rapporti di lavoro subordinato privato. Nell’occasione la Corte costituzionale ha sottolineato la evidente non riferibilità al rispetto del parametro di cui all’art. 36 Cost. con riferimento ai crediti di lavoro derivanti da rapporti di diritto privato dell’unica ragione giustificatrice, dal punto di vista costituzionale, dell’art. 16, comma 6, cit. individuata nella sentenza n. 361 del 1996 nella necessità di fare fronte ad un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica, configurata come ratio autonoma della norma. 8. Può dirsi, pertanto, che a seguito della suddetta evoluzione interpretativa, si è giunti sia nella giurisprudenza di questa Corte a partire dalla suindicata sentenza di queste Sezioni Unite, cui si è uniformata la successiva giurisprudenza vedi, per tutte Cass. 30 gennaio 2003, n. 1477 Cass. 6 dicembre 2003, n. 19264 Cass. 19 aprile 2004, n. 7392 Cass. 12 luglio 2004, n. 12868 Cass. 23 febbraio 2009, n. 4366 sia nella giurisprudenza della Corte costituzionale a stabilire che la regola della non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute -dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso tali enti, trovando la sua giustificazione nelle suindicate ragioni di tipo finanziario che non possono che riguardare esclusivamente tali enti, che sono gli unici per i quali la tutela degli interessati ad ottenere le prestazioni di spettanza incontra un limite compatibile con l’art. 38 Cost. nel necessario contemperamento con le disponibilità del bilancio pubblico, a carico del quale è finanziato in buona parte il sistema previdenziale Corte cost., sentenze n. 220 del 1988 n. 119 del 1991 n. 361 del 1996 . 9. Nella citata sentenza di queste Sezioni Unite n. 14617 del 2002 è stato anche precisato che ai fini del divieto del cumulo in argomento non rileva soltanto la natura dell’ente ma anche quella dei crediti degli assicurati, sempre che si tratti di crediti da far valere nei confronti dei suddetti enti. Al riguardo è stato precisato che l’individuazione, da parte dell’art. 16, comma 6, cit., della data di scadenza del termine previsto per l’adozione del provvedimento sulla domanda come momento iniziale della decorrenza degli interessi legali porta chiaramente a ritenere che la norma possa trovare applicazione soltanto per i crediti relativi a prestazioni che abbiano natura previdenziale, le quali sono erogate previa domanda proposta dall’interessato, a differenza di quelle aventi natura retributiva. Infatti, mentre per queste ultime vale la regola dell’esigibilità della relativa obbligazione nel momento stesso in cui matura il diritto, invece i crediti previdenziali possono di norma essere fatti valere dagli interessati esclusivamente dopo la presentazione di un’apposita domanda all’ente di competenza, cui da quel momento è riconosciuto un certo lasso di tempo per provvedervi. 10. In questo contesto, a partire da Cass. 28 ottobre 2008, n. 25889, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato l’indirizzo secondo cui la regola della non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria di cui all’art. 16, comma 6, cit. non è applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro, tramite Fondi del tipo di quello della SICILCASSA s.p.a., di natura pacificamente privatistica. A tale conclusione si è pervenuti ribadendosi che il divieto di cumulo d’interessi e rivalutazione monetaria previsto dalla suddetta disposizione si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti gestori di previdenza obbligatoria, in quanto tale divieto ha la sua ratio nella scelta legislativa di contemperare la tutela degli interessati ad ottenere le prestazioni di spettanza con le disponibilità del bilancio pubblico, scelta che in tali termini è compatibile con l’art. 38 Cost. e che, all’evidenza, non si giustifica con riguardo alle prestazioni di natura privatistica corrisposte dai datori di lavoro, come quelle del FIP di cui si tratta nella presente controversia. Questo indirizzo che è da condividere si è consolidato nel tempo ed è stato ribadito anche in molte sentenze che si sono pronunciate in merito alle prestazioni pensionistiche integrative corrisposte dal Fondo della SICILCASSA s.p.a. vedi Cass. 14 settembre 2015, 18041 Cass. 13 ottobre 2015, n. 20526 Cass. 14 ottobre 2015, n. 2017 Cass. 4 settembre 2017, n. 20738 Cass. 5 settembre 2017, n. 20775 Cass. 6 ottobre 2017, n. 23417 Cass. 25 ottobre 2017, n. 25358 . 11. Nel frattempo in continuità con la sentenza della Corte costituzionale n. 421 del 1995, integrata dalla sentenza n. 178 del 2000 con sentenza di questa Sezioni Unite 9 marzo 2015, n. 4684 è stato stabilito che i contributi dei datori di lavoro al finanziamento dei fondi di previdenza integrativa, fin dalla istituzione di tali fondi, non possono definirsi emolumenti retributivi con funzione previdenziale ma costituiscono contribuzioni di natura strutturalmente previdenziale nella stesso senso Cass. 4 aprile 2013, n. 8228 e Cass. 14 giugno 2017, n. 14758 , ponendosi l’accento soprattutto sulla mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa e sulla sostanziale autonomia tra rapporto di. lavoro e previdenza complementare. 12. Quanto alle modalità di calcolo di interessi e rivalutazione sulla cui cumulabilità non incide l’affermata natura previdenziale delle prestazioni pensionistiche integrative corrisposte dal Fondo di cui si tratta, visto che il soggetto tenuto al pagamento resta non assimilabile agli enti gestori di previdenza obbligatoria va considerato che, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, con riguardo agli accessori i crediti previdenziali hanno natura unitaria nel senso che gli accessori costituiscono componenti essenziali di un’unica prestazione. Pertanto, non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie e il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale dell’unica prestazione, alla cui determinazione il giudice deve provvedere anche in assenza di domanda giudiziale. Ne consegue che la domanda di pagamento del residuo credito per rivalutazione monetaria ed interessi legali va maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali, in cumulo tra loro Cass. 28 marzo 2008, n. 8134 Cass. 22 maggio 2008, n. 13213 Cass. 3 settembre 2014, n. 18558 . In particolare, gli interessi legali devono essere calcolati sul capitale rivalutato, con scadenza periodica dal momento dell’inadempimento fino a quello del soddisfacimento del credito Cass. 16 ottobre 2013 . D’altra parte, il diritto alla rivalutazione monetaria diversamente da quel che sostiene la SICILCASSA non deve arrestarsi alla data in cui essa ha ceduto il complesso delle proprie attività e passività al Banco di Sicilia, ma, come affermato dalla Corte territoriale, il dies ad quem è da individuare nel momento in cui è divenuto esecutivo lo stato passivo della LAC vedi, in tal senso Cass. n. 23417 del 2017 cit. . 13. Va, infine, precisato che dall’affermata natura esclusivamente previdenziale dei contributi versati al Fondo in oggetto e del conseguente trattamento pensionistico integrativo da esso corrisposto deriva che, in caso di omesso versamento contributivo, il corrispondente credito insinuato al passivo del fallimento o della LAC del datore di lavoro non è assistito da privilegio Cass. 5 ottobre 2015, n. 19792 . Ciò in quanto tale credito da un lato non ha natura retributiva e d’altra parte ad esso non è certamente applicabile il privilegio generale sui mobili del datore di lavoro previsto per i contributi di previdenza sociale di cui agli artt. 2753 e 2754 cod. civ., in quanto la causa del credito in considerazione della quale la legge accorda tale privilegio deve essere individuata nell’interesse pubblico al reperimento ed alla conservazione delle fonti di finanziamento della previdenza sociale. Tale fine non è tutelato, invece, dagli enti privati, pur portatori di interessi collettivi, che gestiscono forme integrative di previdenza ed assistenza, sicché i contributi non versati dal datore di lavoro, poi fallito non sono assistiti dal predetto privilegio in quanto dovuti non ex lege ma per contratto Cass. 14 dicembre 2015, n. 25173 . 14. Ne deriva che in continuità con quanto affermato da queste Sezioni Unite nelle sentenze n. 14617 del 2002 e n. 4684 del 2015 e dalla successiva giurisprudenza conforme la proposta questione di massima di particolare importanza deve essere risolta nel seguente senso a il trattamento pensionistico erogato dal Fondo Integrativo Pensioni FIP in oggetto ha natura previdenziale, ma ad esso non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 in quanto non è corrisposto da un ente gestore di forme di previdenza obbligatoria, ma da un datore di lavoro privato b essendo il credito de quo previdenziale, ai relativi accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria e quindi gli interessi legali devono essere calcolati sul capitale rivalutato, con scadenza periodica dal momento dell’inadempimento fino a quello del soddisfacimento del credito mentre il diritto alla rivalutazione monetaria ha come dies ad quem quello del momento in cui è divenuto esecutivo lo stato passivo della LAC c peraltro alla affermata natura previdenziale del credito consegue che esso nell’ammissione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della SICILCASSA s.p.a. non è assistito da privilegio. III – Conclusioni. 15. Da quanto si è detto deriva il rigetto del primo motivo di ricorso e l’accoglimento del secondo motivo, nei termini su precisati. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, in relazione al motivo accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, a norma dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., può essere decisa nel merito escludendo l’ammissione in linea privilegiata al passivo della liquidazione coatta amministrativa LAC della SICILCASSA s.p.a. del credito vantato, per complessivi Euro 41.359,69 comprese le somme già ammesse , da S.D. , a titolo di riscatto della intera propria posizione contributiva affluita al Fondo Integrativo Pensioni d’ora in poi FIP in oggetto, come quantificato nella sentenza impugnata con riguardo al cumulo e al calcolo di interessi legali e rivalutazione monetaria. 16. Ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ. si ritiene opportuno enunciare il seguente principio di diritto il trattamento pensionistico erogato dai fondi pensioni integrativi ha natura previdenziale, fin da quando tali fondi sono stati istituiti, ma ad esso non è applicabile il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 in quanto non è corrisposto da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria ma da datori di lavoro privati. Alla affermata natura previdenziale del corrispondente credito consegue, da un lato, che ai relativi accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria e, d’altra parte, che nell’ammissione allo stato passivo del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa del datore di lavoro tale credito non è assistito da privilegio . 17. In considerazione delle vicende della controversia e dell’esito della stessa si ritiene conforme a giustizia compensare, tra le parti, le spese dell’intero processo nella misura di un terzo, condannando la società al pagamento, in favore di S.D. , dei residui due terzi quantificati nella misura liquidata in dispositivo, rispettivamente con riguardo ai vari gradi del giudizio. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, respinge il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, esclude l’ammissione al passivo del credito in linea privilegiata. Compensa, tra le parti, le spese dell’intero processo, nella misura di un terzo, e pone a carico della società gli altri due terzi, quantificati con riferimento all’intero nella medesima misura stabilita rispettivamente nei due gradi di merito del giudizio e per il presente giudizio di cassazione in Euro 200,00 duecento/00 per esborsi ed Euro 5000,00 cinquemila/00 per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.