L’intervento del PM all’udienza prefallimentare è obbligatorio?

Il decisum in commento affronta il tema, di spiccata attualità, del ruolo del Pubblico Ministero nel procedimento per la dichiarazione di fallimento. Nello specifico, si tratta di stabilire se l’intervento del pubblico ministero all’udienza prefallimentare sia, o meno, obbligatorio.

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza n. 12537 depositata il 18 maggio 2017, precisano che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, quando l’iniziativa sia stata assunta dal pubblico ministero, affinché il giudice possa pronunciarsi nel merito è sufficiente che il ricorso sia stato ritualmente notificato all’imprenditore, sicché è irrilevante la mancata partecipazione della parte pubblica all’udienza prefallimentare, non potendosi trarre da tale condotta alcuna volontà, anche solo implicita, di rinunciare o desistere all’istanza presentata. Il fatto. La Corte d’appello di Firenze ha rigettato il reclamo avverso la sentenza di fallimento della Beta s.r.l., argomentando, in particolare, che il fallimento è stato dichiarato ad istanza del PM presso il Tribunale senza violare gli artt. 6 e 7 l. fall Nello specifico, l’iniziativa è derivata dalla preventiva apertura di un procedimento. L’iscrizione nel registro degli atti non costituenti reato, difatti, non esclude che dopo di essa vengano disposte dal PM indagini preliminari con successiva annotazione nel diverso registro delle notizie di reato. In concreto l’istanza di fallimento del PM è seguita ad informazioni della Agenzia delle Entrate dalle quali erano emerse ritenute IRPEF operate e non versate per Euro 103.882,68 nell’anno 2009 Euro 83.494,97 per il 2010 ed Euro 88.660,97 per il 2012. Contro la decisione della Corte fiorentina, la Beta s.r.l. ha proposto ricorso in Cassazione facendo valere due motivi di gravame. Con il primo motivo di censura viene dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 6 e 7, l. fall. in quanto il PM ha assunto la notitia decoctionis al di fuori di un procedimento penale mancando l’iscrizione della notizia nel registro dei reati e, conseguentemente non potendosi determinare l’inizio del procedimento penale e delle indagini preliminari. Con il secondo gravame, invece, si censura la violazione dell’art. 15, comma 2, l. fall. e dell’art. 70 c.p.c. in ordine alla nullità del procedimento dovuta al mancato intervento del PM nella fase prefallimentare. Gli Ermellini, tuttavia, respingono in toto il ricorso chiarendo che è irrilevante la mancata partecipazione della parte pubblica all’udienza prefallimentare. E, aggiungono inoltre che la qualificazione della mancata comparizione del Pubblico Ministero come desistenza dall’istanza di fallimento, prospettata in memoria, costituisce motivo del tutto nuovo ed inammissibile. L’iniziativa del PM nel procedimento per la dichiarazione di fallimento. Essa, dopo la novella della legge fallimentare del 2006 e del successivo d.lgs. 169/2007 cd. correttivo” , può focalizzarsi attorno a due norme di riferimento l’art. 7, l. fall., disposizione che più direttamente ha riguardato i presupposti di tale organo ed, inoltre, gli interventi legislativi, specie sugli artt. 6 e 147, l. fall., che più in generale hanno investito il quadro dei legittimati al promuovimento di tale processo. Il mutamento di fondo nella disciplina di accesso al fallimento, dispiegato attraverso l’accentuazione di una netta dialettica contrappositiva tra parti del processo, quale conseguente all’abrogazione dell’iniziativa d’ufficio, appare, invero, il nuovo contesto ordinamentale in cui operare tale mappatura. Ed è proprio in quest’ottica che vanno lette le spinte a riconoscere nel PM, alternativamente, a volte l’organo pubblico residuato dopo l’esautoramento dei poteri d’ufficio, e dunque investito di un’intensa aspettativa di controllo sulle situazioni di crisi delle imprese ed altre volte una parte, almeno in senso formale, e dunque un soggetto che, promuovendo un – o entrando nel – processo di insolvenza, deve soggiacere alle relative regole organizzative, dalla instaurazione alla fase istruttoria alla finale vicenda provvedimentale ed impugnatoria. Il PM non è titolare di un’autonoma e generale iniziativa, sul modello di quello della parte. Il PM esercita il potere di iniziativa fallimentare soltanto al ricorrere delle ipotesi descritte all’art. 7, qualora ritenga che la segnalazione da lui ricevuta abbia prima facie un qualche fondamento. Il PM, inoltre, non ha la disponibilità degli interessi di indole generale di cui la legge gli affida la tutela allorché presenta la domanda di fallimento ed egli è parte del processo soltanto in senso formale. Il PM una volta esercitata l’azione non può rinunciarvi e non può essere condannato alle spese in caso di soccombenza. Secondo la stessa tesi, ai sensi dell’art. 15, il PM, ancorché non abbia preso l’iniziativa fallimentare, sarebbe comunque parte necessaria del giudizio. Questi principi si riverberano sull’instaurazione del contraddittorio nelle fasi d’impugnazione reclami ex art. 18 e 22, oltre che processo di cassazione . In senso contrario, è stato affermato che per il PM l’azione civile propriamente detta, diversamente da quella penale, non è mai doverosa. Spetta comunque al PM valutare la segnalazione ricevuta, decidendo se proporre o meno ricorso e non verificandosi alcuna precognizione del Tribunale, il quale tratta della nuova iniziativa nell’ambito di un nuovo procedimento. Il contenuto del ricorso del PM per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore. Presso la Cancelleria del Tribunale fallimentare competente il PM deposita il ricorso contenente l’indicazione dei requisiti di legittimazione. Quest’ultimi sono la prova dei requisiti di fallibilità soggettiva dell’imprenditore commerciale contro il quale la dichiarazione di fallimento è proposta, nonché la sommaria indicazione del procedimento penale nell’ambito del quale è emersa la notitia decoctionis o gli estremi della segnalazione proveniente dal Giudice civile. Nella specie, invero, l’esame dei risultati dell’indagine svolta dalla Guardia di Finanza da parte del Pubblico Ministero, sia se preventivamente disposta dall’organo giurisdizionale, in ordine all’esercizio del proprio potere investigativo, sia se eseguita autonomamente dal predetto corpo di Polizia, e trasmessa all’ufficio di procura, rientra pienamente nell’attività istituzionale dell’organo giurisdizionale inquirente. Ove gli esiti dell’indagine evidenzino la notitia decoctionis , peraltro, mediante la rappresentazione di esposizioni debitorie verso il fisco astrattamente idonee a costituire fattispecie incriminatrici speciali, il Pubblico Ministero è pienamente legittimato ad esercitare l’iniziativa di richiedere il fallimento. La partecipazione del PM all’udienza prefallimentare. In conclusione, dunque, come emerge dal decisum in rassegna, occorre ribadire che è del tutto irrilevante la mancata partecipazione della parte pubblica all’udienza prefallimentare, non potendosi trarre da tale condotta alcuna volontà, anche solo implicita, di rinunciare o desistere all’istanza presentata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 dicembre 2016 – 18 maggio 2017, n. 12537 Presidente Didone – Relatore Acierno Fatti di causa La Corte d’Appello di Firenze ha rigettato il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della s.r.l. omissis , sulla base delle seguenti argomentazioni - il fallimento è stato dichiarato ad istanza del p.m. presso il Tribunale senza violare gli artt. 6 e 7 legge fall. In particolare l’iniziativa è derivata dalla preventiva apertura di un procedimento penale. L’iscrizione nel Modello 45 registro degli atti non costituenti reato non esclude che dopo di essa vengono disposte dal p.m. indagini preliminari con successiva annotazione nel diverso registro delle notizie di reato. In concreto l’istanza di fallimento del p.m. è seguita ad informazioni della Agenzia delle Entrate dalle quali erano emerse ritenute IRPEF operate e non versate per Lire 103.882,68 nell’anno 2009 Euro 83.494,97 per il 2010 e Euro 88.660,97 per il 2012. - La dedotta violazione dell’art. 15 comma 2 legge fall. non sussiste in quanto l’intervento del p.m. nella fase prefallimentare non può essere equiparato a quello regolato dall’art. 70 cod. proc. civ. ma la sua posizione processuale deve essere ritenuta identica a quella dei creditori istanti. Ciò che è necessario è che sia stato posto nella condizione di intervenire. Improprio deve, pertanto, ritenersi, il richiamo all’art. 70 cod. proc. civ - Non può desumersi dall’affermazione nella sentenza dichiarativa di fallimento deve essere dichiarato il fallimento della s.r.l. omissis ricorrendo i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dagli artt. 1,5, 147 legge fall. la conclusione che il fallimento è stato dichiarato d’ufficio, essendo incontestata l’istanza del p.m. ed essendo la motivazione coerente con la verifica dei requisiti di fallibilità e lo stato d’insolvenza. Il richiamo all’art. 147 legge fall. deve ritenersi irrilevante. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l. omissis affidandosi a due motivi. Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 7 legge fall. in quanto il p.m. ha assunto la notitia decoctionis al di fuori di un procedimento penale mancando l’iscrizione della notizia nel registro dei reati e, conseguentemente non potendosi determinare l’inizio del procedimento penale e delle indagini preliminari. Non è pertinente, al riguardo, il rilievo dato all’ammontare dei debiti dell’imprenditore verso l’Agenzia delle entrate, ancorché idonei a fondare una notitia criminis. In realtà l’iniziativa fallimentare è sorta dalla segnalazione della Guardia di Finanza sfociata nell’iscrizione nel Modello 45, ovvero non nel corso d’indagini preliminari derivanti dalla preventiva iscrizione della notizia nel registro dei reati. Il motivo è infondato. La ratio dell’art. 7 legge fallimentare, una volta venuto meno il potere del tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è chiaramente nel senso di estendere la legittimazione del p.m. alla presentazione della richiesta, in tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis Cass. 10679 del 2014 23391 del 2016 . Ne consegue che il riferimento contenuto nel comma 1, n. 1 dell’art. 7 della legge fallimentare al riscontro della notitia decoctionis nel corso di un procedimento penale non deve essere interpretato nel senso riduttivo, prospettato nel motivo di ricorso, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo Cass. n. 8977 del 2016 o di terzi. Nel caso di specie l’esame dei risultati dell’indagine svolta dalla Guardia di Finanza da parte del pubblico ministero, sia se preventivamente disposta dall’organo giurisdizionale, in ordine all’esercizio del proprio potere investigativo, sia se eseguita autonomamente dal predetto corpo di polizia, e trasmessa all’ufficio di procura, rientra pienamente nell’attività istituzionale dell’organo giurisdizionale inquirente. Ove gli esiti dell’indagine evidenzino la notitia decoctionis, peraltro, mediante la rappresentazione di esposizioni debitorie verso il fisco astrattamente idonee a costituire fattispecie incriminatrici speciali, il pubblico ministero è pienamente legittimato ad esercitare l’iniziativa di richiedere il fallimento. Il motivo deve essere, in conclusione rigettato. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 15, comma 2, legge fall. e dell’art. 70 cod. proc. civ. in ordine alla nullità del procedimento dovuta al mancato intervento del p.m. nella fase prefallimentare. La sua partecipazione a tale fase, connessa all’assunzione dell’iniziativa di richiedere il fallimento rientra, secondo la parte ricorrente, nell’ambito di applicazione dell’art. 70 cod. proc. civ. Pertanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto richiedere il fascicolo d’ufficio della fase prefallimentare per verificare se il p.m. fosse stato posto in condizione d’intervenire, sussistendone l’obbligo ex art. 7 legge fall. che s’inquadra, come già rilevato, nell’art. 70 cod. proc. civ. La censura è in parte inammissibile in parte infondata. il profilo d’inammissibilità può cogliersi nella carenza d’interesse della parte ricorrente a far valere la censura dal momento che l’esito del procedimento prefallimentare è stato conforme alla richiesta del p.m. di far dichiarare il fallimento. Peraltro deve segnalarsi, in ordine al rilievo d’infondatezza, un orientamento della giurisprudenza di legittimità, coerente con il principio sopra esposto, sviluppatasi con riferimento ai procedimenti nei quali è obbligatorio l’intervento del Pubblico Ministero. Al riguardo è stato affermato che l’omessa notifica del ricorso per cassazione al P.G. presso la corte d’appello in quanto finalizzata a consentire l’esercizio dell’impugnazione, non comporta alcuna conseguenza nei confronti di tale organo e non è causa di inammissibilità quando il provvedimento impugnato sia conforme alle sue conclusioni, poiché l’interesse ad impugnare, in ragione del quale dovrebbe farsi luogo ad integrazione del contraddittorio, è costituito dalla soccombenza, mentre il controllo sulla legittimità della decisione è assicurato dall’intervento del P.G. presso la Corte di cassazione Sez. 1, n. 11211 del 2014 in senso conforme v., già, Sez. 1, n. 5953 del 2008. Deve osservarsi, inoltre, che la qualificazione della mancata comparizione del pubblico ministero come desistenza dall’istanza di fallimento, prospettata in memoria, costituisce motivo del tutto nuovo ed inammissibile. Il precedente citato, comunque sentenza n. 13909 del 2014 non prende posizione sulla qualificazione in termini di desistenza del comportamento processuale del pubblico ministero ed il successivo richiamo giurisprudenziale Cass. n. 8980 del 2016 ha ad oggetto fattispecie del tutto diversa. Il principio di diritto, dunque, è nel senso che nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, quando l’iniziativa sia stata assunta dal pubblico ministero, affinché il giudice possa pronunciarsi nel merito è sufficiente che il ricorso sia stato ritualmente notificato all’imprenditore, sicché è irrilevante la mancata partecipazione della parte pubblica all’udienza prefallimentare, non potendosi trarre da tale condotta alcuna volontà, anche solo implicita, di rinunciare desistere all’istanza presentata. In conclusione il motivo risulta infondato. Al rigetto del ricorso non consegue alcuna statuizione sulle spese processuali in mancanza della parte resistente. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Si dà atto che sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002.