Opposizione allo stato passivo: è sufficiente richiamare i documenti già prodotti in sede di verifica al giudice delegato

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l’opponente è tenuto, a pena di decadenza, solo ad indicare specificamente in seno al ricorso i documenti già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato ne consegue che, in difetto di produzione del documento indicato specificamente in ricorso, il Tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo della procedura fallimentare ove esso è custodito.

Con la pronuncia del 18 maggio 2017, n. 12549, la Corte di Cassazione chiarisce il meccanismo probatorio nel giudizio di opposizione allo stato passivo, precisando che è sufficiente il riferimento a documenti già depositati nella domanda di insinuazione non essendo, per contro, necessario produrre nuovamente i suddetti documenti. Il caso. La sentenza in commento decide su un ricorso avverso la pronuncia, resa all’esito di una opposizione allo stato passivo, promossa da un lavoratore che si era visto rigettare la propria insinuazione al fallimento non avendo dato prova del rapporto di lavoro e non avendo, nel giudizio di opposizione, prodotto i documenti già versati in sede di verifica innanzi al giudice delegato. Il S.C. accoglie il ricorso e rinvia al Tribunale per una valutazione della domanda del lavoratore secondo il principio espresso dalla massima di cui sopra, evidenziando come non sia necessario produrre nuovamente, in sede di opposizione, i documenti già versati in sede di verifica e di insinuazione allo stato passivo. Opposizione allo stato passivo la natura del giudizio. Secondo la giurisprudenza prevalente, ma che viene criticata nella sentenza in commento, il giudizio di opposizione allo stato passivo è regolato dal principio dispositivo, sicché al creditore, la cui domanda sia stata respinta dal giudice delegato, è fatto onere di produrre nuovamente, dinanzi al Tribunale, nel corrispondente procedimento, la documentazione già depositata in sede di verifica del passivo, che non può essere acquisita ex officio . Se la documentazione è già prodotta in sede di verifica? La Corte di Cassazione conferma la natura dispositiva del giudizio di opposizione allo stato passivo ma precisa che, qualora l'opponente abbia tempestivamente indicato in ricorso la documentazione di cui intende avvalersi, facendo riferimento per relationem a quanto già prodotto davanti al giudice delegato con formula non di stile, tale da non lasciare dubbi sull'identità degli atti su cui vuole fondare l'opposizione, e ne abbia contestualmente formulato istanza di acquisizione, non è ravvisabile alcuna sua negligente inerzia idonea a giustificare il rigetto del ricorso per inosservanza dell'onere della prova, potendo quell'istanza essere interpretata come autorizzazione al ritiro della documentazione, applicabile in virtù della sua portata generale anche al procedimento di opposizione allo stato passivo. Opposizione allo stato passivo e onere della prova. In termini generali, comunque, il preteso creditore che proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell'esclusione di un credito del quale aveva chiesto l'ammissione, è onerato dalla prova dell'esistenza del credito medesimo, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c. Qualora il fallimento dinanzi alla pretesa creditoria in tal modo azionata nei suoi confronti, riferita ad una somma dovuta in forza di un contratto a prestazioni corrispettive, formuli eccezione di inadempimento, il riparto degli oneri probatori segue le regole ordinarie. Di talché, mentre il creditore che agisce per l'adempimento la risoluzione o il risarcimento del danno deve provare solo la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell'altrui inadempimento, sul debitore grava l'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Il medesimo criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui il debitore si avvalga dell'eccezione di inesatto adempimento. Giudizio di opposizione allo stato passivo quando il creditore è un lavoratore. Esaminando un caso specifico, come quello oggetto del ricorso in questione, si può quindi affermare che, in base alle regole generali relative all'onere della prova in materia lavoristica, il datore di lavoro - e quindi la curatela fallimentare - è tenuto a provare di aver retribuito il ricorrente nella misura dovuta, essendo onere del lavoratore dimostrare solo ed esclusivamente la quantità e qualità della attività lavorativa prestata. Giudizio di opposizione allo stato passivo quando il creditore è una banca. L'istituto di credito, che prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l'ammissione allo stato passivo, ha l'onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, assolvendo al relativo onere secondo il disposto della norma generale dell'art. 2697 c.c. mediante la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, a fronte della sua posizione di terzo, gli effetti che, in base all'art. 1832 c.c., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall'approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 aprile – 18 maggio 2017, n. 12549 Presidente Nappi – Relatore Fichera Fatti di causa Z.D. impugna per cassazione il decreto del Tribunale di Reggio Emilia, depositato il giorno 8 giugno 2012, che respinse l’opposizione allo stato passivo della omissis s.p.a., in amministrazione straordinaria, relativamente ai crediti per differenze retributive, trattamento di fine rapporto ed indennità sostitutive del preavviso, maturati con il rango prededucibile in forza del rapporto di lavoro dipendente con la società, protrattosi anche dopo la sua soggezione alla procedura concorsuale. Il tribunale affermò, in via preliminare, che la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento, risalente al 5 giugno 2012, essendo intervenuta dopo la rimessione della causa in decisione da parte del giudice relatore, non era idonea a determinare l’interruzione del giudizio. Nel merito ritenne che l’opponente non avesse dato prova del rapporto di lavoro, non avendo prodotto i documenti già versati in sede di verifica innanzi al giudice delegato, limitandosi ad invocarne l’acquisizione su ordine del tribunale, né risultando utile l’unica missiva prodotta in giudizio, proveniente da un soggetto diverso dalla società posta in amministrazione straordinaria. Il ricorso è affidato a cinque motivi il fallimento della omissis s.p.a. non ha spiegato difese. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 300, ultimo comma, c.p.c. e dell’art. 43, terzo comma, l.fall., avendo il tribunale mancato di dichiarare interrotto il processo, nonostante la conversione dell’amministrazione straordinaria in fallimento fosse intervenuta prima che la causa fosse discussa dal collegio. Con il secondo motivo assume la violazione dell’art. 99 L.fall., poiché il tribunale ha ritenuto di non potere neppure esaminare l’opposizione, in mancanza dei documenti già prodotti in sede di verifica dello stato passivo. Con il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 116 e 210 c.p.c. e dell’art. 99 L.fall., poiché il tribunale ha disatteso l’istanza espressamente avanzata dall’opponente, tesa ad ottenere l’acquisizione del fascicolo della fase di verifica dello stato passivo, contenente tutti i documenti rilevanti per la lite. Con il quarto motivo rileva la violazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 20 d.lgs. n. 270 del 1999 e degli artt. 99 e 111 L.fall., nonché vizio di motivazione, ex art. 360, n. 5 , c.p.c., non avendo il giudice di merito fatto applicazione del principio di non contestazione in ordine all’esistenza del rapporto di lavoro dipendente, omettendo altresì di valutare un fatto pacifico, costituito dal licenziamento della ricorrente intervenuto dopo quattro mesi dall’ammissione della società alla procedura di amministrazione straordinaria. Con il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 99, comma quarto, L.fall. e dell’art. 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione, ex art. 360, n. 5 , c.p.c., avendo il tribunale omesso di prendere in esame le prove orali articolate dall’opponente, pure sufficienti a dimostrare il credito vantato. 2. Il primo motivo è infondato. È incontroverso, invero, che la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento della omissis s.p.a., ai sensi dell’art. 69 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, venne disposta dal Tribunale il 5 giugno 2012, dopo che si era già tenuta l’udienza il precedente 12 aprile 2012 davanti al giudice relatore delegato dal presidente del collegio alla trattazione, ai sensi dell’art. 99, comma terzo, L.fall. dunque non essendo prevista alcuna ulteriore udienza di discussione delle parti innanzi al collegio, il termine ultimo, ex art. 300, ultimo comma, c.p.c., entro cui poteva assumere rilevanza un eventuale evento interruttivo, era ormai ampiamente decorso. Va soggiunto che il decreto di conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento, non può costituire causa di interruzione del processo, solo considerato il tenore dell’art. 71, comma 2, d.lgs. n. 270 del 1999, che testualmente prevede la prosecuzione dell’accertamento dello stato passivo, sulla base delle disposizioni contenute nella sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, con la sostituzione del curatore al commissario straordinario - ormai cessato dalle sue funzioni ex lege -, ma senza che si verifichi alcuna interruzione per i giudizi che siano ancora in corso. 3. Il secondo, il terzo e il quinto motivo, avvinti dal comune oggetto, sono fondati nei limiti di cui si dirà. 3.1. Com’è noto, questa Sezione ha più volte affermato che il giudizio di opposizione allo stato passivo, come disciplinato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, novellato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, è regolato dal principio dispositivo, sicché al creditore, la cui domanda ex art. 93 L.fall. sia stata respinta dal giudice delegato, è fatto onere di produrre nuovamente, dinanzi al tribunale, nel corrispondente procedimento ex art. 99 L.fall., la documentazione già depositata in sede di verifica del passivo, che non può essere acquisita ex officio Cass. 14/12/2015, n. 25174 Cass. 16/01/2012, n. 493 Cass. 08/11/2010, n. 22711 . Peraltro, di recente questa Corte ha precisato che qualora l’opponente abbia tempestivamente indicato in ricorso la documentazione di cui intende avvalersi, facendo riferimento per relationem a quanto già prodotto davanti al giudice delegato con formula non di stile, tale da non lasciare dubbi sull’identità degli atti su cui vuole fondare l’opposizione, e ne abbia contestualmente formulato istanza di acquisizione, non è ravvisabile alcuna sua negligente inerzia, idonea a giustificare il rigetto del ricorso per inosservanza dell’onere della prova, potendo quell’istanza essere interpretata come autorizzazione al ritiro della documentazione, ex art. 90 L.fall., applicabile in virtù della sua portata generale anche al procedimento di opposizione allo stato passivo Cass. 21/12/2016, n. 26639 Cass. 14/07/2014, n. 16101 . 3.2. Ritiene il Collegio che il tenore della norma in esame, letta alla luce del principio di non dispersione della prova ormai acquisita al processo ribadito da ultimo da Cass. s.u. 10/07/2015, n. 14475 , nonché delle recenti novelle legislative in tema di deposito telematico obbligatorio delle domande e dei documenti nella verifica dello stato passivo, impongano una puntualizzazione del descritto orientamento. Invero, l’art. 99, comma secondo, n. 4 L.fall. - nel testo vigente, come da ultimo novellato dall’art. 6 d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 - dispone testualmente che nell’opposizione allo stato passivo, il ricorso deve contenere a pena di decadenza l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti . È chiaro, dunque, come la norma in esame imponga all’opponente la mera indicazione dei documenti che abbia già prodotto nel giudizio, vale a dire sia dei documenti nuovi che intenda allegare per la prima volta al ricorso in opposizione, sia di quelli già inseriti nel fascicolo della procedura fallimentare, un tempo attraverso il loro deposito da parte dell’istante nella cancelleria del giudice delegato e oggi - dopo la radicale novella dell’art. 93 L.fall., introdotta dall’art. 17 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 -, trasmessi telematicamente al curatore unitamente alla domanda di insinuazione al passivo e da quest’ultimo depositati in cancelleria, salvo che per i titoli di credito, il cui originale deve essere sempre depositato a cura dell’istante presso la cancelleria del tribunale art. 93, secondo comma, ultima parte, L.fall., come da ultimo novellato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 . Del resto, la natura sommaria del procedimento di verifica dei crediti, incompatibile con un pieno esercizio del diritto alla prova, esteso pure a quelle che non siano di pronta spedizione, rende evidenti le peculiarità del giudizio di opposizione, in seno al quale sorge l’esigenza di accordare all’istante ampia facoltà di articolare prove nuove, anche costituende, palesandosi quindi del tutto priva di rilievo processuale una distinzione tra le produzioni documentali precedenti e quelle contestuali al deposito del ricorso in opposizione, unico essendo il termine di decadenza per l’ingresso nel processo della prova documentale, come imposto dal ridetto secondo comma dell’art. 99 L.fall. 3.3. Se, allora, la decadenza istruttoria di cui si discute dipende soltanto dalla omessa indicazione e non anche dal mancato deposito innanzi al tribunale di quei documenti, già comunque portati alla cognizione del giudice delegato nella fase di verifica dello stato passivo, restano da trarre le conseguenze del caso in tutti quei giudizi in cui l’opponente, pure indicando in ricorso i documenti già prodotti di cui intende avvalersi, ometta tuttavia di depositare tali atti anche nella fase di opposizione allo stato passivo. 3.4. Ora, è noto che nei giudizi di natura impugnatoria, in virtù del richiamato principio dispositivo, i documenti prodotti nel precedente grado di giudizio e custoditi nei rispettivi fascicoli di parte, sono di regola portati alla cognizione del giudice dell’impugnazione attraverso la riproduzione del medesimo fascicolo innanzi al nuovo giudice. Una siffatta disciplina generale, tuttavia, non pare applicabile nel giudizio di opposizione allo stato passivo avuto riguardo, per un verso, al ridetto tenore del secondo comma dell’art. 99 L.fall. e, per altro verso, alla sicura circostanza che nel procedimento di verifica dello stato passivo non si rinviene una distinzione tra fascicolo di parte e fascicolo d’ufficio, unico essendo il fascicolo della procedura fallimentare, nel quale, ai sensi dell’art. 90 L.fall., sono contenuti tutti gli atti, i provvedimenti e i ricorsi attinenti al procedimento , per l’accesso ai quali è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice delegato alla procedura. Va soggiunto che l’unicità del fascicolo nel procedimento di verifica dello stato passivo, è resa oggi ancora più manifesta dalla vigente disciplina sul deposito telematico in cancelleria delle domande di insinuazione allo stato passivo - ormai obbligatorio a decorrere dal 30 giugno 2014 ai sensi dell’art. 16-bis, comma 3, del d.l. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012, come introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 -, poiché tutti i documenti allegati alle istanze, una volta trasmessi dal curatore nella cancelleria del giudice tramite posta elettronica certificata, entrano a fare parte dell’unico fascicolo informatico dell’ufficio, che com’è noto contiene gli atti, i documenti, gli allegati, le ricevute di posta elettronica certificata e i dati del procedimento medesimo da chiunque formati, ovvero le copie informatiche dei medesimi atti quando siano stati depositati su supporto cartaceo art. 9, comma 1, d.m. 11 febbraio 2011, n. 44 . In conclusione, deve ritenersi che una volta inserito nel fascicolo fallimentare - un tempo mediante il deposito cartaceo e oggi per via esclusivamente telematica -, il documento di natura probatoria prodotto dal creditore istante, entri a fare parte dell’unico fascicolo della procedura tenuto all’attualità in modalità informatica e come tale sia destinato, in caso di successiva impugnazione dello stato passivo, ad essere acquisito - com’è proprio di qualsivoglia atto contenuto nel fascicolo d’ufficio - nella sfera di cognizione del giudice dell’impugnazione, alla sola condizione che esso sia stato espressamente indicato dalla parte che impugna in seno al ricorso in opposizione. 3.5. Va pronunciato allora il seguente principio di diritto Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, l’opponente è tenuto, a pena di decadenza, solo ad indicare specificatamente in seno al ricorso i documenti già prodotti nel corso della verifica dello stato passivo innanzi al giudice delegato ne consegue che, in difetto di produzione del documento indicato specificatamente in ricorso, il tribunale deve disporne l’acquisizione dal fascicolo della procedura fallimentare ove esso è custodito . 3.6. Ha errato allora il tribunale nel respingere senz’altro l’istanza tesa ad acquisire dal fascicolo fallimentare i documenti indicati in istanza, come ha errato, a fronte delle prove orali tempestivamente articolate dall’opponente - tutte tese a dimostrare la prosecuzione del rapporto di lavoro dopo l’ammissione della società alla procedura di amministrazione straordinaria -, nell’omettere perfino di pronunciare sulle predette richieste istruttorie, limitandosi ad affermare apoditticamente che la documentazione già in atti era inidonea a dimostrare il credito vantato. 4. Il quarto motivo è infondato. Non può sostenersi che il commissario straordinario non abbia specificatamente contestato i fatti posti a fondamento della pretesa creditoria avanzata dalla lavoratrice, solo considerato che è stato eccepito il difetto di prova del credito nell’an e nel quantum . Occorre peraltro riaffermare che il principio di non contestazione, oggi codificato quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo, solo perché non sia stato contestato dal curatore o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica , competendo al giudice delegato e al tribunale fallimentare il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove Cass. 06/08/2015, n. 16554 . 5. In definitiva, respinti il primo e il quarto motivo ed accolti il secondo, il terzo e il quinto motivo, il decreto impugnato va cassato, in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Reggio Emilia, in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto enunciato, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il secondo, terzo e quinto motivo, rigetta i restanti. Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti rinvia al Tribunale di Reggio Emilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.