Saldo di conto corrente contestato? Al correntista l’onere della prova

Non può aderirsi all'interpretazione secondo cui, in ragione del principio di prossimità o vicinanza della prova, doveva essere la Banca a fornire la documentazione che la cliente non aveva avuto cura di conservare.

Infatti, il richiamato principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone incumbit un onus probandi ei qui dicit non ei qui negat , deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti, ma esige l'impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall'obbligo richiamato dall'art. 117 TUB, secondo cui, in materia bancaria, i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti . L'assunto per cui tale consegna non sarebbe avvenuta, avrebbe dovuto costituire oggetto di una apposita e tempestiva documentata istanza all'Istituto di credito analoghe considerazioni valgono in relazione agli estratti conto non depositati e mancanti, comunque utili alla ricostruzione dell'andamento del rapporto. Non hanno fondamento le censure con le quali si lamenta il mancato accertamento dell'esistenza di clausole anatocistiche vietate attraverso l'ammissione di una CTU di tipo contabile, così facendosi residuare l'onere documentaristico sulle spalle della banca convenuta la richiesta tende a conseguire sotto altre spoglie, e persino attraverso un'inedita inversione dell'onere della prova, il medesimo risultato che si è negato attraverso le strade sopra già percorse. Con l’ordinanza del 12 settembre 2016, n. 17923, il S.C. chiarisce i termini dell’onere probatorio con particolare attenzione ai giudizi promossi da clienti nei confronti della banca per la esatta determinazione del saldo di conto corrente. Il caso. La Cassazione conferma la decisione di appello relativamente alle contestazioni mosse da un correntista nei confronti della propria banca in punto di saldo di conto corrente. Il Tribunale, infatti, in sede di appello, aveva rigettato la domanda del correntista sul rilievo che non sarebbero stati prodotto gli estratti di conto corrente relativi al rapporto contestato, nè il correntista avrebbe provato di averne fatto richiesta alla banca senza ottenerli. In tale contesto, il S.C. ribadisce il principio espresso dalla massima in epigrafe evidenziando come spetti comunque all’attore – correntista fornire le prove a supporto delle proprie domande. Onere della prova e giudizio a chi spetta la prova. Secondo la pacifica giurisprudenza, di merito e di legittimità, la parte che agisce in giudizio, sia essa la banca o il correntista, a seconda che si tratti di un'azione di recupero credito o di un'azione di ripetizione d'indebito, deve ottemperare all'onere probatorio posto dall'art. 2697 c.c., superando sul punto il criterio talvolta utilizzato della c.d. vicinanza della prova, privo di adeguato supporto normativo. Infatti, come nel caso di specie, solo la produzione del contratto e di tutti gli estratti conto emessi dall'inizio alla chiusura del rapporto consente la ricostruzione integrale del rapporto con dati contabili certi, e quindi l'esatta determinazione del saldo, depurato da eventuali interessi ultralegali, usurari e anatocistici, non potendo tale accertamento essere operato con criteri presuntivi, approssimativi o equitativi come il c.d. saldo zero. Onere della prova ed istanza di esibizione come e perché. Analogamente, secondo la giurisprudenza costituisce principio fermo quello secondo cui l'esibizione a norma dell'art. 210 cod. proc. civ. non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante. La parte ricorrente, in quanto società di capitali - per ovvie ragioni di ostensione, anche a terzi soci e contraenti , della propria contabilità - ha il dovere, prima ancora che l'onere, di conservare la documentazione bancaria e, solo in caso di eccezionale allegazione di particolari eventi, avrebbe potuto richiedere, anteriormente al giudizio e, se necessario, con apposita domanda giudiziale, di ricostruire la propria per mezzo di quella conservata dalla Banca. Onere della prova e giudizio fallimentare. La necessità di fornire una prova dell’importo rivendicato trova puntuale attuazione anche nel caso in cui l'istituto di credito prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l'ammissione allo stato passivo in tal caso, la banca ha l'onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, assolvendo al relativo onere secondo il disposto della norma generale dell'art. 2697 c.c. mediante la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, a fronte della sua posizione di terzo, gli effetti che, in base all'art. 1832 c.c., derivano, ma soltanto tra le parti del contratto, dall'approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni. Onere della prova ed obbligo di contestazioni specifiche. Sotto una diversa prospettiva, qualora l'Istituto di Credito produca in giudizio tutti gli estratti conto relativi al rapporto controverso, il debitore non può limitarsi alla generica contestazione di nulla dovere o di dovere in misura inferiore dovendo muovere specifici appunti sulle singole poste dalle quali discende il saldo in favore della Banca. Onere di conservazione delle scritture o onere della prova del credito? Da ultimo, si osserva che l'onere di conservazione della documentazione contabile da parte della banca non va confuso con l'onere della prova del credito, giacché il fatto che l'azienda di credito non è tenuta a conservare le scritture contabili oltre i dieci anni dalla loro ultima registrazione non esonera la stessa banca che vi è tenuta dall'onere di provare il proprio credito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 1 luglio – 12 settembre 2016, n. 17923 Presidente Ragonesi – Relatore Genovese Fatto e diritto Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380-bis cod, proc. civ. Con sentenza in data 25 gennaio 2014, il Tribunale di Catanzaro ha accolto l'appello proposto dalla Banca Popolare di Crotone SpA, nei confronti del signor L.A., contumace, contro la sentenza del giudice di Pace di Davoli che, a sua volta, aveva condannato la Banca al pagamento, in favore del correntista, di una somma di denaro, previa dichiarazione della nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e ricostruzione del rapporto di conto corrente, a titolo di restituzione delle somme non dovute. Sul gravarne della Banca, il Tribunale ha riformato la sentenza di prime cure e condannato il correntista alla restituzione di quanto ricevuto, oltre che alle spese giudiziali. Avverso la sentenza del Tribunale, l'A. ha proposto ricorso, con atto notificato l'11 marzo 2015, sulla base di tre motivi con i quali lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 157, 159, 160 e 170 c.p.c. ed altre norme di diritto e vizi motivazionali. La Banca non ha svolto difese. Il ricorso appare manifestamente infondato atteso che a quanto alla prima censura, con la quale afferma la nullità della sentenza per l'irregolare notificazione dell'appello, si osserva che, dalla consultazione del fascicolo d'ufficio, risulta che la citazione di appello da parte della Banca è stata regolarmente notificata al signor A., presso lo studio posto in via Nazionale di Monasterace del suo difensore in prime cure, l'avv. S. avviso di ricevimento n. 2807/A del 30-31 luglio 2008 in atti e che corrisponden anche a quello dell'odierno difensore in Cassazione cfr. frontespizio del fascicolo di parte depositato b quanto al secondo mezzo di ricorso, esso si palesa del tutto improcedibile, ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ_, così come modificato dall'art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che onera la parte di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda , non avendo il ricorrente provveduto al deposito dei documenti sui quali il ricorso si basa sentenza del giudice di pace di Davoli estratti conto che avrebbero, a dire del ricorrente, permesso la completa ricostruzione del rapporto di dare ed avere, non tenuti in considerazione dal giudice di appello c che, peraltro, la ratio decidendi contenuta della sentenza di appello appare plausibile, in quanto è principio fermo Sez. l,, Sentenza n, 17948 del 2006 quello secondo cui l'eribizione a norma dell'art. 210 cod. proc. ciré. non pure in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante. d che, infatti, il principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone incumbit, un onus probandi ei qui dicit non ei qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti ma esige l'impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall'obbligo richiamato dall'art. 117 'l'UB, secondo cui, in materia bancaria, I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. 11 che, a tal riguardo e nella specie, il ricorrente, da un lato, afferma che tale consegna non sia avvenuta ciò che avrebbe dovuto costituire oggetto di una apposita e tempestiva documentata istanza all'Istituto di credito e, da un altro, postula una possibilità di ricostruzione completa del rapporto contrattuale sulla base degli estratti conto che, tuttavia, non sono bastati al primo giudice il quale, nel disporre una CTU reputata in sede di appello come esplorativa, ha disposto sto proprio l'acquisizione del contratto di apertura del conto corrente e che, infine, il terzo mezzo relativo alla riforma della statuizione di liquidazione equitativa della somma dovuta dalla banca, la censura appare assorbita dalla reiezione del secondo mezzo, potendo liquidarsi una somma solo se è provato che essa è dovuta, ciò che difetta nella specie. In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi degli artt. 380-bis e 375 n. 5 c.p.c. . Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse osservazioni critiche che, perciò, il ricorso, manifestamente infondato, deve essere respinto, in applicazione dei richiamati ed enunciati principi di diritto che, alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, atteso che l'intimata non ha ivi svolto difese, ma solo il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte, Respinge il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quarer,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art 13.