La scoperta della dolosa dissimulazione dopo l’omolga dell’attivo cosa comporta?

La fattispecie oggetto di esame da parte del giudice della legittimità mette in luce un aspetto purtroppo frequente nelle procedure concorsuali, ossia l’occultamento di attivo da parte di società debitrici.

Nello specifico, si tratta di stabilire se un’operazione distrattiva di immobili - attraverso la quale gli amministratori di una s.r.l. avevano continuato a finanziare per anni un’altra società non più controllata da quella da loro gestita, cagionando a quest’ultima un danno quantificabile nella misura corrispondente ai finanziamenti erogati e non più recuperabili - scoperta solo da parte del commissario giudiziale in data successiva all’omologazione di un concordato preventivo, comporti, o no, il venir meno della dolosa dissimulazione di una parte dell’attivo, ex art. 138 l. fall., con il conseguente annullamento del concordato. E, i giudici della Prima sezione civile di piazza Cavour, con la sentenza n. 11395, depositata il primo giugno 2016, chiariscono che l’intervenuta comunicazione della circostanza all’esperto nominato dal tribunale per la valutazione delle partecipazioni offerte ai creditori, in data anteriore al deposito della proposta integrativa omologata non comportava il venir meno della dolosa dissimulazione di una parte dell’attivo, atteso che solo in data posteriore all’omologa era emerso il fatto che disvelava la condotta pregiudizievole degli amministratori e che pertanto pur nell’ipotesi meno grave considerata, in cui la responsabilità degli stessi sarebbe derivata solo dall’aver finanziato una società non più controllata non sarebbe stato possibile, in precedenza, cogliere il nesso che collegava sussistenza ed entità del credito risarcitorio dissimulato alla risoluzione. Il fatto. Il Tribunale di Napoli, su ricorso del commissario giudiziale, aveva annullato il concordato preventivo omologato dalla Beta in seguito Gamma s.r.l. in liquidazione e, con contestuale, separata sentenza, ne dichiarava il fallimento. Il reclamo proposto dalla Gamma s.r.l. contro le due citate decisioni, fondato sulla dedotta insussistenza dei presupposti per l’annullamento del concordato, era stato respinto dalla Corte territoriale partenopea. In particolare la Corte d’appello di Napoli, si conformava al giudizio di prime cure , secondo il quale nella proposta di concordato erano stati taciuti fatti che avrebbero potuto determinare la proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della Gamma s.r.l., per aver adottato decisioni contrarie agli interessi della società, cagionandole un danno valutabile quantomeno nella misura di cinque milioni di euro, ed aveva escluso che il credito derivante dall’esercizio di tale azione fosse compreso fra quelli ceduti ai creditori concordatari ed aveva pertanto ritenuto ricorrente la fattispecie della dolosa dissimulazione dell’attivo, contemplata dall’art. 138, l. fall., quale causa di annullamento del concordato. Avverso quest’ultima decisione la Gamma s.r.l. ricorreva per cassazione facendo valere tre motivi, cui resisteva il Fallimento con controricorso. E, gli Ermellini, precisano che se la società, pur avendo affermato di voler offrire ai creditori l’intero suo patrimonio, abbia in realtà intenzionalmente sottratto alla cessione l’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci e, conseguentemente, le liquidità realizzabili attraverso il suo esercizio ciò certamente non può escludersi solo perché la Gamma s.r.l. è stata ammessa alla procedura o perché il concordato è stato omologato, atteso che, come si desume chiaramente dal disposto degli artt. 173 e 186, 138, l. fall., né il provvedimento di ammissione né quello di omologazione presuppongono l’interpretazione autentica” e definitiva dei termini della proposta né, tantomeno, comportano l’implicita integrazione della manifestazione di volontà in essa contenuta. La Suprema Corte rigetta quindi il ricorso della ricorrente e la condanna altresì al pagamento delle spese processuali. Gli atti fraudolenti del debitore causano la revoca ovvero l’annullamento del concordato. In presenza di un concordato preventivo con cessione di beni, il debitore deve mettere a disposizione del commissario giudiziale tutti i beni che fanno parte del suo patrimonio. Qualora prima dell’ammissione commetta atti di sottrazione o dissimulazione in modo doloso di una parte significativa dei beni a scapito dei creditori, e questi non vengano informati al momento del voto, il concordato preventivo è soggetto alla revoca allorché si venga a conoscere di tali atti fraudolenti prima dell’omologazione, oppure all’annullamento qualora la loro conoscenza si verifichi a concordato omologato Trib. Ascoli Piceno, 18 dicembre 2009, in Giur. comm ., 2011, II, 209 . La risoluzione del concordato preventivo può essere causata dalla dissimulazione dell’attivo. In virtù della risoluzione vengono retroattivamente meno gli effetti prodotti dal concordato omologato, sicché essa in linea di principio segna la reviviscenza delle situazioni soggettive facenti capo ai creditori prima dell’emissione del decreto di omologazione e della connessa chiusura della procedura, nella logica della neutralizzazione delle vicende che, in virtù di quest’ultimo provvedimento, hanno interessato le stesse. Invero, le cause di annullamento del concordato si risolvono in azioni od omissioni suscettibili, in linea di principio, di venire in rilievo anche in funzione della revoca del decreto di ammissione dell’imprenditore alla procedura, ai sensi dell’art. 173, l. fall. Ciò non implica, tuttavia, una piena coincidenza dei presupposti oggettivi della revoca e dell’annullamento atteso che la prima si lega ad atti o comportamenti che non sempre possono dare adito al secondo. Basti pensare, in tale ottica, che ad esempio la dissimulazione dell’attivo, che senza dubbio assume ex se rilievo nel quadro della disciplina della revoca, si presta a configurare cause di annullamento del concordato preventivo soltanto in quanto, come nella specie, assumano profili di particolare gravità, investendo una parte rilevante delle attività patrimoniali. Tuttavia, l’istituto dell’annullamento non può prestarsi a contrastare atti o condotte fraudolente del debitore, che gli organi del concordato e i creditori abbiano avuto modo di conoscere e valutare nel corso della procedura, senza farne discendere alcuna conseguenza sul fisiologico svolgimento della stessa e sul suo approdo all’omologazione. La dissimulazione dell’attivo deve essere rilevante. La sottrazione o dissimulazione dell’attivo può realizzarsi sia attraverso l’occultamento diretto di beni o diritti che dovrebbero far parte dell’attivo concordatario, sia attraverso la loro omessa menzione ovvero attraverso la messa in opera di artifici atti a creare l’apparenza della loro appartenenza a terzi, come nel caso che qui ci occupa, laddove attraverso un’operazione di spin off immobiliare veniva simulata la risoluzione di contratti di leasing e la rivendita di immobili ad una società terza, non controllata dalla stessa cedente. Peraltro, la parte di attivo sottratta o dissimulata deve essere rilevante, cioè non marginale, ma tale da incidere nel processo causale di formazione del consenso dei creditori votanti. Nel caso de quo , si trattava di circa cinque milioni di euro, costituente, appunto, una posta attiva sottratta o dissimulata di notevole rilevanza rispetto a quanto era stato offerto col concordato. L’operazione distrattiva di immobili operata dagli amministratori è contraria ad ogni criterio ispirato alla c.d. business judgement rule. Secondo la regola della business judgement rule al giudice è precluso il potere di sindacare l’opportunità delle scelte gestionali compiute dagli amministratori, dal momento che dette scelte sono manifestazione dei loro poteri discrezionali e, per questa ragione, insindacabili ex post . Detta regola di giudizio è mutata dall’esperienza statunitense nella quale la business judegement rule opera nel senso che il giudice investito del giudizio sulla responsabilità dell’amministrazione in relazione ad una determinata decisione, al ricorrere di determinati presupposti, non può condannare l’amministratore in base ad un giudizio sulla ragionevolezza della scelta, ma solo se essa risulta del tutto irrazionale. E, concludendo, nel caso in rassegna, è stata certamente irragionevole la scelta degli amministratori della Gamma s.r.l. che avevano inspiegabilmente continuato a finanziare per anni una società non più controllata da quella da loro gestita, cagionando a quest’ultima un danno quantificabile nella misura corrispondente ai finanziamenti erogati e sicuramente non più recuperabili, atteso che la società terza non solo aveva perso la possibilità di riscattare gli immobili, ma era totalmente incapiente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 gennaio - 1 giugno 2016, n. 11395 Presidente Didone – Relatore Cristiano Svolgimento del processo Il Tribunale di Napoli, su ricorso del Commissario Giudiziale, annullò il concordato preventivo omologato della Costruzioni Napoletane in seguito C.N. s.r.l. in liquidazione e, con contestuale, separata sentenza, dichiarò il fallimento della società. Il reclamo proposto da C.N. contro le due decisioni, fondato sulla dedotta insussistenza dei presupposti per l’annullamento del concordato, è stato respinto dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza dell’11.6.014. La corte del merito ha condiviso l’assunto del primo giudice, secondo cui nella proposta di concordato erano stati taciuti fatti che avrebbero potuto determinare la proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di C.N., per aver adottato decisioni contrarie agli interessi della società, cagionandole un danno valutabile quantomeno nella misura di 5 milioni di Euro, ed ha escluso che il credito derivante dall’esercizio di tale azione fosse compreso fra quelli ceduti ai creditori concordatari ha pertanto ritenuto ricorrente la fattispecie della dolosa dissimulazione di parte rilevante dell’attivo, contemplata dall’art. 138 l. fall. quale causa di annullamento del concordato. La sentenza è stata impugnata da C.N. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il Fallimento ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Non hanno svolto difese la Banca Popolare di Ancona, creditrice ad istanza della quale è stato dichiarato il fallimento, né Ediltecna s.r.l., intervenuta nel procedimento di merito in adesione alla posizione della reclamante. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 160, 172, 173, 184, 186, l. fall., 2697, 2740, 2910 c.c., oltre che vizio di motivazione, sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, la proposta concordataria contemplava anche la cessione dei crediti eventuali nascenti dall’azione di responsabilità. Osserva al riguardo che l’offerta di cessione dei propri beni e dei propri crediti, che non ne escludeva alcuno, doveva necessariamente intendersi come onnicomprensiva, tanto più che, secondo il prevalente orientamento dottrinario e giurisprudenziale, un concordato avente natura esclusivamente liquidatoria che preveda una cessione solo parziale dei beni sarebbe inammissibile. Contesta l’assunto del giudice a quo, dell’irrilevanza della predetta questione di diritto una volta che il concordato sia stato omologato. Deduce, inoltre, che l’affermazione della corte del merito secondo cui essa, in sede di integrazione della domanda, aveva modificato l’originaria proposta che prevedeva la cessione di tutti i crediti, limitandola a quelli relativi alla gestione caratteristica dell’impresa, deriverebbe dall’omesso esame sia dell’atto integrativo, cui era allegato il riepilogo delle poste attive comprendente anche i crediti verso controllate e collegate, i crediti verso altri e i crediti tributari ed in cui si specificava che l’offerta era garantita dalla cessione pro soluto di tutti i crediti , sia del provvedimento di omologazione, nel quale, analogamente, era precisato che il piano concordatario sarebbe stato attuato, fra l’altro, attraverso la cessione pro soluto ai creditori di tutti i crediti vantati . 2 Il motivo non merita accoglimento. 2.1 Va innanzitutto rilevato che l’accertamento dell’effettivo contenuto della proposta concordataria è questione implicante una tipica valutazione in fatto, che va compiuta dal giudice del merito sulla scorta delle norme che presiedono all’interpretazione dei contratti. La volontà del proponente di includere determinate attività fra i beni oggetto di cessione ai creditori non può dunque desumersi, a contrario ed ex post , dalla pretesa inammissibilità di un concordato liquidatorio che preveda una cessio bonorum non integrale. Peraltro, al di là della dubbia condivisibilità dell’assunto di diritto, l’argomento è del tutto fuorviante, in quanto C.N. non ha esplicitamente prospettato ai creditori una cessione parziale dei propri beni il che avrebbe, in tesi, giustificato l’immediata declaratoria di inammissibilità della proposta . In questa sede è invece in discussione se la società, pur avendo affermato di voler offrire ai creditori l’intero suo patrimonio, abbia in realtà intenzionalmente sottratto alla cessione l’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci e, conseguentemente, le liquidità realizzabili attraverso il suo esercizio ciò che certamente non può escludersi solo perché C.N. è stata ammessa alla procedura o perché il concordato è stato omologato, atteso che, come si desume chiaramente proprio dal disposto degli artt. 173 e 186/138, l. fall. né il provvedimento di ammissione né quello di omologazione presuppongono l’interpretazione autentica e definitiva dei termini della proposta né, tantomeno, comportano l’implicita integrazione della manifestazione di volontà in essa contenuta. 2.2 Parimenti infondate, se non inammissibili, sono le ulteriori censure illustrate nel mezzo sotto il profilo del vizio di motivazione. La ricorrente muove, in primo luogo, da una personale ed errata lettura della sentenza impugnata, che si è limitata a stabilire che l’indagine andava condotta a partire dal contenuto della proposta concordataria omologata, ovvero di quella integrata presentata il 28.5.2010, ma non ha mai accertato che, a differenza di quest’ultima, l’originaria proposta contemplava la generalizzata cessione di tutti i crediti. La sentenza richiama poi espressamente le previsioni della proposta integrativa riportate anche nel provvedimento di omologazione , ivi compresa quella della cessione pro-soluto ai creditori di tutti i crediti vantati è dunque palese l’inconsistenza della doglianza che denuncia l’omesso esame di detta previsione e che appare, piuttosto, volta a richiederne una diversa interpretazione. Va esclusa, da ultimo, la decisività, al fine di una diversa soluzione della questione qui controversa, del documento riepilogativo delle poste attive di cui la corte del merito non ha tenuto conto, atteso che fra i crediti in esso elencati ancorché di varia natura e non solo relativi ai corrispettivi maturati da C.N. per gli appalti certamente non sono compresi quelli futuri derivanti dall’esercizio dell’azione di responsabilità. Poco importa, pertanto, se il giudice a quo, nell’affermare che i crediti ceduti erano tutti inerenti alla gestione caratteristica dell’impresa, abbia inteso riferirsi ai soli crediti per SAL e per SIL e non anche ai crediti tributari e/o a quelli verso imprese controllate e collegate e verso terzi al contrario, proprio il fatto che il riepilogo di cui si è detto contemplasse anche questi ultimi ma non contenesse neppure un accenno a quelli risarcitori vantati da C.N. nei confronti di amministratori e sindaci, conferma l’assunto secondo cui - in mancanza di una clausola generale volta a chiarire che la cessione comprendeva anche ogni altra azione, diritto o credito della società non specificamente individuato , che sarebbe bastata ad assegnare al trasferimento un contenuto onnicomprensivo - tale puntuale elencazione conduceva ad escludere che la società avesse inteso cedere anche i crediti non menzionati. 3 Col secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 160, 172, 173, 138, 184, 186, l. fall., 1439, 2697, 2740, 2910 c.c., ed ulteriore vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale abbia ritenuto applicabili, in materia di annullamento del concordato omologato, principi giurisprudenziali enunciati in tema di revoca ex art. 173 l. fall., del provvedimento di ammissione alla procedura e sostiene che tale errore avrebbe condotto il giudice a ritenere sufficiente all’annullamento il mero scarto - la differenza quantitativa e qualitativa - fra le informazioni da essa fornite nella proposta di concordato e quanto successivamente emerso a seguito degli accertamenti compiuti dal Commissario giudiziale. Sostiene inoltre, quanto alla doglianza prospettata ai sensi del n. 5 dell’art. 360 1 comma, c.p.c. che tale scarto neppure ricorreva, atteso che le vicende che, a dire della corte napoletana, non erano state rappresentate nella domanda di concordato avevano interessato soggetti terzi e, comunque, erano state comunicate all’esperto nominato dal tribunale per la valutazione delle partecipazioni offerte ai creditori in data anteriore al deposito della proposta integrativa omologata, sicché doveva escludersi che si trattasse di vicende non note, scoperte dal Commissario giudiziale dopo l’omologazione. 4 Le censure qui sintetizzate di non facile enucleazione, stante la continua sovrapposizione, all’interno del motivo, fra l’una e l’altra delle ragioni di annullamento prospettate, la cui esposizione, è per di più, intervallata dal richiamo di interi passi dell’atto di reclamo e della sentenza vanno dichiarate inammissibili. Le vicende sottese alla domanda di annullamento sono state puntualmente riepilogate dal giudice del merito i C.N. all’epoca D.L. Costruzioni vendeva a Locafit, nel giugno 2003 e nel marzo 2004, una serie di immobili di sua proprietà, siti in XXXXXX ed in XXXX, al prezzo di 10 milioni di Euro ii contestualmente Locafit concedeva gli immobili in locazione finanziaria ad ICIA, società controllata da C.N. che ne possedeva il 92,16% del capitale sino al novembre del 2003, allorché il 90% delle quote era stato ceduto a D.L.M. e D.L.G. quest’ultimo A.U. di C.N. iii ICIA concedeva a sua volta gli immobili in locazione ordinaria a C.N., che le versava 1.500.000 Euro in deposito cauzionale in tal modo fornendole la provvista finanziaria per il versamento del cd. maxicanone e canoni annui per complessivi 550.000 Euro iv i contratti di locazione finanziaria venivano risolti da BNP incorporante Locafit nel novembre del 2009 per l’inadempimento di ICIA v nello stesso mese BNP vendeva gli immobili ad HTC, società le cui quote erano detenute dalla fiduciaria Cordusio, al prezzo di 6.680.000 Euro vi il liquidatore di C.N., in fase di apertura del bilancio di liquidazione, stornava dal conto la somma di Euro 1.000.000 riferita al finanziamento in favore di ICIA in quanto la società, sostanzialmente priva di qualsiasi attività, non era in grado di restituirla. Il giudice a quo ha quindi rilevato che nella proposta di concordato C.N. non aveva fatto alcun cenno alle vendite eseguite nel 2004, alla cessione delle quote della ICIA ai D.L. , alla risoluzione dei contratti di leasing in epoca prossima alla presentazione della domanda di concordato, né, infine, all’immediata ricollocazione degli immobili sul mercato a favore di HTC ed ha osservato che le circostanze taciute, e successivamente scoperte dal Commissario giudiziale, inerivano ad una rilevantissima operazione di spin off immobiliare che - a prescindere dalla ritenuta simulazione assoluta della risoluzione dei leasing e dalla rivendita degli immobili ad una società presumibilmente riconducibile ai D.L. - non trovava giustificazione, atteso che C.N. aveva ceduto le quote di ICIA e che, ciò nonostante, l’aveva finanziata, senza avere più neppure la possibilità di recuperare il finanziamento ha pertanto affermato che, pur in mancanza dei necessari approfondimenti della vicenda non essendo stato ancora chiarito se sin dall’inizio fosse stata progettata un’operazione distrattiva degli immobili , tale irragionevole scelta degli amministratori, contraria ad ogni criterio ispirato al c.d. business judgement rule, bastava ad integrare una loro responsabilità risarcitoria verso la società ed a quantificare il pregiudizio risarcibile, nell’ipotesi loro più favorevole, nella misura di circa 5 milioni di Euro pari all’importo dei canoni versati, del maxicanone e del finanziamento non recuperabile, nonché della rinuncia ai crediti verso ICIA costituente posta attiva sottratta o dissimulata di notevole rilevanza rispetto a quanto offerto col concordato. Da quanto sin qui esposto, e pur nell’indubbia sovrabbondanza della motivazione, la decisione risulta in definitiva sorretta dal fondamentale rilievo dell’omessa enunciazione, nella proposta di concordato, di una circostanza di fatto la cessione, avvenuta nel novembre 2003, delle quote di ICIA ai D.L. sufficiente al promovimento dell’azione di responsabilità verso gli amministratori di C.N., che avevano inspiegabilmente continuato a finanziare per anni una società non più controllata da quella da loro gestita, cagionando a quest’ultima un danno quantificabile nella misura corrispondente ai finanziamenti erogati e sicuramente non più recuperabili, atteso che ICIA non solo aveva definitivamente perso la possibilità di riscattare gli immobili, ma era totalmente incapiente. Il motivo in esame che sembra trascurare che secondo la corte del merito l’attivo dissimulato non era costituito dagli immobili, ma dal credito risarcitorio , sorvola totalmente sulla predetta circostanza, ancorché ritenuta determinante dal giudice a quo ai fini dell’individuazione della condotta pregiudizievole degli amministratori atteso che, come lo stesso giudice non ha mancato di sottolineare, in assenza del trasferimento della pressoché integrale titolarità del capitale di ICIA da C.N. ai D.L. , l’operazione di dismissione degli immobili, siccome compiuta in favore di una controllata, avrebbe potuto ricevere giustificazione e non pone in discussione quanto accertato in sentenza in ordine alla sua mancata enunciazione nella proposta di concordato ed alla sua scoperta da parte del Commissario Giudiziale solo in data successiva all’omologazione. La ricorrente non ha contestato neppure la quantificazione in circa 5 milioni di Euro del danno presumibilmente cagionato dagli amministratori con la loro condotta, né ha mosso critiche all’affermazione della rilevanza di tale posta rispetto all’ammontare complessivo delle attività offerte col concordato. Tali considerazioni sarebbero già sufficienti a dimostrare la sostanziale estraneità al decisum delle censure in esame esse, infatti, per un verso, non tengono conto che la corte napoletana, pur avendo inutilmente richiamato principi enunciati in tema di revoca ex art. 173 l. fall. dell’ammissione al concordato e che attengono, specificamente, all’espressione del consenso informato dei creditori, non ha mancato, in concreto, di verificare che l’omessa informazione ineriva a fatti che, ove resi noti nella proposta, avrebbero rivelato l’esistenza di un’ulteriore, rilevante attività di C.N., costituita dal credito risarcitorio per l’altro, non investono in via diretta gli elementi probatori sui quali la corte ha fondato il proprio convincimento. Giova peraltro aggiungere come, nel dedurre l’erroneità dell’ulteriore affermazione del giudice secondo cui la proposta avrebbe dovuto dar conto anche dell’avvenuta risoluzione dei contratti di leasing, che era stata invece anch’essa scoperta dal Commissario solo dopo l’omologazione, la ricorrente abbia omesso di considerare che tale informazione rivestiva particolare importanza ed avrebbe dovuto pertanto ricevere ampia illustrazione proprio in ragione della condotta tenuta dagli amministratori e della quantificazione del danno da essi cagionato una volta raggiunta la certezza dell’irrecuperabilità dei finanziamenti erogati ad ICIA. In tale ottica risulta del tutto coerente l’assunto della corte territoriale, secondo cui l’intervenuta comunicazione della circostanza all’esperto non comportava il venir meno della dolosa dissimulazione di una parte dell’attivo, atteso che solo in data posteriore all’omologa era emerso il fatto che disvelava la condotta pregiudizievole degli amministratori ovvero la cessione delle quote di ICIA e che pertanto pur nell’ipotesi meno grave considerata, in cui la responsabilità degli stessi sarebbe derivata solo dall’aver finanziato una società non più controllata da C.N. non sarebbe stato possibile, in precedenza, cogliere il nesso che collegava sussistenza ed entità del credito risarcitorio dissimulato alla risoluzione. 5 In buona misura inammissibile è anche il terzo motivo del ricorso, che investe in via principale quella parte della sentenza in cui la corte del merito ha, ad abundantiam , affrontato la questione dell’omessa informazione in ordine alla vendita degli immobili intervenuta fra PNB ed HTC, che per il resto ribadisce gli argomenti già ampiamente illustrati nel secondo motivo e che solo incidentalmente, e peraltro in via palesemente generica ed assertiva, deduce che l’aspettativa derivante dal credito risarcitorio sarebbe del tutto vaga, sia in termini di an che in termini di quantum . Palesemente infondato, infine, è l’assunto della ricorrente secondo cui il concordato non avrebbe potuto essere annullato essendo, comunque, residuata in capo a ciascun creditore la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori ai sensi dell’art. 2394 c.c. presupposto dell’annullamento, ai sensi dell’art. 138 l. fall., è infatti unicamente l’accertata sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo, che ha indotto i creditori a votare nell’erroneo convincimento della sua insussistenza, mentre a nulla rileva che l’attività sottratta o dissimulata possa eventualmente essere recuperata al di fuori della procedura concordataria. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1, 17 comma della l. n. 228 del 24 dicembre 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.