Trasferimento fittizio della sede sociale: ai creditori l’onere della prova

In tema di trasferimento della sede legale all’estero, la presunzione della coincidenza di quest’ultima con il centro degli interessi principali della società può essere superata solo dai creditori istanti con la dimostrazione di elementi contrari, senza che si possa attribuire alla società l’onere di provare l’effettività del trasferimento della sede.

Lo hanno ribadito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 10925/2016. La vicenda. La Corte d’appello di Bologna rigettava il reclamo proposto da una società avverso la sentenza di prime cure che ne aveva dichiarato il fallimento ritenendo fittizio il trasferimento della sede sociale a Londra e sussistente la giurisdizione del giudice italiano. La società ricorre innanzi alla Corte di Cassazione deducendo la violazione dell’art. 9 l.fall. e dell’art. 3, Regolamento CE n. 1346/2000, in quanto il trasferimento della sede sociale era avvenuto prima del deposito dell’istanza di fallimento. Aggiunge inoltre che i creditori istanti non avevano fornito alcuna dimostrazione della permanenza in Italia del centro degli interessi principali della società, necessaria per superare la presunzione di cui all’art. 3 del Regolamento CE 1346/2000. La coincidenza tra centro degli interessi e sede legale. La S.C., ritenendo fondato il ricorso, ricorda come la giurisprudenza di legittimità abbia costantemente riconosciuto la presunzione della coincidenza del COMI della società con il luogo in cui si trova la sede statutaria, salvo prova contraria. Tale presunzione può infatti essere superata dai creditori istanti dimostrando la sussistenza di elementi idonei in tal senso, quali potrebbero essere rapporti bancari o contratti in corso, che rivelino la sussistenza di un effettivo esercizio dell’attività economica in un altro Stato membro. Dunque, nel caso in cui risulti accertata una discrepanza tra sede legale e sede effettiva, quest’ultima prevale quale criterio determinante per l’individuazione della giurisdizione Cass. Civ. n. 2243/2015 . Nel caso di specie, tali elementi non ricorrono in quanto il giudice di merito ha erroneamente posto a carico della società l’onere di dimostrare l’effettività del trasferimento della sede sociale. In conclusione, il Collegio accoglie il ricorso, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano e, decidendo nel merito, revoca la dichiarazione di fallimento della società ricorrente. Fonte www.ilfallimentarista.it

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 3 26 maggio 2016, n. 10925 Presidente Rordorf Relatore Nappi Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il reclamo proposto dalla Inpex srl ltd avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento, disattendendo l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano. Hanno ritenuto i giudici del merito che è solo fittizio il trasferimento a Londra della sede della società fallita, operato quando si era già manifestata la crisi dell’impresa, sicché permane la giurisdizione del giudice italiano per la dichiarazione del fallimento. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Inpex srl ltd sulla base di un unico motivo d’impugnazione, cui resistono con controricorso Claris Factor spa, International factors Italia spa, Aosta Factor spa e Vogen Industry co. Ltd, mentre non ha spiegato difese il Fallimento Impex srl ltd. Motivi della decisione 1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 9 legge fall. e dell’art. 3 Regolamento CE n. 1346/2000. Sostiene che il trasferimento della società a avvenne prima del deposito di una qualsiasi richiesta di fallimento sicché non si applica l’art. 9 comma 5 legge fall. Mentre secondo quanto prevede l’art. 3 del Regolamento CE 1346/2000 la giurisdizione per la dichiarazione di insolvenza appartiene ai giudici nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, che si presume nel luogo in cui si trova la sede statutaria. Né i creditori istanti hanno dimostrato, come avrebbero dovuto, che la società abbia in Italia il centro principale dei propri interessi anche dopo il trasferimento della sede in omissis . È stato al contrario provato che la società è attualmente partecipata totalitariamente da un socio straniero e la giurisprudenza Europea è nel senso che la presunzione di cui all’art. 3 del Regolamento operi senz’altro quando sia reso pubblico il trasferimento del controllo della società. 2. Il ricorso è fondato. Come rileva la ricorrente, secondo la giurisprudenza di questa corte, ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, del Regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1346/2000, competenti ad aprire la procedura di insolvenza sono i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, dovendosi presumere - per le società e le persone giuridiche - che il centro degli interessi coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria, sicché quando risulti accertata una discrepanza tra sede legale e sede effettiva, è l’ubicazione di quest’ultima a dover prevalere ed a costituire il criterio determinante della giurisdizione Cass., sez. un., 6 febbraio 2015, n. 2243, m. 634145 . Sicché incombe sui creditori istanti l’onere di provare fatti idonei a superare la presunzione di coincidenza tra sede statutaria ed effettivo centro di interessi della società. In realtà in giurisprudenza si è chiarito che, benché non gravi sulla società nei cui confronti sia presentata un’istanza di fallimento la dimostrazione che il centro effettivo dei propri interessi coincida con l’ubicazione della sua sede legale, è comunque consentito al giudice, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c. - applicabile al procedimento prefallimentare - al fine di vincere la presunzione di corrispondenza tra sede effettiva e sede legale della società stessa, di desumere argomenti di prova dal contegno delle parti nel processo Cass., sez. un., 11 marzo 2013, n. 5945, m. 625477 . Tuttavia nel caso in esame non risultano comportamenti o fatti dai quali possa argomentarsi nel senso postulato dai giudici del merito. Infatti la corte d’appello ha posto a fondamento della decisione impugnata la mancata prova di rapporti bancari, di contratti in corso, di una contabilità indicativi di un esercizio effettivo di una qualche attività economica all’estero. E ha così erroneamente posto a carico del debitore la prova dell’effettività del trasferimento della sede sociale, come del resto esplicitamente affermato nelle premesse della decisione. Si deve pertanto concludere con l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata, la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice italiano e la revoca della dichiarazione di fallimento della società ricorrente, così decidendo nel merito della controversia. Le alterne vicende del giudizio, non ascrivibili integralmente alle parti, giustificano la compensazione delle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano, cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, revoca la dichiarazione del fallimento. Compensa integralmente le spese dell’intero giudizio.