Le stime finanziarie sfuggono al market abuse

La mera diffusione di stime finanziarie, anche se approssimative o errate, non è suscettibile di rientrare nella fattispecie della manipolazione del mercato sanzionata dall’art. 187-ter T.U.F. in quanto espressione della libera manifestazione del pensiero.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9644/16, depositata l’11 maggio. La vicenda. Dopo le dichiarazioni rese dal direttore generale di un istituto di credito durante una trasmissione televisiva e relative alla dimensione quantitativa della perdita di clienti in strumenti finanziari derivati, il Presidente di ADUSBEF Associazione per la Difesa degli Utenti dei Servizi Bancari, Finanziari, Postali e Assicurativi con una dichiarazione resa su un quotidiano nazionale dichiarava che secondo le stime dell’Associazione il mark to market del gruppo bancario coinvolto era superiore di oltre quattro volte. A causa dell’impatto di tali notizie sul mercato, la Consob apriva un procedimento sanzionatorio nei confronti del Presidente dell’Associazione per la violazione dell’art. 187- ter T.U.F. La Corte d’appello annullava il provvedimento sanzionatorio della Commissione escludendo che nel caso di specie le dichiarazioni incriminate” potessero essere definite false o fuorvianti, in quanto dirette a manifestare la mera preoccupazione del Presidente di un’associazione dedicata alla tutela dei risparmiatori circa una situazione oggettivamente grave e seria. La Consob ricorre per la cassazione della pronuncia del giudice di merito lamentando, in sostanza, la ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito di manipolazione del mercato. La potenziale alterazione del mercato. Il Collegio, pur ritenendo infondate le censure mosse con il ricorso, riscontra l’erronea applicazione dell’art. 187- ter T.U.F. da parte della Corte territoriale che ha equiparato ontologicamente i termini false” e fuorvianti”, ritenendo conseguentemente decettive solo le notizie che abbiano in concreto fuorviato il mercato, mentre la norma vieta le notizie che siano anche solo suscettibili di alterare il mercato. Il concetto di mark to market. Ciò posto, nel caso di specie, si tratta di accertare se le affermazioni possano o meno integrare gli estremi dell’illecito contestato. Il procedimento sanzionatorio avviato da Consob contestava al Presidente di ABUSDEF la falsità del dato diffuso sul mark to market dei derivati negoziati dal gruppo bancario coinvolto. Soffermandosi su tale concetto, i Giudici di legittimità sottolineano come il mark to market non esprima un valore concreto ed attuale, ma una proiezione finanziaria teorica, influenzata da una pluralità di fattori, per l’ipotesi in cui il contratto cessi prima della sua scadenza naturale. Le basi matematico-finanziarie su cui viene determinato tale valore influiscono dunque inevitabilmente sull’attendibilità del risultato e del complessivo giudizio che se ne può dare. Ne consegue che, l’approssimatività e l’insufficienza della notizia riscontrata dalla Consob non trasforma un’opinione a contenuto tecnico, condivisibile o meno che sia, in una notizia falsa . Escluso il market abuse. In conclusione, l’idea espressa dal Presidente dell’Associazione costituisce esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero, che non può subire alcuna compressione per la sua possibile incidenza sul mercato, escludendo dunque la possibilità di applicare la disposizione summenzionata. Per questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la Consob al pagamento delle spese processuali. Fonte www.ilsocietario.it

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 febbraio – 11 maggio 2016, n. 9644 Presidente Bucciante – Relatore Manna Svolgimento del processo Nel corso della trasmissione televisiva del omissis il direttore generale di Unicredit Banca d’Impresa s.p.a., intervistato, dichiarava una perdita clienti dell’omonimo gruppo bancario in operazioni su strumenti finanziari derivati per circa un miliardo di euro. Faceva seguito sul quotidiano omissis un’intervista a L.E. , presidente dell’ADUSBEF Associazione per la Difesa degli Utenti dei Servizi Bancari, Finanziari, Postali ed Assicurativi , il quale in merito alla vicenda dichiarava che secondo i calcoli dell’Associazione il mark to market di Unicredit, cioè la somma delle perdite della clientela di Unicredit sulle posizioni in strumenti finanziari derivati, era invece negativo per 4-5 miliardi di euro , e che si trattava di uno scandalo grosso dieci volte quello di Italease . In seguito ad un esposto di Unicredit s.p.a., il cui consiglio d’amministrazione a seguito di tale intervista aveva diffuso un comunicato per ribadire che alla data del 30.6.2007 l’ammontare del mark to market era di circa un miliardo, la Consob apriva un procedimento per la violazione dell’art. 187-ter, comma 1, D.Lgs. n. 58/98, recante il T.U. delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria TUF , nei confronti di L.E. . Quindi, all’esito del procedimento, con delibera n. 17071 del 19.11.2009 irrogava nei confronti di quest’ultimo e della ADUSBEF, quale obbligata in solido, la sanzione di euro 100.000,00, ritenendo che le dichiarazioni rese dal L. fossero false e fuorvianti e tali da influenzare negativamente l’andamento delle quotazioni del titolo Unicredit. L’opposizione proposta da L.E. era accolta dalla Corte d’appello di Perugia, che con sentenza del 289.2010 annullava il provvedimento sanzionatorio, compensando integralmente le spese. Respinta l’eccezione preliminare del ricorrente di nullità della delibera impugnata per tardiva contestazione dell’addebito, la Corte territoriale riteneva che la norma dell’art. 187 ter, comma 1 TUF, posta a garanzia della libertà di autodeterminazione degli utenti del mercato finanziario, doveva essere interpretata nel senso che era sanzionata la condotta di chi diffondesse informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che fornissero o fossero suscettibili di fornire indicazioni false ovvero - nel senso della congiunzione esplicativa cioè - fuorvianti in merito agli strumenti finanziari. Quindi, escludeva che nello specifico le dichiarazioni rese dal L. potessero essere definite false o fuorvianti. La perdita subita dai clienti Unicredit che avevano effettuato operazioni in strumenti finanziari derivati era un problema reale e già noto, che emerso da tempo era stato rappresentato espressamente dallo stesso direttore generale di Unicredit, dr. C. , nel corso della trasmissione televisiva . Era vero che questi aveva indicato una perdita clienti in circa un miliardo ma, considerate l’entità della perdita stessa e la sua indeterminatezza in termini numerici, il rilievo della notizia risiedeva nella gravità del problema. L.E. , nel rilasciare pochi giorni dopo la sua intervista aveva indicato in 4 o 5 miliardi il valore della perdita, indicando però questo dato non come il risultato certo di un’indagine fatta da un istituto specializzato, ma quale valutazione dell’associazione di consumatori che egli rappresentava. La sostanza di tali dichiarazioni, proseguiva la Corte, era quella di manifestare la preoccupazione del L. stesso e dell’associazione per l’emergere di un problema oggettivamente gravissimo e vero, non di fornire elementi numericamente esatti dell’entità della perdita dei clienti Unicredit. Pertanto, non poteva sostenersi che le dichiarazioni rese avessero fornito elementi di valutazione ai fini dell’autodeterminazione degli utenti del mercato finanziario falsi e fuorvianti , sia perché era stata richiamata l’attenzione degli eventuali interessati su un problema grave e reale sì da consentire loro di effettuare scelte con maggiore consapevolezza sia perché era evidente che non era l’espressione numerica del fenomeno 4 o 5 miliardi o anche un miliardo ma la sua esistenza ad assumere rilevanza per gli utenti del mercato. Peraltro, non - vi era alcuna prova del fatto che le oscillazioni della quotazione del titolo Unicredit fossero state determinate dalle dichiarazioni rese dal L. , né era dato sapere quale fosse in termini di mark to market la perdita reale dei clienti Unicredit, dal momento che la Consob non risultava aver svolto indagini autonome, essendosi limitata ad acquisire i dati forniti da Unicredit, interessata, comunque e al di là della formale correttezza dei bilanci, ad interpretare il fenomeno in modo da attenuarne la portata. La cassazione di tale sentenza è chiesta dalla Consob sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso L.E. , che propone altresì ricorso incidentale, cui a sua volta la Consob resiste con controricorso. In prossimità dell’udienza quest’ultima ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. - Il primo motivo del principale denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 187-ter, comma 1, TUF, in relazione agli artt. 111 Cost. e 360, n. 3 c.p.c., quanto agli elementi costitutivi dell’illecito di manipolazione del mercato per come interpretato dalla Corte distrettuale. L’interpretazione della congiunzione disgiuntiva o in quella copulativa affermativa e , si sostiene, tende a far confluire nella prima parte della disposizione sia la qualità oggettiva delle notizie false o fuorvianti , sia gli effetti indicazioni false o fuorvianti anche solo potenziali ingenerati dalla notizia stessa. Pertanto, sotto il profilo oggettivo il giudice dell’opposizione alla sanzione amministrativa è tenuto a verificare se la notizia diffusa è falsa ovvero se, pur essendo vera, essa sia fuorviante. L’aver la Corte perugina limitato il proprio giudizio al solo requisito della falsità della notizia diffusa dal L. viola la norma anzi detta. 2. - Il secondo motivo denuncia, ancora, la violazione o falsa applicazione dell’art. 187-ter, comma 1, TUF, in relazione agli artt. 111 Cost. e 360, n. 3 c.p.c., quanto agli effetti della diffusione di notizie false o fuorvianti ai fini della sussistenza dell’illecito in oggetto. Quest’ultimo, afferma parte ricorrente, delinea una fattispecie sanzionatoria di pericolo presunto, da apprezzare in astratto e con giudizio da formulare ex ante. Per contro, la Corte perugina ha ritenuto rilevante la concreta attitudine delle dichiarazioni del L. a condizionare il comportamento degli investitori e a modificare l’andamento del titolo Unicredit, omettendo così qualsiasi valutazione sull’idoneità decettiva in astratto della notizia. 3. - Il terzo mezzo d’annullamento lamenta l’omessa pronuncia su di un fatto decisivo e la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in relazione agli artt. 111 Cost., 112 e 360, n. 4 c.p.c., perché la Corte territoriale ha omesso qualsiasi statuizione sul dato quantitativo dell’esposizione mark to market . Infatti, non avendo in alcun modo apprezzato la falsità oggettiva della notizia diffusa dal Laminai in merito al dato quantitativo dell’esposizione mark to market della clientela Unicredit in strumenti finanziari derivati detta Corte ha omesso l’esame d’un fatto controverso e decisivo. Inoltre, avendo giudicato la valenza manipolativa di una notizia diversa da quella sanzionata dalla Consob, la sentenza impugnata ha travalicato l’oggetto del giudizio di opposizione per come delimitato dai motivi di ricorso. 4. - Il quarto mezzo deduce la carenza e contraddittorietà della motivazione sul fatto che la notizia è in alcuni casi indicata nel problema dei derivati e in altre parti della sentenza nella sua emersione o nel suo trend. In tal modo la pronuncia impugnata ha omesso di indicare le ragioni per cui la notizia rilevante ai fini della sussistenza dell’illecito di manipolazione del mercato era il problema delle perdite della clientela di Unicredit in derivati e non l’entità delle perdite stesse. La motivazione della sentenza è altresì contraddittoria nella parte in cui la notizia è individuata in alcuni casi nell’esistenza del problema e in altri casi nella sua emersione o nel suo trend. Il fatto controverso in relazione al quale la motivazione risulta omessa e contraddittoria è costituito dalla qualità falsa o meno della notizia sul cui carattere manipolativo la Corte territoriale è stata chiamata a decidere. 5. - Il quinto motivo censura, ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c., la carenza, l’insufficienza e l’illogicità della motivazione circa la verità della notizia ritenuta rilevante a fini sanzionatori dalla Corte d’appello perugina. Quest’ultima, si sostiene, ha omesso di motivare in merito alla presunta verità della notizia costituita dal problema delle perdite della clientela in strumenti finanziari Unicredit. La motivazione della sentenza è, altresì, illogica e contraddittoria allorquando in essa si sostiene che una determinata notizia viene considerata presuntivamente vera per il solo fatto di qualificare un altro fatto come gravissimo e lì dove ha ritenuto che il riferimento ai calcoli dell’ADUSBEF pure contenuto nell’articolo di stampa recante le dichiarazioni del L. , fosse indicativo della non rilevanza, ai fini sanzionatori, delle dichiarazioni stesse. Il fatto controverso in relazione al quale la motivazione risulta omessa, illogica e contraddittoria è costituito dalla qualità falsa o meno della notizia sul cui carattere manipolativo la Corte umbra è stata chiamata a decidere ed esso è decisivo giacché è afferente ad uno degli elementi costitutivi dell’illecito sanzionato dalla Consob. 6. - Col sesto motivo, infine, è ancora dedotto, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., il vizio d’insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa la verità della notizia ritenuta rilevante ai fini sanzionatori, lì dove la Corte territoriale ha escluso - disattendendo l’accertamento Consob che a sua volta si è riferito alla relazione annuale della Banca d’Italia per il 2007 per cui la perdita era di 5 miliardi per tutte le operazioni in derivati dell’intero sistema bancario - che fosse possibile conoscere il mark to market delle posizioni Unicredit, non avendo la Consob svolto indagini autonome in merito. 7. - I suddetti motivi, che per la loro complementarietà e parziale ripetitività possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. 7.1. - L’art. 187-ter, comma l, D.Lgs. n. 58/98 TUF dispone che salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro cinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso INTERNET o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari . Nella sentenza impugnata tale norma è interpretata nel senso che è sanzionabile la condotta diffusiva di voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o sia suscettibili di fornire indicazioni false ovvero - nel senso della congiunzione esplicativa cioè - fuorvianti in merito agli strumenti finanziari. È vero - e sotto tale aspetto deve essere esercitato il potere correttivo della motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c. - che tale interpretazione della norma operata dalla Corte territoriale non è corretta. E ciò sotto un duplice profilo. Dal punto di vista letterale, e soprattutto nei testi normativi o comunque provenienti da autorità pubbliche nei quali maggiore deve essere l’attenzione alle forme linguistiche , è noto che la congiunzione ovvero ha valore disgiuntivo quale rafforzamento di o od oppure, ed è essenzialmente premessa ad un secondo termine costituito da un’intera proposizione. Il che spiega perché nella pur tortuosa espressione della norma in commento la prima disgiunzione tra notizie false e fuorvianti sia resa dalla particella o, mentre la seconda sia rafforzata con ovvero in quanto seguita da un secondo termine espresso con più parole anche se v’è da dire che queste ultime, al netto dell’uso aggettivato del participio fuorviante, non costituiscono un’autonoma proposizione per l’assenza di predicato . Tale erronea impostazione nella lettura dell’art. 187-ter, comma 1, TUF - e questo è il secondo profilo - ha prodotto nella decisione impugnata l’ulteriore malinteso non rilevante, però, per quanto si dirà intra di equiparare ontologicamente tra loro i due termini - false e fuorvianti - col risultato di considerare decettive solo le notizie che abbiano in concreto fuorviato il mercato degli strumenti finanziari. Conclusione, questa, non condivisibile, giacché la norma vieta le notizie false o fuorvianti che siano anche solo suscettibili di alterare il mercato. 7.2. - False sono le notizie oggettivamente non vere fuorvianti, invece, quelle che inducono all’errore circostanziando un fatto vero con aggiunte od omissioni suggestive, volte a deviare dal suo ordito logico il ragionamento operabile sul fatto stesso. Nello specifico, l’illecito oggetto di contestazione è concettualmente riconducibile alla prima delle due nozioni. Sostiene, infatti, la Consob che la dichiarazione del L. avrebbe ricostruito in termini quantitativi la posizione mark to market di Unicredit in maniera non rispondente alla sua reale esposizione, sulla base di stime soggettive effettuate semplicisticamente su dati aggregati diffusi dalla Banca dei Regolamenti Internazionali e dalla Banca d’Italia e che mentre l’effettiva valorizzazione del mark to market sarebbe confermata nella relazione di gestione Unicredit a corredo del bilancio consolidato e di quello di esercizio, la quale derivando da un obbligo di legge è sanzionata ove non veritiera, l’opinione espressa dalla ADUSBEF tramite il suo presidente non si sarebbe basata su calcoli o modelli matematici v. pag. 6 del ricorso . Nei limiti imposti dalla natura del giudizio di legittimità si tratta, allora, di stabilire non se le affermazioni contestate siano o non concretamente false, ma se esse possano integrare gli estremi di una i notizia falsa ii anche solo potenzialmente manipolativa del mercato degli strumenti finanziari. Dei due requisiti in parola, entrambi necessari, il secondo va esaminato solo all’esito dell’accertamento positivo del primo. 7.3. - La notizia ha per oggetto un fatto storico nuovo, la verità o realtà del quale può affermarsi per evidenza propria ovvero attraverso la mediazione di un giudizio critico. Quest’ultimo, a sua volta, si differenzia dal giudizio di valore, che a sua volta implica un apprezzamento libero di cose o situazioni. Il primo è indistinguibile dal fatto che espone, ed è vero o falso al pari di esso il secondo se ne distacca a misura del grado di valutazione soggettiva che il fatto stesso consente, di guisa che non può essere qualificato in termini di verità o falsità. E poiché, nello specifico, il fatto della cui verità si discute è la dimensione del mark to market dei derivati negoziati da Unicredit, pacifica essendone la relativa perdita per la clientela, è su tale ultimo concetto che occorre soffermarsi per valutare se su di esso si possano esprimere giudizi di verità o anche o soltanto giudizi di valore. 7.3.1. - Mark to market è un’espressione che designa - in larga approssimazione - un metodo di valutazione delle attività finanziarie, che si contrappone a quello storico o di acquisizione attualizzato mediante il ricorso a indici d’aggiornamento monetario. Esso consiste nell’attribuire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della sua scadenza naturale. Il mark to market è detto anche costo di sostituzione, perché corrisponde al prezzo, dettato dal mercato in un dato momento storico, che i terzi sarebbero disposti a sostenere per subentrare nel contratto stesso. Si legge in Cass. penale n. 47421/11 che il mark to market non esprime affatto un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata. Il valore del mark to market , infatti, è influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell’ambito dei relativi parametri di determinazione anche l’up to front erogato e l’utile per la banca . 7.3.2. - La nozione di mark to market trova eco in due norme l’art. 203 TUF, che ai fini dell’applicazione dell’art. 76 legge fall. lo descrive come costo di sostituzione degli strumenti finanziari derivati e di quelli analoghi individuati ai sensi dell’art. 18 comma 5, lettera a stesso TUF e delle operazioni a termine su valute nonché delle operazioni di prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto e l’art. 2427-bis, comma 1, n. I c.c., in base al quale nella nota integrativa del bilancio deve essere indicato per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati il fair value, ossia il relativo prezzo di scambio in una transazione tra terzi indipendenti. Dunque, il costo di sostituzione degli strumenti finanziari derivati ed equiparati non è un vero e proprio prezzo di mercato concreto ed attuale, ma una grandezza monetaria teorica che è calcolata per l’ipotesi in cui il contratto cessi prima della sua scadenza naturale. Essa tiene conto anche di fattori ulteriori, quali, ad esempio, i costi da sostenere, la maggiore o minore volatilità del prodotto e l’up-front, vale a dire l’eventuale flusso di cassa dal portafoglio finanziario strutturato che viene regolato al momento della conclusione dell’operazione in derivati così lo definisce l’art. 1, comma 3, lett. i del Regolamento concernente i contratti relativi agli strumenti finanziari derivati sottoscritti da regioni ed enti locali, ai sensi dell’articolo 62, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, così come modificato e integrato dall’articolo 3, comma 1, della legge 22 dicembre 2008, n. 203. Calcolare il mark to market non di un singolo contratto, ma di un intero portafoglio di derivati richiede l’impiego di modelli matematico-finanziari di attualizzazione, in una con l’adozione di scelte metodologiche che scontano un inevitabile tasso di opinabilità tecnica. Non pare seriamente dubitabile, dunque, che un giudizio al riguardo non possa essere assoggettato all’alternativa secca tra vero e falso, ma sia l’espressione di un apprezzamento personale di tipo valutativo derivante dal metodo di calcolo utilizzato. 7.4. - Ciò chiarito, la pretesa sanzionatoria veicolata dalla Consob sotto la specie del c.d. market abuse incorre in un duplice errore di sussunzione, consistente a nel trarre il giudizio di falsità delle dichiarazioni oggetto di contestazione dalla loro contrarietà al dato emergente dalla relazione di gestione allegata al bilancio Unicredit e b nel ritenere che ne possa costituire conferma l’insufficiente giustificazione delle opinioni espresse dal L. . Sotto il primo profilo la tesi di parte ricorrente non considera che la diversa esposizione riportata nel bilancio Unicredit non è necessariamente vera. Quantunque espressa sotto comminatoria penale, essa rimane una dichiarazione di scienza e non un fatto storico che s’imponga come vero per virtù propria ed è ovvio che se è storicamente vera la redazione del bilancio, non per questo sono oggettivamente vere anche le valutazioni economiche ivi contenute . Sotto il secondo deve considerarsi che le basi matematico-finanziarie degli accertamenti che sarebbero stati svolti dalla ADUSBEF possono influire sul grado di maggiore o minore attendibilità del risultato espresso e sul giudizio complessivo che se ne può dare ma se pure giudicate insufficienti ed approssimative dalla Consob non trasformano un’opinione a contenuto tecnico, condivisibile o meno che sia, in una notizia falsa. Esclusa la quale, l’idea espressa da detta associazione per bocca del suo presidente si configura quale esercizio intangibile del diritto di libera manifestazione del pensiero, che non può essere compresso solo per la sua possibile incidenza sul mercato. 7.5. - Di riflesso resta assorbito, perché insufficiente da solo a integrare l’illecito amministrativo, l’esame del secondo requisito dell’art. 187-ter, comma I, TUE concernente la potenziale idoneità decettiva della notizia. 8. - È assorbito, altresì, anche l’esame del ricorso incidentale, col quale L.E. ha lamentato la violazione dell’art. 14 legge n. 689/81, in relazione al dies a quo del termine di contestazione degli addebiti. 9. - In conclusione il ricorso principale va respinto, con consequenziale condanna della Consob alle spese, liquidate come in dispositivo. 9.1. - Resta fermo il regolamento delle spese di merito, la cui cassazione - implicita nella richiesta del controricorrente di condannare la Consob anche a queste - avrebbe richiesto un apposito motivo di ricorso incidentale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e condanna la Consob al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.