La domanda di preconcordato può essere reiterata?

La pronuncia in commento affronta il tema del concordato preventivo con riserva, introdotta dal d.l. n. 83/2012, convertito nella l. n. 134/2012. Nello specifico si tratta di stabilire se la domanda di preconcordato, ex art. 161, comma 6, l. fall., sia, o meno, ammissibile anche se la debitrice non abbia presentato la proposta, il piano e i documenti entro il termine di sessanta giorni e, se il deposito di una nuova domanda, avente natura dilatoria possa o no pregiudicare l’istanza dell’esame di fallimento.

E, i Giudici della Prima sezione Civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 6277, depositata il 31 marzo 2016, conformandosi a due recenti arresti delle Sezioni Unite, v., Cass., SS.UU., 9935 -9936/15 , osservano che in presenza di una domanda di concordato preventivo con riserva, il provvedimento del Tribunale che abbia rigettato l’istanza di proroga del termine per il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 161 l. fall., resta insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato che, respinta l’istanza di proroga e scaduto il termine concesso, ex art. 161, comma 6, l.fall., la domanda di concordato deve essere dichiarata inammissibile dal Tribunale, ai sensi dell’art. 162, comma 2, l.fall. che, tuttavia, va fatta salva la facoltà per il preponente, in pendenza dell’udienza fissata per la dichiarazione di inammissibilità, ovvero anche per l’esame di eventuali istanze di fallimento, di depositare una nuova domanda di concordato, ai sensi del primo comma dell’art. 161 l.fall. corredata dalla proposta, dal piano e dei documenti , dalla quale si desuma la rinuncia a quella con riserva, sempre che la nuova domanda non si traduca in un abuso dello strumento concordatario. Il fatto. Il Tribunale di Napoli con sentenza del marzo 2013 dichiarava il fallimento di Beta s.p.a. in liquidazione, e con coevo decreto, l’inammissibilità della domanda di preconcordato, a seguito della mancata approvazione da parte dei creditori di una prima domanda già presentata nel gennaio del 2011. Pertanto, attesa l’intervenuta dichiarazione di fallimento della predetta s.p.a., il giudice partenopeo dichiarava improcedibile una seconda domanda di concordato depositata nel febbraio 2013. In seguito, il reclamo proposto dalla Beta s.p.a. contro la sentenza e i due decreti, parimenti, veniva respinto dalla Corte d’appello di Napoli che, in particolare, aveva ritenuto sussistenti i requisiti dimensionali di fallibilità della società ed, inoltre, aveva confermato la dichiarazione di inammissibilità della domanda di preconcordato, rilevando che la Beta s.p.a. non aveva presentato la proposta, il piano e la documentazione entro il termine assegnatole e che andava condiviso il giudizio del giudice di prime cure in ordine all’assenza di giustificati motivi per prorogare detto termine. La Corte territoriale, infine, escludeva che il fallimento non potesse essere dichiarato a seguito dell’avvenuto deposito, in data anteriore alla sentenza dichiarativa, di una terza domanda di concordato preventivo, che appariva strumentalmente preordinata ad evitare l’esame del ricorso per l’accertamento dello stato di insolvenza presentato da un creditore della Beta s.p.a Avverso quest’ultima decisione la società de qua proponeva quindi ricorso per cassazione deducendo tre distinti motivi di censura, cui replicava la curatela del fallimento con controricorso. In particolare, la Beta s.p.s. col secondo ed il terzo gravame censurava che il rifiuto dei giudici del merito di esaminare la nuova domanda non poteva fondarsi su un preteso abuso del diritto, non invocabile in materia e non rilevabile d’ufficio e che, poiché in caso di contemporanea pendenza di un procedimento di istruttoria prefallimentare e di uno di concordato preventivo il Tribunale era tenuto a verificare preliminarmente l’attitudine della proposta e del piano al superamento dello stato di crisi dell’impresa. Gli Ermellini, invero, respingono il gravame precisando che, poiché rispetto al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza il concordato non può che essere unico, e qualora la procedura di concordato sia pendente non è configurabile un’ulteriore domanda di ammissione avente carattere di autonomia v., Cass., 495/15 , a meno che da quest’ultima non si desuma l’inequivoca volontà del proponente pur se non espressa con formule sacramentali di rinunciare a quella in precedenza depositata. La Suprema Corte rigetta quindi il ricorso. Il concordato preventivo con riserva. In seguito all’approvazione della l. n. 134/2012 di conversione del cosiddetto Decreto Sviluppo” n. 83/2012, è stato introdotto nella legge fallimentare il concordato con riserva o domanda di preconcordato , un istituto di notevole rilevanza che consente al debitore la facoltà di depositare un ricorso contenente semplicemente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, senza l’obbligo di allegazione contestuale del piano concordatario e dell’ulteriore documentazione normalmente necessaria. Per mezzo della presentazione di questa domanda dal contenuto semplificato si consente al debitore stesso di beneficiare degli effetti protettivi che sarebbero garantiti dalla presentazione di una domanda di concordato completa, permettendogli di predisporre nel frattempo la proposta di concordato preventivo oppure di un piano di ristrutturazione, evitando così l’aggressione del proprio patrimonio e il conseguente aggravarsi della situazione di crisi. La natura perentoria del termine per il deposito della proposta concordataria. Il termine fissato dal giudice per il deposito della proposta, del piano e della necessaria documentazione, ex art. 161, comma 6, l.fall., deve essere compreso tra un minimo di 60 ed un massimo di 120 giorni ed è prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre 60 giorni. Si tratta di un termine decadenziale, alla cui mancata osservanza si ricollega la sanzione di inammissibilità della domanda. L’accertamento della ricorrenza di giustificati motivi per la proroga costituisce poi espressione di un apprezzamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione vizio che, nella specie la ricorrente non ha dedotto in rubrica, né ha specificatamente illustrato nel ricorso in cassazione, limitandosi a rilevare di non essere riuscita ad acquisire in tempo utile presso la Banca d’Italia, per fatti ad essa non imputabili, le informazioni necessarie per valutare la sua esposizione bancaria, che non solo avrebbero potuto essere richieste alle banche creditrici ma che, dovevano, in ogni caso, essere già state acquisite in vista della prima domanda di concordato. L’ammissibilità della domanda di preconcordato, ex art. 161, comma 9, l. fall La domanda di concordato con riserva di presentazione della proposta e del piano è inammissibile solamente qualora, nei due anni precedenti, il debitore abbia presentato un’altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione della procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Dunque, per espressa indicazione del legislatore, una domanda di concordato con riserva è inammissibile solo qualora sia stata preceduta da un’altra domanda di concordato con riserva presentata con esito infruttuoso, ma non quando segua una domanda concordataria che abbia palesato fin dall’origine il proprio contenuto. La reiterazione delle domande di concordato. In linea teorica non pare che si possa precludere all’imprenditore in stato di crisi di reiterare la domanda concordataria al fine di sottoporre ai creditori una nuova soluzione della situazione che superi i profili di inammissibilità che viziavano una sua precedente proposta o il mancato gradimento dei creditori espresso tramite un voto negativo. E’ evidente, però, che un utilizzo abusivo dello strumento concordatario consentirebbe al debitore di godere reiteratamente degli effetti prenotativi della presentazione del ricorso, ex art. 168 l.fall., e nel contempo di bloccare ad libitum le iniziative per la dichiarazione di fallimento presentate dal Pubblico Ministero o dai creditori. Il contemperamento di queste due opposte esigenze deve essere trovato verificando se la nuova proposta concordataria abbia come unico effettivo intento quello di procrastinare indebitamente l’esame della domanda di fallimento tramite l’abuso dello strumento concordatario ovvero corrisponda ad un interesse ad agire dell’imprenditore al fine di sottoporre di nuovo al consesso dei suoi creditori una domanda che abbia il carattere dell’originalità. L’abuso dello strumento concordatario. Sul punto, i recenti arresti delle Sezioni Unite, v., Cass., SS.UU., 9935-9936/15 , richiamati nel decisum in rassegna, precisano che è inammissibile una domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa, ma per procrastinare la dichiarazione di fallimento in questa ipotesi, infatti, la domanda integra gli estremi dell’abuso del processo, che ricorre, quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità deviate od eccedenti rispetto a quelle per le quali l’ordinamento le ha predisposte. E, nel caso che qui ci occupa, la Corte d’appello partenopea, nell’affermare che la reiterazione della domanda risultava preordinata ad evitare l’esame del ricorso di fallimento ed a procrastinare ulteriormente il diritto del creditore ricorrente a vedere deciso il procedimento da lui instaurato, ha accertato che la predetta Beta s.p.a. aveva abusato dello strumento concordatario.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 novembre 2015 – 31 marzo 2016, n. 6277 Presidente Ceccherini – Relatore Cristiano Svolgimento del processo Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 6.3.2013, dichiarò il fallimento di Arzano Multiservizi s.p.a. in liquidazione e, con coevo decreto, l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo presentata dalla società il 28.9.012, ai sensi del 6 comma dell’art. 161 l. fall., a seguito della mancata approvazione da parte dei creditori di una prima domanda depositata nel gennaio del 2011. Con successivo decreto, del 25.3.013, dichiarò improcedibile - attesa l’intervenuta dichiarazione di fallimento - una seconda domanda di concordato, depositata dalla Arzano il 19 febbraio 2013. Il reclamo proposto da Arzano Multiservizi contro la sentenza e contro i due decreti è stato respinto dalla Corte d’Appello di Napoli, che, per ciò che nella presente sede ancora interessa ha ritenuto sussistenti i requisiti dimensionali di fallibilità della società ha confermato la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo depositata ai sensi dell’art. 161, 6 comma, L. fall., rilevando che la Arzano non aveva presentato la proposta, il piano e la documentazione entro il termine assegnatole e che andava condiviso il giudizio del tribunale in ordine all’assenza di giustificati motivi per prorogare detto termine, atteso che la reclamante - che era in liquidazione, non svolgeva più alcuna attività ed era priva di beni - solo pochi mesi prima aveva presentato una domanda di concordato ai sensi del 1 comma dell’art. 161 L. fall. corredata di analitica proposta ha infine escluso che il fallimento non potesse essere dichiarato a seguito dell’avvenuto deposito, in data anteriore alla sentenza dichiarativa, di un’ulteriore domanda di concordato preventivo, che appariva strumentalmente preordinata ad evitare l’esame del ricorso per l’accertamento dello stato di insolvenza presentato dalla creditrice R.V.M. s.a.s. La sentenza è stata impugnata da Arzano Multiservizi s.p.a. in liquidazione con ricorso per cassazione affidato a tre motivi e illustrato da memoria, cui il Fallimento ha resistito con controricorso. La creditrice istante non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione dell’art. 18 L. fall., nonché vizio di omessa pronuncia e/o di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, sostiene che la corte del merito non solo sarebbe venuta meno al dovere di rivalutare complessivamente tutta la vicenda, ma non avrebbe dato risposta ai motivi di reclamo con i quali era stata dedotta l’erroneità della sentenza dichiarativa sia nella parte in cui affermava che non erano in contestazione i requisiti di fallibilità di cui all’art. 1 l. fall., sia nella parte in cui, nonostante le ampie e tempestive difese da essa svolte per dimostrare l’infondatezza della pretesa creditoria di R.V.M., aveva ritenuto sussistente lo stato di insolvenza. Il motivo, in parte infondato e in parte inammissibile, deve essere respinto. In primo luogo, la corte territoriale - premesso che col reclamo la società aveva censurato la sentenza dichiarativa per aver ritenuto incontestata la ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 1, 2 comma l. fall. - ha osservato che, indipendentemente dalla contestazione, dall’esame dei bilanci dell’Arzano non emergeva il mancato superamento delle soglie al di sotto delle quali l’imprenditore commerciale non è assoggettabile a fallimento contrariamente a quanto si sostiene nel motivo, la questione è stata perciò espressamente affrontata dal giudice a quo, che ne ha negato la fondatezza nel merito, in base ad una valutazione in fatto che non risulta in alcun modo investita dalle critiche della ricorrente. Non risulta, invece, che in sede di reclamo l’Arzano abbia dedotto l’erroneità dell’accertamento del tribunale concernente il suo stato di insolvenza, che, a prescindere dal mancato pagamento del credito della R.V.M., il primo giudice ben avrebbe potuto fondare su ulteriori risultanze istruttorie, a cominciare da quelle emergenti dalla stessa domanda di concordato. Va in proposito ricordato che il reclamo ex art. 18 l. fall., pur non essendo soggetto ai limiti di cui agli artt. 342 e 345 c.p.c., deve comunque contenere l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si fonda, con le relative conclusioni esso, dunque, non si configura quale mezzo di impugnazione a critica illimitata, in cui è sufficiente lamentare l’illegittimità della decisione per ottenere il riesame completo della res iudicanda , ma come mezzo che devolve alla cognizione del giudice ad quem le sole questioni tempestivamente dedotte dal reclamante cfr., da ultimo, Cass. nn. 12706/014, 6306/014 . La ricorrente, che sembra confondere il presupposto oggettivo di cui all’art. 5 l. fall. in effetti desumibile anche da un solo inadempimento col presupposto soggettivo di cui all’art. 6, 1 comma la cui eventuale mancanza, per l’accertata insussistenza del credito dell’istante, comporta il rigetto della domanda di fallimento in quanto presentata da soggetto non legittimato, indipendentemente dalla ricorrenza dello stato di insolvenza non poteva pertanto limitarsi a denunciare sul punto un vizio di omessa motivazione, o di omessa pronuncia, della sentenza impugnata ma, in ossequio al principio di specificità del ricorso, avrebbe dovuto chiarire in base a quali fatti il giudice di primo grado aveva ritenuto che essa non fosse più in grado di assolvere con mezzi normali alle proprie obbligazioni e richiamare nel motivo quei passi del reclamo in cui aveva dedotto l’insussistenza e/o l’irrilevanza di quei fatti. Peraltro, ove mai il tribunale avesse fondato il proprio accertamento sull’unica circostanza del mancato pagamento del credito di R.V.M. con la conseguenza che Arzano, assumendo in sede di reclamo che il credito dell’istante non era né certo né liquido, avrebbe contestato, ad un tempo, la ricorrenza di entrambi i presupposti di cui si è detto la censura risulterebbe infondata, in quanto la corte territoriale ha esaminato e respinto la doglianza in base all’incontroverso e indubbiamente dirimente rilievo che il credito, rimasto insoluto, era portato da titolo esecutivo giudiziario definitivo. 2 Il secondo ed il terzo motivo del ricorso investono i capi della sentenza impugnata con i quali la corte del merito ha dichiarato inammissibile la domanda di concordato depositata ai sensi dell’art. 161, 6 comma, l. fall., ed ha escluso che la dichiarazione di fallimento fosse subordinata all’esame dell’ulteriore domanda presentata da Arzano nel febbraio 2013. 2.1 La ricorrente sostiene che il giudice del reclamo avrebbe erroneamente applicato il 9 comma dell’art. 161 cit., che riguarda soltanto la nuova forma di domanda concordataria con riserva introdotta, con decorrenza dall’11.9.012, dal d.l. n. 83/012, convertito nella L. n. 134/012, e non opera se nel biennio antecedente sia stata invece presentata, come nella specie, una domanda di concordato piena dichiarata inammissibile per il mancato raggiungimento delle maggioranze richieste. 2.2 Assume, inoltre, che altrettanto erroneamente la corte avrebbe decretato, sempre ai sensi del predetto comma 9, l’inammissibilità della domanda depositata il 19 febbraio, che non integrava una nuova proposta concordataria, ma costituiva mero scioglimento della riserva formulata nella domanda prenotativa anteriormente avanzata. 2.3 Lamenta, ancora, che la sua richiesta di ottenere una proroga del termine di 60 giorni assegnatole per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, sia stata respinta con decisione sanzionatoria e contraria alla lettera, oltre che allo spirito, della legge, ovvero senza tener conto che il ritardo nello scioglimento della riserva era dipeso da fatti che non le erano imputabili. 2.4 Osserva poi che, in ogni caso, il termine di cui all’art. 161 u. comma l. fall. non è perentorio, tanto che ne è prevista la proroga, sicché neppure potrebbe rilevare l’avvenuta presentazione della proposta, del piano e dei documenti in data successiva al suo scadere. 2.5 Deduce, infine, che il rifiuto dei giudici del merito di esaminare la nuova domanda non poteva fondarsi su un preteso abuso del diritto, non invocabile in materia e non rilevabile d’ufficio e che, poiché in caso di contemporanea pendenza di un procedimento di istruttoria prefallimentare e di uno di concordato preventivo il tribunale è tenuto a verificare preliminarmente l’attitudine della proposta e del piano al superamento dello stato di crisi dell’impresa, prima di decidere sull’istanza di fallimento il tribunale avrebbe dovuto convocarla in camera di consiglio per l’esame nel merito della domanda concordataria. 3 Anche questi motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, devono essere respinti. 3.1 Le censure della ricorrente muovono da un’errata lettura della decisione impugnata, atteso che la corte partenopea non ha fatto applicazione del 9 comma dell’art. 161 l. fall., ma si è limitata a rilevare che, per un verso, la domanda di concordato depositata ai sensi del 6 comma del predetto articolo era inammissibile in quanto la debitrice non aveva presentato la proposta, il piano e i documenti entro il termine di 60 giorni non prorogabile, stante l’assenza di giustificati motivi di cui al 10 comma della articolo medesimo e, per l’altro, che il deposito di una terza domanda, avente natura chiaramente dilatoria, non poteva pregiudicare l’esame dell’istanza di fallimento. Risultano dunque inammissibili, perché prive di riferimento al decisum , le ragioni di doglianza sintetizzate sub. 2.1 e 2.2 . 3.2 L’assunto della Arzano, secondo cui nel febbraio del 2013 essa non aveva fatto altro che provvedere allo scioglimento della riserva formulata nella domanda di concordato avanzata ai sensi dell’art. 161, 6 comma l. fall., sembra poi non tener conto che la corte del merito, nel dichiarare inammissibile la domanda depositata il 19 febbraio, l’ha qualificata come nuova. Tuttavia, poiché dall’esame complessivo dei motivi può desumersi tanto l’intento di contrastare detta qualificazione quanto quello di contestare, in ogni caso, la legittimità di una sentenza dichiarativa emessa nonostante la pendenza di una domanda di concordato completa in ogni sua parte a prescindere dalla sua qualificazione ai sensi del 1 o del 6 comma dell’art. 161 l. fall. , appare necessario seguire interamente il filo del ragionamento della ricorrente e chiarire le ragioni per le quali non può essere condiviso. 3.4 Va innanzitutto affermata la natura perentoria del termine concesso dal giudice al debitore per la presentazione della proposta, del piano e dei documenti relativi alla domanda di concordato c.d. con riserva o in bianco . Il termine in questione, infatti, non è prorogabile a mera richiesta della parte o addirittura d’ufficio, ma solo in presenza di giustificati motivi, che devono essere allegati dal richiedente e verificati dal giudice, cosicché la sua disciplina, lungi dall’essere assimilabile a quella di cui all’ad. 154 c.p.c., risulta, piuttosto, mutuata da quella dell’art. 153 c.p.c Inoltre, come è reso chiaro dell’ultimo periodo del 6 comma dell’art. 161, si tratta di un termine decadenziale, alla cui mancata osservanza si ricollega la sanzione di inammissibilità della domanda. L’accertamento della ricorrenza di giustificati motivi per la proroga costituisce poi espressione di un apprezzamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione vizio che, nella specie la ricorrente non ha dedotto in rubrica, né ha specificamente illustrato in ricorso, limitandosi a rilevare senza riprodurre l’istanza di proroga e gli eventuali documenti ad essa allegati, né indicare l’esatta sede processuale in cui gli stessi sarebbero stati prodotti di non essere riuscita ad acquisire in tempo utile presso la Banca d’Italia, per fatti ad essa non imputabili, le informazioni deve presumersi della c.d. Centrale Rischi necessarie per valutare la sua esposizione bancaria, che non solo avrebbero potuto essere richieste alle banche creditrici, ma che come implicitamente affermato dalla corte territoriale dovevano, in ogni caso, essere già state acquisite in vista della presentazione della prima domanda di concordato. 3.5 Esposte le ragioni di rigetto delle censure riassunte sub. 2.3 e 2.4 che si sono esaminate percorrendo l’ipotesi che Arzano il 19.2.013 si sia limitata a depositare il piano, la proposta e i documenti al fine di dare tardiva esecuzione agli adempimenti richiesti dall’ad. 161, 6 comma, l. fall. resta da ancora da verificare se, nella diversa ipotesi in concreto ritenuta sussistente dai giudici del merito di avvenuta presentazione, in quella data, di una nuova domanda di concordato, la corte territoriale abbia errato nell’escludere che la dichiarazione di fallimento fosse subordinata alla preventiva delibazione della sua ammissibilità. L’interrogativo si pone, giacché le SS.UU. di questa Corte, con le recenti sentenze nn. 9935 -9936/015, hanno affermato che - ancorché non si possa ravvisare un rapporto di pregiudizialità tecnica fra il procedimento di concordato preventivo e quello per la dichiarazione di fallimento - durante la pendenza del primo, sia esso in fase di ammissione, di approvazione o di omologazione, non può ammettersi l’autonomo corso del secondo, che si concluda con la dichiarazione di fallimento indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall., essendo maggiormente coerente col sistema ritenere che il fallimento non possa intervenire finché la procedura di concordato non abbia avuto esito negativo. Va osservato, d’altro canto, che, ai sensi dell’art. 161, 9comma, L. fall., al debitore non ammesso al concordato di cui al 6 comma è precluso unicamente di ripresentare nel biennio una nuova domanda di concordato con riserva. Dal dato testuale, che non autorizza interpretazioni estensive od analogiche, può dunque ricavarsi, a contrario, che il medesimo debitore può presentare una nuova domanda di concordato ai sensi del 1 comma dell’articolo citato. Va tuttavia considerato, sotto un primo profilo, che, poiché rispetto al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza il concordato non può che essere unico, qualora la procedura di concordato sia pendente non è configurabile un’ulteriore domanda di ammissione avente carattere di autonomia cfr. Cass. n. 495/015 , a meno che da quest’ultima non si desuma l’inequivoca volontà del proponente pur se non espressa con formule sacramentali di rinunciare a quella in precedenza depositata. Sotto altro profilo, va rilevato che le SS.UU., nelle sentenze sopra citate, hanno precisato che è inammissibile una domanda di concordato preventivo presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa, ma per procrastinare la dichiarazione di fallimento in questo caso, infatti, la domanda integra gli estremi dell’abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità deviate od eccedenti rispetto a quelle per le quali l’ordinamento le ha predisposte. Sulla scorta delle considerazioni appena svolte, si può, in definitiva, affermare che, In presenza di una domanda di concordato preventivo con riserva, il provvedimento del tribunale che abbia rigettato l’istanza di proroga del termine per il deposito della proposta, del piano e della documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 161 legge fall., resta insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato che, respinta l’istanza di proroga e scaduto il termine concesso ex art. 161, 6 comma, l. fall., la domanda di concordato deve essere dichiarata inammissibile dal tribunale, ai sensi dell’art. 162, 2 comma, l. fall. che, tuttavia, va fatta salva la facoltà per il proponente, in pendenza dell’udienza fissata per la dichiarazione di inammissibilità, ovvero anche per l’esame di eventuali istanze di fallimento, di depositare una nuova domanda di concordato, ai sensi del primo comma dell’art. 161 l. fall. corredata della proposta, del piano e dei documenti , dalla quale si desuma la rinuncia a quella con riserva, sempre che la nuova domanda non si traduca in un abuso dello strumento concordatario. Nel caso di specie è pacifico che, alla data del 19.2.013, in cui Arzano depositò la terza domanda di concordato, era ancora pendente la procedura introdotta attraverso il deposito della domanda presentata ai sensi dell’art. 161, 6 comma, che il tribunale non aveva ancora dichiarato inammissibile può, peraltro, ritenersi altrettanto pacifico, proprio alla luce delle difese svolte nella presente sede dalla ricorrente, che nel presentare detta domanda la società non intese rinunciare a quella di concordato con riserva in precedenza depositata. Tanto basterebbe ad escludere che, prima di dichiarare il fallimento, i giudici del merito fossero tenuti a valutare l’ammissibilità della nuova domanda. Va aggiunto che il ricorso non contiene alcuna critica specifica al capo della sentenza impugnata con il quale la corte territoriale, nell’affermare che la reiterazione della domanda risultava preordinata ad evitare l’esame del ricorso di fallimento ed a procrastinare ulteriormente il diritto del creditore ricorrente a vedere deciso il procedimento da lui instaurato, ha accertato che Arzano abusò dello strumento concordatario. In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto. La novità delle questioni trattate giustifica la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater dPR n. 115/2002, introdotto dall’art. 1, 17 comma, della L. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.