La decorrenza del periodo sospetto in caso di consecuzione di procedure

La pronuncia in commento affronta il tema del principio di consecuzione tra la procedura concordataria e quella fallimentare. Nello specifico la Suprema Corte interviene sulla complessa problematica del dies a quo per il computo a ritroso del c.d. periodo sospetto, allorquando l’azione revocatoria fallimentare venga esercitata nell’ambito di consecuzione di procedure se cioè debba farsi riferimento alla data di deposito della sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero alla data di ammissione al concordato.

E, i Giudici della Prima sezione Civile di piazza Cavour, con la sentenza n. 6045, depositata il 29 marzo 2016, conformandosi ad un consolidato orientamento di legittimità, v., ex multis , Cass. n. 8439/12 , osservano che la consecuzione si sostanzia, in quanto tale, nella considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo cui è succeduta quella di fallimento, essendo a questa considerazione legata, concettualmente, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la retrodatazione del termine iniziale del periodo sospetto al momento dell’ammissione del debitore alla prima di esse. Tanto che ciò che rileva non è la legittimità di tale ammissione, ma il fatto stesso che un’ammissione vi sia stata e una procedura di concordato sia iniziata, perché ciò impone di considerare la successiva dichiarazione del fallimento come conseguenza del medesimo stato d’insolvenza, già a fondamento dell’ammissione del concordato preventivo. Ciò era pacifico – continuano i supremi Giudici - nel vigore del vecchio testo di legge fallimentare, in cui identico era il presupposto del concordato preventivo e del fallimento sul piano normativo, e in cui più propriamente potevasi parlare di vera e propria conversione di procedure. Difatti, nel sistema anteriore alla riforma, postulandosi sempre un’identità di presupposto oggettivo l’insolvenza , e una comunanza anche di tipo funzionale identificabile nell’essere entrambe volte al soddisfacimento delle ragioni dei creditori, da più parti veniva affermato che la dichiarazione di fallimento poteva venire in rilievo quale mero accertamento di un dissesto suscettibile di saldarsi alla eguale situazione già presupposta nella procedura anteriore, così da legittimare la decorrenza del periodo sospetto a ritroso dalla data di ammissione al concordato. Ma la sostanza del discorso – chiariscono gli Ermellini – non cambia in maniera significativa nel regime attuale. Il fatto. Con sentenza dell’aprile 2010 il Tribunale di Teramo rigettava l’opposizione di un istituto di credito avverso lo stato passivo del fallimento di un imprenditore, dichiarato nel marzo 2008 in consecuzione di un concordato preventivo. Nello specifico, il Tribunale confermava l’esclusione del rango ipotecario vantato dall’istante, reputando non consolidata, e revocabile, ex art. 67 l. fall., l’ipoteca dedotta. Il giudice del merito, inoltre, riteneva che, in caso di consecuzione di procedure, il termine a ritroso per l’esercizio della revocatoria dovesse ricorrere dalla prima, non essendo le procedure distinguibili in ragione dello stato d’insolvenza quanto piuttosto in relazione al giudizio di reversibilità, o meno, della crisi d’impresa. Avverso quest’ultima decisione la banca proponeva quindi ricorso per cassazione deducendo tre distinti motivi di censura, cui replicava la curatela del fallimento con controricorso. In particolare, l’istituto di credito col secondo gravame censurava la sentenza per non aver considerato che l’applicabilità della riduzione, da un anno a sei mesi, del periodo sospetto – riferita alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del d.l. n. 35/2005 – andava parametrata all’inizio della procedura fallimentare, questa – e non il concordato – essendo condicio iuris dell’azione revocatoria. Gli Ermellini, invero, dopo aver dichiarato infondato il predetto motivo, chiariscono che la comunanza di presupposto oggettivo non viene affatto incrinata, in caso di consecuzione, neppure nel passaggio alle nuove norme, giacché anche in queste l’accesso al concordato non esclude l’insolvenza. E, ove il dissesto sia accertato con la successiva dichiarazione di fallimento, resta intatta la logica unitaria, per quanto il procedimento resti articolato in diversi momenti il che infine consente di rapportare quel medesimo dissesto alla data della prima procedura. In altre parole, codesta unitarietà non recede ove sussista uno iato temporale nella successione dei procedimenti, essendo manifestazione di un’unica crisi d’impresa. Parimenti i supremi Giudici respingono i restanti motivi di censura e rigettano quindi in toto il ricorso proposto dalla banca. La revocatoria a seguito del d.l. 14 marzo 2005, n. 35. Il d.l. n. 35/2005, poi convertito nella l. n. 80/2005 ha profondamente innovato la disciplina della revocatoria fallimentare. Disciplina applicabile esclusivamente ai fallimenti dichiarati successivamente alla data di entrata in vigore del d.l. n. 35/2005, in forza dell’art. 2, comma 2, del medesimo provvedimento legislativo, secondo il quale le nuove disposizioni in materia revocatoria si applicano alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del medesimo decreto. Peraltro, come rilevano i Giudici nel decisum in rassegna, la disposizione transitoria de qua non menziona affatto il fallimento, ma più genericamente si riferisce alla procedura”, ogni procedura, nell’ambito della quale l’azione revocatoria può essere esercitata. Il periodo sospetto. Ai fini della revocatoria fallimentare il curatore deve prendere in considerazione solo gli atti dell’imprenditore compiuti nello specifico lasso di tempo che precede la data di dichiarazione di fallimento. La riforma, allineandosi alla evoluzione della disciplina concorsuale dei principali paesi europei, ha dimezzato il periodo sospetto per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare fissandolo in un anno o sei mesi a seconda del tipo di atto interessato. Quanto alle ipoteche giudiziali o volontarie, ipotesi dedotta dall’istituto di credito de quo , il periodo di riferimento è stato fissato in sei mesi. Il dies a quo per il computo a ritroso del periodo sospetto. Un consolidato orientamento giurisprudenziale, confermato dal decisum che qui ci occupa, ammette che in caso di consecuzione di procedure concorsuali, il periodo sospetto sia determinato a ritroso dalla data di ammissione della procedura di concordato preventivo e non invece dalla data della successiva sentenza dichiarativa di fallimento. Si parla in tal caso di una retrodatazione del dies a quo del periodo sospetto. Il decreto di ammissione al concordato preventivo viene considerato atto di accertamento dello stato di insolvenza assimilabile alla sentenza di fallimento. Dopo la riforma, tuttavia, l’ammissione al concordato preventivo non presuppone più necessariamente l’accertamento dello stato di insolvenza, potendo fondarsi anche su di uno stato di crisi. Oggi, pertanto, per ammettere la retrodatazione del periodo sospetto occorre verificare che il fallito sia stato ammesso al concordato in quanto effettivamente insolvente. Per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza, ex art. 160 l. fall Sul punto, è opportuno precisare che, a seguito della riforma, se da un lato la nozione di stato di insolvenza di cui all’art. 5, comma 2, l. fall., è rimasta invariata, dall’altro la riforma stessa ha introdotto a fianco del concetto di stato di insolvenza quello di stato di crisi. Difatti, il nuovo art. 160, l. fall., in tema di concordato preventivo riconosce la legittimazione a formulare ai creditori una proposta concordataria all’imprenditore che si trova in stato di crisi. L’ultimo comma della predetta norma chiarisce poi esplicitamente che per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza. La ratio ispiratrice della riforma de qua è quella di favorire l’accesso alla procedura concorsuale alternativa al fallimento anche a chi non è ancora in stato d’insolvenza, nell’ottica di tutelare sempre l’attività d’impresa e il valore dell’azienda. La decorrenza del periodo sospetto dal momento di apertura del concordato. Se è innegabile che il concordato preventivo possa oggi esser proposto anche dall’imprenditore in stato di crisi – nozione, come si è visto, comprensiva dello stato d’insolvenza – lo stesso dato normativo rende altresì oggi parimenti indiscutibile che, ove al concordato segua il fallimento, la sequenza dia luogo in ogni caso a una procedura unitaria cha ha inizio con la prima sicché quella, e non la declaratoria di fallimento, viene assunta come base cronologica di riferimento per individuare la disciplina in sé delle azioni revocatorie secondo l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 35/2005. La decadenza per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare. Il d.lgs. n. 5/2006 ha regolamentato con l’art. 69- bis , l. fall., i limiti temporali entro i quali esercitare l’azione, prevedendo che le revocatorie fallimentari possano essere esercitate entro tre anni dalla sentenza dichiarativa di fallimento e, in ogni caso, entro cinque anni dal compimento dell’atto revocabile. Peraltro, non sussiste alcuna possibilità di interruzione o sospensione del termine indicato atteso che quest’ultimo è di decadenza e non di prescrizione. D’altro canto, concludendo, seppure sia intervenuta la decadenza dell’azione, la revocatoria potrà sempre essere proposta in via di eccezione ai sensi dell’art. 95, l. fall

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 febbraio – 29 marzo 2016, n. 6045 Presidente Didone – Relatore Terrusi Svolgimento del processo Con sentenza in data 19-4-2010 il tribunale di Teramo rigettava l’opposizione di Intesa Sanpaolo s.p.a. avverso lo stato passivo del fallimento ICS di S.Q. , dichiarato il 25-3-2008 in consecuzione di un concordato preventivo. Per quanto in effetti ancora rileva, il tribunale confermava l’esclusione del rango ipotecario vantato dall’istante, reputando non consolidata, e revocabile ex art. 67 legge fall., l’ipoteca dedotta. Riteneva che, in caso di consecuzione di procedure, il termine a ritroso per l’esercizio della revocatoria dovesse decorrere dalla prima, non essendo le procedure distinguibili in ragione dello stato di insolvenza quanto piuttosto in relazione al giudizio di reversibilità o meno della crisi dell’impresa. Sicché anche l’entità di quel termine, tenuto conto del medesimo principio, doveva esser riferita alla norma vigente alla data di ammissione al concordato - 10-10-1996 - rispetto alla quale le ipoteche, iscritte il 27-11-1995, non si erano consolidate. La banca ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi. La curatela del fallimento ha replicato con controricorso e memoria. Motivi della decisione I. - Col primo mezzo la ricorrente denunzia la nullità della decisione per violazione degli artt. 99 e 242 della legge fall., per avere il tribunale deciso l’opposizione al passivo con sentenza, anziché con decreto. Il motivo è infondato, non essendo la violazione formale determinativa della nullità del provvedimento. II - Col secondo mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, 2 comma, del d.l. n. 35 del 2005 come convertito e la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 67, 1 comma, n. 4, della legge fall. nel testo sostituito dal medesimo art. 2, sottolineando che alla fase di concordato aveva fatto seguito il fallimento dopo l’entrata in vigore della novella citata. Censura quindi la sentenza per non aver considerato che l’applicabilità della riduzione, da un anno a sei mesi, del periodo sospetto - riferita alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del d.l. n. 35 del 2005 - andava parametrata all’inizio della procedura fallimentare, questa - e non il concordato - essendo condicio iuris dell’azione revocatoria. In sostanza, pur senza mettere in discussione l’operare del principio di consecuzione, la banca sostiene che, una volta dichiarato il fallimento in vigenza del novellato art. 67, il periodo sospetto rilevante in relazione agli atti compiuti antea rispetto al concordato preventivo dovevasi considerare quello di sei mesi sicché l’ipoteca, iscritta il 27-11-1995, avrebbe dovuto ritenersi consolidata a ogni effetto, e il relativo credito ammesso col grado ipotecario. III. - Il motivo è infondato. L’art. 2, 1 comma, lett. a , del d.l. n. 35 del 2005, conv. in L. n. 80 del 2005, allineandosi alla evoluzione della disciplina concorsuale dei principali paesi Europei, ha dimezzato il periodo sospetto per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare fissandolo in un anno o sei mesi a seconda del tipo di atto interessato. Quanto alle ipoteche giudiziali o volontarie, il periodo di riferimento è stato fissato in sei mesi. L’art. 2, 2 comma, del d.l. cit. ha previsto che le nuove disposizioni si applichino alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del medesimo d.l Il tribunale di Teramo, traendo argomento dal principio di consecuzione, ha interpretato la norma come riferibile, laddove il fallimento consegua al concordato preventivo, alla data di apertura del concordato. Per cui in tal caso il periodo sospetto, decorrendo a ritroso dalla prima procedura, andrebbe poi individuato in base alla norma in vigore al tempo di essa. La conclusione assunta dal tribunale è condivisibile in ragione del valore sistematico del principio di consecuzione, che intercetta l’interesse del ceto creditorio alla neutralità del previo ricorso del debitore a procedure concordatarie, con l’obiettivo di congelare il valore del patrimonio presente al momento anteriore onde poterlo assoggettare, poi, eventualmente, alla liquidazione concorsuale. IV. - La consecuzione fra le procedure concorsuali - sul cui concreto operare nella specie nessuna questione è posta dall’attuale ricorrente - implica che le procedure siano originate da un medesimo unico presupposto, costituito dallo stato d’insolvenza v. in tema Sez. 1^ n. 5527-06, n. 21326-05, n. 17844-02 orientamento costante fin dalla remota Sez. 1^ n. 3981-56 . E può osservarsi che la consecuzione addirittura si sostanzia - essa in quanto tale - nella considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo cui è succeduta quella di fallimento, essendo a questa considerazione legata, concettualmente, con riguardo alla revocatoria fallimentare, la retrodatazione del termine iniziale del periodo sospetto al momento dell’ammissione del debitore alla prima di esse. Tanto che ciò che rileva non è la legittimità di tale ammissione, ma il fatto stesso che un’ammissione vi sia stata e una procedura di concordato sia iniziata, perché ciò impone di considerare la successiva dichiarazione del fallimento come conseguenza del medesimo stato d’insolvenza, già a fondamento dell’ammissione al concordato preventivo v. Sez. 1^ n. 8439-12, n. 18437-10 . Ciò era pacifico nel vigore del vecchio testo della legge fallimentare, in cui identico era il presupposto del concordato preventivo e del fallimento sul piano normativo, e in cui più propriamente potevasi parlare di vera e propria conversione di procedure. Nel sistema anteriore alla riforma, postulandosi sempre un’identità di presupposto oggettivo l’insolvenza in entrambe le procedure, e una comunanza anche di tipo funzionale identificabile nell’essere entrambe volte al soddisfacimento delle ragioni dei creditori, da più parti veniva affermato che la dichiarazione di fallimento poteva venire in rilievo quale mero accertamento di un dissesto suscettibile di saldarsi alla eguale situazione già presupposta nella procedura anteriore, così da legittimare la decorrenza del periodo sospetto a ritroso dalla data di ammissione al concordato. Ma la sostanza del discorso non cambia in maniera significativa nel regime attuale. Per lo meno non cambia ai limitati fini. L’art. 36 del d.l. n. 275 del 2005, conv. in l. n. 51 del 2006, ha fornito l’interpretazione autentica del novellato art. 160 legge fall. prevedendo che per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza . E l’art. 33, 1 comma, lett. a-bis, n. 2 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, aggiungendo il 2 comma dell’art. 69-bis della legge fall., per il caso che alla domanda di concordato segua il fallimento, ha precisato che i termini per le revocatorie decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese . La portata innovativa di tale norma si riflette soltanto sulla precisazione dianzi detta, tesa a stabilire che, per i procedimenti introdotti dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione v. art. 33, 3 comma, del medesimo d.l. , lo specifico referente temporale della disciplina delle revocatorie non è tanto l’ammissione al concordato, quanto piuttosto addirittura la data di pubblicazione della domanda. In tal guisa la conclusione della comunanza di presupposto oggettivo non viene quindi affatto incrinata, in caso di consecuzione, neppure nel passaggio alle nuove norme, giacché anche in queste l’accesso al concordato non esclude l’insolvenza. Ove il dissesto sia accertato con la successiva dichiarazione di fallimento, resta intatta la logica unitaria, per quanto il procedimento resti articolato in diversi momenti il che consente infine di rapportare quel medesimo dissesto alla data della prima procedura. In altre parole, codesta unitarietà non recede ove sussista uno iato temporale nella successione dei procedimenti, essendo infine manifestazione di un’unica crisi d’impresa. Se quindi è innegabile che il concordato preventivo possa oggi esser proposto anche dall’imprenditore in stato di crisi - nozione, come si è visto, comprensiva dello stato d’insolvenza - lo stesso dato normativo rende altresì oggi parimenti indiscutibile che, ove al concordato segua il fallimento, la sequenza dia luogo in ogni caso a una procedura unitaria che ha inizio con la prima sicché quella, e non la declaratoria di fallimento, viene assunta come base cronologica di riferimento per individuare la disciplina in sé delle azioni revocatorie secondo l’art. 2, 2comma, del d.l. n. 30 del 2005. V. - Non senza significato, d’altronde, questa corte proprio con la sentenza richiamata dalla difesa della ricorrente - ha escluso l’irrazionalità della nuova disciplina delle revocatorie fallimentari. Il dubbio di costituzionalità conseguente all’art. 2, 2 comma, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, laddove, prevedendo che le disposizioni del 1 comma, lettere a e b , si applicano soltanto alle azioni proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005, avrebbe introdotto una disciplina diversa per situazioni identiche, si è detto infondato perché tale identità va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneità degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza, che si aprono in base a regole diverse vigenti all’atto di ciascuna dichiarazione, ciò giustificando la disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una normativa mutata, in coerenza con la successione delle leggi e la conseguente irretroattività della nuova norma Sez. 1^ n. 5962-08 . La considerazione, dal collegio condivisa, va posta a base pure del profilo che in questa sede rileva, anch’esso altrimenti potenzialmente declinabile alla stregua di disparità di trattamento tra creditori di un soggetto il cui fallimento sia stato dichiarato dopo l’entrata in vigore della riforma essendo stato ammesso in precedenza a una procedura minore. La disparità di trattamento sarebbe evidentemente legata alla ricostruzione dell’attivo, condizionata dalla ben diversa depotenziata disciplina delle revocatorie. Viceversa l’unitarietà giuridica della procedura, per quanto articolata in diverse fasi, consente di superare ogni ipotetico dubbio, rimanendo determinante in entrambe le ipotesi il momento in cui si determina l’insolvenza. Il quale momento associa all’inizio effettivo della disciplina che rileva le legittime aspettative dei creditori in ordine alle prospettive di ricostruzione dell’attivo mediante l’esercizio delle azioni di quei creditori che, all’atto del voto nel concordato, hanno fatto affidamento anche sul regime delle revocatorie in quel momento applicabile. VI. - Per tale specifica ragione non può esser condivisa l’opinione dottrinale ben vero articolatamente avversata - cui la ricorrente ha fatto riferimento. Secondo tale opinione andrebbe distinto il problema procedimentale, relativo alla individuazione della disciplina applicabile, dal problema sostanziale attinente alla individuazione del decorso del periodo sospetto, onde sostenersi che la data rilevante per l’applicazione del regime novellato delle revocatorie sarebbe in ogni caso quella della dichiarazione di fallimento, mentre il computo del periodo sospetto andrebbe retrodatato a partire dalla disciplina minore. Può osservarsi che una simile conclusione contraddice il fondamento stesso della consecuzione che è alla base della retrodatazione del periodo sospetto fondamento - ripetesi - costituito dall’unitarietà della procedura. E soprattutto che la disposizione transitoria più volte citata l’art. 2, 2 comma, del d.l. n. 35 del 2005, come convertito non menziona affatto il fallimento, ma più genericamente si riferisce alla procedura ogni procedura nell’ambito della quale l’azione revocatoria può essere esercitata. Il secondo motivo di ricorso va quindi disatteso. VII. - Col terzo mezzo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 69-bis della legge fall., non potendo l’azione revocatoria essere comunque esperita decorsi cinque anni dal compimento dell’atto revocabile. Trattandosi di termine di decadenza, e non di prescrizione, non condizionato all’eccezione di parte, il tribunale avrebbe dovuto, secondo la ricorrente, applicare d’ufficio la norma al caso di specie. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Per quanto sia vero che il termine eccepito è termine di decadenza, come reso palese sia dalla rubrica dell’art. 69-bis, sia dalla formulazione della norma, non è meno vero che tale circostanza incide solo sul profilo afferente l’inapplicabilità dei termini di sospensione e di interruzione - notoriamente inesistensibili alla decadenza. Non ha invece alcuna influenza sul regime della rilevabilità, che postula l’eccezione di parte secondo il principio generale di cui all’art. 2969 cod. civ. Eccezione non proposta nel giudizio di merito. VIII. - La difficoltà della questione agitata col secondo motivo di ricorso, sulla quale non si registrano precedenti della corte e sulla quale la stessa dottrina non ha manifestato identità di vedute, giustifica la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.