Il piccolo imprenditore cancellato dal registro delle imprese sfugge al fallimento?

L’imprenditore raggiunto da istanza di fallimento che, in sede di istruttoria prefallimentare, non presenti la situazione patrimoniale, economica e finanziaria non può sottrarsi alla dichiarazione di fallimento invocando semplicemente la propria natura di piccolo imprenditore. Inoltre, il deposito della domanda di cancellazione dal registro delle imprese non assume alcuna rilevanza ai fini del decorso del termine di cui all’art. 10 l.fall., dovendo a tal fine fare riferimento alla formale annotazione dell’atto.

È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5096/16, depositata il 16 marzo. Il caso. La Corte d’appello di Catania confermava la pronuncia di prime cure con cui veniva dichiarato il fallimento di un imprenditore individuale ritenendo infondate le contestazioni dell’interessato relative alla pretesa natura di piccolo imprenditore, escluso dall’ambito della fallibilità. Allo stesso modo veniva disattesa la censura relativa alla cessazione dell’attività economica per effetto della domanda di cancellazione dal registro delle imprese presentata oltre il termine annuale di cui all’art. 10 l.fall., nonostante l’annotazione fosse avvenuta successivamente. Requisiti di fallibilità. Il fallito ricorre per la cassazione della sentenza della Corte siciliana, lamentando in primo luogo la ritenuta sussistenza dei requisiti di fallibilità. Il Collegio, aderendo al principio della prossimità della prova , ritiene infondata la censura in quanto l’art. 1, comma 2, l.fall. pone a carico del debitore l’onere di provare l’esclusione dal fallimento dimostrando il non superamento dei parametri dimensionali ivi prescritti. Il mancato deposito della situazione patrimoniale, economica e finanziaria da parte dell’imprenditore non può dunque che rivolgersi a suo danno, in quanto, ai fini della fallibilità, non assume alcuna rilevanza la nozione sostanziale di piccolo imprenditore di cui all’art. 2083 c.c., dovendo fare esclusivo riferimento ai criteri soggettivi di tipo quantitativo ex art. 1, l. fall Cancellazione dal registro delle imprese. Con il secondo motivo del ricorso, viene dedotta la violazione dell’art. 10 l. fall. per aver il giudice di merito trascurato l’intervenuta cessazione dell’attività del debitore in un momento antecedente rispetto alla cancellazione dal registro delle imprese. La Corte nega ogni fondamento alla censura ricordando come, ai fini della decorrenza del termine annuale per la dichiarazione di fallimento, l’art. 10 l.fall. riconosce determinante quale dies a quo la cancellazione dal registro delle imprese, in quanto solo da tale momento la cessazione dell’attività viene formalmente portata a conoscenza dei terzi, ferma restando la possibilità di dimostrare la continuazione di fatto dell’attività d’impresa. Per questi motivi, la Corte di legittimità rigetta il ricorso. Fonte www.ilfallimentarista.it

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 1 15 marzo 2016, n. 5096 Presidente Di Virgilio Relatore Ferro Il processo S. T. impugna la sentenza App. Catania 8.7.2009 n. 971 con cui veniva rigettato il suo reclamo avverso la sentenza Trib. Catania 20.2.2009 n. 19/09 dichiarativa del proprio fallimento, pronunciata su istanza del creditore Fallimento di N.D Ritenne la corte d'appello che andavano disattese le contestazioni avanzate dal fallito innanzitutto in ordine alla sua pretesa natura di piccolo imprenditore, tale da condurlo all'esonero dalla dichiarazione di fallimento, invece dovendosi conferire rilievo alla sola nozione dell'articolo l.f. e non essendo apprezzabili, a questo fine, gli scarni documenti prodotti dal debitore, su cui ricadeva l'onere di provare il congiunto possesso dei requisiti dimensionali. Parimenti era infondata la censura circa la decorrenza degli effetti di cessazione dell'attività, ricondotta dal debitore all'epoca di confezionamento dei documenti annessi alla domanda di cancellazione dal registro delle imprese, cioè al 21.4.2006, posto che ciò che rilevava era invece la data di annotazione, effettuata solo il 14.5.2008, né potendo il debitore provare una data anteriore ai fini di cui all'articolo 1.f. e comunque nemmeno risultando o essendo stato allegato che di tale anteriorità fossero a conoscenza i terzi. Il ricorso è affidato a tre motivi. I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli articolo e 15 l.f., oltre che il vizio di motivazione, sui presupposti di fallibilità, nonché il mancato impiego al riguardo dei poteri istruttori officiosi. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione dell'art.i0 l.f, nonché il vizio di motivazione, ove la sentenza ha trascurato che il debitore aveva già cessato la sua attività nell'aprile del 2006, non dipendendo dal medesimo la cancellazione dal registro delle imprese successiva di due anni. 1. 1 primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Osserva il Collegio che il ricorrente ha solo indirettamente censurato la proposizione argomentativa assunta dalla corte d'appello in punto di omessa prova, già cedente a suo carico, delle circostanze esonerative di cui all'articolo co.2 Lf., finendo con l'investire il giudice di legittimità di una questione attinente al cattivo uso, che sarebbe stato fatto dal collegio di merito, dei poteri d'istruzione off ciosa, non esercitati. In realtà, la censura appare inammissibile, sotto il profilo del vizio di motivazione, per la sua genericità e il non aver indicato il motivo la puntuale fattispecie su cui la sentenza avrebbe mai condotto il proprio apprezzamento. Per altro profilo il motivo è infondato, dovendosi dare continuità ad indirizzo consolidato di questa Corte che, in tema di istruttoria prefallimentare, indica che l'omesso deposito, da parte dell'imprenditore raggiunto da istanza di fallimento, della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi , in violazione dell'art. 15, co.4 Lf., come sostituito dal d.lgs. n. 169 del 2007, si risolve in danno dell'imprenditore medesimo, onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali quale causa di esenzione dal fallimento, ai sensi dell'art. 1, co.2 l.f. si tratta invero di limiti dimensionali che vanno desunti innanzitutto dalle produzioni documentali gravanti ex lege a carico del debitore Cass. 8769/2012 . Parimenti, è stato affermato che l'art. 1, co.2 l.f., aderendo ora al principio di prossimità della prova , pone a carico del debitore l'onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti, ed escludendo quindi la possibilità di ricorrere al criterio sancito nella norma sostanziale contenuta nell'art. 2083 cod.civ., il cui richiamo da parte dell'art. 2221 cod.civ. che consacra l'immanenza dello statuto dell'imprenditore commerciale al sistema dell'insolvenza, salve le esenzioni ivi previste , non spiega alcuna rilevanza il regime concorsuale riformato ha infatti tratteggiato la figura dell inprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della prevalenza del lavoro personale rispetto all'organizzazione aziendale fondata sul capitale e sull'altrui lavoro Cass. 13086/2010,23052/2010 . 2. Il secondo motivo è infondato. Osta al suo accoglimento il principio, cui dare continuità, per cui il termine di un anno dalla cessazione dell'attività, prescritto dall'art. 10 l.f. ai fini della dichiarazione di fallimento, decorre, tanto per gli imprenditori individuali quanto per quelli collettivi, dalla cancellazione dal registro delle imprese, perché solo da tale momento la cessazione dell'attività viene formalmente portata a conoscenza dei terzi, salva la dimostrazione di una continuazione di fatto dell'impresa anche successivamente Cass. 12338/2014, 8033/2012 3. Circa la sollecitazione ad una diversa lettura della norma, anche alla luce dei parametri costituzionali ex artt. 3 e 24 Cost., questa Corte già ha esaminato la questione, affermando che l'articolo l. , nel prevedere la possibilità per il solo creditore e per il P.M., e non anche per l'imprenditore, di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attività d'impresa ai fini della decorrenza del termine per la dichiarazione di fallimento, non si pone in contrasto coi, /~.-& amp tti arti. né con l'art. 111 Cost., atteso che, se fosse consentito al debitore di dimostrare una diversa e anteriore data di effettiva cessazione dell'attività imprenditoriale rispetto a quella della cancellazione dal registro delle imprese, la tutela dell'affidamento dei terzi ne risulterebbe vanificata Cass. 24431/2011 . Con un principio ripreso anche da Cass. 18595/2014, è stato altresì condivisibilmente aggiunto che l'iscrizione e la cancellazione dell'imprenditore dal registro delle imprese assolvono ad una comune funzione di pubblicità nell'interesse esclusivo dei terzi, ai quali è in tal modo consentita l'aggiornata cognizione dello stato e dell'attività dell'impresa, con la quale intraprendano contatti commerciali la disciplina in esame costituisce dunque espressione di tale esclusiva tutela, rispetto alla quale l'imprenditore si trova in una posizione antitetica, per la ragione che, se gli fosse consentito di dimostrare una diversa e anteriore data di effettiva cessa 'ione dell'alivitò imprenditoriale rispetto a quella risultante dalla cancella2ione presso il registro delle imprese, la tutela dell'affidamento dei temi sarebbe del tutto van fcata . Pertanto detta disciplina non viola alcuna delle norme della Costituzione sopra indicate. Il ricorso va dunque rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.