L’imprenditore ha diritto all’esdebitazione per i debiti previdenziali?

La fattispecie oggetto di esame da parte dell’odierno Giudice della legittimità offre lo spunto per approfondire alcuni aspetti in tema di esdebitazione, istituto introdotto nel sistema concorsuale dall’art. 6 della l. n. 80/2005, la cui disciplina è stata ulteriormente modificata dal d.lgs. n. 169/2007, c.d. correttivo. Nello specifico si tratta di stabilire se l’imprenditore abbia, o meno, diritto al beneficio della esdebitazione per i debiti previdenziali.

E, i Giudici della Prima sezione Civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 4844/16, depositata l’11 marzo, precisano che l’interpretazione offerta dall’INPS, secondo la quale l’esdebitazione non può trovare applicazione per il recupero della contribuzione obbligatoria, avente natura pubblicistica, è manifestamente infondata, atteso che l’art. 120 l.fall., nel prevedere al terzo comma che con la chiusura del fallimento i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dai loro crediti, fa espressamente salvi gli artt. 142 e ss. l’art. 142, al penultimo comma, nel disporre l’esclusione dall’esdebitazione, non menziona il debito previdenziale. E – proseguono gli Ermellini – è infondata altresì la prospettazione avanzata in subordine dall’INPS, secondo cui il debito verso gli enti previdenziali rientrerebbe nei rapporti estranei all’esercizio dell’impresa , ex lett. a del terzo comma dell’art. 142 l.fall., atteso che il rapporto previdenziale sorge in occasione” del rapporto di lavoro ed è estraneo ad ogni scelta imprenditoriale e comunque volontaristica del datore di lavoro. Ciò posto, si rileva che la modifica all’art. 142, terzo comma, lett. a , l.fall., introdotta dal correttivo che dispone l’esclusione dall’esdebitazione per gli obblighi di mantenimento ed alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa va nel senso di individuare l’area oggettiva dell’esclusione come relativa ai debiti personali non assunti per l’esercizio dell’impresa, ed anzi la formula adottata della estraneità” priva di significato ogni tentativo di ricomprendere nell’ambito dell’esclusione i cd. debiti involontari ed i debiti previdenziali di contro sono strettamente collegati all’esercizio dell’impresa, e della stessa costituiscono necessaria conseguenza. Il fatto. La Corte d’appello di Firenze, ritenendo sussistenti in capo a Tizio le condizioni per l’applicazione dell’istituto dell’esdebitazione, ha respinto il reclamo proposto dall’INPS avverso il decreto del Tribunale fiorentino col quale era stata dichiarata l’inesigibilità nei confronti di Tizio stesso dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente. In particolare, secondo la Corte del merito, dopo l’intervento del correttivo, va ritenuta l’esdebitazione anche per i debiti previdenziali, strettamente collegati all’esercizio dell’impresa commerciale. Avverso quest’ultima decisione l’Istituto di previdenza sociale propone ricorso per cassazione facendo valere due motivi di censura, cui resiste Tizio con controricorso. Nello specifico, con il primo gravame il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 120 e 142 l.fall., deducendo che la natura pubblica del rapporto previdenziale porta con sé l’indisponibilità dello stesso da parte del datore di lavoro e dell’ente previdenziale, da cui conseguirebbe l’inapplicabilità dell’esdebitazione. Invero, gli Ermellini respingono in toto il ricorso chiarendo che l’interpretazione offerta dall’INPS è manifestamente infondata, atteso che l’art. 120 l.fall., nel prevedere al terzo comma che con la chiusura del fallimento i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dai loro crediti, fa espressamente salvi gli artt. 142 e ss. l’art. 142, al penultimo comma, nel disporre l’esclusione dall’esdebitazione, non menziona il debito previdenziale. Le origini storiche dell’istituto dell’esdebitazione in ordinamenti di common law”. Un’indagine sulle radici dell’istituto in paesi anglosassoni, sorto naturalmente nei primi anni del Settecento in Inghilterra e successivamente importato nelle colonie americane, poi Stati Uniti dimostra l’esistenza di diverse fasi nella prima delle quali l’introduzione della discharge non fu dovuta al prevalere di uno spirito liberale ed umanitario nei confronti dei falliti ma anzi un incentivo nei confronti dei creditori e dello Stato per indurre il fallito al rilascio dei beni e al rispetto delle disposizioni della legge in ogni caso esso non costituiva un diritto del debitore ma il certificato attestante l’avvenuta liberazione doveva essere frutto di un’intesa tra i creditori, sottoscritto da un certo numero di essi calcolati per numero e valore e pertanto era condizionato in definitiva alla loro volontà. A tutt’oggi l’istituto de quo non ha affatto un carattere unitario diretto ad attuare privilegi e un favor per il debitore, bensì è disciplinato anche nell’interesse dei creditori, come dimostrano del resto le sue origine storiche. In realtà la liberazione dei debiti è l’effetto di una serie di elementi e condizioni, assai diverse tra loro, che possono assumere caratteri completamente differenziati a seconda di procedure specifiche di cui la liberazione stessa è conseguenza. I presupposti del beneficio della liberazione dai debiti residui” nel diritto italiano. L’art. 6 della l. n. 80/2005 di delega al governo per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, nell’enunciare principi e criteri direttivi stabilisce al punto 13 di introdurre la disciplina dell’esdebitazione e disciplinare il relativo procedimento prevedendo che esso consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, a condizione che il debitore abbia cooperato proficuamente con gli organi della procedura, non abbia compiuto atti o posto in essere comportamenti dolosi o fraudolenti che abbiano inciso negativamente sull’andamento e sull’esito della procedura stessa. In particolare, punto fermo all’art. 142, l.fall., riguarda il comportamento del debitore il quale può essere ammesso all’esdebitazione se abbia cooperato con gli organi della procedura e soprattutto non abbia posto in essere fatti che presumibilmente possano costituire reati, che abbiano ad oggetto la distrazione dell’attivo, l’esposizione di passività insussistenti, cause o aggravamenti del dissesto rendendo difficoltosa la ricostruzione del patrimonio. Ugualmente è causa impeditiva l’esistenza di condanna per bancarotta fraudolenta o altri delitti contro l’economia pubblica. L’ambito soggettivo di applicazione del beneficio. E’ circoscritto al fallito persona fisica. Ciò implica, da un lato, che per ottenere il beneficio bisogna rivestire la qualità di fallito e, dall’altro, che esso è precluso a chi non sia persona fisica. La teoria della cooperazione del debitore”. E’ chiaro il richiamo alla teoria de qua , secondo la quale occorre distinguere tra debitori collaborativi e debitori che manifestano mancanza di cooperazione o pongono in essere comunque comportamenti negativi tali da rappresentare ostacolo al soddisfacimento dei creditori. La base di questa teoria è rappresentata dalla convinzione della necessità di una rinuncia per il futuro dei creditori alla possibilità di tentativi di recupero dei loro crediti, in cambio tuttavia di una maggiore soddisfazione immediata, ponendo, il debitore, a loro completa disposizione, l’effettivo, reale e intero patrimonio. In altre parole, si vuole premiare il fallito onesto, ma sfortunato , incentivando l’imprenditore assoggettabile a fallimento a tenere, sia prima che durante la procedura, una condotta irreprensibile tesa a salvaguardare le aspettative di soddisfacimento dei creditori. L’esclusione dell’esdebitazione per le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa. La modifica dell’art. 142, terzo comma, lett. a introdotta dal correttivo che dispone l’esclusione dall’esdebitazione per le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa va nel senso di individuare l’area oggettiva dell’esclusione come relativa ai debiti personali non assunti per l’esercizio dell’impresa, ed anzi la formula adottata della estraneità” priva di significato ogni tentativo di ricomprendere nell’ambito dell’esclusione i cd. debiti involontari. Vi rientrano tutte quelle obbligazioni che non sono in alcun modo pertinenti con l’esercizio dell’impresa. Si tratta di rapporti instaurati dal fallito non in quanto imprenditore, ma come un qualunque privato, sicché è parso giusto che la loro sorte non resti influenzata dalla vicenda fallimentare, scaturita, appunto, dall’esercizio dell’impresa. L’esclusione appare ragionevole e costituzionalmente corretta, ex art. 3 Cost., poiché i creditori che sono tali per rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa hanno fatto credito all’imprenditore in considerazione della sua attività economica ed è giustificato, pertanto, che essi possano risentire dell’esito infausto dell’iniziativa del debitore, finendo, così, per partecipare, in un certo senso, al rischio d’impresa” - con la perdita del credito residuo, una volta esaurita ogni possibilità di recupero attraverso la liquidazione fallimentare - il che non può dirsi per i creditori che sono tali per rapporti estranei. I debiti previdenziali sono strettamente collegati all’esercizio dell’impresa. In conclusione, pertanto, i debiti verso gli enti previdenziali non rientrano nei rapporti estranei all’esercizio dell’impresa, ex art. 142, terzo comma, lett. a , l.fall., atteso che il rapporto previdenziale sorge in occasione” del rapporto di lavoro ed è strettamente collegato all’esercizio dell’impresa, del quale costituisce necessaria conseguenza.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 gennaio – 11 marzo 2016, n. 4844 Presidente Nappi – Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo La Corte d’appello di Firenze, con decreto depositato il 24/1/2009, ha respinto il reclamo proposto dall’Inps, in proprio e quale mandatario della società di cartolarizzazione dei crediti INPS - S.C.C.I. s.p.a., avverso il decreto del Tribunale di Firenze con cui era stata dichiarata l’inesigibilità nei confronti di B.N. , già dichiarato fallito quale socio illimitatamente responsabile della s.n.c. Ceramiche B. di B.G. e C., dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente, e quindi ha ritenuto sussistenti le condizioni per l’applicazione dell’esdebitazione. Secondo la Corte del merito, dopo l’intervento del correttivo, va ritenuta l’esdebitazione anche per i debiti previdenziali, strettamente collegati all’esercizio dell’impresa commerciale, né rileva la dedotta autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo. Ricorre avverso detta pronuncia l’Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI, con ricorso affidato a due motivi. Si difende con controricorso il B. . Motivi della decisione 1.1. Col primo mezzo, l’Inps si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 120 e 142 l.f. deduce che la natura pubblica del rapporto previdenziale porta con sé l’indisponibilità dello stesso da parte del datore di lavoro e dell’ente previdenziale, da cui conseguirebbe l’inapplicabilità dell’esdebitazione. 1.2.- Col secondo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia in via gradata la violazione e falsa applicazione dell’ art. 142, 3 comma lett. a l.f., e sostiene che il rapporto previdenziale è estraneo all’esercizio dell’impresa, non è frutto di una libera scelta dell’imprenditore, ma discende dalla legge. 2.1.- Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività. L’eccezione è infondata, atteso che il B. ha posto quale dies a quo ai fini del calcolo del termine di gg. 60 per la proposizione del ricorso ex art. 111 Cost. la data del deposito del provvedimento e non già quella della comunicazione o comunque della presa di conoscenza dell’atto ed infatti, come affermato tra le ultime nella pronuncia 12732/2011, il termine per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso i decreti emessi dal tribunale fallimentare in sede di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato non è soggetto alla sospensione feriale a norma dell’art. 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, in relazione all’art. 92 dell’Ordinamento giudiziario, svolgendo tale reclamo, nella procedura concorsuale, funzione sostitutiva delle opposizioni previste dagli artt. 615 e 617 c. p. c. nel processo esecutivo individuale detto termine, inizia a decorrere dalla comunicazione del provvedimento alla parte, come eseguita dalla cancelleria - di regola - ai sensi degli artt. 136 c. p. c. e 45 disp. att. c. p. c., o anche in forme equipollenti, purché risulti certa la presa di conoscenza dell’atto da parte del destinatario e la relativa data. Nella specie, peraltro, non risultando la comunicazione del provvedimento, si rende applicabile il termine annuale, ex art. 327 c.p.c. e risulta avvenuta il 25/1/2010 la consegna all’Ufficiale giudiziario per la notifica, e quindi nel termine annuale, considerato il deposito del provvedimento del 24/1/2009, visto che il 24/1/2010 cadeva di domenica. È infondato l’ulteriore profilo di inammissibilità fatto valere dal controricorrente, attesa la evidente natura decisoria e definitiva su diritti del provvedimento impugnato. Nel merito, i due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto collegati, sono da ritenersi infondati. L’interpretazione offerta dall’Inps, secondo la quale l’esdebitazione non può trovare applicazione per il recupero della contribuzione obbligatoria, avente natura pubblicistica, è manifestamente infondata, atteso che l’art. 120 l.f., nel prevedere al 3 comma che con la chiusura del fallimento i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti, fa espressamente salvi gli artt. 142 e ss. l’art. 142, al penultimo comma, nel disporre l’esclusione dall’esdebitazione, non menziona il debito previdenziale. È infondata altresì la prospettazione avanzata in subordine dall’Inps, secondo cui il debito verso gli enti previdenziali rientrerebbe nei rapporti estranei all’esercizio dell’impresa , ex lett. a del 3 comma dell’art. 142 l.f., atteso che il rapporto previdenziale sorge in occasione del rapporto di lavoro ed è estraneo ad ogni scelta imprenditoriale e comunque volontaristica del datore di lavoro. Ciò posto, si rileva che la modifica all’art. 142, 3 comma lett. a introdotta dal correttivo che dispone l’esclusione dall’esdebitazione per gli obblighi di mantenimento ed alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa va nel senso di individuare l’area oggettiva dell’esclusione come relativa ai debiti personali non assunti per l’esercizio dell’impresa, ed anzi la formula adottata della estraneità priva di significato ogni tentativo di ricomprendere nell’ambito dell’esclusione i cd. debiti involontari ed i debiti previdenziali di contro sono strettamente collegati all’esercizio dell’impresa, e della stessa costituiscono necessaria conseguenza. 3.1.- Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna l’Inps alle spese, liquidate in euro 3000,00, oltre euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie ed accessori di legge.