Il diniego della proposta concordataria è ricorribile per cassazione?

La fattispecie oggetto di esame da parte dell’odierno giudice della legittimità offre lo spunto per approfondire alcuni aspetti sul tema della proposta concordataria nella fase preventiva di ammissibilità all’adunanza dei creditori.

Nello specifico, si tratta di stabilire se, in base alla normativa attualmente in vigore a seguito alla riforma operata dal d.lgs. n. 169/2007, c.d. decreto correttivo, il diniego di ammissione al concordato preventivo, senza che sia intervenuta contemporanea o successiva dichiarazione di fallimento, sia ricorribile, o meno, per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost E, i giudici della Prima sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 3472 depositata il 23 febbraio 2016, richiamando un non lontano grand arret della Suprema Corte Cass., n. 1521/2013 , in attesa di una pronuncia definitiva delle Sezioni Unite cui rimandano, chiariscono che il legislatore ha eliminato l’automatismo della declaratoria di fallimento una volta definito negativamente il giudizio di omologazione – e ciò in ragione della avvertita necessità di subordinare la fallibilità dell’imprenditore ad istanza di parte art. 6, l. fall. -, ha pur tuttavia privilegiato una unicità di soluzione stabilendo che, se il tribunale in sede di omologazione respinge il concordato, ricorrendone i presupposti dichiara il fallimento del debitore con separata ordinanza emessa contestualmente al decreto”, contestualità poi ribadita con riferimento alla previsione del reclamo contro il provvedimento del tribunale art. 183, l. fall. . E – proseguono gli Ermellini – anche la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sulla nuova disciplina del concordato, ha inoltre ribadito lo stretto nesso intercorrente fra l’esito negativo dell’istanza di concordato – nelle diverse fasi dell’ammissione e dell’omologazione – e la dichiarazione di fallimento Cass., n. 9743/2008 , essendo stato segnatamente precisato che il ricorso contro il decreto del tribunale che neghi l’ingresso alla procedura di concordato preventivo è inammissibile quando è inscidibilmente connesso alla successiva e consequenziale sentenza dichiarativa di fallimento anche non contestuale , dovendo in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l’impugnazione della sentenza” Cass., n. 3586/2011 che a sua volta richiama Cass., 8186/2010 che le questioni attinenti al decreto di inammissibilità devono essere dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto il predetto rapporto si atteggia come un fenomeno di consequenzialità eventuale del fallimento all’esito negativo della prima procedura e di assorbimento dei vizi del predetto diniego in motivi di impugnazione della seconda , che determina una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti Cass., n. 8190/2012, che a sua volta richiama Cass., n. 3059/2011 che il decreto di annullamento del concordato preventivo non è autonomamente impugnabile mancando il necessario interesse, e ciò in quanto l’eventuale accoglimento dell’impugnazione non potrebbe avere alcuna incidenza sulla validità e l’efficacia della sentenza di fallimento, potendo questa essere revocata soltanto all’esito ed in accoglimento di apposito reclamo Cass., n. 2671/2012 . Il fatto. La Beta s.p.a. presentava domanda di ammissione al concordato preventivo. A seguito dell’esito della votazione resa nell’adunanza dei creditori, il commissario aveva comunicato che, a fronte di creditori ammessi per Euro 8.736.225,93, avevano espresso voti contrari creditori per importo pari ad Euro 5.853.303,56 corrispondenti al 67% del totale. In particolare aveva espresso voto contrario una banca, creditrice di Euro 5.746.462,66. All’udienza fissata ai sensi dell’art. 162 l. fall., la Beta s.p.a. assumeva la nullità del voto espresso dall’istituto di credito in ragione del fatto che lo stesso era stato espresso da soggetti non legittimati e non nelle forme previste dall’art. 174 l. fall Il Tribunale di Verona, invero, dichiarava inammissibile la domanda di concordato. Avverso quest’ultima decisione la Beta s.p.a. proponeva quindi ricorso per cassazione facendo valere tre distinti motivi di censura. Invero, gli Ermellini, nel decisum de quo, valutano più in generale l’ammissibilità o meno del ricorso stesso, senza tuttavia trovare una soluzione rimettendo la causa al primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite. In particolare, i supremi giudici rilevano come apparrebbe rilevante precisare il concetto di definitività del provvedimento che pronuncia l’inammissibilità della proposta concordataria in relazione alla circostanza se la detta definitività sussista anche qualora l’impugnazione avverso la pronuncia in questione verta, come nel caso di specie, su vizi del procedimento concordatario in sé che non investano direttamente la proposta concordataria in quanto tale, essendo a tale circostanza connessa l’ulteriore questione se il proponente possa in caso ripresentare la medesima proposta concordataria o debba presentarne comunque una diversa. Il concordato preventivo è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. L’adunanza dei creditori viene presieduta dal giudice delegato, non solo in qualità di organo di congiunzione tra la fase di approvazione e la fase di omologazione, ma anche in veste di organo predisposto all’accertamento del credito. Ha diritto di partecipare all’adunanza ogni creditore chirografario, la cui situazione giuridica trovi titolo e causa anteriori al decreto di ammissione alla procedura, tenendo conto che è sufficiente l’esistenza del credito e non la sua esigibilità. Il concordato sarà approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato sarà approvato se la maggioranza si verifica nel maggior numero di classi. Nel caso de quo, invero, i creditori non avevano approvato la proposta concordataria, ed avverso questo diniego la proponente aveva presentato ricorso in cassazione. Le due condizioni per l’ammissibilità del ricorso in cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost L’orientamento dominante della Suprema Corte subordina l’ammissibilità del ricorso straordinario, ex art. 111, comma 7, Cost. alla sussistenza di due condizioni il provvedimento impugnabile deve avere natura decisoria, cioè deve aver risolto controversie e conflitti su diritti soggettivi o status, come è proprio della giurisprudenza contenziosa inoltre, il provvedimento deve essere definitivo, vale a dire non essere soggetto ad altro mezzo di impugnazione, ne diversamente modificabile o revocabile, cioè avere l’idoneità, tipica del giudicato, a pregiudicare quei diritti soggettivi e status. Dunque, da un verso, un atto privo del carattere decisorio su diritti soggettivi non può essere impugnato con il ricorso straordinario in cassazione lamentando una violazione delle regole processuali dall’altro verso, i provvedimenti lesivi di diritti processuali delle parti, possono essere impugnati con il ricorso straordinario in cassazione solo se, oltre ad essere definitivi, hanno anche natura decisoria sostanziale. Il carattere decisorio e definitivo della dichiarazione di inammissibilità della proposta concordataria. Sul carattere decisorio della dichiarazione di inammissibilità della proposta, sia che essa avvenga ai sensi dell’art. 162, l. fall., ovvero, come nel caso di specie, ai sensi dell’art. 179, l. fall., per mancata approvazione all’adunanza dei creditori, non sussistono dubbi, essendo evidente che la detta inammissibilità preclude la possibilità di dar corso alla procedura concorsuale con tutte le ovvie conseguenze sulla situazione soggettiva del richiedente. Sorgono tuttavia dubbi sul carattere definitivo del provvedimento in questione potendo sostenersi che, in ogni caso, non rimane preclusa per l’interessato la possibilità di proporre una nuova domanda di concordato. Su tale questione non sussiste una argomentata pronuncia della Suprema Corte rinvenendosi soltanto alcune sentenze, che concernono l’ipotesi di dichiarazione di inammissibilità della istanza di concordato ai sensi dell’art. 162, l. fall., ovvero la revoca, ex art. 173 l. fall., e che hanno ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione, ex art. 111, Cost. avverso i provvedimenti in questione purché ad essi non abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore v., ex plurimis, Cass., 21860/2010 . Il concetto di definitività del provvedimento che pronuncia il diniego di ammissione al concordato nel caso di violazioni procedimentali. In particolare, in riferimento ad ipotesi in cui il proponente il concordato si dolga di violazioni procedimentali come, ad esempio, nel caso di errori nel calcolo delle maggioranze, oppure, come nella specie, di validità di voti contestati, la definizione del concetto di definitività assume importanza decisiva poiché non investe la proposta concordataria in quanto tale. Difatti, concludendo, ci si può interrogare se corrisponda al principio costituzionale del giusto processo imporre al richiedente il concordato di presentare una nuova domanda, dando così corso ad una nuova ed ulteriore procedura, gravosa quanto a tempi e costi, quando in sede di ricorso per cassazione sarebbe possibile decidere in ordine alla esistenza o meno del prospettato vizio procedimentale e definire così la questione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 dicembre 2015 – 23 febbraio 2016, n. 3472 Presidente Ceccherini – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo La Rettondini spa ha presentato domanda di ammissione a concordato preventivo. A seguito dell'esito della votazione resa nell'adunanza dei creditori, il commissario ha comunicato che, a fronte di creditori ammessi per 8.736.225,93, avevano espresso voti contrari creditori per importo pari a 5.853.303,56 corrispondenti al 67% del totale. In particolare, aveva espresso voto contrario la BNL creditore di 5.746.462,66 . All'udienza del 23 gennaio 2015, fissata ai sensi dell'art. 162 l.f., la Rettondini ha assunto la nullità del voto espresso dalla BNL in ragione del fatto che lo stesso è stato espresso da soggetti non legittimati e non nelle forme previste dall'art. 174 l.f Il tribunale di Verona, con decreto depositato il 2.2.15, ha dichiarato inammissibile la domanda di concordato. Avverso il detto provvedimento ricorre per cassazione la Rettondini spa sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso la Banca nazionale del Lavoro. Motivi della decisione Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 z 1324 c.c Sostiene a tale proposito che gli autori della PEC del 10.11.14 non si sarebbero limitati alla sola comunicazione, come meri nuncii , del voto espresso dagli organi preposti di BNL, ma avrebbero esercitato il voto in nome e per conto di BNL, alla stregua di un rappresentante, pur senza averne i poteri e - perciò - invalidamente e il Tribunale avrebbe malamente interpretato la relativa documentazione in violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione delle disposizioni in tema di rappresentanza, in particolare degli artt. da 1387 a 1400 c.c. e da 2203 a 2213 c.c. Sostiene che, in conformità alle regole proprie delle manifestazioni di volontà , la dichiarazione di voto contenuta nella PEC di data 10.11.2014, costituendo una dichiarazione di volontà, doveva necessariamente promanare dal creditore o da un suo procuratore munito del potere di esercitare il voto e che B.A. e N.N. , autori della comunicazione PEC in questione, non avevano alcun potere di esercitare il voto in nome e per conto di BNL, né sulla base delle norme generali in tema di rappresentanza, né in forza delle norme in materia di rappresentanza dell'imprenditore commerciale. La loro dichiarazione, perciò, sarebbe di per sé inidonea a produrre validamente effetti in capo a BNL, essendo pacifico che la dichiarazione di volontà resa dal falsus procurator non produce alcun effetto nella sfera giuridica dello pseudo-rappresentato. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1399 e 1324 c.c. lamentando che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che in ogni caso l'invalidità del voto per insussistenza del potere di esercitarlo, fosse superabile perché detta invalidità poteva essere fatta valere solo dal soggetto la cui volontà sarebbe stata manifestata. La prima questione che si pone è quella della ammissibilità del ricorso. È pacifico che il caso di dichiarazione di fallimento con provvedimento contestuale o immediatamente successivo a quello di diniego dell'omologazione l'unico rimedio esperibile è l'impugnazione della sentenza di fallimento ex art. 18 l.f A tale proposito le Sezioni Unite Cass. 1521/13 , conformemente all'indirizzo già espresso da altre sentenze delle sezioni ordinarie hanno osservato quanto segue. Il legislatore ha eliminato l'automatismo della declaratoria di fallimento una volta definito negativamente il giudizio di omologazione - e ciò in ragione della avvertita necessità di subordinare la fallibilità dell'imprenditore ad istanza di parte L. Fall., art. 6 -, ha pur tuttavia privilegiato una unicità di soluzione stabilendo che, se il tribunale in sede di omologazione respinge il concordato, ricorrendone i presupposti dichiara il fallimento del debitore con separata ordinanza emessa contestualmente al decreto, contestualità poi ribadita con riferimento alla previsione del reclamo contro il provvedimento del tribunale L. Fall., art. 183 . Anche la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sulla nuova disciplina del concordato, ha inoltre ribadito lo stretto nesso intercorrente fra l'esito negativo dell'istanza di concordato - nelle diverse fasi dell'ammissione e dell'omologazione - e la dichiarazione di fallimento comma 08/9743 , essendo stato segnatamente precisato che il ricorso contro il decreto del tribunale che neghi l'ingresso alla procedura di concordato preventivo è inammissibile quando è inscindibilmente connesso, alla successiva e conseguenziale sentenza dichiarativa di fallimento anche non contestuale , dovendo in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l'impugnazione della sentenza comma 11/3586, che a sua volta richiama comma 10/8186 che le questioni attinenti al decreto di inammissibilità devono essere dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto il predetto rapporto si atteggia come un fenomeno di conseguenzialità eventuale del fallimento all'esito negativo della prima procedura e di assorbimento dei vizi del predetto diniego in motivi di impugnazione della seconda , che determina una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti comma 12/18190, che a sua volta richiama comma 11/3059 che il decreto di annullamento del concordato preventivo non è autonomamente impugnabile mancando il necessario interesse, e ciò in quanto l'eventuale accoglimento dell'impugnazione non potrebbe avere alcuna incidenza sulla validità e l'efficacia della sentenza di fallimento, potendo questa essere revocata soltanto all'esito ed in accoglimento di apposito reclamo comma 12/2671 ”. Invero tale ultimo principio deve necessariamente ritenersi che trova applicazione anche nel caso di diniego di ammissione cui sia conseguita dichiarazione di fallimento. Il problema che viene qui posto è se, in base alla normativa attualmente vigente conseguente alla riforma operata dal d.lgs. 169/07, il diniego di ammissione al concordato preventivo, senza che sia intervenuta contemporanea o successiva dichiarazione di fallimento, sia ricorribile o meno per cassazione ai sensi dell'art. 111 cost Va a tale proposito rammentato che, nel vigore della normativa antecedente alla riforma citata del 2007, le Sezioni Unite di questa Corte avevano avuto occasione di precisare, in relazione al diniego di ammissione alla procedura concordataria, che il decreto in tal senso del tribunale era ricorribile per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., essendo non reclamabile ai sensi dell'art. 162 legge fall., tutte le volte in cui la dichiarazione di inammissibilità aveva intrinseco carattere decisorio, essendo dipesa da ragioni che escludevano la consequenziale declaratoria di fallimento, quando il decreto del tribunale che aveva dichiarato inammissibile la proposta di concordato preventivo era dipeso da ragioni - quali, ad esempio, l'esclusione della qualità di imprenditore commerciale o l'assenza dello stato d'insolvenza - che escludevano la consequenziale declaratoria di fallimento Cass. 29 settembre 1999, n. 10138 . Tali circostanze costituivano delle ipotesi del tutto peculiari che consentivano la non applicazione del disposto dell'art. 162 l.f. all'epoca vigente secondo cui, a seguito della dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato, il Tribunale dichiarava d'ufficio il fallimento. Per quanto concerne il diniego di omologazione, occorre poi rammentare che l'articolo 183 l.f., nel testo vigente anteriormente alla riforma del 2006-2007, espressamente prevedeva che contro la sentenza che omologava o rigettava la richiesta di concordato era proponibile impugnazione e che contro la sentenza di appello era proponibile ricorso per cassazione ed in tal senso si era concordemente espressa la giurisprudenza di questa Corte Cass. 4541/93 Cass. 1604/98 Cass. 10632/07 . Ciò era dovuto al fatto che, a seguito del rigetto della omologazione del concordato, l'art. l81 l.f. all'epoca vigente espressamente prevedeva che con lo stesso provvedimento veniva dichiarato il fallimento. A tale proposito era stato ripetutamente affermato che la sentenza che respingeva il concordato preventivo e dichiarava il fallimento non era suscettibile di opposizione ex art. 18 legge fall., ma unicamente dell'appello preveduto dall'art. 183 legge fall., Cass. 3425/96 . In altri termini conclusivamente l'impugnazione innanzi alla Corte d'appello e successivamente il ricorso per cassazione riguardavano sempre la pronuncia dichiarativa di fallimento. Come già rilevato, attualmente il legislatore ha eliminato l'automatismo della declaratoria di fallimento sia nella ipotesi in cui la proposta venga dichiarata inammissibile dal tribunale ai sensi dell'art. 162 l.f. e sia che ciò avvenga ai sensi dell'art. 179 l.f. per mancata approvazione del concordato in sede di adunanza dei creditori, come avvenuto nel caso di specie, oppure ancora in caso di rigetto di omologazione del concordato ai sensi dell'art. 180 u.c. cpc una volta definito negativamente il giudizio di omologazione. In tutte tali ipotesi la fallibilità dell'imprenditore è subordinata alla presenza di istanza di fallimento di terzi o del PM che, se presenti, consentono la dichiarazione di fallimento del debitore con separata ordinanza emessa contestualmente al decreto di rigetto dell'omologa pestando poi entrambi i provvedimenti soggetti alla possibilità del reclamo innanzi la Corte d'appello ai sensi dell'art. 18 l.f In tale nuovo contesto il problema che si pone è se il provvedimento che in sede di reclamo ha negato l'ammissione al concordato rivesta le condizioni di decisorietà e definitività per essere suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. nel caso in cui non sia stata pronunciata sentenza di fallimento. La questione è ovviamente del tutto diversa rispetto all'ipotesi in cui vi sia stata l'ammissione al concordato ex art. 163 l.f. ovvero la proposta sia stata approvata dall'adunanza dei creditori perchè in siffatte ipotesi, nel primo caso, i creditori che sono contrari alla proposta possono opporsi in sede di votazione all'adunanza ovvero, nel secondo caso, possono costituirsi nel giudizio di omologazione. Nel caso invece in cui il concordato sia stato omologato è ammissibile ricorso immediato per cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di decreto dotato dei caratteri della decisorietà e della definitività, in quanto obbligatorio per i creditori, di cui determina una riduzione delle rispettive posizioni creditorie. Cass. 15699/11 . Sul carattere decisorio della dichiarazione di inammissibilità della proposta, sia che essa avvenga ai sensi dell'art. 162 l.f. ovvero, come nel caso di specie, ai sensi dell'art. 179 l.f. per mancata approvazione all'adunanza dei creditori, non sussistono dubbi, essendo evidente che la detta inammissibilità preclude la possibilità di dar corso alla procedura concorsuale con tutte le ovvie conseguenze sulla situazione soggettiva del richiedente. Sorgono tuttavia dubbi sul carattere definitivo del provvedimento in questione potendo sostenersi che, in ogni caso, non rimane preclusa per l'interessato la possibilità di proporre una nuova domanda di concordato. Su tale questione non sussiste una argomentata pronuncia di questa Corte rinvenendosi soltanto alcune sentenze, che concernono l'ipotesi di dichiarazione di inammissibilità della istanza di concordato ai sensi dell'art. 162 l.f. ovvero la revoca ex art. 173 l.f., e che hanno ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso i provvedimenti in questione purché ad essi non abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore. Cass. 21901/13 Cass. n. 8186/10 Cass. 21860/10 Cass. 13817/11 senza peraltro che sul punto vi sia stata alcuna argomentazione specifica. Questa Corte ha patimenti ritenuto che il decreto di revoca dell'ammissione al concordato preventivo non è reclamabile - in analogia con quanto previsto, rispettivamente, dagli artt. 162, secondo comma, in caso di mancata ammissione alla procedura, e 179, primo comma, legge fall., per la mancata approvazione del concordato da parte dei creditori - ma può essere, impugnato con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. quando, essendo fondato sull'insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l'accesso alla procedura o sul difetto di giurisdizione, abbia carattere decisorio. Il predetto ricorso è, invece, inammissibile quando il decreto di revoca è inscindibilmente connesso ad una successiva e conseguenziale sentenza dichiarativa di fallimento, anche non contestuale, giacché, in tal caso, i vizi del decreto debbono essere fatti valere mediante l'impugnazione della sentenza. Cass. 9998/14 . La questione in esame si prospetta di massima particolare importanza poiché riguarda la definizione del concetto di definitività, in particolare in riferimento ad ipotesi in cui il proponente il concordato si dolga di violazioni procedimentali come, ad esempio, nel caso di errori nel calcolo delle maggioranze oppure, come nel caso di specie, di validità di voti contestati. Ci si può infatti interrogare se corrisponda al principio costituzionale del giusto processo imporre al richiedente il concordato di presentare una nuova domanda, dando così corso ad una nuova ulteriore procedura, gravosa quanto a tempi e costi, quando in sede di ricorso per cassazione sarebbe possibile decidere in ordine alla esistenza o meno del prospettato vizio di carattere procedimentale e definire così la questione. In tale contesto apparrebbe chiarificatrice una valutazione comparativa delle diverse ipotesi di cui agli articoli 162, 173, 179, 180 della legge fallimentare in relazione alle diverse fattispecie concrete che, in assenza di dichiarazione di fallimento, potrebbero dar luogo al ricorso per cassazione ex art. 111 Cost Apparrebbe, in particolare, rilevante precisare il concetto di definitività del provvedimento che pronuncia l'inammissibilità della proposta concordataria in relazione alla circostanza se la detta definitività sussista anche qualora l'impugnazione avverso la pronuncia in questione verta, come nel caso di specie, su vizi del procedimento concordatario in sé che non investono direttamente la proposta concordataria in quanto tale, essendo a tale circostanza connessa l'ulteriore questione se il proponente possa in caso ripresentare la medesima proposta concordataria o debba presentarne comunque una diversa. Risulta in conclusione opportuno rimettere la controversia al primo Presidente affinché valuti l'opportunità di una rimessione alle Sezioni unite. P.Q.M. Rimetta la causa al primo Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte.