Sezione ordinaria e Sezione Fallimentare: quando si applica il cumulo di cause

La Corte di Cassazione, pronunciandosi in merito ad un ricorso per regolamento di competenza, torna sul tema del cumulo di cause dinanzi alle sezioni ordinaria e fallimentare del medesimo ufficio giudiziario, affermando l’illegittimità del provvedimento di sospensione adottato dal giudice di merito ove sia possibile la trattazione unitaria delle due controversie ai sensi dell’art. 274, comma 2 c.p.c

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1399/16, depositata il 26 gennaio. Il caso. La Suprema Corte veniva investita dal regolamento di competenza proposto da una società che aveva agito nei confronti di un Fallimento sulla base di un contratto di affitto dopo che il Tribunale di Roma aveva disposto la sospensione del giudizio a causa della simultanea pendenza di una controversia dinanzi alla Sezione Fallimentare del medesimo ufficio giudiziario, controversia ritenuta pregiudiziale poiché proposta tra le medesime parti ed avente ad oggetto il medesimo contratto. Il ricorso di legittimità intende ottenere la caducazione dell’ordinanza di sospensione e la conseguente prosecuzione dell’intero giudizio presso la sede ordinaria del Tribunale. Giudizi a rito ordinario. I Supremi Giudici sottolineano come, a prescindere dalla sussistenza di un nesso di pregiudizialità tra le controversie, sia possibile percepire d’ufficio la ragione che rende illegittimo il provvedimento di sospensione adottato dal giudice della sezione ordinaria Cass. SS.UU. n. 23077/2004 . Entrambi i giudizi infatti, sia quello asseritamente pregiudicato che quello pregiudicante, risultano pendenti come giudizi a cognizione piena, secondo un rito non diversificato, posto che il giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. è strutturato nelle forme ordinarie e solo la fase precedente, che si svolge ai sensi dell’art. 93 l. fall., ha natura sommaria e si svolge dunque con un rito diverso. Simultaneus processus. Conformandosi all’orientamento giurisprudenziale consolidato Cass. SS.UU. n. 3878/1979, Cass. SS.UU. n. 21499/2004 , la Cassazione afferma la necessità di applicare l’art. 274, comma 2 c.p.c. ai fini della realizzazione del simultaneus processus posto che il Tribunale in sede ordinaria e la Sezione Fallimentare dello stesso sono parte del medesimo ufficio giudiziario e che tutti i giudizi coinvolti sono soggetti al rito ordinario, circostanza alla quale si aggiunge il nesso di connessione soggettiva parziale e l’ipotetica pregiudizialità. Nel caso di specie, il giudice, rilevando la pendenza della causa pregiudiziale presso la sede fallimentare nella fase ordinaria e non più in quella sommaria, avrebbe dovuto rimettere il fascicolo al capo dell’ufficio affinché provvedesse alla chiamata dei giudizi cumulati dinanzi alla Sezione Fallimentare per la riunione dei giudizi. In conclusione, dovendo considerare illegittima l’ordinanza di sospensione impugnata, viene disposta la prosecuzione del giudizio dinanzi alla sede ordinaria del Tribunale. Fonte www.ilfallimentarista.it

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 3, ordinanza 16 luglio 2015 26 gennaio 2016, n. 1399 Presidente Finocchiaro Relatore Frasca Fatto e diritto Ritenuto quanto segue 1. La P.N.A.C.I. - Presidenza Nazionale Azione Cattolica Italiana ha proposto ricorso per regolamento di competenza contro la A.C.I. N.V. e nei confronti del Fallimento H.LW.LH. I. W. Italia avverso l'ordinanza del 3 dicembre 2013, con la quale il Tribunale di Roma ha disposto la sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c. del giudizio sulle domande rimaste davanti ad esso pendenti, a seguito della pronuncia su una serie di giudizi riuniti di cui dapprima era investito, di una sentenza in data 8 dicembre 2013, con la quale aveva a dichiarato cessata la materia del contendere sulla domanda avanzata dalla P.N.A.C.I. contro la H.I.W.I.- H. I. W. Italia per ottenere il rilascio di un complesso aziendale costituito da due case per ferie di cui era locataria e che aveva concesso in godimento alla medesima in forza di un contratto di affitto di azienda, a garanzia del cui adempimento la H.I.W.I. aveva stipulato una polizza fideiussoria con A.C.I. N.V. b dichiarato improcedibile per essere attratte alla competenza esclusiva del Tribunale fallimentare di Roma ai sensi dell'art. 24 della legge fallimentare tutte le domande avanzate nei detti giudizi riuniti dalla P.N.A.C.I. e da A. nei confronti della H.I.W.I. che nel corso dello svolgimento dei giudizi era fallita ed aveva, dopo l'interruzione, riassunto i giudizi , nonché, alla luce dell'art. 56 della detta legge, quelle volte a conseguire la compensazione avanzate dalla Curatela Fallimentare nei confronti della P.N.A.C.I. c disposto come da separata ordinanza per la prosecuzione dinanzi a sé del giudizio ed in particolare su quelle avanzate dalla fallita nei confronti di P.N.A.C.I. e da quest'ultima contro la A 2. Il Tribunale, in sede di prosecuzione del giudizio per le domande sub c , dopo avere come si dice nel provvedimento qui impugnato invitato le parti, ai sensi dell'art. 101, secondo comma, c.p.c. a contraddire in ordine all'esigenza di sospendere il [ ] giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa dell'esito di quello pendente innanzi al Tribunale di Roma, sezione fallimentare ex art. 98 l.f. in quanto pregiudiziale , ha disposto la sospensione reputando la pregiudizialità del giudizio pendente dinanzi a detta sezione rispetto a quello trattenuto per la prosecuzione. Lo ha fatto adducendo che l'esigenza della sospensione del processo si sarebbe posta alla luce dell'orientamento giurisprudenziale più recente secondo il quale - superando un precedente arresto giurisprudenziale Cass. SS.UU. 3878179 che aveva affermato che, in ipotesi di domanda riconvenzionale avanzata dal fallito nei confronti dei creditore e finalizzata alla partecipazione al concorso, tale domanda avrebbe dovuto essere esaminata in un contesto unitario dal giudice investito dalla verifica del passivo - la domanda riconvenzionale volta al riconoscimento di un credito del fallito non solo non comporta attrazione della causa innanzi al giudice della verifica dello stato passivo ma è improponibile in sede fallimentare attesa l'esclusività del rito onde questo giudicante non si è pronunciato dichiarandone l'improcedibilità in questa sede . L'impossibilità del simultaneus processus per diversità di rito e, quindi, la necessità che le cause, pur traendo fondamento nel medesimo titolo contrattuale, vengano trattate separatamente è, tuttavia, situazione idonea a determinare un contrasto di giudicati. Onde evitare tale conseguenza la giurisprudenza ha espressamente affermato che il rimedio è costituito nel ricorso all'utilizzo dell'istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c. in tal senso Cass. 148103 e Cass. 3936108 del processo in attesa dell'esito del pregiudiziale accertamento devolutivo al giudice fallimentare. . Dopo tali rilievi, il Tribunale ha rilevato che nella fattispecie le domande reciprocamente proposte da PNACI e da HIWI erano basate sul medesimo contratto di affitto, dolendosi specularmente le parti dell'altrui inadempimento ed eccependo entrambe la compensazione totale o parziale dei rispettivi crediti, donde l'impossibilità di addivenire a pronunce autonome. Alla medesima conclusione - ha argomentato - doveva pervenirsi con riguardo alle pretese avanzate nei confronti del fideiussore, stante la strumentalità e l'accessorietà della garanzia, che non era di tipo indennitario, e la subordinazione dell'escutibilità della somma che ne è oggetto al previo accertamento della esistenza dell'obbligazione garantita. Ha, poi, soggiunto che, anche a volerla qualificare non come fideiussione, ma come contratto autonomo di garanzia sussisteva pur sempre un collegamento negoziale tra garanzia e obbligazione, idoneo a imporre la sospensione. 3. Al ricorso per regolamento di competenza le intimate hanno resistito con distinte memorie. 4. Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all'art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ed all'esito del loro deposito ne è stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte. Tale adunanza veniva fissata per il 12 novembre 2014 ed in relazione ad essa le parti depositavano memorie. 5. All'esito delle camera di consiglio, la Corte, dando rilievo all'eccezione della Curatela fallimentare della H.I.W.L, che fin dalla memoria di costituzione aveva rilevato che il ricorso per regolamento di competenza non era stato notificato alle altre parti rimaste contumaci nel giudizio di merito, cioè la Hotel I. It. s.p.a. e la Hotel I. W. BV, disponeva con ordinanza che il contraddittorio venisse attivato nei confronti di tali parti. All'esito dell'ottemperanza a tale ordinanza dette parti non si costituivano e veniva fissata l'odierna adunanza della Corte, con nomina di altro relatore e nuova notificazione alle parti costituite delle conclusioni già prese dal Pubblico Ministero. 6. La ricorrente e la A. hanno depositato memorie. Considerato quanto segue 1. Con un unico, articolato motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 295 cod. proc. civ. nonché degli artt. 24, 56 e 98 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Sostiene che, come chiaramente emergerebbe dal tenore delle clausole contrattuali, la polizza fideiussoria rilasciata dalla società assicuratrice è negozio strutturalmente diverso dalla fideiussione di cui agli artt. 1936 e segg. cod. civ., genericamente ed erroneamente richiamati nell'ordinanza di sospensione, trattandosi, in realtà, di un contratto autonomo di garanzia che totalmente prescinde, ai fini della sua operatività, dal merito dei rapporti che intercorrono tra il contraente - ora Fallimento H. I. W. Italia s.r.l. - e il fideiussore-garante. Richiama i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 3947 del 2010, nonché in altre pronunce, per inferirne la differenza strutturale tra polizza fideiussoria e fideiussione e conseguentemente l'assenza di ogni pregiudizialità tra il giudizio pendente innanzi al tribunale fallimentare e quello, illegittimamente sospeso, pendente innanzi al tribunale civile. 2. Oppongono A.C.I. N.V. e la Curatela Fallimentare l'inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza nonché per l'incensurabilità, in sede di legittimità, della qualificazione della garanzia operata dal giudice di merito. 3. Va premesso, ai fini dell'esatta individuazione dell'area del proposto regolamento, che il giudizio sospeso non ha ad oggetto soltanto le questioni relative alla escussione della polizza fideiussoria, id est, ai litigiosi rapporti tra PNACI e la società assicuratrice, ma altresì le domande proposte dal Fallimento HIWI di risoluzione del contratto di affitto di azienda per fatto e colpa della concedente, di condanna di PNACI al pagamento di svariati importi nonché di accertamento di inefficacia della fideiussione e di abusività della relativa escussione. Il Collegio rileva che con la sua prospettazione PNACI argomenta esclusivamente in ordine alla sospensione del processo per ciò che concerne le domande hinc et inde proposte in ordine al rapporto tra il garante A. e il beneficiario della polizza. Del resto, con riferimento a quelle di risoluzione e di pagamento azionate dalla concedente nei confronti dell'affittuaria ricorrono i presupposti - identità di soggetti e identità del titolo contrattuale dal quale traggono origine la causa pendente davanti al giudice fallimentare e la causa pendente davanti al giudice ordinario - in presenza dei quali la giurisprudenza di questa Corte riconoscerebbe la praticabilità dell'istituto della sospensione ex art. 295 cod. proc. civ., ove sussistessero le condizioni per l'applicazione di tale norma. Peraltro, il ricorso intende ottenere la caducazione dell'ordinanza impugnata e la conseguente prosecuzione dell'intero giudizio rimasto presso il Tribunale in sede ordinaria. 4. Il Pubblico Ministero, nelle sue conclusioni, ha chiesto disporsi la prosecuzione del giudizio ravvisando che la pregiudizialità del giudizio fallimentare non si profilerebbe perché la controversia inerente la polizza assicurativa riguarderebbe una garanzia c.d. a prima richiesta, sicché la decisione su tale controversia resterebbe indifferente alle vicende oggetto del rapporto in relazione al quale la garanzia è stata prestata. 5. Il Collegio rileva che dev'essere disposta la prosecuzione del giudizio, sulla base del rilievo di una questione che né il tribunale né le parti né il Pubblico Ministero, hanno considerato e che questa Corte deve apprezzare nell'esercizio dei poteri di statuizione sulla sussistenza delle condizioni della sospensione, riguardo al cui apprezzamento Essa non è vincolata alla prospettazione dei ricorrente, conforme alla particolare natura del regolamento di competenza e sulla sospensione, che non, essendo un'impugnazione su questione non tollera limitazioni derivanti dalla prospettazione dell'istanza di regolamento. Queste le ragioni 5.1. Il loro rilievo non suppone affatto l'analisi della natura della polizza di cui discute il provvedimento impugnato, discutono le parti in funzione della rilevazione dell'esistenza o meno del esso di pregiudizialità supposto dall'art. 295 c.p.c. e discetta altresì il Pubblico Ministero. Il rilievo delle ragioni che impongono la radicazione dell'ordinanza di sospensione consegue dalla semplice considerazione della relazione che, a prescindere dalla sussistenza del nesso di pregiudizialità, esiste fra le cause che il Tribunale ha separato prima di procedere all'adozione del provvedimento sospensivo, rimettendone alcune, poi ritenute pregiudiziali, dinanzi alla sezione fallimentare dello stesso tribunale capitolino. Ne consegue l'assoluta ininfluenza delle eccezioni di violazione del principio di autosufficienza, rectius dell'onere di indicazione specifica di cui all'art. 366 n. 6 c.p.c., prospettate dalle resistenti, ditalché non è in alcun modo necessario farsene carico. 5.2. Rileva il Collegio che il Tribunale ha disposto la sospensione asserendo la pregiudizialità, rispetto al cumulo di domande rimaste davanti ad esso, dopo la dismissione di quelle rimesse con la sentenza dell'ottobre del 2013, di un giudizio ai sensi dell'art. 98 della legge fallimentare pendente davanti alla sezione fallimentare dello stesso Tribunale di Roma. Tale giudizio, non meglio individuato dall'ordinanza impugnata, viene indicato a nell'istanza di regolamento di competenza come promosso ex art. 98 legge fallimentare dal Falimento HIWI-Holday I. W. Italia s.r.l. pagina, seconda proposizione b nella memoria difensiva della Curatela Fallimentare come avviato avanti la Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma dalla Pnaci per ottenere l'ammissione allo stato passivo dell'asserito credito che essa reclamava in sede ordinaria nei giudizi riuniti nei confronti di Hiwi e A. a titolo di ratei del canone di affitto non pagati pagina 10 c nella memoria difensiva dell'A. - che ha svolto la deduzione lamentando che il ricorso per regolamento di competenza non fosse autosufficiente sul punto - nell'impugnativa promossa da PNACI avverso i due provvedimenti del Tribunale portanti il rigetto delle domande di riconoscimento del credito di PNACI nei confronti del Fallimento della Soc. HIWI pagina 2 in nota 1 di essa si aggiungono altri particolari . Il Collegio rileva che nell'istanza di regolamento di competenza è riportato a pagina 23, dopo brani della motivazione, il dispositivo dell'ordinanza impugnata dal quale emerge espressamente che la sospensione è stata disposta per la pregiudizialità di un giudizio pendente davanti al Tribunale Fallimentare di Roma e fino alla definizione di esso con sentenza passata in giudicato. Tanto è sufficiente per percepire d'ufficio la ragione che rende illegittimo il provvedimento di sospensione e ciò senza che occorra conoscere, come eccepì A., il preciso contenuto del preteso giudizio pregiudiziale. 5.3. Tale ragione risiede nella circostanza che si è disposta la sospensione dei giudizi rimasti pendenti davanti al Tribunale in funzione ordinaria in attesa della definizione di un giudizio asseritarnente pregiudicante pendente sempre dinanzi alo stesso tribunale, ma in funzione di giudice fallimentare ed in una situazione nella quale sia quelli asseritamente pregiudicati sia quello pregiudicante pendono tutti come giudizi a cognizione piena e secondo un rito che, peraltro, non è diversificato, atteso che i giudizi di opposizione ai sensi dell'ari. 98 legge fallimentare non sono altro che giudizi ordinari, mentre è la fase che li precede, quella ai sensi degli artt. 93 e ss. che ha natura sommaria e, quindi, si volge secondo un diverso rito. Ebbene, poiché il Tribunale di Roma in sede ordinaria e quello di Roma in sede fallimentare sono parte di uno stesso ufficio, l'essere tutti i giudizi soggetti al rito ordinario avrebbe dovuto imporre, in presenza della loro connessione soggettiva parziale e della ipotetica pregiudizialità l'applicazione della norma dell'art. 274 c.p.c. ed in particolare del suo secondo comma. Ciò ai fini della realizzazione del simultaneus processus. Questa soluzione si giustificava proprio alla luce della giurisprudenza evocata nell'ordinanza impugnata a superamento della lontana Cass. sez. un. n. 3878 del 1979 e particolarmente in applicazione dei principi di diritto sanciti da Cass. sez. un. n. 21499 del 2004. Si ricorda, in proposito che nella sentenza del 1979 le Sezioni Unite avevano sancito il principio di diritto secondo cui Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto, invocando contrapposte ragioni derivanti dal medesimo contratto, proponga domanda riconvenzionale, diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, ai fini del concorso fallimentare entrambe le pretese, inscindibilmente devolute alla cognizione di un unico giudice art 36 cod. proc. civ. , vanno trasferite, su iniziativa spettante tanto all'una che all'altra parte, nella sede concorsuale del procedimento di accertamento e verificazione dello stato passivo, tenuto conto che solo in tale Sede, secondo i principi fissati dall'art 52 della legge fallimentare, è ammissibile la costituzione di un titolo creditorio nei confronti della massa. Peraltro, se l'indicato procedimento si concluda con l'evidenziare un saldo attivo a favore del fallito, e, quindi, con il rigetto della domanda di ammissione al passivo contenuta in quella riconvenzionale, resta onere del curatore di agire in sede ordinaria per conseguire l'accertamento del relativo credito e la condanna della controparte al pagamento. . Cass. Sez. un. n. 21499 risolvendo un contrasto di giurisprudenza fra il vecchio orientamento ed altro che vi si era venuto contrapponendo ed era stato affermato da Cass. n. 148 del 2003, citata nell'ordinanza impugnata ebbe, invece ad affermare che Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Se, dopo l'esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito ed anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell'art. 274 cod. proc. civ., ove ne ricorrano gli estremi possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della competenza per ragioni di competenza inderogabile, dovendo la translatio comunque aver luogo nella sede fallimentare. Qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'art. 295 cod. proc. civ., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria. Cass. sez. un. n. 21499 Il principio di diritto venne sostanzialmente ribadito da Cass. sez. un. n. 23077 del 2004, che così statuì Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti dei fallimento, derivante dal medesimo rapporto - ovvero quando, in un processo promosso da soggetto in bonis per ottenere il pagamento di un proprio credito, il convenuto si costituisca e proponga domanda riconvenzionale per il pagamento di un credito nascente dal medesimo rapporto contrattuale e, a seguito di suo fallimento, il curatore si costituisca per coltivare la riconvenzionale stessa -, la suddetta domanda del creditore in bonis , per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli arti. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Se dopo l'esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito ed anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell'ars. 274 cod. proc. civ., ove ne ricorrano gli estremi possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della competenza per ragioni di competenza inderogabile, dovendo la translatio comunque aver luogo nella sede fallimentare. Qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'art. 295 cod. proc. civ., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria . La successiva giurisprudenza della Corte si è attenuta al nuovo principio di diritto. Ora, la sua applicazione al caso di specie, essendo, come si è detto il giudizio dinanzi al tribunale in sede fallimentare, ormai pendente in sede ordinaria e non più nella fase ex artt. 96 e ss. L.F., avrebbe dovuto indurre il Tribunale a rimettere il fascicolo al capo dell'ufficio perché provvedesse alla chiamata dei giudizi che vi erano cumulati dinanzi alla Sezione Fallimentare per l'eventuale riunione al giudizio di opposizione ex art. 98 L.F. L'art. 295 c.p.c., infatti, non era applicabile, giusta il consolidato principio di diritto secondo cui Allorquando sussista una situazione che, in ragione di nessi tra procedimenti pendenti avanti allo stesso ufficio giudiziario, riconducibili alle fattispecie di cui agli arti. 273 o 274 cod. proc. civ., avrebbe dovuto giustificare la rimessione al capo dell'ufficio di uno o dei procedimenti al fine della valutazione circa la loro riunione - nel caso dell'ars. 273 - e circa la designazione di un unico magistrato o della stessa sezione per l'adozione dei provvedimenti opportuni - nel caso dell'art. 274 -, l'inosservanza di tale modus procedendi da parte del giudice avanti al quale si trovi uno dei procedimenti e l'adozione di un provvedimento di sospensione del giudizio avanti di lui pendente per pretesa pregiudizialità dell'altro, pendente avanti ad altro magistrato dell'ufficio e anche presso una sezione distaccata o la sede principale dello stesso ufficio rientra fra i fatti processuali che la Corte di cassazione, in sede di regolamento di competenza, deve valutare per stabilire se detto provvedimento sia stato adottato legittimamente, salvo il rilievo da attribuirsi alle successive vicende del processo considerato pregiudicante, ove prospettate dalle parti od emergenti dagli atti. Ne consegue che se, quando ha adottato il provvedimento, il giudice di merito si trovava in una situazione in cui non sarebbe stato legittimato ad adottarlo, ma avrebbe dovuto riferire al capo dell'ufficio per l'adozione del procedimento di cui al secondo comma delle norme degli artt. 273 e 274 cod. proc. civ., la Corte di cassazione deve considerare il provvedimento di sospensione illegittimo, a meno che non risulti che, in relazione allo stato raggiunto dal processo ritenuto pregiudicante, non sarebbe possibile l'adozione da parte del giudice che emise il provvedimento di sospensione del modus procedendi imposto da quelle norme. Sulla base di tali principi, poiché nella specie non risultava che il processo asseritamente pregiudicante avanti alla sede principale del tribunale non vi pendesse più, la S.C. ha caducato il provvedimento di sospensione adottato dalla sede distaccata Cass. ord. n. 21727 del 2006, seguita da numerosa e constante giurisprudenza. Da ultimo si veda Cass. ord. n. 18286 del 2015 . 6. Dev'essere, pertanto, disposta la prosecuzione del giudizio, dovendosi l'ordinanza impugnata intendere emessa illegittimamente. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo a carico di ognuna delle resistenti. P.Q.M. La Corte dispone la prosecuzione del giudizio. Fissa per la riassunzione termine di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente. Condanna le resistenti alla rifusione alla ricorrente delle spese del giudizio di regolamento di competenza, liquidate in euro diecimiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori, ed oltre il contributo unificato, se versato.