Anche il conduttore fallito è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria?

La fattispecie riguarda il diritto di detenzione di un immobile adibito ad attività commerciale nel caso in cui il conduttore sia assoggettato a procedura fallimentare. Nello specifico, si tratta di stabilire se nonostante la società conduttrice sia fallita permanga in capo a quest’ultima una detenzione qualificata dell’immobile ricevuto in leasing da altra società. La Corte ribadisce il principio di diritto secondo cui il conduttore che mantenga la disponibilità dell’immobile, dopo la cessazione di efficacia del contratto di locazione, è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria ex art. 1168, comma 2, c.c., in quanto detentore qualificato, ancorché inadempiente all’obbligo di restituzione, agli effetti dell’art. 1591 c.c. .

E’ quanto affermato dai Giudici della seconda sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 25135/2015, depositata il 14 dicembre, conformemente ad un recente arresto della giurisprudenza di legittimità, cfr., Cass, 18486/2014 . Il fatto. La Beta s.a.s. in liquidazione e Tizio, quale socio e fideiussore di detta società, convenivano in giudizio la Gamma s.p.a., quale incorporante la Alfa s.p.a., la quale aveva concesso in leasing un immobile alla società attrice, chiedendo la declaratoria di invalidità e di inefficacia del provvedimento col quale il giudice delegato del fallimento della Beta s.a.s. aveva autorizzato il curatore a rilasciare alla società convenuta l’immobile de quo la declaratoria di invalidità e di inefficacia del rilascio dell’immobile eseguito dal curatore in forza di detta autorizzazione ed infine la reintegrazione nel possesso dell’immobile. Tuttavia sia il Tribunale di Roma, in primis , che la Corte territoriale capitolina, in appello, dichiaravano inammissibile, per difetto di legittimazione passiva, sia la domanda di declaratoria di invalidità e di inefficacia del detto provvedimento del giudice delegato al fallimento, sia la domanda di declaratoria di invalidità e di inefficacia del conseguente rilascio dell’immobile eseguito dal curatore ed, inoltre, respingevano le domande di reintegrazione nel possesso dell’immobile. La Beta s.a.s. e Tizio proponevano, quindi, ricorso in cassazione facendo valere tre distinti motivi di censura. In particolare col primo motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in ordine all’ actio nullitatis con riferimento alla ritenuta carenza di legittimazione passiva della Gamma s.p.a. E, gli Ermellini dichiarano fondata la censura rilevando come gli attori avevano convenuto proprio la predetta Gamma s.p.a., che aveva ottenuto il rilascio in suo favore dell’immobile a mezzo degli atti dei quali si è dedotta l’inefficacia, ed era pertanto evidente la legittimazione passiva in capo a quest’ultima. Quando al secondo gravame, che qui maggiormente ci occupa, invece, si lamenta che la Corte territoriale aveva rigettato l’azione di spoglio proposta dalla società attrice sul presupposto che l’intervenuta precedente risoluzione del contratto di leasing avrebbe privato la Beta s.a.s. della detenzione qualificata dell’immobile. E, parimenti, i Supremi giudici accolgono anche questo gravame, precisando che i giudici di merito avevano errato nel ritenere che la Beta s.a.s. nel momento in cui era stata privata della disponibilità dell’immobile ricevuto in leasing , non fosse detentrice qualificata dello stesso, dovendo invece ritenersi che detta società ne aveva ancora la detenzione qualificata ed era perciò legittimata a ricorrere alla tutela possessoria ex art. 1168, comma 2, c.c. . In definitiva, quindi la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma. La nozione di leasing. Nel leasing finanziario una parte, concedente, si obbliga ad acquistare, su indicazione dell’altra parte, utilizzatore, un determinato bene lo mette a sua esclusiva disposizione alla scadenza prefissata e gli offre l’opportunità di poterlo acquisire o di restituirlo o di rinnovare, a condizioni più favorevoli, la possibilità di utilizzazione. In corrispettivo delle prestazioni ricevute, l’utilizzatore corrisponde al concedente un canone in rate e assume i rischi inerenti al bene. Qualora l’utilizzatore, al termine del contratto, decida di esercitare il diritto di opzione e di acquisire, quindi, la titolarità del bene, è tenuto al pagamento di un ulteriore corrispettivo, di norma quasi simbolico. Il leasing di beni immobili. Caratteristiche ancor più peculiari assume il contratto, quando, come nel caso de quo , ha per oggetto beni immobili, anche perché la prassi contrattuale presenta una varietà di clausole che a volte impediscono una ricostruzione unitaria. Secondo il valore attribuito al diritto di opzione, la dottrina oscilla tra le figure della locazione e della vendita. Nella prima ipotesi il cosiddetto prezzo finale è elevato e corrisponde al prezzo del bene, sì che i canoni corrisposti sono remunerativi del solo godimento diversamente se il prezzo finale è esiguo e non corrispondente al valore del bene, i canoni configurano ratei di prezzo. La domanda di rivendicazione e di restituzione del concedente dei beni in leasing. La domanda di rivendicazione, che può essere proposta anche da chi intenda far valere un diritto reale diverso dalla proprietà su un bene appreso all’attivo fallimentare come, appunto l’ipotesi del concedente di un bene immobile in leasing , ha per fondamento il diritto attuale di proprietà del terzo e persegue la finalità di recupero del possesso del bene. Il presupposto della domanda di rivendicazione è che il bene sia stato posseduto dal fallito alla data di dichiarazione di fallimento in mancanza di tale possesso, l’istante avrà invece diritto all’equivalente in denaro, che dovrà insinuare al passivo del fallimento. La domanda di restituzione prescinde, invece, dalla esistenza di un diritto reale in capo al ricorrente. Essa si fonda su un diritto alla restituzione scaturente dall’avvenuta stipulazione di un contratto, ad esempio affitto ovvero locazione, in concorso con l’inefficacia originaria o sopravvenuta del titolo in forza del quale il fallito aveva ottenuto la disponibilità del bene. Le fattispecie alle quali si fa comunemente riferimento contemplano gli obblighi di restituzione in favore del depositante, del comodante, ed anche del concedente dei beni in leasing , il credito di consegna dell’acquirente del bene ed i crediti di restituzione derivante dal vittorioso esperimento dell’impugnazione dei negozi aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di beni determinati. Il bene deve essere fisicamente reperito dal curatore ed inventariato all’attivo. Sia la domanda di rivendicazione che quella di restituzione presuppongono che il bene sia stato fisicamente reperito dal curatore ed inventariato all’attivo ove si tratti di bene mobile, è altresì necessario che si tratti di un bene infungibile, tale da poter essere individuato o individuabile nell’ambito della massa attiva dei beni. Se il debitore è tornato in bonis il provvedimento del tribunale fallimentare è inesistente. Tuttavia - come ribadito dai Supremi Giudici nell’odierno decisum , conformandosi all’orientamento giurisprudenziale dominante, v., ex multis , Cass., 5476/86 , - la chiusura del fallimento comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore tornato in bonis ne deriva che il provvedimento eventualmente emesso dal Tribunale fallimentare dopo la chiusura del fallimento va considerato giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere. E nel caso de quo era stato proprio il giudice delegato del fallimento della Beta s.a.s. che aveva autorizzato il curatore dello stesso fallimento a rilasciare alla società convenuta l’immobile concesso in leasing . Detta autorizzazione, appunto, risulta del tutto invalida ed inefficace. La detenzione qualificata dell’immobile in leasing sussiste sino al rilascio forzoso dello stesso. In conclusione, pertanto, la società nel momento in cui era stata privata dell’immobile ricevuto in leasing vantava ancora una detenzione qualificata sullo stesso ed era perciò legittimata a ricorrere alla tutela possessoria, ex art. 1168, comma2, c.c. .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 novembre – 14 dicembre 2015, n. 25135 Presidente Piccialli – Relatore Lombardo Ritenuto in fatto 1. - La Orient Mercato Tappeti di Ciucci Francesco s.a.s. in liquidazione e P.R. , quale socia e fideiussore della detta società, convennero in giudizio la società Capitalia Leasing & amp Factoring s.p.a. ora Unicredit Leasing s.p.a. , quale incorporante la Leasing Roma s.p.a. già Asso Leasing s.p.a. , la quale ultima aveva concesso in leasing un immobile alla società attrice. Chiesero la declaratoria di invalidità e di inefficacia del provvedimento col quale il giudice delegato del fallimento della Orient Mercato Tappeti aveva autorizzato il curatore dello stesso fallimento a rilasciare alla società convenuta l'immobile de quo la declaratoria di invalidità e di inefficacia del rilascio dell'immobile eseguito dal curatore in forza della detta autorizzazione infine, la reintegrazione nel possesso dell'immobile. 2. - Nella resistenza della società convenuta, il Tribunale di Roma dichiarò inammissibile, per difetto di legittimazione passiva, sia la domanda di declaratoria di invalidità e di inefficacia del detto provvedimento del giudice delegato al fallimento sia la domanda di declaratoria di invalidità e di inefficacia del conseguente rilascio dell'immobile eseguito dal curatore respinse la domanda di reintegrazione nel possesso dell'immobile dichiarò, infine, inammissibili le domande proposte personalmente da P.R. , quale socio e fideiussore della società attrice. 3. - Sul gravame proposto dagli attori, la Corte di Appello capitolina confermò la pronunzia di primo grado. 4. - Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono la Orient Mercato Tappeti di Ciucci Francesco s.a.s. in liquidazione e P.R. , sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la Unicredit Leasing s.p.a. . Considerato in diritto 1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in ordine all’ actio nullitatis , nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla ritenuta carenza di legittimazione passiva della convenuta società Unicredit Leasing s.p.a. . Secondo i ricorrenti, i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che la società attrice, nel chiedere la declaratoria di nullità e di inefficacia del provvedimento del giudice delegato e del successivo atto di rilascio dell'immobile posto in essere dal curatore, avrebbe dovuto convenire in giudizio gli autori materiali di tali atti e non, piuttosto, il soggetto in favore del quale gli atti avevano prodotto i loro effetti. La censura è fondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v'è ragione di discostarsi, la chiusura del fallimento comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore tornato in bonis ne deriva che il provvedimento eventualmente emesso dal tribunale fallimentare dopo la chiusura del fallimento va considerato giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere Sez. 1, Sentenza n. 1984 del 14/03/1985, Rv. 439896 Sez. 1, Sentenza n. 5476 del 08/09/1986, Rv. 448002 . Trattandosi di provvedimento processuale inesistente, esso - a differenza dell'atto nullo, i cui vizi sono deducibili solo con i mezzi di impugnazione previsti dalla legge - sfugge alla regola della conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame, potendo l'inesistenza giuridica esser fatta valere senza limiti di tempo sia in via di azione di accertamento, sia in via di eccezione. È sempre esperibile, perciò, l'azione di nullità quaerela nullitatis , che costituisce un'ordinaria azione di accertamento, con la quale gli interessati possono chiedere sentir dichiarare, senza limiti di tempo, l'inefficacia di atti emanati dal giudice al di fuori della sfera delle sue attribuzioni Sez. 1, Sentenza n. 5557 del 20/06/1997, Rv. 505348 Sez. 1, Sentenza n. 1984 del 14/03/1985, Rv. 439896 Sez. 1, Sentenza n. 523 del 21/01/1999, Rv. 522471 Sez. 1, Sentenza n. 3078 del 28/05/1979, Rv. 399435 . Sul punto, va precisato che l'azione di accertamento della inefficacia di provvedimenti o di atti inesistenti va esperita nei confronti della parte interessata, da individuarsi nel soggetto nei cui confronti il provvedimento o l'atto giuridicamente inesistente ha prodotto i suoi effetti. Del tutto infondata è la tesi dei giudici di merito secondo cui gli attori avrebbero dovuto citare in giudizio gli autori degli atti dei quali veniva chiesta la declaratoria di inefficacia ossia il giudice delegato o il curatore fallimentare , in quanto l’ actio nullitatis, volta ad ottenere la declaratoria di inefficacia dell'atto giuridicamente inesistente, va esercitata nei confronti del soggetto interessato, che va individuato in colui nella cui sfera giuridica si sono prodotti gli effetti dell'atto impugnato. Avendo gli attori convenuto in giudizio proprio la Unicredit Leasing s.p.a., che ha ottenuto il rilascio in suo favore dell'immobile a mezzo degli atti dei quali si è dedotta l'inefficacia, sussiste la legittimazione passiva della medesima. Vanno pertanto enunciati i seguenti principi di diritto - La chiusura del fallimento comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore tornato in bonis ne deriva che il provvedimento eventualmente emesso dagli organi fallimentari dopo la chiusura del fallimento è giuridicamente inesistente per assoluta carenza di potere e - come tale - ogni interessato può farne valere l'inesistenza giuridica senza limiti di tempo, sia in via di azione di accertamento sia in via di eccezione ”. - L'interessato che intenda esperire l'azione di accertamento per sentire dichiarare l'inefficacia di un provvedimento inesistente deve convenire in giudizio, non gli autori dello stesso, bensì i soggetti interessati, che vanno individuati in coloro nella cui sfera giuridica si sono prodotti gli effetti dell'atto impugnato” . 2. - Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1168 cod. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alla ritenuta mancata detenzione dell'immobile per cui è causa da parte della Orient Mercato Tappeti , detenzione da quest'ultima vantata ai fini dell'esperimento dell'azione di reintegrazione nel possesso. Si lamenta che la Corte territoriale abbia rigettato l'azione di spoglio proposta dalla società attrice sul presupposto che l'intervenuta precedente risoluzione del contratto di leasing - verificatasi di diritto, per essersi la Unicredit leasing avvalsa della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto - avrebbe privato la Orient Mercato Tappeti della detenzione qualificata dell'immobile detenzione qualificata che - secondo le ricorrenti - sarebbe stata invece ancora sussistente fino al momento del rilascio forzoso. La censura è fondata. Va invero richiamato il principio di diritto, dettato da questa Corte, secondo cui il conduttore che mantenga la disponibilità dell'immobile dopo la cessazione di efficacia del contratto di locazione è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria ex art. 1168, secondo comma, cod. civ., in quanto detentore qualificato, ancorché inadempiente all'obbligo di restituzione agli effetti dell'art. 1591 cod. civ. Sez. 2, Sentenza n. 18486 del 01/09/2014, Rv. 632720 . Nella specie, dopo che la società convenuta si è avvalsa della clausola risolutiva espressa con lettera del 7.8.1997, l'immobile è rimasto nella detenzione della conduttrice società Orient Mercato Tappeti nonostante la successiva e sopravvenuta dichiarazione di fallimento 21.12.2001 e fino alla immissione in possesso della Unicredit Leasing, avvenuta - a cura del curatore - in modo forzoso. Hanno errato, pertanto, i giudici di merito nel ritenere che la Orient Mercato Tappeti , nel momento in cui fu privata della disponibilità dell'immobile ricevuto in leasing, non fosse detentrice qualificata dello stesso, dovendo invece ritenersi che la detta società ne aveva ancora la detenzione qualificata ed era, perciò, legittimata a ricorrere alla tutela possessoria ex art. 1168, secondo comma, cod. civ 3. - Col terzo motivo di ricorso, si deduce infine la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento al ritenuto difetto di legittimazione attiva di P.R. . Si deduce che, con la citazione introduttiva, la P. , agendo unitamente alla società Orient Mercato Tappeti di Ciucci Francesco s.a.s. , non chiese la reintegrazione nel possesso per sé, ma si limitò ad aderire alla domanda di reintegrazione proposta dalla società attrice conseguentemente, la sua domanda sarebbe stata meramente adesiva e - come tale - sarebbe ammissibile, dovendosi del tutto equiparare ad un intervento adesivo dipendente. Anche questa doglianza è fondata. Com'è noto, la pluralità di parti nel processo c.d. litisconsorzio può essere originaria , quando sin dall'instaurazione del processo vi sono più parti litisconsorzio c.d. originario , o successiva , quando la pluralità di parti viene a realizzarsi nel corso dello svolgimento della vicenda processuale, a seguito di intervento volontario o coatto di soggetti diversi dalle due parti originarie ovvero a seguito di riunione di procedimenti diversi litisconsorzio c.d. successivo . Il litisconsorzio successivo è affidato principalmente all'istituto processuale dell'intervento in causa, che può essere volontario o coatto. Ai fini dello scrutinio della censura in esame, occorre soffermarsi sulla figura iuris dell'intervento volontario, disciplinato dall'art. 105 cod. proc. civ Com'è noto, l'art. 105 cod. proc. civ. prevede, nel suo primo comma, le figure dell'intervento principale e dell'intervento adesivo autonomo, mentre prevede nel secondo comma l'intervento adesivo dipendente. Ricorre l'intervento principale quando si faccia valere un proprio diritto, relativo all' oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo rispettivamente corrispondenti al petitum e alla causa petendi , nei confronti di tutte le parti ossia ad infringendum tura utriusque litigatoris , mentre ricorre l'intervento adesivo autonomo quando si faccia valere un proprio diritto, anch'esso relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto in giudizio, solo nei confronti di una o di alcune delle parti Sez. L, Sentenza n. 10530 del 01/06/2004, Rv. 573346 Sez. 3, Sentenza n. 14901 del 22/10/2002, Rv. 558012 . Di diversa natura è l'intervento adesivo semplice o dipendente, che ricorre quando si faccia valere in giudizio nei confronti di una o di alcune delle parti non un proprio diritto soggettivo, ma un mero interesse che abbia rilievo giuridico, cioè una posizione più attenuata del diritto soggettivo perfetto, in quanto l'esito della lite possa tradursi per l'interveniente in un vantaggio o in uno svantaggio Sez. 1, Sentenza n. 427 del 11/02/1966, Rv. 320840 . In particolare, con l'intervento adesivo dipendente l'intervenire non introduce nel processo una domanda propria che ampli il thema decidendum fra le parti principali originarie , ma si limita ad interloquire nella lite tra altri già pendente, che è - e rimane - l'unica dibattuta nel processo egli si limita a prestare la propria adesione alla domanda o all'eccezione di una delle parti, già in giudizio, per un proprio interesse, in ragione dei riflessi che possono derivare nei suoi confronti dall'emananda sentenza, tendendo a provocare un giudicato inter alios che riesca utile mediatamente anche ad esso, mentre la sconfitta della parte adiuvata produrrebbe per lui effetti svantaggiosi Sez. 2, Sentenza n. 1990 del 06/06/1969, Rv. 341207 . In sostanza, l'intervento adesivo dipendente è caratterizzato dall'interesse che muove il terzo ad impedire che si ripercuotano nella sua sfera giuridica conseguenze dannose in caso di sconfitta della parte adiuvata effetti indiretti o riflessi del giudicato tale interesse che muove il terzo va ravvisato in ciò che, quantunque nel processo in cui il terzo interviene non venga direttamente in discussione un suo diritto, tuttavia la decisione resa inter partes, verrebbe indirettamente ad incidere nella sua sfera giuridica, privandolo della possibilità di esercitare in avvenire i suoi diritti nelle stesse condizioni favorevoli in cui avrebbe potuto farlo se la parte, alla quale è legata la sua posizione giuridica, fosse uscita vittoriosa dalla lite Sez. 2, Sentenza n. 2516 del 18/10/1967, Rv. 329845 . Orbene, nella specie, come riconosciuto dalla stessa Corte di Appello, l'attrice P.R. , quale socia e fideiussore della società Orient Mercato Tappeti di Ciucci Francesco s.a.s. , si trovava proprio nella situazione di interesse prevista dall'art. 105, comma 2, cod. proc. civ., che ben avrebbe potuto legittimare il suo intervento in giudizio ad adiuvandum della Orient Mercato Tappeti di Ciucci Francesco s.a.s. . Infatti, pur non affermandosi titolare della pretesa dedotta in giudizio, la P. , quale socia e fideiussore della società Orient Mercato Tappeti di Ciucci Francesco s.a.s. , aveva interesse all'accoglimento delle domande della detta società, che - sia pure in modo mediato - si sarebbe riverberato utilmente nei confronti di essa. Ritiene la Corte che questa legittimazione ad intervenire nel giudizio inter alios , espressamente consentita dall'art. 105 comma 2 cod. proc. civ., include logicamente la possibilità della parte interessata di aderire ab origine alla domanda altrui, in seno al medesimo atto di citazione. Se invero la legge consente al terzo di intervenire nel giudizio inter alios quando vi abbia un proprio interesse per sostenere le ragioni di una delle parti, non v'è ragione per escludere e deve ritenersi parimenti consentito che la medesima parte possa sostenere la domanda altrui ab initio , sottoscrivendo l'atto di citazione introduttivo del giudizio sottoscritto dalla parte principale. Sul punto, va affermato il seguente principio di diritto Il terzo, che abbia un proprio interesse e che è legittimato - ai sensi dell'art. 105 comma 2 cod. proc. civ. - ad intervenire nel giudizio già pendente inter alios per sostenere le ragioni di una delle parti, può, al medesimo fine, prendere parte all'atto di citazione col quale la parte le cui ragioni ha interesse a sostenere propone la propria domanda, al fine di aderire ab initio ad essa e sostenerne l'accoglimento” . Anche su tale punto la sentenza impugnata va, pertanto, cassata. 4. - In definitiva, il ricorso deve essere accolto, risultando fondati tutti e tre i motivi di ricorso. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, che si conformerà ai principi di diritto dianzi enunciati. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.