Il direttore generale ha il diritto-dovere di rifiutare l'esecuzione di atti richiesti dall'amministratore

Il direttore generale ha autonomia di gestione quindi ha responsabilità distinta da quella degli amministratori.

La figura del direttore generale non è individuata - per contenuti e mansioni - da alcuna norma ma, spiega la giurisprudenza, sussiste ogni volta che l'istituzione di tale figura, anche in assenza di rapporto di lavoro dipendente, discenda da delibera assembleare, da statuto o da nomina da parte del c.d.a Chiarisce la Cassazione che, mancando una descrizione formale del contenuto del ruolo, si deve desumere il ruolo apicale dall'atto formale della sua investitura. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 23630/15, depositata il 18 novembre. Il caso. Una società di credito cooperativo veniva posta in liquidazione con nomina, da parte del ministero, di un commissario liquidatore. Uno dei creditori conveniva in giudizio gli amministratori affinché fossero condannati al risarcimento dei danni per le attività di distrazione del patrimonio sociale e di cattiva gestione della società. La questione veniva definita transattivamente tra le parti, con esclusione del direttore generale che non sottoscriveva alcun accordo. Il commissario liquidatore proseguiva il giudizio nei confronti di quest'ultimo. Alla parte convenuta veniva contestato il fatto di aver chiesto affidamenti e concesso dilazioni non onorate in assenza delle dovute autorizzazioni sociali. Il direttore respingeva ogni addebito e rilevava di aver eseguito solo le delibere del c.d.a Il Tribunale accoglieva la domanda formulata dalla curatela e condannava parte convenuta al risarcimento dei danni. La Corte d'appello confermava la decisione e specificava che parte convenuta aveva svolto il ruolo di direttore e come tale aveva o avrebbe dovuto sovraintendere e gestire tanto le richieste di affidamento quanto la concessione di dilazioni. Le parti hanno proseguito il confronto attivando giudizio di cassazione. Qualificare la funzione di direttore generale. La norma applicabile ratione temporis alla fattispecie in commento statuisce che le disposizioni che regolano le responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati. Detta previsione normativa si applica anche alla figura del direttore generale. La figura del direttore generale non è individuata - per contenuti e mansioni - da alcuna norma ma, spiega la giurisprudenza, sussiste ogni volta che l'istituzione di tale figura, anche in assenza di rapporto di lavoro dipendente, discenda da delibera assembleare, da statuto o da nomina da parte del c.d.a. Chiarisce la cassazione che mancando una descrizione formale del contenuto del ruolo, si deve desumere il ruolo apicale dall'atto formale della sua investitura. Sotto questo profilo, appare corretta l'attribuzione di responsabilità a carico di parte convenuta, atteso che la corte d'appello aveva correttamente individuato l'atto di nomina del d.g. proveniente dal c.d.a. e previsto da statuto. Diritto di dissenso del direttore generale. Parte della strategia difensiva articolata dal convenuto si fondava sull'assunto che si era limitato a dare concreta attuazione alle direttive degli amministratori e che a loro, al più, doveva essere attribuita ogni eventuale responsabilità. La S.C. ha respinto detta difesa precisando che la norma civilistica, al contrario, statuisce il diritto-dovere del direttore generale di dissentire dalle direttive degli amministratori, il diritto-dovere del d.g. di valutare la legittimità degli atti e, ove occorra, rifiutare l'esecuzione degli stessi. Dunque, tra direttore generale e amministratori non sussiste alcun obbligo di obbedienza. Amministratore e direttore generale, diversa posizione di responsabilità. Parte convenuta aveva sostenuto anche che l'intervenuta transazione con gli amministratori copriva gli atti compiuti dal d.g Tale aspetto è stato nettamente respinto, tanto dalla corte territoriale quanto dalla S.C. che, invece, ha rilevato l'autonomia del ruolo-funzione e la conseguente autonomia di responsabilità del ruolo direzionale rispetto al ruolo degli amministratori. Con queste argomentazioni la cassazione ha confermato la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 ottobre – 18 novembre 2015, numero 23630 Presidente Forte – Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo Il Commissario straordinario della Banca di Credito Cooperativo di San Marcellino soc. coop. a r.l., posta in amministrazione straordinaria con decreto del Ministero del Tesoro del 25/10/1995, agiva nei confronti di coloro che da ultimo avevano ricoperto le cariche di amministratori, sindaci e direttore generale della cooperativa, perché venissero dichiarati responsabili in solido delle molteplici e gravi violazioni dei doveri sugli stessi gravanti, e quindi condannati al risarcimento dei danni nell'importo di complessivi Euro 15.866.372.202. La controversia veniva definita transattivamente con i convenuti tranne che per il solo S.F. il processo, interrotto per la messa in liquidazione coatta amministrativa della cooperativa, veniva riassunto dal Commissario liquidatore, che addebitava al S. , quale direttore generale, di avere gestito in totale autonomia il settore degli impieghi in violazione della delega del consiglio di amministrazione del 30/1/1991, di avere accordato, rinnovato o prorogato affidamenti in assenza di documentazione istruttoria ed a clienti che non meritavano il credito concesso e non avevano dato adeguate garanzie il convenuto si difendeva negando di avere rivestito o comunque svolto le funzioni di direttore generale, e sosteneva di avere sempre e soltanto eseguito le deliberazioni del consiglio di amministrazione, alle cui riunioni non aveva mai partecipato. Il Tribunale accoglieva la domanda del Commissario liquidatore e condannava il S. a corrispondere alla Cooperativa la somma di Euro 750.000,00, oltre gli interessi legali dalla domanda, nonché alla rifusione delle spese di lite come liquidate. La Corte d'appello di Napoli, con la sentenza 21/12/2011-16/1/2012, ha rigettato l'appello proposto dal S. , con la condanna alle spese del grado. La Corte del merito, nello specifico e per quanto ancora rileva, ha respinto il secondo ed il terzo motivo d'appello, incentrati sulla deduzione del S. di non avere mai ricoperto la carica di direttore generale né mai assunto le relative funzioni, rilevando che già il Tribunale aveva chiaramente argomentato in relazione all'assunzione ed allo svolgimento di dette funzioni, ed aggiungendo che lo statuto della cooperativa prevedeva la figura del direttore , non qualificandolo espressamente come generale , ma attribuendogli quei compiti che la giurisprudenza e la dottrina riconoscono come propri di questa figura, quali la direzione dell'azienda e la funzione di trait d'union tra gli amministratori ed il personale, con il potere di accordare affidamenti, consentire passaggi a debito di conti correnti non affidati e sconfinamenti sulle linee di credito accordate e che il S. , come emerso dalle ispezioni della Banca d'Italia, aveva svolto effettivamente detti compiti, peraltro anche eccedendo i limiti dei poteri delegatigli dal consiglio di amministrazione il quarto motivo, col quale l'appellante si era doluto del non avere il Tribunale ritenuto la cessazione della materia del contendere per effetto della transazione e della copertura delle perdite della Banca da parte del Fondo centrale di garanzia e della Federazione campana delle banche di credito cooperativo, rilevando che, come già osservato dal Tribunale, la transazione aveva carattere parziale e non consentiva a chi, come il S. , non vi aveva partecipato di profittarne, se non nella misura delle quote del debito solidale riferibili ai condebitori che invece vi avevano partecipato, e che gli interventi dei due Fondi non erano tali da elidere il danno arrecato dal S. alla società, comportando la surrogazione legale nei diritti anche se nei limiti degli importi rimborsati dai soggetti titolari dei sistemi di garanzia , ex articolo 96 bis, 8 comma, del d.lgs. 385/1993, come introdotto dal d.lgs. 659/1996 il quinto motivo, rilevando che la congerie dei comportamenti illeciti e dei danni risultava specificata analiticamente nella citazione introduttiva ed era stata sufficientemente provata dalle risultanze dell'attività ispettiva della Banca d'Italia e dalle relazioni del Commissario straordinario, aventi valore presuntivo, a maggior ragione considerato che gli amministratori ed i sindaci citati con l'odierno appellante avevano transatto pagando la complessiva somma di circa 5,2 milioni di Euro il S. aveva tenuto un comportamento improntato alla generica negazione, risultata infondata, della qualità di direttore generale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2516 e 2396 c.c. nel testo applicabile, anteriore alla modifica di cui al d.lgs. 6/2003, ai direttori generali delle cooperative nominati dall'assemblea o per disposizione dell'atto costitutivo, si applicavano, sia pure nei limiti dei loro compiti, anche di fatto affidati, le disposizioni che sino al 31/12/03 regolavano la responsabilità degli amministratori delle società per azioni, e quindi anche l'articolo 2392, 2 comma c.c., sempre nel testo ante modifica che pertanto il S. non si sarebbe potuto liberare dalla responsabilità anche ove si fosse semplicemente limitato ad eseguire quanto deliberato dagli amministratori,avendo lo specifico potere-dovere di valutare la legittimità delle decisioni di questi prima di darvi esecuzione, e dunque di rifiutarsi di eseguire le decisioni illegittime. Ricorre avverso detta pronuncia il S. , con ricorso affidato a tre motivi. Si difende la Banca in liquidazione coatta amministrativa con controricorso, illustrato con memoria ex articolo 378 c.p.c Gli altri intimati non hanno svolto difese. Motivi della decisione 1.1.- Col primo motivo, il ricorrente si duole dei vizi ex articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. richiamando in particolare l'orientamento assunto dal S.C. nella sentenza 28819/2008, deduce che manca l'atto formale di investitura della funzione di Direttore generale, né tale carenza può essere colmata dal fatto di essere stato assunto con la qualifica di funzionario di prima categoria incaricato della direzione, in conformità a quanto disposto dal CCNL delle Casse Rurali ed Artigiane vigente ratione temporis , come esplicitato nella lettera di assunzione del 20/10/1988 osserva che lo statuto della Banca all'articolo 25 attribuiva una generica possibilità di delega riferita non solo al Direttore, ma anche al Vice Direttore ed ai preposti alle dipendenze nonché ad ogni altro dirigente e che le due delibere, numero 56 del 30/1/1991 e numero 106 del 20/3/92, hanno sempre compiuto un riferimento apodittico alla figura del Direttore, mai identificato nella persona del Dott. S.F. . Secondo la parte, inoltre, la Corte di merito non avrebbe potuto considerare la natura dei poteri conferiti in assenza dell'atto di nomina, pena la violazione dell'articolo 2396 c.c., né la Banca si sarebbe potuta lamentare di un deficit di tutela, potendo fare ricorso all'azione contrattuale ex articolo 2104 e/o 2105 c.c., per violazione del dovere di diligenza del lavoratore o dell'obbligo di fedeltà. In ogni caso, la Corte del merito, per giungere alla conclusione dell'esercizio di fatto delle funzioni da parte del S. , ha fatto leva sui risultati ispettivi della Banca d'Italia, in violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c., e le due delibere citate attribuivano le mansioni proprie del semplice funzionario di banca di rango dirigenziale o del dirigente di settore ha violato altresì l'articolo 2392 c.c., non avendo i Giudici d'appello soppesato il pregnante obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione all'epoca attribuito agli amministratori rispetto al ruolo marginale, nel contesto dell'istituto bancario, assunto dal S. pag. 58 del ricorso . 2.1.- Il primo motivo è infondato. L'articolo 2396 c.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, anteriore al testo introdotto dal d.lgs. 6/2003 che peraltro si è limitato ad introdurre l'inciso finale . salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società , così recita Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall'assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti a loro affidati . Sull'interpretazione di detta norma questa Corte si è espressa da ultimo nella pronuncia 28819/2008, nel senso di ritenere che, in tema di azione di responsabilità nei confronti del direttore generale di società di capitali, la disciplina prevista per la responsabilità degli amministratori si applica, ai sensi dell'articolo 2396 c.c. nel testo vigente prima della riforma societaria di cui al d.lgs. numero 6 del 2003, che vi ha apportato modifiche non significative , esclusivamente se la posizione apicale di tale soggetto all'interno della società, sia o meno un lavoratore dipendente, sia desumibile da una nomina formale da parte dell'assemblea o anche del consiglio di amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria infatti, non avendo il legislatore fornito una nozione intrinseca di direttore generale collegata alle mansioni svolte, non è configurabile alcuna interpretazione estensiva od analogica che consenta di allargare lo speciale ed eccezionale regime di responsabilità di tale figura ad altre ipotesi, salva la ricorrenza dei diversi presupposti dell'amministratore di fatto. A detto principio, la pronuncia in oggetto è pervenuta a seguito di un'attenta analisi degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali, osservando in particolare come, prescindendo dal dato formale dell'investitura, pur partendo dal necessario riferimento allo svolgimento di funzioni di alta gestione in modo continuativo, non vi sia pieno accordo sulle caratteristiche proprie delle mansioni del direttore generale, in particolare sull'ampiezza delle funzioni decisionali qualificanti il destinatario della delega, e concludendo nel senso che con l'articolo 2396 c.c. il legislatore non ha offerto una definizione di direttore generale legata al contenuto intrinseco delle mansioni, ma ha ricollegato la responsabilità di tale soggetto alla sua posizione apicale all'interno della società, desunta dal dato formale della nomina da parte dell'assemblea o anche da parte del consiglio di amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria. Applicando detto principio, dal quale non v'è ragione di discostarsi, va riscontrata nel caso proprio la sussistenza della formale investitura. Ed infatti, con la lettera del 20/10/1988, sottoscritta dal Presidente della Cassa, il S. veniva assunto espressamente con la qualifica di funzionario di l’incaricato alla direzione , e tale qualifica trovava il suo fondamento nell'articolo 35 dello statuto della Cassa, che così disponeva L'esecuzione delle deliberazioni degli Organi Amministrativi e la direzione dell'Azienda sono affidate al Direttore. Il Direttore è capo gerarchico del personale . . Quanto alle due delibere del Consiglio di Amministrazione, numero 56 del 1991 e numero 106 del 1992, attributive di specifici poteri al Direttore, oltre che al Presidente e Vice Presidente, in relazione ad affidamenti, all'utilizzo per versamenti di assegni tratti su altre banche, agli sconfinamenti, non è plausibile la difesa dell'odierno ricorrente laddove evidenzia il riferimento apodittico alla figura del Direttore, mai identificato nella persona del Dott. S. è di chiara evidenza come debba ritenersi indiscusso tale riferimento, dato che è pacifica l'esistenza dell'unico Direttore nella persona del Dott. S. . Nel resto, le doglianze del ricorrente intendono censurare la decisione della Corte del merito nella parte in cui ha ritenuto, oltre all'assunzione della funzione di Direttore generale, anche lo svolgimento di fatto dei relativi compiti e, sotto tale circoscritto profilo, discostandosi dal principio espresso nella sentenza 28819/2008, cit. Xe quindi restano assorbite dal rilievo che nel caso sussiste l'investitura formale in capo al S. . Nelle ultime pagine dedicate al primo motivo, peraltro, ed in particolare nelle pagine 55-58, il ricorrente sembra volere toccare il profilo della responsabilità per le perdite subite dalla Cooperativa a ragione dei comportamenti assunti tale aspetto, a cui la parte ha accennato anche nelle pagine precedenti del ricorso, è sostanzialmente trattato sempre nell'ottica di sconfessare la ricostruzione in fatto delle funzioni svolte come attinenti alla figura del Direttore generale, ed il riferimento all'articolo 2392, 2 comma, c.c. è dalla parte sviluppato nel senso di ritenere che il Consiglio di amministrazione, ove avesse riscontrato atti di mala gestio posti in essere dal Direttore generale, avrebbe dovuto avocare a sé la trattazione di quegli atti, ponendo in essere ogni attività necessaria per elidere le conseguenze dannose . tale rilievo è palesemente inidoneo ad incidere sulla responsabilità del S. , responsabilità che la Corte del merito ha ritenuto provata sulla base non solo delle attività ispettive della Banca d'Italia e dalle relazioni del Commissario straordinario, aventi valenza presuntiva, ma anche del comportamento processuale degli altri convenuti, che avevano transatto, e dello stesso S. , rilevando che,alla stregua del principio di cui all'articolo 2392, 2 comma, c.c., la parte aveva il preciso potere-dovere di valutare la legittimità delle decisioni degli amministratori prima di darvi esecuzione e dunque di rifiutarsi di eseguire le decisioni degli amministratori in ipotesi illegittime . E di contro a detti rilievi, l'odierno ricorrente si è limitato del tutto genericamente a richiamare il vincolo di obbedienza del Direttore generale rispetto alle decisioni degli amministratori, senza in ogni caso investire direttamente e censurare il profilo della responsabilità riconosciuta alla parte sul piano dei concreti comportamenti tenuti. 1.2.- Col secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 38 e 409 c.p.c. in relazione all'articolo 360 nnumero 3 e 4 c.p.c. sostiene che la Banca, sin dall'atto di citazione, ha fatto valere la responsabilità del convenuto per la violazione dei doveri propri del rapporto di lavoro e non già per l'asserita qualifica di Direttore generale, da cui l'incompetenza del giudice adito in favore del giudice del lavoro e nullità del procedimento e/o della sentenza. 2.2.- Il secondo motivo è infondato. Va a riguardo richiamato il principio espresso nella pronuncia 9090/2003, secondo cui l'azione sociale di responsabilità, esercitata da una società per azioni nei confronti di propri amministratori, a norma dell'articolo 2393 c.c. e quindi anche del Direttore generale, ex articolo 2396 c.c. , non rientra nella speciale competenza per materia del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, ex articolo 413 c.p.c., ma spetta alla competenza ordinaria del tribunale con riserva di collegialità ex articolo 48 regio decreto 30 gennaio 1941, numero 12, così come modificato dall'articolo 88 l. 353/1990 . 1.3.- Col terzo mezzo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1304, 2393 e 2396 c.c. in relazione all'articolo 360 nnumero 3 e 4 c.p.c., per la mancata considerazione da parte della Corte d'appello della posizione inscindibile dei convenuti a seguito della transazione e per la mancata declaratoria di cessazione della materia del contendere. Secondo il S. , stante la natura unitaria ed inscindibile dell'azione di responsabilità, la definizione in forza della transazione delle pretese risarcitorie della Banca nei confronti dei convenuti, ad eccezione dell'odierno ricorrente, col sottrarre all'esame del Giudice la parte più rilevante della complessiva condotta in cui si concretizzava la mala gestio imputabile agli organi sociali avrebbe dovuto comportare la pronuncia di cessazione della materia del contendere. 2.3.- Il motivo è infondato. La Corte del merito, con statuizione non censurata, ha ritenuto il carattere parziale della transazione, di talché non avrebbe potuto il S. , estraneo all'accordo, profittarne ex articolo 1304 c.c., se non nella misura delle quote del debito solidale riferibile ai condebitori che vi avevano invece partecipato . A fronte di detta statuizione, il ricorrente oppone un rilievo in fatto, estraneo al presente giudizio e non in linea con l'accertamento della Corte del merito, di imputazione alla parte di comportamenti dannosi propri , ovvero che le condotte addebitate agli altri convenuti che avevano poi transatto esaurissero gli addebiti rivolti al S. stesso peraltro, la stessa parte mitiga detta prospettazione, nel rilievo che fosse stata sottratta all'esame del Giudice la parte più rilevante della complessiva condotta in cui si concretizzava la mala gestio . , in ogni caso la conseguenza che ne vorrebbe trarre è infondata in diritto. Ed infatti, come rilevato nella pronuncia 7907/2012, l'azione di responsabilità introdotta cumulativamente contro più amministratori e sindaci può determinare l'inscindibilità delle cause, ove la condotta addebitata a ciascuno si definibile come illecita a causa solo dello stretto collegamento con la valutazione della condotta degli altri è il caso in particolare, ove i sindaci sia attribuita la mancata doverosa vigilanza sulla condotta colpevole degli amministratori , ma da ciò non consegue che non sia possibile la transazione solo con alcuni degli stessi, atteso che l'accordo transattivo stessa scioglie il vincolo di solidarietà passiva, ponendo così fine ai soli rapporti facenti capo ai transigenti. Né infine nel presente giudizio si pone alcuna questione relativa all'effetto della transazione sulla posizione residua del S. , e quindi al rapporto tra quanto corrisposto dai debitori transigenti e la quota ideale di debito ad essi imputabile. 1.4.- Col quarto mezzo, il S. , al di là del richiamo nella rubrica ad una serie di norme in tesi violate artt. 2392, 2393, 2396, 2516, 2697, 2700 c.c., artt. 38,100, 115, 116, 132, 1 comma, numero 4 e 409 c.p.c. si duole del vizio di motivazione per avere la Corte del merito richiamato il contenuto della sentenza di primo grado, in tal modo non esprimendo il convincimento maturato dagli stessi Giudici del gravame in relazione alle doglianze fatte valere dall'appellante. 2.4.- Il motivo è infondato. È sufficiente rilevare che la Corte del merito ha richiamato gli argomenti fatti valere dal Tribunale, facendovi espressamente adesione, aggiungendo ulteriori considerazioni, collimanti con le argomentazioni già avanzate dal Tribunale, sì da risultare in modo chiaro la base argomentativa della pronuncia, resa in risposta ai motivi di gravame. Ed infatti, secondo l'orientamento di questa Corte, la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame è legittima purché il giudice di appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima sia pur sinteticamente le ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto, mentre deve viceversa essere cassata la sentenza d'appello quando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condividono del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di impugnazione in tal senso, le pronunce 2196/2003, 2268/2006, 15463/08, 18625/2010, tra le altre . 3.1.- conclusivamente, corretta la motivazione della sentenza impugnata nei termini sopra indicati in relazione al primo motivo, ex articolo 384, u.c. c.p.c., va respinto il ricorso. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La corte rigetta il ricorso,- condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 14.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie ed accessori di legge.