Consapevolezza dello stato di insolvenza se è provata la collaborazione del creditore con la società

In tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22184, depositata il 30 ottobre 2015. Il fatto. Viene proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello con la quale veniva respinta l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale, con cui si era dichiarato inefficace il pagamento di una somma di denaro da parte di una società, poi fallita, al creditore con la condanna di quest’ultimo al pagamento di una ingente somma oltre accessori e spese processuali. Violazione legge fallimentare. Con un primo motivo, il ricorrente lamenta violazione della legge fallimentare, ma la Corte di legittimità lo ritiene manifestamente infondato, ribadendo un principio di diritto ormai consolidato, in base al quale in tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività. La scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità . Ciò perché non è vero che la Corte territoriale ha desunto la consapevolezza dello stato di decozione della società fallita dalla sola sussistenza di protesti, per aver messo in relazione tale fatto con la qualità del creditore consulente contabile e fiscale . Infatti, la sentenza impugnata discende la consapevolezza dello stato di decozione accertando in concreto tale qualità con presunzione ricavabile dalla sua collaborazione con la società fallita. Non si accerta solo la qualità astratta del creditore. Conseguentemente, la Corte conclude per la non applicazione al caso di specie della soluzione affermata con la sentenza n. 18196/2012 dalla Corte di Cassazione, cioè che la mera levata dei protesti, parametrata alle sole caratteristiche del soggetto creditore, non è idonea, salvo che si riferisca a titoli di credito di cui sia beneficiario lo stesso convenuto in revocatoria – ipotesi in cui detta levata può assumere valore di prova diretta - ad offrire una siffatta prova , atteso che nel caso di cui si tratta non si attesta solo la qualità astratta del creditore, ma anche la sua stretta collaborazione con la società in decozione. In conclusione, dunque, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 18 settembre – 30 ottobre 2015, n. 22184 Presidente Dogliotti – Relatore Genovese Fatto e diritto ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 30 giugno 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. Con sentenza in data 31 gennaio 2014, notificata il 23 maggio 2014, la Corte d'Appello di Catania, ha respinto l'impugnazione proposta dal signor Z.A. contro la sentenza del Tribunale di Catania, con la quale era stato dichiarato inefficace, ai sensi del'art. 67 LF, il pagamento della somma di £ 33.390.592 da parte della società, poi fallita, allo Z. con la conseguente condanna di quest'ultimo al pagamento della somma di Euro 17.244,80 oltre accessori e spese processuali. Avverso la sentenza della Corte d'Appello ha proposto ricorso il sig. Z. , con atto notificato il 22 luglio 2014, sulla base di due motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di varie norme di legge sostanziale artt. 67,11 co., LF, 2697 e 2729 c.c. . Il Fallimento non ha svolto difese. Il ricorso appare manifestamente infondato, giacché a Con riguardo alla violazione della legge fallimentare, ed in particolare con riferimento alla scientia decoctionis dell' accipiens , deve darsi continuità al principio di diritto già espresso da questa Corte Sez. 1, Sentenza n. 3336 del 2015, in base al quale In tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività. La scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l'esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità , considerato che non è affatto vero che la Corte territoriale abbia desunto la consapevolezza dello stato di decozione della società fallita dalla sola sussistenza di protesti rilevabili dai bollettini , per avere messo in relazione tale fatto non contestato con la qualità del creditore, nel periodo sospetto quella di consulente contabile e fiscale, chiamato a collaborare anche perla redazione dei bilanci della società b Non è perciò neppure vero che la sentenza ipostatizzi la consapevolezza dello stato di decozione nella figura del consulente contabile, ma accerti in concreto tale qualità con presunzione ricavabile dalla sua collaborazione con la società fallita in relazione ai documenti contabili e conoscitivi dello stato di salute economica dell'impresa c Ne deriva l'inapplicabilità, al caso della soluzione astratta e generale affermata da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18196 del 2012, ossia che la mera levata dei protesti, parametrata alle sole caratteristiche del soggetto creditore, non è idonea, salvo che si riferisca a titoli di credito di cui sia beneficiario lo stesso convenuto in revocatoria - ipotesi in cui detta levata può assumere valore di prova diretta - ad offrire una siffatta prova , atteso che nel caso di specie non si attesta solo la qualità astratta del creditore es. Banca, soc. finanziaria, piccolo risparmiatore, ecc. ma la sua stretta collaborazione proprio con l'impresa in decozione d Che il secondo motivo violazione della regola della soccombenza in ordine alle spese è infondato avendo la Corte rettamente applicato il detto principio, essendo l' accipiens , appellante, risultato soccombente. In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi degli artt. 380 bis e 375 n. 5 c.p.c.”. Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse critiche od osservazioni che, pertanto, il ricorso - manifestamente infondato - deve essere respinto che non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l'intimata curatela svolto difese in questa fase che, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012,dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.