Con la lettera di patronage l’impresa assicurativa assume un vero e proprio obbligo di garanzia

La fattispecie oggetto di esame da parte dell’odierno giudice della legittimità riguarda l’istituto della lettera di patronage, uno strumento largamente usato nella prassi del commercio con finalità di garanzia. E, nello specifico, si tratta di stabilire se l’assunzione di obbligazioni, contenute proprio in due lettere di patronage, da parte di un’impresa assicurativa in bonis in favore di società partecipata, sia o meno valida in quanto rientrante o no nell’oggetto sociale dell’impresa di assicurazioni medesima, ed eventualmente configurando una violazione dell’art. 5 l. n. 295/78.

I Giudici della Prima sezione Civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 20107 depositata il 7 ottobre 2015, conformandosi ad un recente grand arrêt delle Sezioni Unite n. 30174/11 , dopo aver premesso che il divieto espresso dal secondo comma del citato articolo 5 l. n. 295/78 abrogato e sostituito prima dall’articolo 7, comma 2, d.lgs. n. 175/1995 e poi dall’articolo 11 d.lgs. n. 209/2005, ma applicabile alla presente controversia ratione temporis comporta la nullità dei contratti stipulati in sua violazione, hanno tuttavia rilevato che la norma in esame è volta a circoscrivere l’area dell’attività imprenditoriale della società assicurativa, come agevolmente si desume dal suo riferimento all’oggetto sociale, nel senso d’impedire che detta attività assuma una portata incompatibile con quella tipica e specifica di una simile impresa Gli Ermellini, inoltre, hanno precisato che un conto è il porre in essere un’attività imprenditoriale eventualmente eccedente i limiti legali sopra indicati, altro è compiere singoli e specifici atti negoziali, quali quelli implicanti l’assunzione di obblighi di garanzia, che di per sé non connotano in alcun modo una specifica attività d’impresa in sostanza, è il possibile oggetto sociale dell’impresa assicurativa ad essere limitato dalla norma, e non la capacità d’agire dell’ente personificato, la quale perciò conserva la sua naturale portata generale come per qualsiasi altro soggetto giuridico. Quindi, in tanto l’assunzione di garanzie per debiti di terzi potrebbe assumere i connotati di un’attività imprenditoriale extra-assicurativa, in quanto si esplicasse in modo sistematico e nei confronti di un’indeterminata platea di soggetti, venendo perciò a rivestire le sembianze di un’attività di tipo finanziario, che comporterebbe l’assunzione di un rischio d’impresa ulteriore e diverso da quello assicurativo. Il fatto. La liquidazione coatta amministrativa lca di un’impresa assicurativa proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale di Roma che, confermando la decisione del giudice di prime cure, aveva ammesso allo stato passivo della lca medesima il credito di oltre 16 miliardi di lire, comprensivo di interessi convenzionali, vantato da un istituto di credito in forza di due lettere di patronage che l’assicurazione, unitamente ad altre compagnie assicuratrici, le aveva rilasciato a garanzia del pagamento dei mutui da essa concessa ad una s.r.l., attiva nel campo dell’edilizia e successivamente fallita. Nella vicenda in esame, la corte capitolina aveva ritenuto che le lettere di patronage implicavano l’assunzione di un vero e proprio obbligo di garanzia per i debiti bancari facenti capo alla s.r.l. e che l’assunzione della garanzia non poteva ritenersi estranea all’oggetto sociale della compagnia di assicurazioni e non esulava dai poteri del consigliere delegato che, in nome e per conto della stessa, aveva sottoscritto le predette lettere di patronage. Infine – aveva precisato ulteriormente la corte territoriale – la pretesa della lca di profittare di una transazione precedentemente stipulata dall’istituto di credito con un altro patronnant , debitore in solido dell’impresa assicuratrice, era infondata, in quanto le parti dell’accordo transattivo ne avevano espressamente limitato gli effetti a reciproci rapporti. E, proprio, con riguardo a quest’ultimo punto la lca censura, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione il capo della sentenza con la quale la predetta corte capitolina escludeva che la lca medesima potesse profittare della transazione stipulata dall’istituto di credito con un’altra compagnia di assicurazioni, anch’essa sottoscrittrice delle lettere di patronage e, dunque obbligata in solido al pagamento del debito garantito, in base al mero rilievo che nell’accordo transattivo era contenuta una clausola che ne limitava gli effetti alle sole parti stipulanti. E gli Ermellini, richiamando un grand arrêt delle Sezioni Unite, accolgono in parte il gravame, precisando che la corte territoriale avrebbe dovuto verificare se la transazione aveva ad oggetto la sola quota del debito facente capo alla debitrice transigente o l’intera obbligazione solidale, posto che in tale seconda ipotesi la clausola non avrebbe potuto avere effetto nei confronti degli altri condebitori. Quanto, invece, ai restanti quattro motivi di gravame – in particolare anche intorno alla questione che inerisce i limiti entro cui è consentito alle imprese assicurative lo svolgimento di attività non direttamente afferenti alle nozioni di assicurazione, riassicurazione o capitalizzazione -, vengono rigettati in toto dalla Suprema Corte che, così, cassa la sentenza solo in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità. La funzione delle dichiarazioni contenute nella lettera di patronage. La lettera di patronage costituisce una forma atipica di garanzia, attraverso la quale una società, cosiddetta patrocinante o patronnant , manifesta ad un soggetto destinatario, generalmente una banca o un altro finanziatore a cui viene chiesta la concessione di una linea di credito oppure un vero e proprio mutuo, la propria situazione di influenza sulla società terza, cosiddetta patrocinata, affermando di essere titolare di un pacchetto azionario della stessa di avere interesse al mantenimento delle linee di credito ad essa concesse di impegnarsi di non cedere le azioni di sua proprietà prima del rimborso dei crediti della società debitrice. Perciò, la funzione tipica delle dichiarazioni contenute nelle lettere di patronage non consiste propriamente nel garantire l’adempimento altrui – infatti il garante non assume l’obbligo di eseguire la prestazione dovuta dal debitore principale –, bensì nel rafforzare nel creditore il convincimento che il patrocinato farà fronte ai propri impegni. Limiti allo svolgimento di attività extra-assicurativa, ex articolo 5 della l. 295/78. La norma ratione temporis applicabile alla fattispecie che qui ci occupa è l’articolo 5 l. n. 295/78. Essa individua i limiti alla possibilità che una impresa di assicurazioni svolga attività extra-assicurativa ed ha carattere inderogabile, rispondendo ad un interesse di ordine generale. Tale previsione normativa, invero, limita il possibile oggetto sociale dell’impresa assicurativa e non la capacità d’agire dell’ente personificato, sicché debbono considerarsi senz’altro consentite operazioni consistenti nel rilascio di garanzie da parte della impresa assicurativa risolventisi in singoli e specifici atti negoziali ove invece l’assunzione di garanzie per debiti altrui si esplicasse in modo sistematico essa assumerebbe i connotati di un attività extra-assicurativa contrastante con le norme imperative in esame. Ed inoltre per apprezzare la connessione tra il singolo atto e l’attività dell’impresa medesima non va valutato il dato statico della pertinenza con l’oggetto sociale, bensì il dato funzionale dell’essere orientato l’atto al raggiungimento delle medesime finalità che caratterizzano l’attività di impresa. Pertanto, non può dirsi vietato che una compagnia di assicurazioni investa in società aventi oggetto sociale diverso, ove ciò sia finalizzato alla conservazione delle riserve patrimoniali di cui detta società necessita per assolvere ai suoi compiti ed ancora, il prestare garanzia in sé considerato - nel caso de quo , appunto, attraverso due lettere di patronage -, lungi dall’integrare gli estremi di un’attività commerciale incoerente ed incompatibile con l’oggetto sociale della garante, ben può configurarsi come atto strumentale alla conservazione del valore della partecipazione azionaria di cui la stessa garante è titolare e quindi condividere la medesima finalità cui è ispirata la detenzione della partecipazione. Ancora sul divieto di attività extra-assicurative ex articolo 8 n. 1, lett. b direttiva 73/239/CEE. Invero, anche secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea alle società di assicurazione, pur essendo vietato svolgere attività commerciali diverse da quella assicurativa, è tuttavia consentito costituire una persona giuridica che svolga attività diverse ed ulteriori, ovvero detenere partecipazioni di altra società operante in aree diverse, purché nei limiti delle riserve disponibili. La transazione nelle obbligazioni solidali. Il decisum in rassegna, peraltro, affronta anche il tema degli effetti che la transazione effettuata da un condebitore solidale può avere sugli altri coobbligati e sullo stesso rapporto obbligatorio. Difatti l’istituto di credito de quo aveva raggiunto un accordo transattivo con un’altra compagnia di assicurazioni, anch’essa sottoscrittrice delle due lettere di patronage e, della stessa, ne voleva profittare la lca. L’articolo 1304 c.c, che espressamente disciplina gli effetti della transazione sul vincolo solidale fissa, in linea generale, la regola per cui gli altri condebitori, che pur non abbiano partecipato alla transazione intercorsa tra uno o più di essi con il creditore, possano dichiarare di volerne profittare e con ciò estenderne gli effetti anche alla propria posizione personale nei confronti del creditore medesimo. L’oggetto della transazione l’intero debito ovvero la quota del debitore transigente. Al fine di stabilire se il creditore ed uno dei debitori in solido, nel transigere la lite tra loro insorta, possano impedire agli altri condebitori solidali di profittare degli effetti della transazione, è decisivo verificare – come ricordano ancora le Sezioni Unite nella più volte richiamata sentenza n. 13704/2011 – se la transazione riguardi l’intero debito od invece abbia ad oggetto unicamente la quota del debitore con cui è stipulata. Difatti l’articolo 1304, comma 1, c.c. trova applicazione quando il negozio transattivo riguarda l’intero debito, perché è la comunanza dell’oggetto della transazione a far sì che di questa possa avvalersi il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e quindi in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetto solo tra le parti. La riduzione dell’ammontare del debito eventualmente pattuita in via transattiva con uno solo dei debitori opererà, in tal caso, anche per gli altri che dichiarino di volersene avvalere, non diversamente da quel che sarebbe accaduto se anch’essi avessero sottoscritto la medesima transazione. Lo stabilire se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, tipicamente rimessa al giudice di merito. Indagine che, nel caso che qui ci occupa è stata omessa e per questo motivo gli Ermellini cassano la pronuncia della corte capitolina.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 luglio – 7 ottobre 2015, n. 20107 Presidente Ceccherini – Relatore Cristiano Svolgimento del processo La Corte d'appello di Roma ha respinto l'appello proposto da Unione Euro-Americana di Assicurazioni in seguito UEA s.p.a. in Liquidazione Coatta Amministrativa contro la sentenza di primo grado, che, in accoglimento dell'opposizione ex artt. 98 e 203 l. fall, proposta da San Paolo IMI s.p.a. aveva ammesso allo stato passivo della LCA il credito di oltre 16 miliardi di lire, comprensive di interessi convenzionali, vantato dalla banca in forza di due lettere di patronage che UEA, unitamente ad altre compagnie assicuratrici, le aveva rilasciato a garanzia del pagamento dei mutui da essa concessi ad Edilizia Borghese s.r.l., successivamente fallita. La corte capitolina ha affermato che le lettere di patronage implicavano l'assunzione di un vero e proprio obbligo di garanzia per i debiti bancari facenti capo alla Edilizia Borghese, società indirettamente controllata da UEA per il tramite della IFI che l'assunzione della garanzia non poteva ritenersi estranea all'oggetto sociale della compagnia di assicurazioni e non esulava dai poteri del consigliere delegato che, in nome e per conto della stessa, aveva sottoscritto le menzionate lettere di patronage che era infine infondata la pretesa dell'impresa in LCA di profittare di una transazione in precedenza stipulata da Intesa San Paolo con altro patronnant , debitore in solido di UEA, in quanto le parti dell'accordo transattivo ne avevano espressamente limitato gli effetti ai reciproci rapporti. La sentenza, pubblicata il 29.11.010, è stata impugnata da UEA in LCA con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui Intesa Sanpaolo s.p.a., incorporante per fusione San Paolo IMI s.p.a., ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo la compagnia in LCA, denunciando violazione delle norme del codice civile dettate in tema di interpretazione dei contratti, nonché vizio di motivazione della sentenza impugnata, contesta che nelle lettere di patronage si potesse ravvisare l'assunzione di un obbligo da parte di UEA in bonis di garantire i debiti della Edilizia Borghese nei confronti di San Paolo IMI. Sostiene che con le suddette lettere - secondo quanto emergente dai loro contenuto testuale ed anche alla luce del successivo comportamento delle parti - la compagnia si era limitata ad accreditare l'effettiva garante IFI per il debito di Edilizia Borghese, impegnandosi a far sì che quest'ultima avesse sempre sufficiente disponibilità per adempiere alle obbligazioni restitutorie derivanti dai due mutui in Ecu contratti e deduce che tale impegno, per la sua genericità, non poteva ritenersi vincolante. Il motivo deve essere respinto. È la stessa ricorrente a riconoscere che le lettere di patronage erano vincolanti nella loro prima parte, in cui le compagnie sottoscrittrici tutte appartenenti al gruppo Tirrena si erano impegnate a non modificare le rispettive partecipazioni azionarie in IFI ed a far sì che rimanesse immutata anche la partecipazione di quest'ultima pari al 100% al capitale sociale della mutuataria, garantendo, in caso contrario, l'accollo del debito derivante dal mutuo. Risulta pertanto dirimente, ai fini del rigetto, il rilievo che la censura non contiene alcuna critica all'accertamento della corte territoriale, costituente autonoma ratio decidendi , di per sé sufficiente a sorreggere la statuizione impugnata, secondo cui dalle successive relazioni del C.G. e del curatore di IFI e dalla certificazione di Price Waterhouse emergeva che UEA aveva ceduto a terzi la propria partecipazione nella società detentrice del capitale sociale di Edilizia Borghese e che San Paolo IMI aveva chiesto l'ammissione al passivo del credito derivante dal mutuo anche in forza dell'obbligazione di accollo. Va aggiunto, ad ogni buon conto, che le doglianze della LCA che investono l'ulteriore ratio decidendi su cui si fonda il capo della pronuncia in esame si risolvono nella pretesa, inammissibile nella presente sede di legittimità, di ottenere una diversa interpretazione del contenuto delle lettere di patronage, atteso che non è dato comprendere perché il loro tenore letterale deporrebbe in senso contrario a quello ritenuto dalla corte territoriale che, proprio analizzandone il testo, vi ha ravvisato un negozio giuridico unilaterale art. 1333 c.c. con il quale la compagnia non si era limitata ad esternare la propria posizione di influenza ma aveva assunto una vera e propria obbligazione, avente finalità di garanzia, e che non sono minimamente indicati gli elementi istruttori, inerenti la comune intenzione delle parti ed il loro comportamento successivo, dai quali il giudice del merito avrebbe dovuto trarre un diverso convincimento. 2. Col secondo motivo la ricorrente, nel denunciare la violazione dell'art. 5, II comma, della L. n. 295/78, oltre che di vari articoli del codice civile, assume che l'assunzione delle obbligazioni contenute nelle lettere di patronage esulava dall'oggetto sociale, non potendo ritenersi compresa fra le operazioni legali e finanziarie - fideiussioni comprese - che saranno inerenti alle finalità sociali e ne facilitino il conseguimento in esso contemplate. Anche questo motivo deve essere respinto. Sulla questione, che inerisce ai limiti entro cui è consentito alle imprese assicurative lo svolgimento di attività non direttamente ed immediatamente afferenti alle nozioni di assicurazione, riassicurazione o capitalizzazione, la ricorrente richiama un precedente a sé favorevole Cass. n. 21247/010 , che risulta però superato dalla sentenza n. 30174/011 delle S.U. di questa Corte il cui orientamento il collegio pienamente condivide che, in fattispecie identica alla presente, dopo aver premesso che il divieto espresso dal secondo comma del citato art. 5 della L. n. 295/78 abrogato e sostituito prima dall'art. 7, comma 2, del d. lgs. n. 175 del 1995 e poi dall'art. 11 del d. lgs. n. 209 del 2005, ma applicabile alla presente controversia ratione temporis comporta la nullità dei contratti stipulati in sua violazione, hanno tuttavia rilevato che la norma in esame è volta a circoscrivere l'area dell'attività imprenditoriale della società assicurativa, come agevolmente si desume dal suo riferimento all'oggetto sociale, nel senso d'impedire che detta attività assuma una portata incompatibile con quella tipica e specifica di una simile impresa che tuttavia un conto è il porre in essere un'attività imprenditoriale eventualmente eccedente i limiti legali sopra indicati, altro è compiere singoli e specifici atti negoziali, quali quelli implicanti l'assunzione di obblighi di garanzia, che di per sé soli non connotano in alcun modo una specifica attività d'impresa che, in sostanza, è il possibile oggetto sociale dell'impresa assicurativa ad essere limitato dalla norma, e non la capacità d'agire dell'ente personificato, la quale perciò conserva la sua naturale portata generale come per qualsiasi altro soggetto giuridico che in tanto l'assunzione di garanzie per debiti di terzi potrebbe assumere i connotati di un'attività imprenditoriale extra-assicurativa, in quanto si esplicasse in modo sistematico e nei confronti di un'indeterminata platea di soggetti, venendo perciò a rivestire le sembianze di un'attività di tipo finanziario, che comporterebbe l'assunzione di un rischio d'impresa ulteriore e diverso da quello assicurativo che non è questo il caso, dibattuto in giudizio, della prestazione di singole garanzie in favore di società partecipate dalla stessa impresa assicurativa che, d'altro canto, non può ritenersi di per sé vietato che una società esercente attività assicurativa acquisisca partecipazioni in società aventi oggetto diverso, volta che tale acquisizione non comporti l'esercizio di un'attività di trading finanziario incoerente con l'oggetto assicurativo, ma sia uno dei mezzi adoperati per la conservazione delle riserve patrimoniali di cui detta società ha bisogno per assolvere correttamente i propri compiti istituzionali che in questa logica si è significativamente collocata anche la Corte di Giustizia dell'Unione Europea quando, chiamata ad interpretare il divieto di attività extra-assicurative posto dall'art. 8, n. 1, lett. b , della direttiva 73/239/Cee, ha escluso che contrasti con tale divieto la possibilità per un'impresa di assicurazioni di detenere partecipazioni di altra società operante in aree diverse, purché nei limiti delle riserve disponibili Corte di Giustizia 21 settembre 2000, C/109/99 che dunque, se non può dirsi di per sé anomalo il fatto che una società di assicurazioni detenga, come nella specie è accaduto, una partecipazione di controllo poco rileva se diretta o indiretta in una società immobiliare, allora neppure si può sostenere che nel divieto dianzi richiamato è ricompresa la prestazione di garanzie per i debiti di quest'ultima che non è infatti anomalo, in via di principio, che la società capogruppo si renda garante per le esposizioni debitorie di una o più delle sue controllate, nella misura in cui vi possa corrispondere un interesse del gruppo nel suo insieme e, di riflesso, un interesse della stessa controllante che, in definitiva, il prestare garanzia in un caso quale quello di specie, lungi dall'integrare gli estremi di un'attività commerciale incoerente ed incompatibile con l'oggetto sociale della garante, ben può configurarsi come un atto strumentale alla conservazione del valore della partecipazione azionaria di cui la stessa garante è titolare, e quindi condividere la medesima finalità cui è ispirata la detenzione della partecipazione. 3 Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1363, 1365 c.c. oltre che vizio di motivazione della sentenza impugnata, deduce che l'assunzione delle obbligazioni di garanzia assunte nelle lettere di patronage non rientrava fra i poteri decisori e rappresentativi del consigliere delegato che le aveva sottoscritte, al quale, con delibera consiliare del 22.9.87, era stato conferito unicamente il potere di rilasciare fideiussioni a favore di istituti bancari e casse di risparmio per operazioni riguardanti società finanziarie ed assicurative del gruppo Tirrena. A dire della ricorrente, tale indicazione era tassativa, con la conseguenza che la corte territoriale l'avrebbe erroneamente interpretata ritenendo che vi fosse compresa anche la stipulazione di contratti autonomi di garanzia, per di più non considerando che le operazioni per le quali la garanzia era stata prestata non riguardavano una società finanziaria o assicurativa, bensì una società immobiliare da essa non direttamente partecipata. Neppure tale censura merita accoglimento. La sentenza impugnata non manca di sottolineare come l'attribuzione di poteri rappresentativi all'amministratore delegato di UEA, lungi dall'essere espressa con un elenco tassativo, fosse assai ampia e generica, sino ad autorizzarlo a porre in essere tutti gli atti rientranti nell'oggetto sociale. Logica - e non censurabile in questa sede - è dunque l'ulteriore deduzione secondo cui la successiva formula riguardante il potere di sottoscrivere fideiussioni dovesse essere interpretata estensivamente, ricomprendendo in essa l'assunzione di impegni giuridici vincolanti di natura contrattuale e con finalità di garanzia quali quelli contenuti nelle lettere di patronage , per tutte le società comprese nel gruppo Tirrena, anche se non direttamente controllate o partecipate dalle garanti. Risulta, per altro verso, incontestato l'ulteriore rilievo della corte territoriale secondo cui, ai sensi del testo allora in vigore dell'art. 2384 c.c., le eventuali limitazioni al potere di compiere atti rientranti nell'oggetto sociale da parte degli amministratori non sarebbero state comunque opponibili ai terzi di cui non fosse stata provata la mala fede. 4 Con il quarto motivo la LCA censura, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il capo della sentenza con il quale la corte territoriale ha escluso che essa potesse profittare della transazione stipulata da San Paolo IMI con un'altra compagnia di assicurazioni, anch'essa sottoscrittrice delle lettere di patronage e dunque obbligata in solido al pagamento del debito garantito, in base al mero rilievo che nell'accordo transattivo era contenuta una clausola che ne limitava gli effetti alle sole parti stipulanti. Deduce al riguardo che siffatta clausola sarebbe nulla o inefficace, posto che l'autonomia negoziale delle parti non può spingersi sino al punto di consentire ai contraenti di menomare i diritti dei terzi estranei al contratto contesta, inoltre, l'orientamento giurisprudenziale e dottrinario secondo cui l'art. 1304 I comma c.c. può trovare applicazione se la transazione riguardi l'intero debito, ma non anche quando abbia ad oggetto esclusivamente la quota - parte del debitore solidale transigente, assumendo che una transazione sulla quota è configurabile o quando vi sia autonomia dei singoli rapporti fra creditore e condebitori, per essere questi ultimi obbligati per titoli diversi, ovvero posto che la solidarietà esclude la frazionabilità esterna dell'obbligazione allorquando sia preceduta dallo scioglimento del vincolo solidale rispetto al condebitore stipulante. Il motivo è fondato nei limiti che di seguito si precisano. Con la già citata sentenza n. 13074/011 le S.U. di questa Corte hanno chiarito che, al fine di stabilire se il creditore ed uno dei debitori in solido, nel transigere la lite tra loro insorta, possano impedire agli altri condebitori solidali di profittare degli effetti della transazione, è decisivo verificare se la transazione riguardi l'intero debito od invece abbia ad oggetto unicamente la quota del debitore con cui è stipulata. La previsione dell'art. 1304, I comma, c.c. non si riferisce a questa seconda fattispecie, certamente configurabile sempre che l'obbligazione sia per sua natura scindibile e che non si tratti di solidarietà pattuita nell'interesse di uno dei condebitori quando vi consenta il creditore nel cui interesse il vincolo della solidarietà passiva è concepito. Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la transazione sulla quota non necessita di un preventivo scioglimento del vincolo solidale, che ben può realizzarsi in via contestuale al raggiungimento dell'accordo né, per altro verso, risulta indispensabile a tal fine postulare una diversità dei titoli da cui dipendono le diverse obbligazioni legate dal vincolo della solidarietà, atteso che tale vincolo é unicamente funzionale ad una migliore realizzazione del credito, e nulla perciò vale ad ostacolare la libera esplicazione dell'autonomia negoziale delle parti che intendono escluderlo per una quota parte del credito stesso. Ciò premesso, risulta evidente che la transazione pro-quota, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva unicamente rispetto al debitore che vi aderisce, non può coinvolgere gli altri condebitori, i quali non avrebbero alcun titolo per profittarne, salvo ovviamente che per gli effetti derivanti dalla riduzione del loro debito in conseguenza di quanto pagato dal debitore transigente. La norma di cui all'art. 1304 I comma c.c. trova invece applicazione quando il negozio transattivo riguarda l'intero debito, perché è la comunanza dell'oggetto della transazione a far sì che di questa possa avvalersi il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e quindi in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetto solo tra le parti. La riduzione dell'ammontare del debito eventualmente pattuita in via transattiva con uno solo dei debitori opererà, in tal caso, anche per gli altri che dichiarino di volersene avvalere, non diversamente da quel che sarebbe accaduto se anch'essi avessero sottoscritto la medesima transazione. Né tale conseguenza potrebbe essere evitata introducendo nella transazione per l'intero debito una clausola di contrario tenore, per l'ovvia considerazione che una simile clausola sarebbe destinata ad incidere su un diritto potestativo che la legge attribuisce ad un soggetto terzo, rispetto ai contraenti, e del quale perciò questi ultimi non sarebbero legittimati a disporre. Lo stabilire poi se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l'intero debito o solo la quota del debitore transigente comporta, evidentemente, un'indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, tipicamente rimessa al giudice del merito. Nel caso di specie, pertanto, la corte d'appello non poteva respingere la richiesta di UEA di profittare della transazione intervenuta tra San Paolo IMI ed un'altra condebitrice solidale limitandosi a rilevare che una clausola dell'accordo concluso fra le parti escludeva espressamente tale possibilità, ma avrebbe dovuto verificare se la transazione aveva ad oggetto la sola quota del debito facente capo alla debitrice transigente o l'intera obbligazione solidale, posto che in tale seconda ipotesi la clausola non avrebbe potuto avere effetto nei confronti degli altri condebitori. 5 Con il quinto motivo di ricorso, la LCA lamenta che, nell'ammettere allo stato passivo il credito per capitale di San Paolo Imi, il giudice del merito abbia omesso di detrarre quanto già corrisposto alla banca creditrice dalla condebitrice solidale. Il motivo va dichiarato inammissibile. Non risulta, infatti, che la questione che avrebbe dovuto formare oggetto di un apposito motivo di appello, in quanto il credito era stato ammesso nella sua interezza allo stato passivo dal giudice di primo grado sia stata devoluta alla cognizione della corte del merito né, d'altro canto, la ricorrente ha denunciato sul punto un vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata. L'accoglimento, nei sensi indicati in motivazione, del quarto motivo del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo dei ricorso nei sensi di cui in motivazione e rigetta gli altri motivi cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.