Chi può proporre istanza di revocazione contro i crediti ammessi?

L’istanza di revocazione contro crediti ammessi ha carattere d’impugnazione straordinaria, finalizzata a conseguire il risultato che l’esecuzione collettiva vada a vantaggio di coloro che risultano effettivamente creditori, e può quindi essere proposta, oltre che dal curatore e dai soggetti titolari di diritti sui beni del fallito, soltanto dai creditori ammessi al passivo, in quanto unici portatori di un interesse concreto ed attuale all’esclusione di credito o garanzie fatti valere da terzi, potendo ricevere concreto pregiudizio dalla partecipazione al concorso di soggetti privi della qualità di creditore o di creditore privilegiato.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19721/15, depositata il 2 ottobre. Il caso. Una s.r.l. in liquidazione chiedeva al giudice delegato la revoca del curatore e l’autorizzazione all’esercizio dell’azione di responsabilità nei suoi confronti, nonché la revocazione del provvedimento di ammissione al passivo del credito per canoni di locazione fatto valere da un uomo in virtù di un decreto ingiuntivo non notificato ad essa istante e non opposto dal curatore e la dichiarazione di nullità della vendita della stigliatura dell’immobile locato e dei beni inventariati, effettuata dal curatore in favore dell’uomo. Il giudice di primo grado rigettava le istanze proposte dalla società fallita e il tribunale rigettava i reclami proposti dalla società avverso tale provvedimento. Per la cassazione di tale pronuncia propone ricorso la s.r.l Non c’è violazione del diritto di difesa. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, deve ritenersi infondata la doglianza mossa dal ricorrente secondo cui il tribunale, nel dichiarare il difetto di legittimazione di essa ricorrente, ha violato il suo diritto di difesa, non considerando che il reclamo può essere proposto da chiunque vi abbia interesse e quindi anche dal fallito, che conserva la propria capacità processuale anche a seguito della dichiarazione di fallimento Al riguardo, la Corte di nomofilachia ha richiamato la giurisprudenziale di legittimità secondo cui l’istanza di revocazione contro crediti ammessi ha carattere d’impugnazione straordinaria, finalizzata a conseguire il risultato che l’esecuzione collettiva vada a vantaggio di coloro che risultano effettivamente creditori, e può quindi essere proposta, oltre che dal curatore e dai soggetti titolari di diritti sui beni del fallito, soltanto dai creditori ammessi al passivo, in quanto unici portatori di un interesse concreto ed attuale all’esclusione di credito o garanzie fatti valere da terzi, potendo ricevere concreto pregiudizio dalla partecipazione al concorso di soggetti privi della qualità di creditore o di creditore privilegiato . La facoltà di proporre l’istanza de qua , dunque, non può essere riconosciuta al fallito, che non è parte del procedimento di verificazione del passivo e al quale non spetta alcun potere di impugnazione dei crediti ammessi, neppure attraverso il rimedio di carattere generale previsto dall’art. 26 l. fall., dato che tale disposizione fa espressamente salve le norme contrarie, tra le quali vanno ricomprese anche quelle della medesima legge che negano al fallito la legittimazione all’esercizio del potere in questione Per tutte le considerazioni sopra esposte, la Corte ha rigettato il ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 maggio – 2 ottobre 2015, n. 19721 Presidente Ceccherini – Relatore Mercolini Svolgimento del processo 1. - La De.Ma. S.r.l. in liquidazione, dichiarata fallita dal Tribunale di Lati na con sentenza del 21 gennaio 2005, chiese al Giudice delegato a la revoca del curatore e l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dello stesso, b la revocazione del provvedimento di ammissione al passivo del credito per canoni di locazione fatto valere da F.M. in virtù di un decreto ingiuntivo non notificato ad essa istante e non opposto dal curatore, e c la dichiarazione di nullità della vendita della stigliatura dell'immobile locato e dei beni inventariati, effettuata dal curatore in favore dello stesso M A sostegno dell'istanza, espose che il decreto ingiuntivo era nullo, in quanto emesso in pendenza del giudizio promosso da essa conduttrice per l'accertamento della risoluzione del contratto di locazione, la restituzione dell'immobile locato ed il rimborso delle spese sostenute per miglioramenti ed addizioni. Aggiunse che la vendita aveva avuto luogo in violazione dell'art. 106 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, essendo stata effettuata a trattativa privata senza sentire il comitato dei creditori e senza chiedere la nomina di un esperto per la stima dei beni. 1.1. - Con due distinti decreti emessi il 16 luglio ed il 3 agosto 2006, il Giu dice delegato rigettò le istanze proposte dalla società fallita, rilevando inoltre che l'avv. M.M., già nominato difensore del fallimento nel giudizio promosso dalla società fallita nei confronti del M., versava in situazione d'in compatibilità, in quanto difensore della De.Ma., e disponendone pertanto la sosti tuzione con altro avvocato. 2. -1 reclami proposti dalla De.Ma. sono stati riuniti e rigettati dal Tribuna le di Latina con decreto del 9 novembre 2007. A fondamento della decisione, il Tribunale ha dichiarato il difetto di legitti mazione della reclamante alla proposizione della domanda di revocazione, in quanto spettante soltanto ai creditori concorsuali ed al curatore, ritenendo altresì inconferenti le censure di violazione dei principio del contraddittorio e dell'art. 102 della legge fall., in considerazione della natura gestoria dei provvedimento emesso al riguardo dal Giudice delegato e della fase extraprocessuale in cui era stato adottato. Quanto alla revoca del curatore ed all'esercizio dell'azione di responsabilità, ha ritenuto incomprensibili le censure proposte dalla reclamante, confermando comunque la correttezza dell'operato del curatore, il quale aveva riferito esausti vamente dell'incarico conferito all'avv. M., dell'avvenuta riassunzione del giudizio promosso nei confronti del M., della vendita di alcuni dei beni in ventariati e dell'ammissione al passivo del credito fatto valere dal locatore. 3. -- Avverso il predetto decreto la De.Ma. ha proposto ricorso per cassazio ne, articolato in cinque motivi. Il curatore ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la viola zione e la falsa applicazione dell'art. 25 n. 6 della legge fall., sostenendo che la costituzione in giudizio del curatore del fallimento avrebbe dovuto essere dichiarata nulla per difetto di autorizzazione dei Giudice delegato, in quanto l'incarico conferito all'avv. R.C. in sostituzione dell'avv. M. non si e stendeva al reclamo, essendo limitato al giudizio di risoluzione del contratto di lo cazione. I .1. - Il motivo è infondato. Premesso che il curatore del fallimento si è costituito nei procedimenti di re clamo in virtù di autorizzazioni ritualmente rilasciate dal Giudice delegato il 10 settembre ed il 1 ° ottobre 2007, si osserva comunque che il difetto di autorizza zione a resistere in giudizio non incide sulla validità del procedimento, ma esclu sivamente sulla legittimazione processuale del curatore, rendendo inefficace la sua costituzione, con la conseguente esclusione della possibilità di prendere in esame le eccezioni da lui proposte e le prove da lui dedotte o prodotte cfr. Cass., Sez. I, 15 luglio 2010, n, 16608 9 luglio 2005, n. 14469 21 marzo 2003, n. 4136 . In quanto attinenti ad una procedura fallimentare apertasi prima dell'entrata in vigore del digs. 9 gennaio 2006, n. 5, i reclami in questione, dei quali il provvedimento impugnato ha disposto la riunione, erano peraltro disciplinati dall'art. 26 della leg ge fall., nel testo vigente anteriormente alle modificazioni introdotte dal predetto decreto, il quale prevedeva un procedimento di tipo inquisitorio, in cui il tribunale fallimentare, investito di tutta la procedura e nell'esercizio delle proprie funzioni di controllo sull'operato dei giudice delegato, con possibilità di sostituirsi a questo ultimo nell'esercizio delle sue attribuzioni, non era vincolato dalle deduzioni e dal le produzioni delle parti, ma poteva porre a fondamento della decisione la cono scenza di ogni atto o documento della procedura, ancorchè lo stesso non avesse formato oggetto di contraddittorio cfr. Cass., Sez. I, 5 aprile 2012, n. 5501 29 novembre 2000, n. 15298 12 giugno 1998, n. 5887 . Nella specie, pertanto, l'irrituale costituzione del curatore non avrebbe potuto impedire al Tribunale di valuta re, con pienezza di cognizione e con ampi poteri d'indagine, la fondatezza delle doglianze proposte dalla reclamante, avvalendosi di tutti gli elementi emergenti dalla documentazione acquisita al fascicolo del fallimento. 2. - E' parimenti infondato il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 26 della legge fall., affermando che, nel dichiarare il difetto di legittimazione di essa ricorrente, il Tribunale ha violato il suo diritto di difesa, non avendo considerato che il reclamo può essere proposto da chiunque vi abbia interesse, e quindi anche dal fallito, il quale conserva la pro pria capacità processuale anche a seguito della dichiarazione di fallimento. 2.1. - Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamen to della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'istanza di revocazione contro crediti ammessi ha carattere d'impugnazione straordinaria, volta a conseguire il risultato che l'esecuzione collettiva vada a vantaggio di coloro che risultano effet tivamente creditori, e può quindi essere proposta, oltre che dal curatore e dai sog getti titolari di diritti sui beni del fallito, soltanto dai creditori ammessi al passivo, i quali sono gli unici portatori di un interesse concreto ed attuale all'esclusione di crediti o garanzie fatti valere da terzi, potendo ricevere concreto pregiudizio dalla partecipazione al concorso di soggetti privi della qualità di creditore o di creditore privilegiato cfr. Cass., Sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28666 17 aprile 2013, n. 9318 . La facoltà di proporre la predetta istanza non può quindi essere riconosciu ta al fallito, che non è parte del procedimento di verificazione del passivo ed al quale non spetta alcun potere d'impugnazione dei crediti ammessi, neppure attra verso il rimedio di carattere generale previsto dall'art. 26 della legge fall., in quan to tale disposizione fa espressamente salve le norme contrarie, tra le quali non possono non comprendersi anche quelle della medesima legge che negano al falli to la legittimazione all'esercizio dei potere in questione cfr. Cass., Sez. 1, 16 mar zo 1996, n. 2224 3 dicembre 1991, n. 12987 . 3. - Con il quarto motivo, il cui esame risulta logicamente prioritario rispet to a quello del terzo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 31, 32 e 33 della legge fall. e degli artt. 1418, 1421 e 1471 cod. civ., os servando che, nel ritenere incensurabile la condotta dei curatore, il Tribunale non ha tenuto conto della nullità della vendita della stigliatura dell'immobile locato e dei beni inventariati. Tale vendita, effettuata a trattativa privata, aveva avuto infat ti luogo a favore del locatore, che non solo rivestiva la qualità di controparte nel giudizio avente ad oggetto la risoluzione dei contratto di locazione, ma, per effetto dell'avvenuta riconsegna del locale, era tenuto alla cura ed alla conservazione dei beni esistenti nell'immobile, con la conseguenza che non poteva rendersene acqui rente. 4. - Congiuntamente al predetto motivo, va esaminato il quinto, con cui la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1703 e 1704 cod. civ. e dell'art. 38 del la legge fall., sostenendo che, nell'escludere l'avvenuta violazione del dovere di diligenza da parte del curatore, il decreto impugnato non ha considerato che lo stesso non aveva agito con imparzialità, obiettività e correttezza, avendo alienato beni indispensabili per l'esercizio dell'attività commerciale all'insaputa del difen sore e di essa ricorrente, nonché ad esclusivo vantaggio del compratore, che, oltre a rivestire la posizione di controparte del giudizio di risoluzione, era creditore del la società fallita. 5. - I predetti motivi, aventi ad oggetto profili diversi della medesima que stione, sono inammissibili. Il decreto emesso dal tribunale fallimentare sul reclamo avverso il provvedi mento con cui il giudice delegato si sia pronunciato in ordine all'istanza di revoca del curatore, accogliendola o rigettandola, non è infatti impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di un provvedimento avente natura amministrativa ed ordinatoria, e quindi privo dell'attitudine ad incidere sia sulla sfera soggettiva del curatore, al quale non può essere riconosciuto un diritto soggettivo al mantenimento dell'ufficio, sia su quella del fallito o di qualsiasi altro interessato, in quanto la disciplina dettata dall'art. 37 della legge fall. è volta e sclusivamente a tutelare l'interesse pubblico al regolare svolgimento ed al buon esito della procedura concorsuale cfr. Cass., Sez. I, 5 aprile 2006, n. 7876 3 set tembre 2004, n. 17879 5 ottobre 2000, n. 13271 . 6. --- La decisione adottata in riferimento alle altre censure comporta l'assor bimento del terzo motivo, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e la fal sa applicazione degli artt. 101 e 102 della legge fall., censurando il decreto impu gnato nella parte in cui, relativamente alle istanze di revocazione dell'ammissione al passivo e di revoca del curatore, ha escluso la violazione dei principio del con traddittorio, senza considerare che il reclamo dà luogo ad un giudizio di cognizio ne ordinaria, volto alla revoca o all'annullamento del provvedimento impugnato, nonché al conseguimento di una pronuncia idonea ad incidere con efficacia di giudicato sullo status del fallito e sui diritti dei soggetti che hanno intrattenuto rapporti contrattuali con lo stesso. 7. - II ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricor rente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna la De.Ma. S.r.l. in liquidazione al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 7.200,00, ivi com presi Euro 7.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese ge nerali ed agli accessori di legge.