Validità della delibera assembleare: non serve una previsione ad hoc per la devoluzione agli arbitri

È sufficiente che la clausola dello statuto sociale preveda la devoluzione agli arbitri delle controversie tra i soci o tra la società e i soci relative all’attività sociale per determinare la competenza degli arbitri per le liti aventi ad oggetto l’annullamento delle delibere assembleari.

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17283/15, depositata il 28 agosto. Il caso. Due socie di minoranze di una società per azioni chiedevano l’annullamento della delibera assembleare con cui era stato approvato il bilancio relativo all’esercizio 2011 ed era stato deciso l’aumento del capitale sociale attraverso l’emissione di azioni da offrire in opzione ai soci. A motivo della propria pretesa le due donne deducevano che la delibera de qua non rispettava i criteri di cui all’art. 2426, comma 1, n. 8 bis , c.c. – che detta i criteri di valutazione da osservare ai fini della redazione del bilancio –, e che l’aumento di capitale era in realtà esclusivamente finalizzato ad avvantaggiare altra società. Si costituivano in giudizio le due società di cui sopra, eccependo l’incompetenza del Tribunale adito in forza della clausola contenuta nello statuto sociale ai sensi della quale dovevano essere devolute agli arbitri le controversie che dovessero insorgere tra la società e ciascun socio, ovvero tra i soci medesimi in dipendenza dell’attività sociale . Il Tribunale accoglieva parzialmente l’eccezione di incompetenza, dichiarando devoluta alla competenza degli arbitri la domanda di annullamento della delibera di aumento del capitale. Avverso tale pronuncia, le due donne proponevano regolamento di competenza, sostenendo che le cause promosse per l’annullamento delle delibere assembleari non rientrano nella fattispecie generale disciplinata ai sensi dell’art. 34, comma 1, d. lgs. n. 5/2003, ai sensi del quale gli atti costitutivi di società possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società ed aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. A sostegno della propria tesi, le due donne adducevano che, poiché l’art. 35 Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale , comma 5, d. lgs. n. 5/2003 stabilisce che se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari gli arbitri possono sospendere gli effetti della delibera impugnata, a meno che la clausola statutaria non riproduca pedissequamente la locuzione dell’art. 35 cit., tali cause, che non riguardano l’attività sociale ma attengono al corretto funzionamento dell’organizzazione societaria, non possono ritenersi comprese fra quelle devolute alla competenza arbitrale. Le controversie relative alla validità assembleare non sono escluse dal novero di quelle arbitrali Sul punto, gli Ermellini non hanno ritenuto condivisibile quanto sostenuto delle ricorrenti, dal momento che né dalla lettera delle disposizioni normative, né dalla loro natura sostanziale può desumersi l’intenzione del legislatore di escludere le controversie aventi ad oggetto la validità delle delibere assembleari – ovvero proprio quelle che più di frequente insorgono tra la società ed i soci in merito ai rapporti sociali –, dal novero di quelle arbitrali qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili. Anzi, prosegue la Corte, proprio perché le controversie in questione rientrano senza dubbio fra quelle di cui all’art. 34 d. lgs. n. 5/2003, il legislatore ha ritenuto necessario – data la necessità di una loro rapida risoluzione e la particolare natura degli interessi coinvolti – assoggettarle ad una disciplina ad hoc , attribuendo agli arbitri cui spetta di deciderle, in deroga alla previsione generale, anche il potere, di natura cautelare, di sospendere la delibera impugnata, e prevedendo che la decisione ad esse relativa debba essere assunta secondo diritto anche nel caso in cui la clausola compromissoria disponga diversamente. anche senza espressa menzione nella clausola compromissoria. A fronte di questa ricostruzione, pertanto, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che l’espressione ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari contenuta nell’art. 35, valga ad individuare l’unica ipotesi in cui ricorre una deroga alla regola generale dettata del primo periodo del medesimo articolo, e non può essere interpretata nel senso indicato dalle ricorrenti, ovvero come intesa a stabilire che dette controversie possono essere devolute agli arbitri solo se espressamente menzionate nella clausola compromissoria. Per tutte le considerazioni sovraesposte, il Supremo Collegio ha rigettato il ricorso proposto dalle due donne, dichiarando la competenza degli arbitri.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 16 giugno – 28 agosto 2015, numero 17283 Presidente Di Palma – Relatore Cristiano Fatto e diritto D.M. ed E., socie di minoranza della Fratelli D'Amico Armatori s.p.a., hanno chiesto al Tribunale di Roma di annullare la delibera assembleare del 2.5.012 con la quale era stato approvato il bilancio relativo all'esercizio 2011 ed era stato deciso r aumento dei capitale sociale da Euro 2.850.000 ad Euro 9.546.000 attraverso l'emissione di numero 2.700.000 azioni da Euro 2,58 ciascuna, da offrire in opzione ai soci nella misura di 2,7 per ogni azione posseduta, sostenendo che il bilancio non rispondeva ai criteri di vantazione di cui all'art. 2426 1 comma numero 8 bis c.c. e che l'aumento di capitale era stato deliberato all'esclusivo fine di avvantaggiare la socia FINDA s.a.p.a. in loro danno hanno inoltre domandato la condanna delle due società convenute al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della riduzione della loro partecipazione al capitale della Fratelli D'Amico. Sia la Fratelli D'Amico Armatori s.p.a. sia FINDA s.a.p.a. si sono costituite eccependo in via preliminare l'incompetenza del tribunale, ai sensi dell'art. 23 dello statuto sociale della partecipata che prevede la devoluzione agli arbitri, fra l'altro, delle controversie che dovessero insorgere tra la società e ciascun socio, ovvero tra i soci medesimi in dipendenza dell'attività sociale . Con sentenza dell'8.10.014 il giudice adito ha accolto parzialmente l'eccezione, dichiarando devolute alla competenza degli arbitri la domanda di annullamento della delibera di aumento del capitale e la domanda risarcitoria ad essa connessa. La sentenza è stata impugnata da D.M. ed E. con ricorso per regolamento di competenza affidato a tre motivi, con i quali si sostiene a che la FINDA non aveva sollevato - quantomeno entro il termine a ciò deputato, ovvero all'atto della sua tempestiva costituzione in giudizio - specifica eccezione di arbitrato in relazione alla domanda di risarcimento dei danni, con conseguente vizio di extrapetizione della sentenza sul punto 1 e 2 motivo b che l’art. 23 dello statuto della Fratelli D'Amico non prevede la devoluzione in arbitri delle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di delibere assembleari 3 motivo . Fratelli D'Amico Armatori s.p.a. e FINDA s.a.p.a. hanno resistito al ricorso con separati atti di difensivi. Tutte le parti hanno depositato memoria. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. In via preliminare deve essere respinta l'eccezione di inammissibilità dei primi due motivi del ricorso, sollevata da FINDA sul rilievo che in essi si denuncerebbero errores in procedendo non influenti ai fini della risoluzione della questione di competenza. Infatti, secondo il più recente, e condivisibile, orientamento di questa Corte, le questioni concernenti la rilevabilità dell'eccezione di competenza - ovvero attinenti alle regole alla cui osservanza il giudice è tenuto nell'esercizio del potere-dovere di decidere sulla competenza - vanno fatte valere col relativo regolamento Cass. SU. numero 21858/07, nonché Cass. numero 23289/011 . I primi due motivi di impugnazione, che possono essere congiuntamente esaminati, sono peraltro palesemente infondati, atteso che nelle conclusioni precisate nella comparsa di costituzione e risposta, tempestivamente depositata, FINDA ha domandato al tribunale preliminarmente, accertato che in virtù dell'art. 23 dello statuto della Fratelli D'Amico Armatori s.p.a. l'odierno giudizio deve essere devoluto agli arbitri, di dichiarare la propria incompetenza per materia ai sensi dell'art. 819 ter . L'eccezione di compromesso risulta dunque testualmente proposta, ai sensi dell'art. 23 dello statuto, in relazione all'intero giudizio e perciò con indubbio riferimento a tutte le domande, nel giudizio cumulate, avanzate dalle D. , mentre è privo di rilievo che nell'atto difensivo FINDA l'abbia specificamente illustrata solo con riguardo alle domande di annullamento delle delibere una volta dedotta l'esistenza della clausola arbitrale, e così individuato il fatto posto a fondamento dell'eccezione, era infatti sufficiente precisare nel petitum che la stessa era diretta anche nei confronti della domanda risarcitoria, svolta in via alternativa in quanto espressamente subordinata al mancato accoglimento di quelle avanzate ex art. 2377 II comma c.c. e sicuramente introduttiva di una controversia fra soci, rispetto alla quale non poteva porsi alcun dubbio di operatività della clausola statutaria. Anche il terzo motivo del ricorso è infondato. Le ricorrenti sostengono che dalla previsione di cui all'art. 35, comma 5, del d.lgs. numero 5/2003, che stabilisce che se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari gli arbitri possono sospendere gli effetti della delibera impugnata, dovrebbe trarsi la conclusione che le cause promosse ai sensi degli art. 2377 e segg. c.c. non rientrano nella fattispecie generale disciplinata dal I comma dell'art. 34 gli atti costitutivi di società possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale con la conseguenza che, a meno che la clausola statutaria non riproduca pedissequamente la locuzione dell'art. 35 cit., tali cause, che non sorgono in dipendenza dell'attività sociale di impresa , ma attengono al piano del corretto funzionamento dell'organizzazione societaria, non possono ritenersi comprese fra quelle devolute alla competenza arbitrale. L'assunto non può essere condiviso, atteso che non v'è alcuna argomento né letterale né, tantomeno, di natura sostanziale dal quale possa desumersi che il legislatore ha inteso escludere le controversie aventi ad oggetto la validità delle delibere assembleari ovvero proprio quelle tipicamente insorgenti fra la società ed i soci in relazione ai rapporti sociali dal novero di quelle arbitrabili, ai sensi dell'art. 34 I comma cit., qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili. Al contrario, proprio perché le controversie in questione rientrano indubitabilmente nel perimetro di applicazione dell'ari 34, il legislatore ha ritenuto necessario in ragione della loro indubbia peculiarità, della necessità di una loro rapida risoluzione e della particolare natura degli interessi coinvolti assoggettarle ad un'apposita disciplina, attribuendo agli arbitri cui spetta di deciderle, in deroga alla previsione generale, anche il potere di natura cautelare di sospendere la delibera impugnata e inoltre specificando, all'art. 36, che la decisione ad esse relativa deve essere assunta secondo diritto anche nel caso in cui la clausola compromissoria disponga diversamente. In tale ottica l'espressione ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari ”, contenuta nell'ari 35, vale dunque ad individuare l'unica ipotesi in cui ricorre una deroga alla regola generale dettata nel primo periodo del medesimo articolo, e non può essere interpretata nel senso indicato dalle ricorrenti, ovvero come volta a stabilire che dette controversie possono essere devolute agli arbitri solo se espressamente menzionate nella clausola compromissoria. Nel caso di specie, alla stregua delle considerazioni appena svolte e tenuto conto del tenore letterale della clausola compromissoria di cui si discute, va dunque pienamente condivisa la decisione del tribunale che, dopo aver correttamente rilevato che l'impugnativa di una delibera societaria non è altro che una controversia tra socio e società , ne ha tratto la conclusione che le cause promosse dalle attrici per sentir annullare la delibera di aumento di capitale e per ottenere il risarcimento dei danni, in quanto relative a diritti disponibili, dovevano ritenersi comprese fra quelle - individuate non per tipologia, ma sulla base della considerazione soggettiva delle parti del giudizio - che l'art. 23 dello statuto sociale della Fratelli D'amico Armatori s.p.a. riserva alla competenza arbitrale. Ai fini del presente regolamento, in cui questa Corte è giudice del fatto, è privo di rilievo che, a sostegno della propria corretta conclusione, il tribunale abbia richiamato anche il disposto dell’art. 808 quater c.p.c Non appare tuttavia superfluo aggiungere che, contrariamente a quanto ulteriormente dedotto dalle ricorrenti, gli arti 34, 35 e 36 del d.lgs. numero 5/06, che non dettano alcuna regola di interpretazione della clausola compromissoria societaria, non costituiscono lex specialis rispetto alla predetta norma codicistica. Il ricorso deve in definitiva essere respinto, essendo la causa devoluta alla competenza arbitrale. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara la competenza degli arbitri condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater dPR numero 115/2002, introdotto dall'art. 1, 17 comma, della l. numero 228 del 24.12.2012, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.