Il credito di rivalsa IVA del professionista non è assistito da privilegio

Il decisum in commento affronta la tematica della rivalsa IVA, per il credito vantato da un professionista nei confronti di una procedura concorsuale. Nello specifico si tratta di stabilire se tale credito, per prestazioni rese da un avvocato al debitore, titolare di una ditta individuale, prima del suo fallimento, sia concorsuale ovvero prededucibile e, nel primo caso, privilegiato o semplicemente chirografario.

I giudici della Prima Sezione Civile di piazza Cavour, risolvono la prospettata questio , con la sentenza n. 13771, depositata il 3 luglio 2015, richiamando un principio di recente ribadito nella pronuncia Cass., 8222/2011 secondo il quale il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di un imprenditore poi dichiarato fallito ed ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento nella specie, a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale , non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi dell’art. 111, comma 1, l. fall. applicabile nel testo ratione temporis ” , in quanto la disposizione dell’art. 6, d. P.R. n. 633/1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, ma individua solo il momento in cui l’operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura in alternativa al momento di prestazione del servizio , cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso il medesimo credito di rivalsa non essendo sorto verso la gestione fallimentare, come spesa o credito dell’amministrazione o dall’esercizio provvisorio, può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all’art. 2758, comma 2, c.c., nel caso in cui sussistano beni – che il creditore ha l’onere di indicare in sede di ammissione al passivo - su cui esercitare la causa di prelazione nel caso, poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, nemmeno è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell’IVA di cui alla fattura, poiché tale situazione è conseguenza del sistema di contabilizzazione dell’imposta e non di un’anomalia discorsiva del sistema concorsuale. Il fatto. Il caso di specie origina dall'impugnazione per cassazione presentata da un avvocato che si era opposto al fatto che il Fallimento gli aveva ripartito un compenso per prestazioni professionali in via privilegiata mentre aveva escluso il credito di rivalsa IVA come prededucibile. E, se in primis il Tribunale di Novara aveva parzialmente accolto l’opposizione allo stato passivo, proposta dal professionista, ammettendo in chirografo il credito di rivalsa IVA dello stesso, la corte d’appello di Torino respingeva l’impugnazione. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che il legale, in relazione all’ammissione al chirografo del credito a titolo di rivalsa IVA, era carente di interesse a vedersi negare una voce di credito per un titolo neppure richiesto ed a far valere la domanda intesa alla prededucibilità dell’imposta in oggetto, diversa da quella di cui all’atto di insinuazione né in ogni caso, ma sul punto non vi era censura, al credito di rivalsa IVA si sarebbe potuto riconoscere il privilegio speciale previsto dall’art. 2758 c.c. sui beni mobili, che hanno formato oggetto della prestazione, stante la non contestata mancanza nell’attivo dei beni specifici sui quali far valere il privilegio. Valutazione che, difatti, viene condivisa dagli Ermellini, i quali chiariscono come il credito di rivalsa non essendo sorto verso la gestione fallimentare, come spesa o credito dell’amministrazione o dall’esercizio provvisorio, può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all’art. 2758, secondo comma, c.c., nel caso in cui sussistano beni – che il creditore ha l’onere di indicare in sede di ammissione al passivo - su cui esercitare la causa di prelazione. Conclusivamente i supremi giudici respingono quindi il ricorso del professionista. La natura del credito di rivalsa IVA. Una volta ammesso il credito professionale, con il privilegio previsto dall’art. 2751 bis , n. 2, c.c., sorge l’ulteriore problema consistente nello stabilire la natura del credito per IVA di rivalsa vantato dal professionista verso la procedura concorsuale ovvero prededucibile. Si tratta di una questione essenziale la cui soluzione deve accompagnare qualsiasi operazione legata all’accertamento del passivo e precedere la fase di distribuzione dell’attivo. Il credito di rivalsa è un accessorio del credito per le prestazioni professionali. Secondo alcuni, il credito di rivalsa è un accessorio del credito principale, quello professionale, ed, in quanto tale, va compreso nel piano di riparto, con lo stesso grado di privilegio del credito principale. Questa tesi, tuttavia, viene negata dall’odierno Giudice di legittimità, che richiamando diversi precedenti ex plurimis , Cass., 6849/2011 , ribadisce che i crediti di rivalsa IVA hanno una collocazione diversa da quella spettante al credito per le corrispettive prestazioni professionali, atteso che essi non costituiscono semplici accessori di quest’ultimo, ma conservano una loro distinta individualità. Peraltro, il legislatore ha attribuito ai due crediti distinti privilegi sui mobili, rispettivamente previsti dagli artt. 2751 bis , n. 2, e 2758 c.c., e diversa graduatoria stabilita dalla legge. Il credito di rivalsa non è prededucibile, ex art. 111 l. fall. applicabile nel testo ratione temporis” . Il credito di rivalsa IVA nasce soltanto dopo l’avvio della procedura concorsuale per effetto del pagamento del corrispettivo dovuto al professionista che si inserisce nel piano di riparto predisposto proprio in ragione del fallimento. Soltanto al momento del pagamento, ai sensi dell’art. 6, d. P.R. n. 633/1972, la prestazione di servizi si considera effettuata, acquistando rilevanza giuridica, ai fini dell’imposta del valore aggiunto. Pertanto, soltanto, in tale frangente il professionista è tenuto ad emettere fattura, a versare l’importo dovuto all’erario e ad operare la rivalsa IVA nei confronti del debitore, che peraltro è obbligatoria in base all’art. 18, d. P.R. n. 633/1972. L’obbligo giuridico di rivalsa, nascendo contestualmente al pagamento del corrispettivo del professionista, da parte del curatore, origina un debito a carico della massa concorsuale che viene ad esistenza soltanto nel momento del predetto pagamento e che, in definitiva, trova la sua causa nell’attuazione del piano di riparto collegato funzionalmente alla finalità propria del fallimento, ossia la soddisfazione dei creditori. D’altra parte anche l’IVA sulle vendite fallimentari è considerata alla stregua di ogni altro debito contratto per l’amministrazione del fallimento da corrispondere in prededuzione. Tuttavia, il credito di rivalsa IVA non costituisce un credito prededucibile, ex art. 111 l.fall. applicabile nel testo ratione temporis ” , in quanto, come ha ribadito l’odierno Giudicante nel decisum che qui ci occupa, la disposizione dell’art. 6, d. P.R. n. 633/1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, ma individua solo il momento in cui l’operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura, cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso. Detto altrimenti, per i Supremi giudici, l’IVA pur divenendo esigibile al momento del pagamento o dell’emissione della fattura, rappresenta comunque un debito connesso ad una prestazione professionale erogata al fallito, e quindi per finalità estranee alla procedura concorsuale. E’ possibile affermare che l’ammissione del credito di rivalsa IVA del professionista spesse volte avviene in chirografo, come, del resto, nel caso de quo , aveva stabilito il Tribunale di Novara.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 maggio – 3 luglio 2015, n. 13771 Presidente Ceccherini – Relatore Di Virgilio Svolgimento Del Processo L'avv. P.M. proponeva opposizione allo stato passivo del Fallimento di Pu.Fa., titolare della ditta individuale Rainbow, lamentando che, a fronte della richiesta di ammissione di crediti privilegiati e chirografari per le prestazioni svolte a favore della ditta fallita tra il luglio 2001 ed il maggio 2002, meglio specificate nelle note del 15/4/02 e 1/6/02, per complessivi Euro 64.873,28 e 9261,04, oltre iva, era stato ammesso per la minore somma, in privilegio, di Euro 58.062, 38, ed in chirografo, per Euro 19839,93. Il Tribunale di Novara, con sentenza del 21-27/9/05, accoglieva parzialmente l'opposizione ammettendo in privilegio il credito di Euro 59515,25, ed Euro 1168,29, a titolo, rispettivamente, di onorari e diritti, oltre interessi sino alla vendita dei beni mobili del fallito e, in chirografo, per Euro 6068,36, a titolo di rimborso forfettario spese generali, Euro 2699,70 a titolo di spese, Euro 1335,05 e 13617,39 a titolo di rivalsa rispettivamente, del CPA e dell'IVA, compensando le spese. La Corte d'appello, con sentenza del 28 novembre 2006, ha respinto l'impugnazione. Nello specifico, e per quanto ancora rileva, la Corte del merito ha ritenuto che l'avv. P. , in relazione all'ammissione al chirografo del credito a titolo di rivalsa dell'IVA nei cui confronti la parte aveva lamentato l'extrapetizione, per non essere stata ancora emessa alcuna fattura , era carente di interesse a vedersi negare una voce di credito per un titolo neppure richiesto ed a far valere la domanda intesa alla prededucibilità dell'imposta in oggetto, diversa da quella di cui all'atto di insinuazione né in ogni caso, ma sul punto non vi era censura, al credito di rivalsa IVA si sarebbe potuto riconoscere il privilegio speciale previsto dall'art. 2758 c.c. sui beni mobili, che hanno formato oggetto della prestazione, stante la non contestata mancanza nell'attivo dei beni specifici sui quali far valere il privilegio. La Corte del merito ha infine respinto la richiesta di collocazione in privilegio per il contributo integrativo ex art. 11 della l. 576/1980, costituente un semplice accessorio per le prestazioni professionali, rispetto alle quali conserva la propria individualità, ed ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità per violazione dell'art. 3 Cost. nella parte in cui, a differenza di quanto previsto dall'art. 11 della l. 21/1986 legge previdenziale dottori commercialisti non prevede espressamente che il credito relativo al diritto di ripetere dal cliente il contributo previdenziale venga assistito da privilegio di grado pari a quello del credito per le prestazioni professionali. Ricorre l'avv. P. sulla base di tre motivi. Il Fallimento non ha svolto difese. Motivi Della Decisione 1.1.- Col primo motivo, il ricorrente si duole della pronuncia impugnata in relazione alla ritenuta carenza di interesse a far valere la doglianza dell'ammissione al passivo del credito di rivalsa IVA, atteso che con l'ammissione del credito il Tribunale ha leso il diritto alla rivalsa, che, secondo la parte, nasce come prededucibile, all'atto dell'emissione della fattura al pagamento da parte del Fallimento. 1.2.- Col secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione alla ritenuta inammissibilità per novità della domanda sulla rivalsa Iva, mentre la domanda fatta valere con l'insinuazione al passivo, in sede di opposizione e davanti alla Corte d'appello non è sostanzialmente mutata, avendo la parte considerato che il pagamento dell'Iva da parte del debitore fallito non costituisce la corresponsione di una somma per la soddisfazione di un credito del professionista, ma solo un'uscita per partita di giro che contemporaneamente crea un'entrata per partita di giro. 1.3.- Col terzo, censura la pronuncia per violazione o falsa applicazione dell'art. 11, l. 576/1980 in relazione agli artt. 2751 bis n. 2 c.c. e 2754 c.c., sostenendo che il contributo previdenziale è parte della retribuzione del professionista, sia pure destinata all'ente previdenziale, o rientra nella previsione dell'art. 2754 c.c 2.1.- Il primo motivo va respinto. Va a riguardo ritenuta infondata la premessa sulla quale la parte ha articolato il motivo, ovvero che il credito di rivalsa dell'Iva del professionista debba ritenersi prededucibile, perché posteriore al fallimento. Come di recente ribadito nella pronuncia 8222/2011, in senso conforme alle precedenti 15690/1995 e 6149/1995, il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito ed ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento nella specie, a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale , non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi dell'art. 111, primo comma, l.f. applicabile nel testo ratione temporis , in quanto la disposizione dell'art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, ma individua solo il momento in cui l'operazione è assoggettabile ad imposta e può essere emessa fattura in alternativa al momento di prestazione del servizio , cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l'evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso il medesimo credito di rivalsa, non essendo sorto verso la gestione fallimentare, come spesa o credito dell'amministrazione o dall'esercizio provvisorio, può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all'art. 2758, secondo comma, c.c., nel caso in cui sussistano beni - che il creditore ha l'onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo - su cui esercitare la causa di prelazione nel caso, poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, nemmeno è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell'art. 2041 c.c., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell'IVA di cui alla fattura, poiché tale situazione è conseguenza del sistema di contabilizzazione dell'imposta e non di un'anomalia distorsiva del sistema concorsuale. 2.2.- Il secondo motivo è sostanzialmente infondato per effetto del rigetto del secondo motivo, atteso che la parte, che pure ribadisce di non avere mai chiesto l'ammissione del proprio credito di rivalsa IVA, insiste nel sostenere di avere considerato la possibilità che il credito di rivalsa Iva sia ritenuto prededucibile . 2.3.- Il terzo motivo va respinto. Per giurisprudenza consolidata, il contributo integrativo di cui all'art. 11 della l. 576/1980 non costituisce retribuzione , da cui l'inapplicabilità dell'art. 2751 bis n. 2 c.c., né rientra nella previsione dell'art. 2754 c.c., norma che, in funzione residuale rispetto all'art. 2753 c.c., si riferisce ai contributi dovuti dal datore di lavoro per le assicurazioni sociali in senso lato agli enti previdenziali, e non quindi al contributo integrativo in rivalsa dell'avvocato, dovuto alla propria Cassa. Sul primo rilievo, si richiama, tra le ultime, la pronuncia 6849/2011 ed in senso conforme, la precedente 9763/1995 , che ha ribadito che ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare, i crediti del professionista per il rimborso del contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza avvocati e procuratori al pari di quelli per rivalsa I.V.A. hanno una collocazione diversa da quella spettante al credito per le corrispettive prestazioni professionali, atteso che essi non costituiscono semplici accessori di quest'ultimo, ma conservano una loro distinta individualità. Né, infine, può ricavarsi alcun argomento a favore della tesi del ricorrente dalla specifica disciplina prevista per i dottori commercialisti con l'art. 11 della l. 576/1986, che anzi, come già osservato dalla Corte del merito, non fa che confermare il principio di tassatività dei privilegi, né potrebbe in ogni caso invocarsi la lesione del principio di parità di trattamento, per non avere attribuito agli avvocati lo stesso trattamento privilegiato dei dottori commercialisti. 3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso. Non si da pronuncia sulle spese, non essendosi costituito il Fallimento. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso.