Sistema violato per passare dati alla società concorrente, l’ex-dipendente è costretto al risarcimento

La risarcibilità del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c. in relazione all’art. 185 c.p. restituzioni e risarcimento del danno , non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente previsto come tale e sia, pertanto, idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 13085, depositata il 24 giugno 2015. Il caso. Il tribunale di Milano accertava la concorrenza sleale compiuta nei confronti della C. s.r.l., società di informatica, da parte della S.A. s.r.l., grazie al contributo di due ex-dipendenti della prima, i quali avevano trasmesso alla S.A. s.r.l. alcuni dati, contenenti indicazioni commerciali della C. s.r.l Di conseguenza, confermava l’inibitoria cautelare all’utilizzo dei file e condannava gli ex-dipendenti al risarcimento del danno morale in favore della società attrice. La Corte d’appello di Milano confermava la pronuncia, ritenendo che l’invio dei file , da parte dei due dipendenti, pochi giorni prima di dimettersi e di passare alla società concorrente, integravano comportamenti professionalmente scorretti, in quanto idonei a danneggiare la società attrice e tenuto conto della mancata prova di una possibile autorizzazione da parte di quest’ultima . Inoltre, la condanna dei due soggetti al risarcimento del danno non patrimoniale si giustificava, poiché il loro comportamento integrava i reati ex artt. 615 ter accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico e 615 quater detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici c.p., per i quali erano stati condannati dal Tribunale penale di Milano, e violava il bene della concorrenza. I due ex-dipendenti ricorrevano in Cassazione, lamentando che la condanna al risarcimento del danno morale sarebbe stata ancorata ad una condanna penale, non passata in giudicato, per dei reati che sarebbero estranei alla fattispecie di concorrenza sleale contestata in sede civile. Avrebbero potuto invece essere rilevanti altri capi di imputazione penale, tra cui quello di rivelazione di segreto professionale art. 622 c.p. e frode informatica art. 640 ter c.p. , da cui però i due ricorrenti erano stati assolti. Accesso abusivo al sistema. La Corte di Cassazione premette che a giustificare la condanna al risarcimento sarebbe bastata la violazione di un bene di rilevanza costituzionale, come quello di libertà di iniziativa economica privata profilo neanche contestato nel ricorso. Comunque, i giudici di legittimità ricordano che integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto, ai sensi dell’art. 615- ter c.p., la condotta di accesso o mantenimento nel sistema posta in essere da un soggetto che, anche se abilitato ad accedere al sistema, viola le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, mentre non assumono rilievo gli scopi e le finalità che hanno motivato l’accesso al sistema. Danno risarcibile. La risarcibilità del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c. in relazione all’art. 185 c.p. restituzioni e risarcimento del danno , non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come tale e sia, pertanto, idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale. Perciò, la mancanza di una pronuncia del giudice penale non costituisce impedimento all’accertamento, da parte del giudice civile, della sussistenza degli elementi costitutivi di reato. Questo motivo viene quindi rigettato dalla Corte di Cassazione. Con un ulteriore motivo di ricorso, si sosteneva che un comportamento una tantum , come l’invio di un file, non sarebbe bastato ad integrare gli estremi della concorrenza sleale ed a provocare un danno non patrimoniale, mancando l’idoneità ad arrecare pregiudizio alla società concorrente. Prova del danno. Gli Ermellini sottolineano che, anche se il danno non patrimoniale non può essere ritenuto in re ipsa , neanche nel caso in cui l’illecito integri gli estremi di un reato, ma va allegato e provato da chi lo invoca, è tuttavia pacifico che esso possa essere dimostrato anche attraverso presunzioni semplici e valutazioni di tipo probabilistico. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano motivato adeguatamente al riguardo, con una valutazione quindi incensurabile in sede di legittimità. Anche questo motivo di ricorso viene quindi rigettato dalla Corte di Cassazione, la quale, però, ritiene fondata la doglianza relativa alla quantificazione del danno da risarcire, operata in misura non comprensibile. Da ciò deriva il rinvio della decisione ai giudici di merito di Milano.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 aprile – 24 giugno 2015, n. 13085 Presidente Rordorf – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo 1.- Il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento della domanda proposta dalla Corpsoft srl, società d'informatica, ha accertato la concorrenza sleale compiuta nei suoi confronti dalla Software Advisors srl mediante l'apporto di due ex dipendenti T.G. e B.L. che avevano trasmesso alla seconda dati della prima in particolare, una copia del file YTDSALESD - ITALY_FY01.xls contenente indicazioni commerciali ha confermato l'inibitoria cautelare all'utilizzazione del predetto file ha condannato i menzionati dipendenti al risarcimento del solo danno morale in favore della società attrice, liquidato in via equitativa, e tutti i convenuti, in solido, ai due terzi delle spese del giudizio, compensando nel resto. 2.- La Corte d'appello di Milano, con sentenza 21.2.2011, per quanto ancora interessa, ha dichiarato inammissibile perché tardivo il gravame incidentale della Irpe spa incorporante la Software Advisors ha rigettato i gravami di T. e B. e li ha condannati, in solido, alle spese del grado in favore della Insight Technology Solutions srl già Corpsoft . Ad avviso della Corte, l'invio del file che era utile per le strategie commerciali della Software Advisors da parte della B. pochi giorni prima di dimettersi e la sua ricezione da parte del T. nel frattempo anch'egli dimessosi e diventato amministratore delegato della Software Advisors integravano comportamenti professionalmente scorretti, in quanto idonei potenzialmente a danneggiare la Corpsoft, tenuto conto che la B. non aveva dimostrato di essere stata a ciò autorizzata dalla stessa Corpsoft e che a tale fatto andavano ad aggiungersi altri fatti rilevanti come l'invio di ulteriore documentazione riservata riguardante l'azienda dell'attrice la condanna di B. in concorso con il T. al risarcimento del danno non patrimoniale si giustificava perché il loro comportamento integrava i reati di cui agli artt. 615 ter e quater c.p., per i quali erano stati condannati dal Tribunale penale di Milano, e violava il bene della concorrenza, atteso che il libero mercato presuppone una concorrenza improntata a criteri di correttezza tra gli imprenditori nell'interesse delle imprese, dei consumatori e dell'economia in generale infine, il rigetto della domanda riconvenzionale di danni proposta dalla B. era giustificato per il carattere inoffensivo della lettera inviata dalla Corpsoft alla clientela. 3.- Avverso questa sentenza B. e T. propongono separati ricorsi per cassazione sulla base, rispettivamente, di sei e cinque motivi, illustrati da memorie, cui si oppone la Insight Technology Solutions anche con memoria. Motivi della decisione 1.- Le preliminari eccezioni d'inammissibilità dei ricorsi, proposte dalla resistente, sono infondate. Il ricorso T. è stato spedito per la notifica in data 13.10.2011 e non 14.10 , quindi tempestivamente, nel rispetto del termine breve di cui all'art. 325, secondo comma, c.p.c., avuto riguardo alla data 29.6.2011 di notifica della sentenza impugnata. Inoltre, entrambi i ricorsi contengono l'indicazione degli atti e dei documenti su cui si fondano, nel rispetto dell'art. 366 n. 1 e 6 c.p.c 2.- Si possono esaminare i primi cinque sovrapponibili motivi dei ricorsi B. e T. . Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c. e vizio di motivazione nella valutazione, che si assume avrebbe dovuto essere negativa, di attendibilità della testimonianza dell'ex amministratore di Corpsoft S.O. . Il motivo è inammissibile. Il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito ed è, quindi, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato Cass. n. 17097 e 17630/2010, n. 1101/2006, n. 15526/2000 . Inoltre, il giudice d'appello è tenuto a motivare sull'attendibilità dei testi solo quando la relativa questione sia stata dedotta dalla parte interessata nel giudizio di primo grado e la decisione sia stata oggetto di uno specifico motivo d'impugnazione, il che non è dimostrato che sia avvenuto nel caso in esame. 3.- Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione nella valutazione della potenzialità lesiva della circostanza, considerata rilevante ai fini della concorrenza sleale, dell'invio del file da parte della B. al T. , imputandosi ai giudici di merito di non avere verificato in concreto l'esistenza e il contenuto del file allegato all'email inviata e di non avere tenuto conto delle ragioni del suddetto invio che erano estranee al rapporto commerciale tra le due società. Il motivo prospetta una valutazione delle questioni di fatto in senso difforme da quella operata dai giudici di merito, senza lo svolgimento di argomentate critiche alla completezza e logicità delle ragioni della decisione, e si risolve in un'istanza di una nuova pronuncia sul fatto che presupporrebbe un riesame complessivo del merito della causa che in questa sede non è consentito. Esso è quindi inammissibile. 4.- Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione per la condanna al risarcimento del danno morale che sarebbe stata ancorata ad una condanna penale, non passata in giudicato, per i reati di cui agli artt. 615-ter e quater c.p. violazione del domicilio informatico e divulgazione di segreti informatici che sarebbero estranei alla fattispecie di concorrenza sleale di cui è questione in sede civile, rispetto alla quale sarebbero astrattamente rilevanti altri capi d'imputazione penale rivelazione di segreto professionale ex art. 622 c.p. e frode informatica ex art. 640 ter c.p. dai quali gli odierni ricorrenti sono stati assolti. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha basato la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale art. 2059 c.c. sia sulla violazione di un bene di rilevanza costituzionale, qual è la libertà di iniziativa economica privata ex art. Cost. , profilo questo non censurato nel ricorso e, quindi, di per sé sufficiente a giustificare la condanna, sia sulla sussistenza di un illecito penale. A quest'ultimo riguardo, contrariamente a quanto dedotto nel motivo, la corrispondenza tra il comportamento accertato come integrativo della concorrenza sleale e l'illecito penale è dimostrata alla luce del principio, enunciato dalla giurisprudenza penale di questa Corte, secondo cui integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto art. 615-ter c.p. la condotta di accesso o mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto che, pur se abilitato ad accedere al sistema, violi le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso, mentre non assumono rilievo gli scopi e le finalità che hanno motivato l'accesso al sistema Cass., sez. un. pen., n. 4694/2011 sez. V pen. n. 24583/2011 . Ed è noto che la risarcibilità del danno non patrimoniale a norma dell'art. 2059 c.c., in relazione all'art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come tale e sia, pertanto, idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale, sicché la mancanza di una pronuncia del giudice penale non costituisce impedimento all'accertamento, da parte del giudice civile, della sussistenza degli elementi costitutivi del reato Cass. n. 22020/2007, n. 2367/2000 . 5.- Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione con riguardo alla quantificazione, in via equitativa, del danno non patrimoniale sia per contrasto tra il dispositivo di rigetto del gravame e la motivazione, nella quale la Corte d'appello prima ha dichiarato di volere ridurre l'ammontare del danno che era stato determinato dal Tribunale in misura ritenuta eccessiva cioè in Euro 50.000,00 in via tra loro solidale e poi lo ha rideterminato in Euro 30.000,00 per ciascuno a carico di B. e T. , sia per la mancanza di prova di conseguenze lesive di natura non patrimoniale. Le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla società resistente sono infondate sia quella concernente la mancata indicazione del fatto controverso, il quale risulta con chiarezza dall'esposizione del motivo, sia quella concernente un asserito difetto di autosufficienza. Il motivo è infondato nella parte concernente l'asserita mancanza di conseguenze lesive dell'accertata concorrenza sleale, trattandosi di danno non patrimoniale da reato in ordine al quale valgono le considerazioni svolte a proposito del motivo successivo, ed è fondato nel resto. In effetti, la sentenza impugnata contiene un'evidente antinomia tra il dispositivo di rigetto dell'appello avverso il capo della sentenza del Tribunale riguardante la determinazione del danno e la motivazione nella quale la Corte d'appello ha censurato la quantificazione operata dal primo giudice in misura pari a Euro 50.000,00 in via solidale ritenuta eccessiva, rideterminandolo, però, in una misura sostanzialmente superiore pari a Euro 30.000,00 per ciascuno . Pertanto, la quantificazione del danno che T. e B. sono stati condannati a risarcire in favore della Insight Technology Solutions è stata operata in una misura che risulta non comprensibile. 6.- Nel quinto motivo, che denuncia violazione dell'art. 2598 n. 3 c.c., si sostiene che un comportamento una tantum come l'invio di un file effettuato dalla B. non basterebbe ad integrare gli estremi della concorrenza sleale e a provocare un danno non patrimoniale, mancando l'idoneità ad arrecare pregiudizio alla società concorrente. Il motivo è infondato. Se è vero che il danno non patrimoniale non può essere ritenuto in re ipsa , nemmeno nel caso in cui l'illecito integri gli estremi di un reato, ma va allegato e provato da chi lo invoca, tuttavia è pacifico che esso possa essere dimostrato anche attraverso presunzioni semplici e valutazioni di tipo probabilistico Cass. n. 8421/2011 , com'è appunto avvenuto nella fattispecie in esame. I giudici di merito hanno espresso, al riguardo, una valutazione adeguata che è stata censurata con argomentazioni che mirano a una revisione del giudizio di fatto che è inammissibile in questa sede. La circostanza che non sia stato ravvisato un danno patrimoniale, ma solo non patrimoniale, non contraddice ma dimostra la coerenza di quella valutazione. 7. - Il ricorso della B. contiene un sesto motivo che denuncia vizio di motivazione con riguardo al rigetto della sua domanda riconvenzionale di danni contro la Insight Technology Solutions. Il suddetto motivo è inammissibile, mirando a una revisione del giudizio di fatto, adeguatamente espresso dai giudici di merito, circa il contenuto inoffensivo della lettera inviata dalla Corpsoft alla clientela allo scopo di informarla dell'accaduto. 8.- In conclusione, in accoglimento del quarto motivo dei ricorsi B. e T. , rigettati gli altri, la sentenza impugnata è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, per la quantificazione del danno non patrimoniale e per la liquidazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte, in accoglimento del quarto motivo dei ricorsi B. e T. , rigettati gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.