La società che impugna la cartella e poi si cancella dal registro imprese può essere dichiarata fallita

La società che impugna la cartella esattoriale e poi si cancella dal registro delle imprese può essere dichiarata fallita anche se dalla sentenza sfavorevole della CTP è stata dichiarata la sospensione dell’efficacia.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10819, del 26 maggio 2015, ha affermato che può essere dichiarata fallita la società che impugna la cartella esattoriale e poi subito dopo si cancella dal registro delle imprese per i giudici di legittimità la pendenza del giudizio sull’atto impositivo e la sospensione dell’efficacia esecutiva di primo grado sono stati ritenuti irrilevanti. Il contenzioso. La Corte d’appello, con sentenza del gennaio 2013, ha respinto il reclamo proposto da una s.r.l. in liquidazione contro la sentenza del Tribunale dichiarativa del suo fallimento, pronunciata ad istanza di Equitalia entro l’anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese avvenuta nel settembre 2011. La Corte territoriale, tra le diverse questioni, ha rilevato a che il credito che Equitalia vantava di circa 8.600.000 euro, era liquido ed esigibile, in quanto portato da una cartella esattoriale notificata e non impugnata dalla debitrice e da altre due cartelle contro le quali la reclamante aveva proposto opposizioni che erano state respinte, con sentenze divenute definitive, dalla Commissione tributaria provinciale b che tali cartelle derivavano dall’iscrizione a ruolo di ingenti crediti tributari per IRES, IRAP ed IVA evase, in relazione ai quali la SRL aveva ricevuto, nel 2008 un avviso di accertamento c che il processo tributario era stato interrotto a seguito della cancellazione della ricorrente dal registro imprese e sarebbe potuto permanere in uno stato di quiescenza, stante l’inesistenza della giusta parte legittimata a proseguirlo. La sentenza è stata impugnata dalla SRL con ricorso per cassazione. Le novità in merito alla cancellazione delle società dal registro imprese. Il d.lgs. n. 175/2014 ha introdotto nuove disposizioni sugli effetti della cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese, regolati dall’art. 2495 c.c., che si riflettono sull’azione di responsabilità che l’Amministrazione finanziaria può esercitare nei confronti di liquidatori e soci, in base all’art. 36 d.P.R. n. 602/1973. Per la citata disposizione del codice, dopo l’approvazione del bilancio finale della liquidazione e la cancellazione della società, i creditori non soddisfatti possono agire contro i soci fino a concorrenza delle somme riscosse, e, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa, anche contro i liquidatori. Ora il comma 4, dell’art. 28, d.lgs. n. 175/2014, prevede che, ai soli fini della validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione di tributi, contributi e accessori, e senza che questo comporti nuovi obblighi dichiarativi, gli effetti della cancellazione non si producono sino a che siano trascorsi cinque anni dalla richiesta. Inoltre, nel comma 1, dell’art. 36, d.P.R. n. 602/1973, è stata inserita un’inversione dell’onere della prova sui fatti costitutivi della responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento dei debiti tributari con le attività della liquidazione, consistenti nell’avere assegnato beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto il credito tributario, o nell’avere soddisfatto crediti di ordine inferiore a quello. La Corte di Cassazione evidenzia che la s.r.l. nel ricorso non contesta di non essere in grado di adempiere con mezzi normali all’obbligazione tributaria dedotta in giudizio, ma sostiene di non essere tenuta al pagamento dell’ingente credito vantato dall’erario nei suoi confronti e lamenta l’erroneità della sentenza dichiarativa sotto tale, limitato, profilo. Ciò premesso, va in primo luogo rilevato che, contrariamente a quanto si deduce nel motivo, la Corte territoriale ha valutato in via incidentale la fondatezza della pretesa azionata da Equitalia, laddove ha affermato che la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dalla s.r.l. contro l’avviso di accertamento appariva congruamente e dettagliatamente motivata, subito dopo aggiungendo che l’appello proposto dalla società contro la decisione non conteneva rilievi degni di considerazione e che, in particolare, appariva assai debole” la contestazione dell’ingente sopravvenienza attiva ravvisata dall’ufficio, operata dalla ricorrente attraverso il disconoscimento dei debiti, per 6.500.000 euro, contratti verso imprese in liquidazione. Contestazione del credito. I giudici di legittimità evidenziano che la mera contestazione del credito, comunque portato da un avviso di accertamento la cui congruità era già stata confermata da una sentenza di primo grado, ancorché temporaneamente priva di efficacia esecutiva, non poteva essere sufficiente a farne presumere l’inesistenza e che nella presente sede la ricorrente non solo non denuncia l’omessa valutazione da parte della corte territoriale di eventuali documenti contabili o fiscali prodotti al fine di provare l’infondatezza dell’avversa pretesa, ma neppure fa accenno alle ragioni poste a sostegno dapprima del ricorso contro l’avviso di accertamento e, successivamente, dell’impugnazione contro la sentenza di primo grado che lo aveva respinto. Appare peraltro risolutivo il rilievo che la mancata riassunzione del processo d’appello, dichiarato interrotto a seguito della cancellazione della SRL, ne ha comportato l’estinzione, rilevabile anche d’ufficio dal giudice , con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Il credito tributario risulta dunque definitivamente accertato, anche se per ragioni di diritto diverse da quelle individuate dalla Corte territoriale. Per i giudici di legittimità la conseguente, perdurante efficacia del provvedimento interinale di sospensione del titolo esecutivo, non sono infatti circostanze sufficienti a provare, o quantomeno a far presumere, la totale inesistenza del credito erariale controverso già accertato in primo grado, solo a fronte della quale potrebbe escludersi lo stato di insolvenza della ricorrente, che si è cancellata dal registro delle imprese e che è dunque priva di risorse patrimoniali o finanziarie che le consentano di pagare i propri debiti, quale che ne sia l’ammontare.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 17 febbraio – 26 maggio 2015, n. 10819 Presidente Di Palma – Relatore Cristiano E' stata depositata la seguente relazione 1 La Corte d'Appello di Milano, con sentenza dei 21.1.013, ha respinto il reclamo proposto da Immobiliare Euro 3000 s.r.l. in liquidazione contro la sentenza dei tribunale dichiarativa dei suo fallimento, pronunciata ad istanza di Equitalia Esatri s.p.a. oggi Equitalia Nord s.p.a. entro l'anno dalla cancellazione della società dal R.I., avvenuta il 23.9.011. La corte territoriale, per quanto effettivamente interessa nella presente sede, ha rilevato i che il credito di Esatri, di circa 8.600.000 euro, era liquido ed esigibile, in quanto portato da una cartella esattoriale notificata e non impugnata dalla debitrice e da altre due cartelle contro le quali la reclamante aveva proposto opposizioni che erano state respinte, con sentenze divenute definitive, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano ii che tali cartelle derivavano dall'iscrizione a ruolo di ingenti crediti tributari per IRES, IRAP ed IVA evase, in relazione ai quali Euro 3000 aveva ricevuto nel 2008 un avviso di accertamento iii che il ricorso proposto dalla società contro l'avviso era stato respinto dalla Commissione provinciale tributaria di Milano con sentenza che, ad una sommaria delibazione, risultava dettagliatamente e congruamente motivata, sicché doveva escludersi che vi fossero effettive possibilità di accoglimento dell'appello avanzato dalla soccombente contro la decisione iv che il giudice dell'impugnazione aveva accolto la richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza solo in ragione della possibilità di sollecita trattazione dei procedimento v che, peraltro, il processo tributario era stato interrotto a seguito della cancellazione della ricorrente dal R.I. e sarebbe potuto permanere in uno stato di quiescenza, stante l'inesistenza della giusta parte legittimata a proseguirlo vi che in definitiva, sussisteva una cristallizzata e conclamata ingentissima esposizione debitoria di Euro 3000 nei confronti dell'erario. 2 La sentenza è stata impugnata da Euro 3000 con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo con il quale la ricorrente denuncia plurime violazioni di legge, sostenendo in sintesi a che, ai fini della prova dell'esistenza dei credito dell'erario sarebbe dei tutto irrilevante il passaggio in giudicato delle sentenze che hanno respinto il ricorso contro le cartelle di pagamento, che attengono alla fase della riscossione e che, essendo fondate su una sentenza di primo grado quella che ha respinto il ricorso contro l'avviso di accertamento la cui efficacia esecutiva è stata sospesa dal giudice d'appello, sono necessariamente anch'esse sospese b che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado è stata disposta per fondati motivi , e dunque per l'esistenza dei fumus boni iuris c che, in conseguenza, non v'è alcuna cristallizzata e conclamata sua esposizione debitoria verso l'erario, tanto più che l'ordinanza di sospensione è destinata a divenire definitiva per difetto della giusta parte cui spetterebbe di proseguire il processo c che pertanto il giudice dei reclamo, anziché arrestarsi al rilievo della definitività delle cartelle, avrebbe dovuto valutare nel merito la fondatezza della pretesa tributaria. Equitalia Nord ha resistito con controricorso. 3 11 motivo appare manifestamente infondato, se non inammissibile. Euro 3000 non contesta di non essere in grado di adempiere con mezzi normali all'obbligazione tributaria dedotta in giudizio, ma sostiene di non essere tenuta al pagamento dell'ingente credito vantato dall'erario nei suoi confronti e lamenta l'erroneità della sentenza dichiarativa sotto tale, limitato, profilo. Ciò premesso, va in primo luogo rilevato che, contrariamente a quanto si deduce nel motivo, la corte territoriale ha valutato in via incidentale la fondatezza della pretesa azionata da Equitalia, laddove ha affermato che la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da Euro 3000 contro l'avviso di accertamento appariva congruamente e dettagliatamente motivata, subito dopo aggiungendo che l'appello proposto dalla società contro la decisione non conteneva rilievi degni di considerazione e che, in particolare, appariva assai debole la contestazione dell'ingente sopravvenienza attiva ravvisata dall'ufficio, operata dalla ricorrente attraverso il disconoscimento dei debiti, per 6.500.000 euro, contratti verso imprese in liquidazione. Euro 3000 non chiarisce, del resto, in quale altro modo se non attraverso l'esame della sentenza di primo grado e dell'appello il giudice del reclamo avrebbe dovuto riguardare, incidenter tantum, il merito della questione tributaria è appena il caso di rilevare, sul punto, che la mera contestazione del credito - comunque portato da un avviso di accertamento la cui congruità era già stata confermata da una sentenza di primo grado, ancorché temporaneamente priva di efficacia esecutiva - non poteva essere sufficiente a farne presumere l'inesistenza e che nella presente sede la ricorrente non solo non denuncia l'omessa valutazione da parte della corte territoriale di eventuali documenti contabili o fiscali prodotti al fine di provare l'infondatezza dell'avversa pretesa, ma neppure fa accenno alle ragioni poste a sostegno dapprima dei ricorso contro l'avviso di accertamento e, successivamente, dell'impugnazione contro la sentenza di primo grado che lo aveva respinto. Appare peraltro dirimente il rilievo che la mancata riassunzione del processo d'appello, dichiarato interrotto a seguito della cancellazione di Euro 3000 dai R.I., ne ha comportato l'estinzione, rilevabile anche d'ufficio dal giudice ai sensi del III comma dell'art. 45 della I. n. 546/92, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Il credito tributario risulta dunque definitivamente accertato, anche se per ragioni di diritto diverse da quelle individuate dalla corte territoriale, sicché, in applicazione dell'art. 384 c.p.c. si imporrebbe unicamente la correzione della motivazione della sentenza impugnata. Tanto potrebbe essere deciso in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p c. Euro 3000 ha depositato memoria cui, in violazione del disposto dell'art. 372 c.p.c., ha inammissibilmente allegato nuovi documenti, dei quali non può tenersi alcun conto. Ciò premesso il collegio, esaminati gli atti e la memoria, condivide le conclusioni della relatrice. L'affermata, attuale pendenza in appello del giudizio tributario che, secondo quanto riferito dalla ricorrente nella memoria - sebbene in contrasto con le difese svolte in ricorso - sarebbe stato tempestivamente riassunto dal curatore , e la conseguente, perdurante efficacia dei provvedimento interinale di sospensione dei titolo esecutivo, non sono infatti circostanze sufficienti a provare, o quantomeno a far presumere, la totale inesistenza del credito erariale controverso già accertato in primo grado, solo a fronte della quale potrebbe escludersi lo stato di insolvenza della ricorrente, che si è cancellata dal registro delle imprese e che è dunque priva di risorse patrimoniali o finanziarie che le consentano di pagare i propri debiti, quale che ne sia l'ammontare. Il ricorso deve pertanto essere respinto. Le spese del giudizio in favore di Equitalia Nord s.p.a. seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non v'è luogo alla liquidazione delle spese in favore del Fallimento intimato, che non ha svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di Equitalia Nord s.p.a., che liquida in € 4.100, di cui € 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 11512002, introdotto dall'art. 1, 17° comma, della I. n. 228 del 24.12.2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo á titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.