Dopo l’inizio delle operazioni di voto il debitore non può più presentare modifiche alla proposta di concordato, neanche se migliorative

Il divieto di apportare modifiche alla proposta di concordato preventivo dopo l’inizio delle operazioni di voto dei creditori, sancito dall’art. 175, comma 2, l.fall., vale anche per quelle modifiche qualificate dal debitore come migliorative ciò al fine di evitare che il piano su cui i creditori hanno espresso il voto risulti diverso da quello che verrà effettivamente eseguito.

È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8575 del 28 aprile 2015. Il caso. Il tribunale di Firenze rigettava la domanda di omologazione del concordato preventivo, formulata da una società, e ne dichiarava il fallimento. La Corte d’appello, in accoglimento del reclamo, revocava la dichiarazione di fallimento e omologava il concordato, ritenendo ammissibili le modifiche apportate dalla società debitrice alla proposta concordataria, anche se avvenute dopo le operazioni di voto, in quanto considerate non modificazioni della proposta, ma mere integrazioni incidenti in senso migliorativo per i creditori. Questi ultimi proponevano, infine, ricorso per cassazione. Il limite temporale per la modifica della proposta concordataria. La sentenza impugnata ha escluso l’applicabilità della norma che sancisce il divieto di apportare modifiche alla proposta concordataria, una volta iniziate le operazioni di voto, ritenendo che nel caso di specie le modifiche avessero natura integrativa, incidenti solo sulle modalità esecutive della proposta, e fossero in ogni caso migliorative per i creditori, rispetto a quelle originariamente offerte. La Cassazione ribadisce, però, la portata generale del divieto di cui all’art. 175, comma 2, l.fall. contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, infatti, nonostante le riforme degli ultimi anni abbiano inteso valorizzare l’aspetto privatistico della procedura concordataria e il potere dispositivo delle parti, il Legislatore del 2007 ha modificato l’art. 175 prevedendo espressamente un preciso limite temporale per la presentazione di modifiche alla proposta di concordato, senza distinguere tra modifiche migliorative o peggiorative. Le modifiche migliorative e la ratio del divieto ex art. 175. Con tale previsione si è voluto evitare che il calcolo delle maggioranze si fondi su voti espressi in riferimento ad un piano diverso da quello destinato ad essere effettivamente eseguito . Modifiche della proposta che non comportano un mutamento delle percentuali di soddisfazione dei crediti, prosegue la Suprema Corte, possono comunque assumere rilevanza sui tempi e sulla fruttuosità della liquidazione, incidendo dunque sulla fattibilità economica del concordato. E se è vero che, per pacifica giurisprudenza, tale ultimo aspetto è sottratto al controllo del tribunale, perché rimesso alla valutazione dei creditori, questi ultimi devono comunque essere informati sulle concrete prospettive temporali ed economiche della realizzazione del piano. Le modifiche alle modalità esecutive del piano rendono necessaria una nuova attestazione. Poiché il piano non può essere disgiunto dalla proposta concordataria, della quale costituisce lo strumento di realizzazione, la sentenza impugnata appare censurabile anche nella parte in cui ha escluso la necessità di una nuova attestazione secondo la S.C., infatti, la prognosi favorevole in ordine all’esito del concordato, formulata dal professionista attestatore ai sensi dell’art. 161, comma 3, è inevitabilmente connessa, dal punto di vista causale, alla buona riuscita del piano . Anche in caso di modifiche non sostanziali della proposta, che attengano solo alle modalità esecutive del piano, è pertanto necessario un aggiornamento della relazione attestatrice, non essendo sufficiente, come sostenuto dalla Corte territoriale, la nuova relazione predisposta dal commissario giudiziale. La modifica della proposta che comporta una trasformazione del piano implica il superamento del precedente accordo. La Cassazione conclude affermando che le nuove condizioni prospettate, comportando una trasformazione del piano allegato alla proposta, hanno determinato il superamento della proposta originaria una volta esclusa l’ammissibilità delle modifiche perché intervenute tardivamente, al tribunale sarebbe comunque preclusa la possibilità di tornare ad esaminare la proposta originaria, ed eventualmente omologarla se su di essa era stato già raggiunto il parere positivo dei creditori le modifiche devono intendersi, in conclusione, come una revoca della precedente proposta. Anche sotto questo profilo non appare condivisibile la conclusione adottata dalla sentenza d’appello, che viene, pertanto, cassata senza rinvio. fonte www.ilfallimentarista.it

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 gennaio – 28 aprile 2015, n. 8575 Presidente Ceccherini – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. — Con sentenza del 10 ottobre 2013, il Tribunale di Firenze dichiarò il fallimento della Florence Sportswear S.r.l. in liquidazione, previo rigetto della domanda di omologazione della proposta di concordato preventivo avanzata dalla società debitrice. 2. — Il reclamo da quest'ultima proposto è stato accolto dalla Corte d'Appello di Firenze, che con sentenza del 10 febbraio 2014 ha revocato la dichiarazione di fallimento ed ha omologato il concordato preventivo, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale per l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 182 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso che le modifiche apportate alla proposta dopo la conclusione delle operazioni di voto contrastassero con l'art. 172, secondo comma, della legge fall., trattandosi di mere integrazioni incidenti in senso migliorativo sulle garanzie personali offerte e sui tempi di esecuzione del piano, introdotte in accoglimento delle osservazioni formulate dal commissario giudiziale in ordine al calcolo del fabbisogno ed alle garanzie ed ai tempi dell'adempimento, e comunicate ai creditori dissenzienti dallo stesso commissario, il quale aveva poi depositato una relazione favorevole all'omologazione. Premesso che l'art. 179, secondo comma, della legge fall, prevede la possibilità di sottoporre ai creditori modificazioni non solo peggiorative, ma anche migliorative, ha rilevato che la proposta, così come modificata, era stata approvata dai creditori con una maggioranza assai rilevante, osservando comunque che, anche a voler ritenere inammissibili le modifiche apportate, si sarebbe dovuto dar seguito alla proposta originaria, che già aveva riportato il voto favorevole della maggioranza dei creditori. Precisato inoltre che l'assenza di modifiche sostanziali escludeva anche la necessità di rinnovare la relazione di attestazione, già ritenuta valida in relazione alla proposta originaria, ha affermato che al professionista attestatore avrebbe potuto essere richiesto soltanto un giudizio in ordine all'esistenza giuridica dei crediti, e non anche in ordine alle effettive probabilità di realizzazione degli stessi, la cui valutazione, in quanto attinente alla fattibilità economica del piano, era rimessa esclusivamente ai creditori. Ha osservato al riguardo che questi ultimi avevano avuto modo di apprezzare tale posta dell'attivo e la sua consistenza sulla base della documentazione allegata alla proposta e di un prospetto analitico dei crediti, nel quale erano indicati la composizione degli stessi e l'importo recuperabile. La Corte ha poi escluso che, in quanto riflettenti il passaggio immediato della proprietà dell'azienda e delle merci, le modificazioni apportate alla proposta privassero i creditori della relativa garanzia, osservando che le nuove condizioni si limitavano ad indicare tempi diversi per il pagamento del prezzo dell'azienda, la cui cessione in proprietà era già prevista dal piano originario entro centottanta giorni dall'omologazione, e a trasformare in vendita immediata il contratto estimatorio relativo al magazzino residuo, il cui recupero, in caso d'inadempimento, avrebbe comportato equivalenti difficoltà pratiche e giuridiche. Ha altresì rilevato che le modifiche prevedevano la riduzione dell'attivo consigliata dal commissario giudiziale in un'ottica prudenziale, nonché un considerevole incremento della garanzia offerta dalla famiglia B. ed il contenimento dei tempi di acquisizione dell'azienda e del magazzino e di quelli d'incasso dei crediti. La Corte ha ritenuto infine ammissibile la clausola di esdebitazione condizionata al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, osservando che, come precisato dal legale della debitrice, espressamente interpellato sul punto, la stessa si limitava a ribadire il normale effetto della procedura, consistente nella limitazione della responsabilità del debitore alle percentuali indicate nella proposta, con assunzione da parte dello stesso del rischio relativo al mancato pagamento delle percentuali promesse o di quello della risoluzione del concordato. Ha escluso che la predetta clausola contrastasse con l'art. 186, quarto comma, della legge fall., rilevando che tale disposizione esclude l'applicabilità della risoluzione per inadempimento soltanto nel caso in cui il concordato sia assunto da un terzo con la liberazione immediata del debitore, mentre nella specie la debitrice sarebbe stata liberata soltanto a seguito dell'adempimento della proposta. 3. — Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la M.M.C. Tricot S.r.l. e la Alex S.r.l., per nove motivi, illustrati anche con memoria, e la Second Project S.r.l., per quattro motivi. La Florence Sportswear ha resistito con controricorsi. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1. — Preliminarmente, va disposta, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi, in quanto proposti separatamente, ma aventi ad oggetto l'impugnazione della medesima sentenza. 2. — Si rileva inoltre che la notificazione del controricorso alla MMC Tricot ed alla Alex, correttamente effettuata a mezzo del servizio postale presso l'indirizzo indicato nel ricorso, non si è perfezionata, in quanto, a causa della mancata indicazione del nome del procuratore domiciliatario sulle buste utilizzate per la notifica, il destinatario è risultato irreperibile. In quanto riconducibile ad un'omissione dell'ufficiale giudiziario, al quale l'art. 3, secondo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 demanda la compilazione della busta contenente la copia dell'atto, l'esito negativo della notifica non può considerarsi imputabile alla controricorrente, con la conseguenza che merita accoglimento l'istanza di rimessione in termini da quest'ultima avanzata non appena ha preso conoscenza della mancata consegna dell'atto. Trova infatti applicazione il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui l'inosservanza del termine perentorio fissato per la notificazione di un atto processuale, dovuta a una causa non imputabile al notificante, non comporta la decadenza di quest'ultimo dal compimento dell'atto, potendo egli, in alternativa alla riattivazione del procedimento notificatorio entro un tempo ragionevolmente contenuto, proporre un'istanza di rimessione in termini ai sensi dello art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., costituendosi tempestivamente in giudizio e fornendo la prova della causa per cui la notifica non si è perfezionata cfr. Cass., Sez. II, 26 marzo 2012, n. 4841 Cass., Sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22245 . L'accoglimento della predetta istanza consente nella specie di escludere l'inammissibilità del controricorso, ma non comporta anche la necessità di fissare un termine per la rinnovazione della notificazione, avendo le ricorrenti preso conoscenza del controricorso, a seguito della costituzione della Florence Sportswear. 3. — Con atto ritualmente notificato alle controparti e depositato in Cancelleria nell'imminenza dell'udienza di discussione, la controricorrente ha poi dichiarato di rinunciare agli effetti della sentenza impugnata, adducendo, a giustificazione della propria scelta, il venir meno della possibilità di adempiere il concordato, a causa dell'intervenuto mutamento delle condizioni di fattibilità del relativo piano, e chiedendo pertanto la conferma della dichiarazione di fallimento pronunciata in primo grado. 3.1. — L'istanza non merita accoglimento. È noto infatti che la sentenza di appello, sia essa di conferma o di riforma, è destinata a sostituirsi interamente alla sentenza emessa in primo grado, la cui efficacia resta pertanto definitivamente assorbita, non potendo rivivere neppure in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, il quale impone la pronuncia di una nuova sentenza di merito, ordinariamente rimessa al giudice di rinvio, ma consentita anche al Giudice di legittimità, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., ove non risultino necessari ulteriori accertamenti di fatto cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. lav., 8 luglio 2013, n. 16934 Cass., Sez. III, 12 marzo 2013, n. 6113 7 febbraio 2013, n. 2955 . La pronuncia della sentenza di appello segna pertanto il limite temporale dell'efficacia della sentenza di primo grado, la cui conservazione, in caso di rinuncia della parte, presuppone necessariamente che questa ultima intervenga, nella forma della rinuncia agli atti del giudizio o all'impugnazione, prima della conclusione del giudizio di secondo grado, in modo da determinarne l'estinzione, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 338 cod. proc. civ. Tale effetto non può essere invece ricollegato ad una rinuncia intervenuta, come nel caso in esame, dopo la pronuncia della sentenza d'appello, proveniente dalla parte soccombente nel giudizio di primo grado ed avente ad oggetto gli effetti favorevoli della contraria decisione adottata dal giudice del gravame una siffatta rinuncia può infatti determinare al più la cessazione della materia del contendere, facendo venir meno il contrasto tra le parti, in quanto, se posta in essere dal convenuto soccombente in primo grado, può essere interpretata come rinuncia al giudicato, avente portata abdicativa in ordine agli effetti sostanziali della decisione di merito ed espressiva della volontà di non opporsi ulteriormente alla pretesa della controparte, mentre se proveniente dall'attore precedentemente soccombente può configurarsi come rinuncia all'azione, che implica sostanzialmente l'abbandono della situazione soggettiva fatta valere in giudizio cfr. Cass., Sez. II, 2 aprile 2003, n. 5026 Cass., Sez. lav., 26 febbraio 1988, n. 2063 19 gennaio 1981, n. 190 Cass., Sez. III, 21 gennaio 1971, n. 130 . A maggior ragione, deve poi escludersi che la rinuncia di una delle parti possa far rivivere l'efficacia della decisione di primo grado nel caso in cui, come nella specie, gli effetti favorevoli in discussione siano quelli della sentenza di omologazione del concordato preventivo, pronunciata in sede di reclamo avverso la sentenza di primo grado che abbia rigettato la relativa istanza e dichiarato il fallimento del debitore. In quanto volta a porre nel nulla gli effetti vincolanti del concordato, tale rinuncia si traduce sostanzialmente in un abbandono della relativa proposta, atteggiandosi quindi come una revoca della stessa, non più ammissibile una volta che i predetti effetti abbiano trovato formale consacrazione nel provvedimento di omologazione. Nessun rilievo può assumere, in contrario, l'accentuazione degli aspetti privatistici dell'istituto, derivante dalle modificazioni apportate alla relativa disciplina dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dai decreti successivi, non risultando tali innovazioni sufficienti a giustificare una concezione dell'omologazione come mera presa d'atto dell'accordo intervenuto tra il debitore ed il ceto creditorio in particolare, la limitazione del sindacato giurisdizionale al controllo della sola fattibilità giuridica della proposta concordataria da intendersi come compatibilità della stessa con le norme inderogabili e come rispondenza alla causa concreta dell'istituto, consistente nel superamento dello stato di crisi dell'imprenditore, con l'assicurazione di un soddisfacimento sia pur modesto e parziale dei creditori e la conseguente esclusione del potere di valutarne anche la convenienza e le probabilità di successo economico cfr. Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521 , non consentono di trascurare l'incidenza dei profili connessi alla regolarità formale della procedura, che il tribunale è pur sempre chiamato a verificare, né di sottovalutare la portata espansiva dell'accordo, destinato a spiegare effetti vincolanti anche nei confronti dei creditori rimasti assenti o dissenzienti la valutazione della fattibilità economica non è d'altronde esclusa in modo assoluto, essendo destinata a riemergere, nella forma prevista dall'art. 180, quarto comma, della legge fall., nel caso in cui un creditore appartenente ad una classe dissenziente o i creditori dissenzienti che rappresentino il 20% dei crediti ammessi al voto contestino la convenienza della proposta. In ogni caso, anche a voler valorizzare la natura contrattuale del concordato, attribuendo al provvedimento di omologazione la portata di una mera convalida dell'accordo intervenuto tra le parti, il momento della conclusione di tale accordo dovrebbe pur sempre essere individuato in quello dell'approvazione dei creditori, alla quale dovrebbe dunque ricollegarsi l'effetto di precludere la revoca della proposta da parte del debitore, ai sensi dell'art. 1328 cod. civ. Non a caso, anche in epoca anteriore alla modificazione dell'art. 175 della legge fall, da parte dell'art. 15 del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che ha introdotto l'espresso divieto di modificare la proposta dopo l'inizio delle operazioni di voto, la discussione tra i fautori della tesi contrattualistica e quelli della tesi pubblicistica in ordine all'individuazione del termine entro il quale poteva intervenire la revoca della proposta di concordato si incentrava essenzialmente sull'alternativa tra l'adunanza dei creditori e la pronuncia del decreto di omologazione, non essendosi mai posto in dubbio che quest'ultimo precludesse qualsiasi ulteriore modifica della proposta. Gli effetti vincolanti che l'approvazione del concordato produce nei confronti dei creditori, abbiano essi prestato o meno il loro consenso alla proposta avanzata dal debitore, escludendo la possibilità di ricollegare alla rinuncia di quest'ultimo il venir meno dell'interesse ad una decisione in ordine all'omologabilità dell'accordo, impediscono d'altronde di ritenere che l'assimilazione della proposta ad una domanda giudiziale, in adesione alla citata tesi pubblicistica, ne comporti la rinunciabilità anche in pendenza del giudizio d'impugnazione promosso avverso il provvedimento di omologazione, con la conseguenza che, non essendovi spazio per una dichiarazione di cessazione della materia del contendere, la predetta rinuncia non esclude il dovere di pronunciare in ordine alla fondatezza dell'impugnazione. 4. — Con il primo motivo di ricorso, la MMC e la Alex denunciano la violazione dell'art. 739 cod. proc. civ. e la falsa applicazione dell'art. 131 della legge fall., osservando che la Corte d'Appello ha omesso di rilevare la tardività del reclamo, proposto oltre il decimo giorno dalla comunicazione del decreto di rigetto della domanda di omologazione del concordato. 4.1. — La censura è infondata. Questa Corte ha avuto infatti modo di affermare ripetutamente che il reclamo alla corte d'appello avverso il provvedimento con cui il tribunale abbia provveduto in ordine all'istanza di omologazione del concordato preventivo, accogliendola o rigettandola, dev'essere proposto nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 18 della legge fall., in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 183, in quanto la circostanza che con lo stesso reclamo possa essere impugnata anche la sentenza dichiarativa di fallimento contestualmente pronunciata ai sensi dell'art. 180, settimo comma, impedisce di applicare all'impugnazione termini diversi, a seconda dell'esito del giudizio di omologazione cfr. Cass., Sez. I, 20 settembre 2013, n. 21606 19 marzo 2012, n. 4304 . Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha esaminato nel merito il reclamo proposto dalla società debitrice avverso il decreto di rigetto dell'istanza di omologazione, sull'implicito presupposto dell'ammissibilità dell'impugnazione, la quale, essendo stata proposta con ricorso depositato l’8 novembre 2013, doveva considerarsi tempestiva, in quanto avanzata entro il trentesimo giorno dalla notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento, effettuata il 24 ottobre 2013. 5. — Con il terzo motivo, il cui esame risulta logicamente prioritario rispetto al secondo, le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, 156 e 352 cod. proc. civ. e dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ., rilevando che la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto ammissibili le modifiche apportate alla proposta concordataria, disattendendo i rilievi in ordine alla fattibilità del piano, da loro sollevati in relazione alla inattendibilità dei dati aziendali sui quali le modifiche erano fondate. La Corte di merito ha liquidato le segnalate differenze tra i predetti dati e quelli originariamente esposti, limitandosi ad osservare che la debitrice aveva adeguato la proposta alle osservazioni del commissario giudiziale, senza chiarire il motivo per cui la riduzione dell'attivo e l'incremento del passivo, tali da rendere improbabile la soddisfazione dei creditori nella percentuale indicata, non comportavano una modifica sostanziale del piano. Nel ritenere attendibili i predetti dati, essa non ha tenuto conto del significativo mutamento dagli stessi subito rispetto a quelli riportati nella relazione del professionista attestatore, nonché delle contraddizioni rilevabili tra le due relazioni del commissario giudiziale ed il parere favorevole da lui reso sulla proposta rivisitata. 5.1. — La censura è infondata. Nell'escludere l'inammissibilità delle modifiche apportate alla proposta di concordato successivamente all'approvazione dei creditori, la sentenza impugnata ha ritenuto infatti applicabile il disposto dell'art. 179, secondo comma, della legge fall., evidenziando la natura meramente integrativa delle variazioni, incidenti sulle modalità esecutive della proposta, introdotte su suggerimento del commissario giudiziale ed aventi portata migliorativa rispetto alle condizioni originariamente offerte. Ha sottolineato in particolare che esse non comportavano mutamenti nelle percentuali di soddisfazione dei creditori, ma solo miglioramenti in ordine alle garanzie ed ai tempi di esecuzione, conformi alle osservazioni formulate dal commissario nella sua relazione e tali da consentire il superamento delle obiezioni da lui sollevate in ordine alla fattibilità del piano. Ha rilevato infine che il commissario, ricevuta la proposta integrativa, l'aveva comunicata ai creditori dissenzienti, per consentire agli stessi di rimeditare la scelta effettuata attraverso il voto, con la conseguenza che il concordato, accompagnato da una nuova relazione del commissario, favorevole all'omologa, era pervenuto all'esame del Tribunale con una maggioranza favorevole assai rilevante. Indipendentemente dalla condivisibilità delle ragioni addotte, tale percorso argomentativo risulta di per sé idoneo a giustificare la decisione adottata, e quindi ad assicurare la conformità della sentenza al modello prefigurato dall'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., quale è venuto delineandosi anche a seguito della riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., prevista dall'art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 tale disposizione, che circoscrive il vizio di motivazione deducibile mediante il ricorso per cassazione all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituisce infatti espressione della volontà del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l'ambito del sindacato spettante al Giudice di legittimità in ordine alla motivazione della sentenza, escludendo qualsiasi controllo sulla sufficienza della stessa e limitando quello sulla sua esistenza e coerenza al solo riscontro della totale omissione o della mera apparenza della motivazione, ovvero della sua irriducibile contraddittorietà o illogicità manifesta. In tale contesto, restringendosi l'anomalia motivazionale denun-ciabile in sede di legittimità ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., deve escludersi la possibilità di estendere corrispondentemente l'ambito di applicabilità di quest'ultima disposizione al di fuori delle ipotesi, già individuate dalla giurisprudenza di legittimità, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l'aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d'individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2014, n. 21257 . 6. — Con il quarto motivo, anch'esso logicamente prioritario rispetto al secondo, le ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 161, terzo comma, e 175, secondo comma, della legge fall., ribadendo che, nell'omologare il concordato recante modifiche rispetto all'originaria proposta, la Corte di merito non ha tenuto conto del carattere sostanziale delle stesse, incidenti sulla fattibilità del piano e sulle possibilità di soddisfazione dei creditori, e della conseguente necessità di una nuova relazione del professionista attestatore. 7. — La predetta censura va esaminata congiuntamente a quella di cui al primo motivo del ricorso proposto dalla Second Project, con cui si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 161, 175 e 179 della legge fall., censurandosi la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la necessità di una nuova relazione del professionista attestatore, in virtù della natura integrativa delle modifiche apportate dopo l'approvazione dei creditori, aventi ad oggetto esclusivamente le modalità esecutive del piano. Premesso infatti che in tal modo la Corte di merito ha ipotizzato la scindibilità del piano dalla proposta concordataria, senza considerare che, in quanto strumento realizzativo della stessa, il piano non può essere disgiunto dal suo contenuto, la ricorrente afferma che in ogni caso la nuova proposta dev'essere necessariamente accompagnata dalla relazione prevista dall'art. 161, terzo comma, della legge fall. Precisato inoltre che il deposito di una nuova proposta, anche migliorativa, è vietato dall'art. 175, secondo comma, della legge fall., afferma comunque che l'esito della stessa è legato a quello della domanda di concordato, nel senso che in caso di rigetto essa è inammissibile, mentre in caso di accoglimento risulta irrilevante. Sostiene infine che la modificazione della proposta dopo l'approvazione del concordato non può ritenersi ammissibile neppure ai sensi dell'art. 179, secondo comma, della legge fall., il quale si riferisce esclusivamente a mutamenti sopravvenuti nelle condizioni di fattibilità del piano, dipendenti da eventi non riconducibili a dolose o colpose omissioni del debitore. 8. — Le censure sono fondate. Come si è detto, infatti, il secondo comma dell'art. 175 della legge fall., aggiunto dall'art. 15 del d.lgs. n. 169 del 2007, ha introdotto l'espresso divieto di apportare modifiche alla proposta di concordato dopo l'inizio delle operazioni di voto, in tal modo risolvendo il contrasto di opinioni precedentemente manifestatosi in dottrina ed in giurisprudenza relativamente all'individuazione del termine ultimo entro il quale la proposta di concordato poteva essere modificata. L'applicabilità della predetta disposizione è stata esclusa dalla sentenza impugnata in virtù di un duplice ordine di considerazioni, collegate da un lato alla natura integrativa delle modifiche, inerenti alle modalità esecutive della proposta, dall'altro alla portata migliorativa delle nuove condizioni rispetto a quelle originariamente offerte, in ordine alle quali il commissario giudiziale aveva espresso parere sfavorevole. Tale motivazione riecheggia le argomentazioni svolte in una pronuncia ormai piuttosto risalente, con cui questa Corte riconobbe al debitore ammesso al concordato preventivo la facoltà di offrire, anche dopo l'adunanza dei creditori e nel corso del giudizio di omologazione, un miglioramento delle condizioni previste dalla proposta già approvata, e segnatamente un incremento della percentuale di pagamento dei crediti chirografari, affermando che tale modifica, avente carattere integrativo, doveva ritenersi ammissibile, traducendosi in un cospicuo vantaggio per i creditori chirografari, ove non avesse inciso sui tempi e le modalità di pagamento, né alterato la proposta nei confronti degli altri creditori cfr. Cass., Sez. I, 18 giugno 1992, n. 7557 . A queste conclusioni la Corte pervenne attraverso una valorizzazione del potere dispositivo delle parti, il quale avrebbe subito un'ingiustificata limitazione ove la sorte del concordato fosse rimasta ancorata alla proposta iniziale, e del carattere prevalente da riconoscersi al requisito della convenienza, la cui valutazione, ai sensi dell'art. 181, primo comma, n. 1 della legge fall, nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dal decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005, n. 80 , doveva ritenersi determinante per il conseguimento delle finalità assegnate all'istituto. Tali considerazioni avrebbero dovuto assumere un valore ancor più pregnante alla luce delle modificazioni introdotte nella disciplina del concordato preventivo, che, in quanto volte ad accentuare i profili contrattuali dell'istituto e a rimettere in via esclusiva ai creditori l'apprezzamento in ordine alla convenienza della proposta avanzata dal debitore, avrebbero dovuto far propendere per un ampliamento della facoltà di modifica riconosciuta a quest'ultimo il legislatore, invece, nel riconoscere espressamente tale facoltà, ne ha rigorosamente limitato l'ambito temporale di esercizio alla fase anteriore all'inizio delle operazioni di voto, senza distinguere tra modifiche migliorative e peggiorative, e ciò essenzialmente al fine di evitare che il calcolo delle maggioranze si fondi su voti espressi in riferimento ad un piano diverso da quello destinato ad essere effettivamente eseguito. 8.1. — Nel valutare le modifiche apportate alla proposta originaria, la sentenza impugnata ha d'altronde chiarito che le stesse consistevano da un lato nella riduzione dell'importo dei crediti scaduti vantati dalla debitrice e nell'indicazione di un termine più breve un anno anziché due per l'incasso di una parte degli stessi, e dall'altro nella previsione di differenti modalità di liquidazione dell'attivo dilazione nel pagamento del corrispettivo dovuto per il trasferimento dell'azienda, trasferimento in vendita immediata del contratto estimatorio relativo alla mercé in magazzino e di un incremento delle garanzie offerte da terzi. Tali variazioni, pur non comportando un mutamento della percentuale di soddisfacimento dei crediti indicata nella proposta, ma soltanto delle modalità di attuazione del piano concordatario, non potevano considerarsi indifferenti per i creditori, in quanto, indipendentemente dall'incertezza sussistente in ordine alla loro portata migliorativa, le nuove condizioni risultavano suscettibili d'incidere non solo sui tempi della liquidazione, ma anche sulla fruttuosità della stessa, e quindi sulla fattibilità economica del concordato. L'osservazione della Corte di merito, corrispondente all'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui questo ultimo aspetto è rimesso in via esclusiva all'apprezzamento dei creditori, con la conseguente estraneità all'ambito del controllo riservato al tribunale in sede di omologazione cfr. Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit. Cass., Sez. I, 23 maggio 2014, n. 11497 25 settembre 2013, n. 21901 , non consente di escludere che, ai fini di un'informata e consapevole espressione del voto, i creditori dovessero essere adeguatamente ragguagliati in ordine alle prospettive temporali ed economiche di realizzazione del piano, per la cui valutazione non poteva ritenersi sufficiente la nuova relazione predisposta dal commissario giudiziale, occorrendo innanzitutto un aggiornamento di quella redatta ai sensi dell'art. 161, terzo comma, cod. proc. civ. dal professionista designato dalla debitrice. Nessun rilievo può assumere, al riguardo, la circostanza che le modifiche prospettate non si estendessero alle condizioni offerte ai creditori, ma riguardassero esclusivamente le modalità di attuazione del piano, non potendo quest'ultimo essere disgiunto dalla proposta, della quale costituisce lo strumento di realizzazione, con la conseguenza che la prognosi favorevole in ordine all'esito del concordato è inevitabilmente connessa, dal punto di vista causale, alla buona riuscita del piano cfr. Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit. . 8.2. — L'ammissibilità delle modifiche apportate alla proposta concordataria non può essere ricollegata neppure al secondo comma dell'art. 179 della legge fall., introdotto dall'art. 33, comma primo, lett. d-ter del decreto-legge n. 83 del 2012, ed invocato dalla sentenza impugnata a sostegno dell'affermata possibilità di sottoporre ai creditori, successivamente all'approvazione del concordato, modificazioni non solo migliorative, ma anche peggiorative, per far fronte all'intervenuto mutamento delle condizioni di fattibilità del piano. La circostanza che le modifiche in questione siano state apportate per venire incontro alle osservazioni contenute nella relazione del commissario giudiziale non consente infatti di ricondurne la formulazione ad un'iniziativa di quest'ultimo, come previsto dalla norma citata, la quale, peraltro, nell'affidare al commissario il compito di rilevare eventuali mutamenti nelle condizioni di fattibilità del piano, presuppone il verificarsi di eventi, estranei alla volontà del debitore e sopravvenuti all'approvazione del concordato, idonei ad impedirne il corretto adempimento, escludendo pertanto che la predetta iniziativa possa essere assunta al fine di porre tardivamente rimedio a carenze originarie della proposta cfr. Cass., sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit. destinatari dell'avviso previsto dall'art. 179, secondo comma, sono d'altronde i creditori, rispondendo la segnalazione alla finalità di consentire non già al debitore di apportare alla proposta le modifiche necessarie per ottenere il voto favorevole dei creditori, ma a questi ultimi di costituirsi nel giudizio di omologazione, per modificare il voto precedentemente espresso. Non può infine condividersi l'osservazione conclusiva della sentenza impugnata, secondo cui la dichiarazione d'inammissibilità delle modifiche tardivamente apportate al concordato avrebbe imposto comunque di procedere ad una valutazione della proposta nella sua formulazione originaria, che aveva riportato il voto favorevole della maggioranza dei creditori la portata tutt'altro che trascurabile delle nuove condizioni prospettate, comportando una trasformazione del piano allegato alla proposta, ha determinato infatti il superamento dell'accordo intervenuto con i creditori, configurandosi le predette modifiche, in buona sostanza, come una revoca della proposta originaria, tale da escludere la possibilità di porla a base del provvedimento di omologazione. 9. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, restando assorbiti gli ulteriori motivi d'impugnazione, con cui le società ricorrenti hanno censurato la valutazione compiuta in ordine alla fattibilità della proposta concordataria ed al carattere migliorativo delle modifiche apportate dalla debitrice, facendo altresì valere l'invalidità della clausola di esdebitazione contenuta nella proposta e sostenendo che la Corte d'Appello non avrebbe potuto disporre direttamente l'omologazione del concordato, ma avrebbe dovuto rimettere gli atti al Tribunale affinché provvedesse in tal senso. 10. — Non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., prendendo atto della revoca della proposta da parte della debitrice, da ritenersi ammissibile in conseguenza della riapertura del giudizio di merito, con il conseguente rigetto del reclamo proposto dalla Florence Sportswear avverso il decreto di rigetto dell'istanza di omologazione e la sentenza dichiarativa di fallimento. 11. — L'esito del giudizio, caratterizzato dal venir meno dell'interesse alla proposta concordataria, la novità delle questioni trattate e la peculiarità della situazione processuale determinata dalla rinuncia agli effetti favorevoli della sentenza emessa sul reclamo giustificano la dichiarazione dell'integrale compensazione delle spese dei tre gradi di giudizio. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso proposto dalla M.M.C. Tricot S.r.l. e dalla Alex S.r.l., accoglie il quarto motivo del medesimo ricorso ed il primo motivo del ricorso proposto dalla Second Project S.r.l., dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta il reclamo dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio.