Iscrizione nell’attivo del bilancio di un credito: solo per l’importo che può essere ragionevolmente realizzato

Secondo l’art. 2426 c.c., ai fini dell’iscrizione nell’attivo del bilancio di società per azioni, i crediti devono essere valutati secondo il presumibile valore di realizzazione tale indicazione non attribuisce agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma implica una valutazione fondata sulla situazione concreta, secondo principi di razionalità.

Con la pronuncia n. 5450 del 18 marzo 2015, la Corte di Cassazione fornisce alcune importanti indicazioni in ordine alle modalità di iscrizione dei crediti nel bilancio di una società, alle eventuali successive svalutazioni dei crediti già iscritti, alla stregua dei criteri di diligenza che devono osservare gli amministratori nello svolgimento dell’attività di gestione della società. Il caso. La complessa vicenda decisa dalla Cassazione con la sentenza in commento, con un rinvio alla Corte territoriale, concerne l’azione di responsabilità promossa ai sensi dell’art. 2395 c.c. da alcun azionisti nei confronti degli amministratori alla base delle doglianze proposte in giudizio, vi erano, in particolare, le modalità con le quali i crediti erano stati iscritti a bilancio della società e, soprattutto, le motivazioni alle base delle successive svalutazioni” di detti crediti nei bilanci degli anni a seguire. Il S.C., ritenendo non congruamente motivata la sentenza di appello sugli aspetti poc’anzi evidenziati, accoglie il ricorso rimettendo la causa innanzi alla Corte territoriale, che dovrà accertare la eventuale responsabilità degli amministratori relativamente ad alcuni profili di redazione del bilancio. Amministratori di s.p.a. necessaria una vigilanza costante. Preliminarmente, con riferimenti ai doveri cui sono tenuti gli amministratori di una spa, si osserva che tali doveri di vigilanza ed intervento si esplicano, in particolare, mediante l’assunzione di informazioni sull’andamento degli affari sociali e sulle relative previsioni, nonché sul riscontro degli elementi autoevidenti in sede di esame della contabilità, in particolare in sede di redazione del bilancio in tale contesto, la giurisprudenza sostiene che può ritenersi tipicamente in violazione dell’obbligo di diligenza il comportamento degli amministratori che si siano disinteressati della gestione sociale demandandola di fatto a un componente del c.d.a., ovvero non abbiano rilevato gravi anomalie presenti nella contabilità, ovvero non abbiano rilevato il contrasto del bilancio con le risultanze contabili. Quale diligenza per gli amministratori? Proprio con riferimento al criterio di diligenza, il S.C. precisa che costituisce un canone standard di comportamento - basato sulla figura del buon padre di famiglia secondo quanto enunciato nell’art. 1176, comma 1, c.c. che tuttavia, può avere ad oggetto un contegno di valore ed impegno superiore, ove venga in considerazione il comma 2 della suddetta norma - al quale il debitore deve attenersi nell’adempimento dell’obbligazione nel caso dell’amministratore di società, detto canone è costruito intorno alla figura dell’amministratore normalmente diligente, la cui violazione può generare responsabilità a carico del medesimo, tenendo presente che, la responsabilità non ricade sul singolo in ragione del semplice fatto di far parte dell’organo amministrativo, essendo necessario che egli abbia partecipato all’atto che ha cagionato il danno, o che non abbia fatto quanto poteva per impedirne il compimento, attenuandone od eliminandone le conseguenze dannose. Iscrizione di crediti a bilancio civile e tributario a confronto. Come evidenziato nella massima – e ciò costituisce uno dei motivi di ricorso per Cassazione - l’art. 2426 c.c. impone agli amministratori di iscrivere la voce crediti al loro presumibile valore di realizzo, onde deve ritenersi legittima, in assenza di elementi obiettivi noti che facciano fondatamente ritenere la possibilità di non riscuotere l’intero importo dei crediti, l’iscrizione degli stessi al valore nominale tale considerazione è avvalorata dall’art. 66, comma 3, TUIR, secondo il quale non sono deducibili le perdite su crediti se non risultanti da elementi obiettivi certi e precisi ed in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Chiarezza del bilancio ed iscrizione di crediti nell’attivo. L’erroneità dell’iscrizione a bilancio di un credito si riflette anche sulla validità del bilancio di esercizio. Sul punto, in giurisprudenza è consolidato il principio per il quale il bilancio di esercizio di una società di capitali viola i precetti di chiarezza e precisione ex art. 2423 c.c. quando dal bilancio stesso e dagli allegati non sia desumibile l’insieme delle informazioni che devono essere fornite per ciascuna delle poste iscritte in particolare si determina l’illiceità del bilancio, quando in riferimento all’iscrizione in bilancio delle partecipazioni societarie, gli amministratori violano il principio di prudenza, attraverso valutazioni irragionevoli o evitando di fornire spiegazioni adeguate sui criteri valutativi. Crediti nell’attivo solo se certi. Presupposto essenziale per l’iscrizione di un credito in bilancio, infatti, è la sua sicura esistenza, non potendo invece essere iscritti crediti meramente eventuali dipendenti da pretese risarcitorie contestate Come valutare nel bilancio le azioni di società? Sempre nell’ambito delle modalità di iscrizione delle azioni di società. Sul punto, ai sensi dell’art. 2426 c.c., la valutazione delle azioni di società determina l’illiceità del bilancio e la nullità della relativa delibera di approvazione ogni qual volta gli amministratori, nell’esercizio del potere discrezionale loro attribuito dalla norma, violino il principio di prudenza, operando una valutazione macroscopicamente irragionevole, oppure non abbiano fornito né vi abbiano provveduto i sindaci nella loro relazione un’adeguata spiegazione dei criteri cui detta valutazione si è ispirata. In un caso, in particolare, il S.C. ha confermato la sentenza che aveva dichiarato la nullità della delibera di approvazione del bilancio in cui le azioni di società partecipata erano state iscritte ad un valore significativamente lontano da quello desumibile dal patrimonio netto e dal valore di mercato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 gennaio – 18 marzo 2015, n. 5450 Presidente Rordorf – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo La Corte d'appello di Milano con sentenza del 27 agosto 2008 ha respinto l'impugnazione avverso la pronuncia del Tribunale della stessa città del 25 novembre 2005, la quale aveva rigettato la domanda proposta da F. ed E.O. e G.S., già azionisti della F. C.F. s.p.a., contro detta società quotata ed i suoi amministratori e sindaci in carica dal 1997 al 1999, nonché contro la società di revisione C L s.p.a., volta alla condanna solidale dei medesimi al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 2395 c.c., nella misura di L. 3.978.389.000, loro cagionato da false informazioni sulla situazione patrimoniale della società nei bilanci e nelle comunicazioni al mercato negli anni 1997 1999, che li avevano indotti a convertire in azioni, a fine 1999, le obbligazioni sottoscritte in corso d'anno ed il cui valore era stato azzerato a causa delle imprevedibili perdite registrate nel bilancio d'esercizio 1999. La corte territoriale, nel confermare la decisione di rigetto di primo grado, ha ritenuto che le sole censure sufficientemente specifiche mosse dagli attori alle comunicazioni sociali della F. riguardassero la svalutazione dei crediti, operata nel bilancio 1999 in misura tanto più elevata rispetto ai due bilanci precedenti, tale da poter destare sospetto circa la correttezza di quanto riportato in detti bilanci peraltro, tale circostanza era giustificata dal fatto che nel 1999 la società aveva deciso di procedere alla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza, per ciò stesso dovendo scontare una loro significativa svalutazione. Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Resistono con controricorso F., i suoi amministratori e sindaci e la società di revisione. Le parti hanno, altresì, depositato le memorie di cui all'art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. I motivi. Il ricorso propone sei motivi, che denunziano 1 la violazione e falsa applicazione dell'art. 345, 3° comma, c.p.c., in relazione all'art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c., per avere la corte d'appello ritenuto inammissibile la produzione della perizia disposta dalla Procura di Roma nell'ambito di un diverso processo penale, con l'argomento che da essa solo elementi indiziari avrebbero potuto trarsi e, quindi, per ciò stesso fosse priva del requisito dell'indispensabilità di cui alla norma menzionata la quale, invece, ammette anche la distinta ipotesi della mancata tempestiva produzione per incolpevole impossibilità di provvedervi 2 l'insufficiente motivazione al riguardo, avendo la corte d'appello affermato potersi dalla perizia desumere meri argomenti indiziari, ma ciò senza esaminarla e senza considerare che essa contenendo l'accertamento della falsità dei bilanci di F. del 1997 e 1998 e l'inadeguatezza delle informazioni diffuse sul mercato prima del 2000 avrebbe anche potuto costituire l'elemento unico e decisivo del giudizio 3 l'insufficiente motivazione circa la veridicità e completezza delle informazioni relative alla situazione patrimoniale di F. fornite al mercato, in particolare nei bilanci 1997 e 1998, che, ove non avessero esposto dati non veritieri, ma le perdite effettive, non avrebbero indotto i signori O. a convertire tutte le loro obbligazioni in capitale di rischio laddove la sentenza impugnata si dilunga sulla veridicità del bilancio 1999, la quale non è in discussione, mentre non spiega come possa giustificarsi l'enorme divario tra le perdite di 33 e 25 miliardi dogli esercizi precedenti, e quella di oltre 900 per l'esercizio 1999 inoltre, la prova di tale falsità era già contenuta negli articoli giornalistici del II S., tempestivamente prodotti in atti, e nella sentenza del Tribunale di Roma n. 998/07, la quale motivava il non luogo a procedere nei confronti degli amministratori F. in ordine al reato di falso in bilancio per le scritture del 1999, in mancanza della prova della non corretta e non reale rappresentazione del rischio creditizio, a differenza che per i bilanci 1997 e 1998, ivi invece definiti dichiaratamente ed accertatamente falsi 4 la violazione e falsa applicazione degli art. 2 e 20 d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, 2423 e 2423 bis c.c., in quanto la sentenza impugnata nel considerare possibile, in vista della programmata operazione di cartolarizzazione dei crediti di F., un mutamento del criterio di valutazione dei crediti da quello del presumibile valore di realizzo nei bilanci 1997/1998 a quello del valore di mercato nel bilancio 1999, idoneo a condurre all'emersione di perdite di circa 900 miliardi ha omesso di rilevare come, invece, le menzionane disposizioni conoscano un unico criterio di valutazione dei crediti, cioè quello del presumibile valore di realizzazione, da calcolare semmai tenendo conto di quotazioni di mercato, dovendo in sostanza il valore dei crediti corrispondere idealmente al prezzo che un ipotetico compratore sarebbe disposto a pagare per il loro acquisto in sostanza, vi è tendenziale convergenza tra valore presumibile di realizzo e valore di mercato di un credito, la differenza ammessa essendo costituita dall'utile atteso dal compratore, e dunque mai irrazionalmente ingente. Detta interpretazione dell'art. 20 d.lgs. n. 87 del 1992 è la sola coerente con la Direttiva CE n. 86/635 sui conti annuali e consolidati delle banche ed istituti finanziari, cui il decreto ha dato attuazione ed il cui art. 37 rinvia per la valutazione dei crediti all'art. 39 Direttiva CE n. 78/66. Il presumibile valore di realizzo, tanto quanto la determinazione del prezzo di una cessione del credito pro-soluto, devono invero tenere conto dei medesimi indici, quali la sterilizzazione del rischio creditizio, i costi di gestione e l'attualizzazione degli oneri finanziari pluriennali. Corollario di quanto esposto è che, pertanto, ove i due valori si distacchino irragionevolmente, la prima stima dovrà considerarsi errata e non veritiera 5 in subordine al rigetto del precedente motivo, il vizio di contraddittoria motivazione, avendo la sentenza impugnata affermato, da un lato, che Le voci di bilancio devono essere iscritte secondo un valore non significativamente lontano da quello di mercato, dall'altro che, per la valutazione dei crediti, debba utilizzarsi il criterio del valore di mercato in presenza di offerte a fermo per la cessione di crediti, mentre, in mancanza di simili offerte, si applica il diverso criterio ordinario, che da tale valore di mercato prescinde 6 l'insufficiente motivazione della corte territoriale con riguardo all'affermazione secondo cui le informazioni rese al mercato da F. nel corso del 1999, ed in specie la semestrale di quell'anno, avrebbero già consentito di comprendere che la situazione patrimoniale della società era in via di peggioramento ed invece, la sentenza non avrebbe considerato che vi era stato un esorbitante incremento delle perdite, pari a circa trenta volte quello dei precedenti esercizi, e che articoli di stampa degli anni precedenti segnalavano piuttosto un miglioramento finanziario della società 7 l'omessa od insufficiente motivazione, afferente l'affermazione dell'impugnata sentenza secondo cui sarebbe stata l'aspettativa di una futura o.p.a. sulle azioni F. a spingere gli odierni ricorrenti a convertire le loro obbligazioni, prima, ed a conservare le azioni in portafoglio, poi, pur quando il peggioramento delle condizioni patrimoniali della società si era ormai pienamente manifestato. 2. La sentenza impugnata. La corte d'appello ha ritenuto che A quanto alla mancanza di informazioni sul dissesto, palesato solo nel bilancio 1999 i bilanci 1997-1998 e la situazione patrimoniale del primo semestre 1999 non contenevano altre voci specificamente contestate dai signori O., oltre quelle relative alla valutazione dei crediti peraltro essi già presentavano aspetti problematici, che investitori accorti non avrebbero potuto non cogliere, esponendo crediti in sofferenza, in incaglio ed altri crediti infatti, nonostante alcuni passaggi rassicuranti nella relazione sulla gestione nei bilanci 1997 e 1998, questi ultimi rappresentavano valori assoluti significativi, idonei ad offrire agli investitori pratici del mercato borsistico, come i signori O., un'informazione chiara e rilevante circa il grado di effettiva solidità economica del F., tanto da non tendere imprevedibili le ingenti perdite, che sarebbero poi state esposte nel bilancio 1999 ulteriori informazioni erano state disponibili nel corso del 1999, quale il disimpegno dei soci di riferimento Banca X s.p.a. ed U. s.p.a., come reso noto sin dal comunicato stampa del 30 luglio 1999, con riguardo all'intento di cedere la quota di capitale del 51,72% posseduta nello stesso comunicato stampa si dava atto di un preconsuntivo che esponeva una perdita intorno ai 90 miliardi di lire, mentre il comunicato del 16 settembre 1999 riferiva che nella situazione patrimoniale del primo semestre 1999 era prevista una perdita di 93,4 miliardi i comunicati stampa del 16 e del 17 gennaio 2000 informavano delle trattative per la suddetta dismissione della partecipazione con il gruppo M.S.D.W. nel contesto di un'o.p.a. preventiva, a causa del forte peso dei crediti di dubbio esito B quanto alla sopravvalutazione dei crediti nei bilanci 1997 e 1998 la produzione della consulenza tecnica disposta in sede penale non era ammissibile in appello ex art. 345 c.p.c., posto che da essa volevano trarsi elementi indiziari, come tali per definizione non indispensabili per la decisione la difformità delle valutazioni 1997/1998 e 1999 non implicava l'erroneità dell'una o dell'altra infatti, il principio di continuità dei bilanci ammette deroga quando, come nella specie, se ne dia adeguato conto nella relazione degli amministratori, ai sensi dell'art. 2423 bis, n. 6, c.c. ciò è avvenuto in ragione del progetto di cartolarizzazione dei crediti in sofferenza, con conseguente necessità di adeguare i valori di libro al prezzo di cessione pro soluto, che, come si esprimeva la relazione sulla gestione 1999, tiene conto della sterillzzazione del rischio creditizio e della attualizzazione degli oneri finanziari pluriennali e dei costi di gestione onde il presumibile valore di realizzo era stato determinato anche in base alle offerte a fermo fornite ci da primarie istituzioni creditizie internazionali , da cui le necessarie consistenti rettifiche di valore ed il pesante peggioramento del risultato d'esercizio in particolare, la relazione sulla gestione 1999 chiarisce che i crediti sono stati valutati al valore di presumibile realizzo, determinato tenendo conto di perizie, esperienze su tempi ed esito di procedure esecutive, possibili transazioni e politiche attive nella gestione del recupero dei crediti furono operate *rettifiche analitiche per L. 216 miliardi circa, con riguardo alla revisione di singoli crediti, ed ulteriori rettifiche forfetarie per L. 711 miliardi derivanti dalla progettata operazione dì cessione o di cartolarizzazione sui crediti dubbi In relazione al prezzo stimato di cessione pro-soluto in definitiva, la relazione sulla gestione, la relazione dei sindaci e quella della società di revisione ribadivano come la valutazione dei crediti non fosse stata il frutto di una stima discrezionale ed arbitraria, ma determinata sulla base delle offerte a fermo fornire da dette primarie istituzioni per i vari portafogli di crediti dubbi sofferenze, incagli, ristrutturati solo a fronte di tali offerte gli amministratori avevano potuto legittimamente iscrivere in bilancio dette voci dell'attivo patrimoniale ad un valore significativamente lontano da quello precedente, non prima le valutazioni anteriori erano ispirate a previsioni ordinarie, secondo i termini finali stabiliti e con riguardo alle prospettive di recupero diretto presso i debitori, mentre le valutazioni di cui al bilancio 1999 tenevano conto dell'effettivo ed attuale non soltanto presumibile — valore di realizzazione in vista di una immissione immediata di liquidità restava irrilevante che, come risultante dal bilancio successivo, non fosse poi stata perfezionata la cessione dei crediti ragionevolmente la particolare disciplina dell'o.p.a., che fissa un prezzo conveniente per i soci optanti, fu la ragione del mantenimento dei titoli da parte di questi e della scelta di convertire le obbligazioni in azioni trattandosi di domanda proposta ai sensi dell'art. 2395 c.c., non si discute della scelta gestionale di procedere alla cartolarizzazione dei crediti, ma unicamente delle valutazioni di bilancio operate dagli organi sociali, 3. Infondatezza dell'eccezione di Inammissibilità del ricorso. I controricorrenti F. e C. hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso, in quanto la decisione impugnata sarebbe sorretta da una duplice ratio decidendi, mentre i motivi di ricorso ne censurerebbero solo la prima. Affermano che la corte del merito ha argomentato, da un lato, con riguardo alla mancata prova della scorrettezza delle informazioni contabili addebitata ai convenuti e, dall'altro lato, circa il difetto di nesso causale tra la pretesa scorrettezza informativa e il danno lamentato dagli attori, i quali, pur avendo avuto a disposizione elementi sufficienti per capire che nel 1999 la situazione della società stava peggiorando, nondimeno avrebbero compiuto le loro scelte d'investimento basandosi su altre considerazioni, soprattutto legate all'aspettativa di una futura o.p.a. sulle azioni F. L'eccezione non ha pregio. È bensì vero che la sentenza impugnata, pur senza distinguere in modo netto tra il tema dell'illiceità della condotta e quello del nesso causale, in realtà li abbraccia entrambi e, tuttavia, i profili dedotti con il sesto e settimo motivo di ricorso attengono proprio alla seconda ratio deciderteli, in tal modo rendendolo ammissibile sotto il profilo menzionato. 4. Documenti nuovi in appello. Conviene esaminare congiuntamente i primi due motivi di ricorso, essendone evidente la connessione. Essi sono fondati. L'ellittica motivazione dell'impugnata sentenza sul punto afferma, da un lato, che, potendo trarsi meri elementi indiziari dalla perizia redatta per conto dell'ufficio del pubblico ministero in sede penale, difetterebbe per ciò stesso il requisito dell'indispensabilità della produzione, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. dall'altro lato, che dalla relazione peritale in questione non possono trarsi motivi nuovi e diversi da quelli fatti valere in appello , richiamando il disposto dell'art. 342 c.p.c. Sotto il primo profilo, la stringata motivazione sul punto resa dalla corte territoriale trascura, tuttavia, di considerare che per l'art. 345 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis, anche la causa non imputabile costituisce ragione di ammissibile produzione documentale nel corso del giudizio di secondo grado, anzi essendo proprio questa l'ipotesi meno opinabile, affondando le sue radici nell'istituto generale della rimessione in termini della parte incorsa in decadenze senza sua colpa cfr. Cass., sez. un., 20 aprile 2005, n. 8203, e successive . Sotto il secondo profilo, se la motivazione è autonomamente idonea ad escludere la richiesta produzione laddove si afferma che con quel documento la parte intendeva introdurre motivi nuovi rispetto ai motivi non proposti nell'atto d'impugnazione, tuttavia con essa la corte territoriale non ha ritenuto che il contenuto di detta relazione fosse per intero non congruo perché veicolante unicamente motivi nuovi, con la illogica conseguenza di sancire l'inammissibilità della produzione anche laddove non idonea ad introdurre alcun nuovo tema di indagine. 5. La valutazione dei crediti. Il terzo, quarto e quinto motivo possono essere trattati congiuntamente, vertendo sulla ritenuta mancata prova della falsità dei bilanci 1997 e 1998, dalla ricorrente allegata in ragione della dedotta sopravvalutazione dei crediti,, come tale capace dì influenzare le loro decisioni di investimento. È vero che il bilancio 1999, nel quale si evidenziarono ingentissime perdite, fu redatto previa variazione dei criteri di valutazione dei crediti ed è parimenti incontestato che tale variazione fu giustificata nella relazione sulla gestione con l'intento di cedere i crediti a terzi mediante un'operazione di cartolarizzazione ciò che si discute è, però, se questa fosse l'esclusiva ragione, o se, in verità, già nei bilanci precedenti la valutazione al corretto valore di realizzo avrebbe dovuto indipendentemente dalla programmata cessione far emergere le perdite che, se così fosse, allora la doverosa svalutazione dei crediti sin dai bilanci 1997 e 1998 avrebbe potuto scoraggiare i ricorrenti, secondo un principio di causalità ancorato al criterio dei più probabile che non , dalla scelta di conversione del capitale di debito in capitale di rischio operata in una serie di contratti nella seconda metà del 1999. 5.1. Il sindacato giudiziale sulle valutazioni di bilancio, secondo l'orientamento di questa Corte Cass. 4 aprile 2001, n. 4937 24 novembre 2000, n. 15189 3 settembre 1996, n. 8048, con riguardo al valore delle partecipazioni che si intende ora ribadire, deve tenere conto in particolare, quanto all'iscrizione in bilancio dei crediti della società, ai sensi dell'art. 2425, n. 6, c.c,, nel testo in vigore prima dell'emanazione del d.lgs. n. 127 del 1991, e poi dell'art. 2426, n. 8, c.c. del fatto che la relativa valutazione è idonea a determinare l'illiceità del bilancio se gli amministratori, nell'esercizio del potere discrezionale ad essi attribuito dalla legge nel determinare il presumibile valore di realizzo dei crediti concretizzando il concetto indeterminato previsto dalla norma, hanno violato il principio di prudenza, attraverso valutazioni irragionevoli o evitando di fornire spiegazioni adeguate sui criteri valutativi adottati. L'uso di detta discrezionalità non può che avvenire, dunque, secondo il canone generale della ragionevolezza della valutazione o svalutazione operata, completato da quello dell'idonea giustificazione discorsiva ed informativa avuto riferimento agli elementi di fatto che fondano la valutazione. Ed il criterio della ragionevolezza risulta particolarmente appropriato, attesa la natura di giudizio probabilistico. La verifica dell'eventuale violazione dei limiti di ragionevolezza, così come quella concernente la sufficiente enunciazione dei criteri di valutazione, è rimessa al giudice del merito ed il suo accertamento in ordine alla chiarezza ed alla precisione del bilancio ed alla prudenza nell'apprezzamento dei valori delle partecipazioni azionarie e dei crediti è insindacabile, se adeguatamente motivato. 5.2. I crediti devono essere iscritti in bilancio, ai sensi dell'art. 2426, n. 8, c.c., secondo il valore presumibile di realizzazione , con norma rimasta invariata dopo la novella del 2003. Per quanto riguarda il bilancio di società bancarie, provvede il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 87. Mentre l'art. 2 ripete il disposto dell'art. 2423 c.c, quanto all'obbligo di chiarezza, verità e correttezza rappresentativi ed alle deroghe ai criteri di legge per i casi eccezionali, al fine di fornire una rappresentazione veritiera e corretta, l'art. 20 detta prescrizioni specifiche con riguardo all'iscrizione dei crediti, stabilendo, al 4° comma, che i crediti sono valutati secondo il valore presumibile di realizzazione da calcolare, tenendo anche conto di quotazioni di mercato ove esistenti, in base a alla situazione di solvibilità dei debitori b alla situazione di difficoltà nel servizio del debito da parte dei Paesi di residenza dei debitori. / 5. Nel calcolo del valore presumibile di realizzazione di cui al comma precedente può inoltre tenersi conto di andamenti economici negativi riguardanti categorie omogenee di crediti. Le relative svalutazioni possono essere determinate, come quelle di cui alla lettera b del comma precedente, anche in modo forfettario il loro importo è indicato nella nota integrativa . Ha chiarito questa Corte Cass. 21 aprile 2011, n. 9218 23 giugno 2008, n. 17033 27 novembre 1982, n. 6431 che il criterio legale di valutazione dei crediti non attribuisce agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma implica una valutazione fondata sulla situazione concreta, secondo principi di razionalità ciò preclude l'iscrizione in bilancio non soltanto dei crediti semplicemente sperati, ma anche dei crediti certi, liquidi ed esigibili, qualora siano di dubbia o difficile esazione, i quali, in tal caso, non devono essere iscritti nel loro intero ammontare, bensì nella minore misura che secondo un prudente apprezzamento si presume di poter realizzare. Se, dunque, compete all'amministratore di esprimere una prognosi sulla solvibilità dei debitori alla stregua dei presupposti oggettivi predetti, compito del giudice è di verificare se tali presupposti di fatto siano stati correttamente individuati e possano fondare l'operata valutazione. 5.3. Il criterio prudenziale, sotteso alle norme ricordate e presente anche in altre disposizioni, prescinde dall'intento della società di cedere i crediti, essendo dettato in generale per la valutazione oggettiva dei medesimi, la quale potrebbe non corrispondere più al loro valore nominale. Occorre considerare, infatti, le caratteristiche dell'oggetto della valutazione, ossia il credito, bene suscettibile di godimento e di disposizione cfr, art. 832 c.c. , mediante esazione presso il debitore o cessione a terzi. In entrambe le prospettive peraltro rileva, in modo identico, un duplice fattore di valutazione da un lato, l'importo nominale, che è certo dall'altro, l'alea connessa al possibile inadempimento o al conseguimento di un prezzo di cessione inferiore al valore nominale predetto. Posto un credito di 100, in generale il debitore potrebbe adempiere pagando in toto l'importo corrispondente, oppure no, come ex post risulterà sulla base di un insieme di elementi non solo la somma capitale effettivamente versata, ma anche il tempo dell'adempimento, gli interessi corrisposti, i costi di esecuzione, la svalutazione sopravvenuta, ecc. , che occorre considerare ex ante al fine della valutazione di bilancio parimenti, la cessione del credito a terzi ex art. 1260 c.c. o mediante factoring o secondo la legge 30 aprile 1999, n. 130, sulla cartolarizzazione dei crediti potrebbe non prevedere, quale corrispettivo, un prezzo pari al valore nominale del credito ceduto, con una differenza stabilita essenzialmente in funzione delle aspettative di incasso esistenti a tale momento, oltre a dovere verosimilmente scontare anche il guadagno per il cessionario. In entrambe le future evenienze, ove si voglia apprezzare quel credito con valutazione ex ante, il valore nominale costituisce perciò soltanto un parametro, che dovrà essere prudenzialmente corretto con valutazione probabilistica, mediante un giudizio di prevedibilità formulato dagli amministratori con riguardo pur sempre alla condotta futura del debitore per tener conto, sulla base di una serie di dati oggettivi, degli eventuali rischi di insoddisfazione del credito che sono proprio quelli unitamente allo sconto per il guadagno del cessionario, entro un range ragionevole e, di per sé, non esorbitante capaci di influenzare anche il reale prezzo di cessione. In relazione a tali rischi di insoddisfazione, rilevano tutti i caratteri del credito, intesi come i dati significativi capaci di rivelare la probabilità di adempimento pieno qualità del debitore, importo, scadenza, garanzie, moneta di riferimento, esperienze pregresse, ma anche eventualmente condizioni economiche generali o di settore o del paese del debitore, ecc. , quali presupposti di fatto cui ancorare la corretta valutazione. Deve trattarsi, comunque, di caratteri del credito e lacere debitoria, non rilevando quanto attiene alla sfera giuridica del creditore. Si afferma che, laddove la cessione di crediti regolari ha lo scopo di finanziare l'impresa, invece la cessione a terzi dei crediti in sofferenza o, in generale, dubbi mira al window dressing del bilancio e viene usualmente attuata ad un prezzo anche sensibilmente inferiore al loro valore nominale ma ciò, appunto, perché null'altro le parti fanno, in tal caso, che valutarne l'esatto presumibile valore di realizzo. Inoltre, è noto che, per gli speculari profili tributari della questione concernenti la possibilità di detrarre le perdite in sede di determinazione del reddito d'impresa, l'amministrazione finanziaria ha facoltà di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di cessione di crediti, qualora poste in essere senza valide ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d'imposta art. 37 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 . Secondo il consolidato orientamento di questa Corte in tema di perdite su crediti conseguenti alla loro cessione a prezzo interiore a quello nominale, invero, il corrispettivo pattuito per la cessione di un credito non ha in sé alcun rilievo ai fini dell'accertamento dell'esistenza degli elementi certi e precisi richiesti dalla legge per la detrazione delle perdite, ove non si dimostri che esso corrisponde all'effettiva riduzione di valore reale del credito stesso, per la diminuzione della garanzia patrimoniale idonea ad impedire, ridurre od ostacolare la integrale ricuperabilità coattiva del credito in sostanza, i profili di certezza e precisione richiesti dall'art. 66 ora art. 101 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917 non riguardano, in riferimento alle ipotesi di perdite su crediti determinate da cessioni pro soluto, solo la perdita emergente dalla cessione in sé considerata, bensì gli elementi che, a monte, hanno indotto alla cessione medesima cfr. Cass. 24 Luglio 2014, n. 16823 6 ottobre 2011, n. 20450 12 aprile 2006, n. 8592 10 marzo 2006, n. 5357 23 maggio 2002, n. 7555 20 novembre 2001, n. 14568 11 dicembre 2000, n. 15563 , precisando che è onere del contribuente provare che la perdita risultante dalla cessione si era già verificata al momento della stessa Cass. 23 maggio 2002, n. 7555 . Ed il contenuto di tale onere si concreta con riferimento a situazioni tradizionalmente ricondotte alla dichiarazione di non poter adempiere, all'invio senza esito di intimazioni, diffide o precetti, al protesto dei titoli, alla mancanza di beni in proprietà del debitore, sino alla fuga o latitanza del debitore ed alla chiusura dei locali dell'impresa. In conclusione, sia per il creditore originario, che intenda ottenere l'adempimento dal suo debitore, sia per il creditore cessionario, ciò che rileva al fine di calcolo del valore del credito è essenzialmente il grado di probabilità di ottenere tempestiva e piena soddisfazione da parte del debitore. Non si giustifica quindi uno scostamento radicale dei criteri di valutazione, nelle due suddette prospettive. Deve perciò affermarsi che, a norma dell'art. 2426, n. 8, c.c. e dell'art. 20 d.lgs. n. 87 del 1982, la valutazione in bilancio dei crediti è richiesta dal legislatore pur esistendo, per definizione, un valore nominale espresso in termini certi in forza della natura stessa del bene, la quale comporta che la concretizzazione del suo valore d'uso , ma anche del suo valore di scambio , sia strettamente condizionata alla situazione patrimoniale ed economica del debitore e alla sua solvibilità, tenuto conto di tutti gli elementi del credito. Ne deriva che, nell'una e nell'altra prospettiva, la valutazione dei crediti deve avere come parametro detta solvibilità e non può ancorarsi soltanto alle offerte di acquisto da parte di terzi od a programmate operazioni di cartolarizzazione, le quali circostanze, se legittimano aggiustamenti della valutazione ai valori di realizzo per tenere conto dei costi complessivi di tali operazioni, tuttavia non possono condurre a rettifiche di valore esorbitanti, a meno che queste dipendano proprio dall'oggettivo valore dei crediti. Ove ciò avvenga, la motivazione dovrà soddisfare il criterio di ragionevolezza con argomenti particolarmente stringenti, impingendo in caso contrario nel sospetto dell'avvenuta, verosimile valorizzazione di quegli stessi elementi di fatto relativi alla realizzabilità dei credito, che sono il fondamento dei criteri redazionali da seguire nelle ordinarie valutazioni. 5.4. Resta da dire che il d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127 di attuazione delle direttive n. 78/660/CEE e 83/349/CEE in materia societaria ha introdotto nel codice civile l'art, 2423 bis, il quale al n. 6 ed al 2° comma dispone che nella redazione del bilancio i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro , salvo casi eccezionali e previa adeguata e stringente motivazione, mentre la violazione della norma rende nullo il bilancio Cass. 29 aprile 2004, n. 8204 . Nella specie, dunque, ove si assuma come nessuna delle parti contesta che il bilancio del 1999 è corretto, laddove ha operato l'enorme svalutazione, allora occorreva adeguata prova di elementi idonei a giustificare la valutazione piena nei due precedenti esercizi, posto che, come questa Corte ha da tempo chiarito cfr. la citata Cass. 3 settembre 1996, n. 8048 , quanto più in concreto una valutazione discrezionale si avvicini ai margini della ragionevolezza, tanto più bisogna che di essa venga data una motivazione puntuale ed esauriente . Non è sufficiente affermare che la stima del prezzo di cessione dei crediti è altra cosa rispetto alle valutazioni di realizzo perché tra dette valutazioni, riferite ad esercizi contigui, non è plausibile una divaricazione così macroscopica, se non in presenza di ben precise cause che la giustifichino e delle quali la corte del merito non ha dato adeguata spiegazione. La sentenza impugnata contiene sul punto, infatti, considerazioni scarsamente decisive, alla luce dei principi esposti. Accanto ai rilievi concernenti la correttezza del bilancio di esercizio 1999, che non era in questione, essa in sostanza si limita a giustificare la ben più elevata valutazione dei crediti nei bilanci 1997 e 1998 rispetto al bilancio successivo con la sopravvenuta decisione di cartolarizzarli e con una conseguente, ma non persuasiva, per quanto sopra precisato, distinzione tra il pregresso presumibile valore di realizzo ed il successivo valore di mercato di detti crediti. Aggiunge la sentenza che non vi sarebbe stata ragione di svalutare ulteriormente i crediti nei bilanci precedenti, perché essi erano corredati da garanzie ipotecarie ma non spiega come mai la presenza di tali garanzie non abbia poi impedito la fortissima riduzione dei valore di mercato dei medesimi crediti nel bilancio 1998. Né, infine, si fa carico delle documentate dichiarazioni dell'amministratore di F. , richiamate in ricorso, secondo cui la suddetta riduzione di valore dei crediti era dipesa dalla necessità di presentare un bilancio più attendibile ai nuovi azionisti di riferimento circostanza, questa, che non equivale però, come invece sembrano adombrare le difese di alcuni dei controricorrenti, al venir meno del presupposto della continuità aziendale, che giustificherebbe la radicale modifica nel criterio di stima dei crediti sembrando, d'altronde, arduo condividere l'impostazione secondo cui la presenza dei precedenti azionisti di riferimento di F. avrebbe, di per sé, giustificato la maggior valutazione dei crediti nei bilanci pregressi, onde l'ipotizzata uscita dalla società di contro avrebbe dovuto portare alla loro svalutazione nel bilancio 1999 laddove semmai poteva predicarsene un'influenza sul valore del titolo azionario, non dei crediti nel patrimonio sociale . Proprio perché oggetto della cessione erano i crediti dubbi , cioè sofferenze, incagli, ristrutturati , come asserisce la relazione al bilancio 1999, ne deriva logicamente che le stesse ragioni, le quali in quell'esercizio avevano indotto a prendere in esame la decisione di cartolarizzazione e svalutare radicalmente i crediti, avrebbero dovuto fondare l'analoga prognosi negativa circa il realizzo dei medesimi almeno nell'esercizio precedente e la conseguente svalutazione di essi. Ma così non è avvenuto, senza che sia logicamente convincente la motivazione della sentenza laddove ha escluso la pari condizione di quei crediti come aventi lo status di sofferenze, incagli, ristrutturati già nei bilanci 1997 e 1998. 6. Il sesto motivo è fondato. Basta, al riguardo, rilevare come un conto è osservare che la semestrale del 1999 aveva fatto emergere un peggioramento della situazione di passività già registrata nei bilanci dei due anni precedenti, altro conto è affermare che fosse prevedibile un peggioramento così grave quale quello emerso nel bilancio del 1999, tale da azzerare il capitale sociale e da nullificare il valore delle azioni derivanti dall'attuata conversione obbligazionaria. Al riguardo, l'impugnata sentenza non si fa carico di rispondere alle considerazioni, formulate dai ricorrenti nelle loro difese già in appello, a proposito della documentata sorpresa che anche la stampa specializzata dell'epoca aveva manifestato per quell'improvviso crack. Né è immune da vizi logici ritenere che, se vi erano comunque notizie aliunde circa alcune difficoltà e situazioni di F., allora sarebbe diventato irrilevante quanto in senso rassicurante poteva emergere dai bilanci 1997 e 1998 e ciò perché non vi è dubbio come il bilancio costituisce la fonte principe delle informazioni sulla situazione economica e patrimoniale di una società di capitali, avendo, in particolare per le quotate, la funzione primaria di servire agli investitori attuali e potenziali , ai finanziatori, ai dipendenti, ai terzi in generale per orientare il loro processo decisionale. 7. Il settimo motivo è fondato. Rileva il Collegio che le considerazioni poste a base della motivazione dell'impugnata sentenza sul punto sono alquanto assiomatiche, ben potendo sul piano logico coesistere l'aspettativa dell'o.p.a. e l'intento speculativo ascritto agli attori, da un lato, con, dall'altro lato, l'errata convinzione in loro indotta dalle scorrette informazioni di bilancio circa la situazione patrimoniale della società nelle cui obbligazioni convertibili avevano investito il proprio denaro quanto, poi, alla scelta di tenere in portafoglio le azioni rivenienti dalla conversione pur dopo l'emergere della crisi patrimoniale della società, ciò che era da valutare è se essa possa integrare una concausa del danno o addirittura una esclusiva del medesimo art. 1227, 1° comma, c.c. ma, su questa alternativa, la corte territoriale nulla dice. 8. In conclusione, il ricorso va accolto, con rinvio della causa innanzi alla Corte d'appello di Milano, che in diversa composizione, alla stregua dei principi e rilievi sopra enunciati, verificherà se la valucazione dei crediti nei bilanci 1997 e 1998 sia giustificabile secondo le norme relative alla redazione del bilancio, in particolare accertando se le ragioni storico-giuridiche per procedere alla svalutazione dei crediti come operata nel 1999 sussistessero già nei bilanci precedenti. Alla corte territoriale si demanda pure la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione.