No all’eccezione d’inadempimento, l’appaltante deve pagare i lavori eseguiti

Il caso deciso dalla sentenza in commento si presta, per le sue peculiarità, ad alcune considerazioni in tema di eccezione per inadempimento. Nello specifico, si tratta di stabilire se, in un contratto di appalto di opere pubbliche, a seguito del fallimento dell’appaltatore, l’appaltante possa o meno rifiutarsi di procedere al pagamento dei lavori eseguiti opponendo l’eccezione d’inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c

E, i giudici della Prima sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 4616 depositata il 6 marzo 2015 risolvono negativamente la quaestio precisando che, intervenuto lo scioglimento del contratto di appalto, anche di opera pubblica, per effetto della dichiarazione di fallimento dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 81 l. fall., l’appaltante non può rifiutarsi di procedere al pagamento dei lavori eseguiti opponendo l’eccezione d’inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c Il fatto. La curatela di una s.p.a. chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Palermo decreto ingiuntivo per i lavori eseguiti dalla società stessa prima della dichiarazione del fallimento nei confronti dell’appaltante, nella specie, l’Assessorato regionale siciliano alla cooperazione. Quest’ultimo proponeva quindi opposizione al decreto stesso, precisando di aver già corrisposto alla società in bonis una determinata somma di denaro, come pattuito nella convenzione stipulata con l’appaltatore, nonché la prima rata di acconto, mentre aveva omesso di versare la seconda rata a causa di gravi irregolarità nell’esecuzione dell’appalto da parte della predetta società segnalate, peraltro, dalla commissione di collaudo. Tali irregolarità avevano prodotto un rilevantissimo danno economico per l’Amministrazione quantificabile in una somma almeno pari al costo delle opere già comprese nella convenzione. Di conseguenza, l’Amministrazione eccepiva di essersi correttamente rifiutata di adempire al pagamento in applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum e proponeva anche domanda riconvenzionale di risarcimento del danno. Il giudice di prime cure dichiarava, con sentenza non definitiva, improcedibile la domanda riconvenzionale, che andava proposta mediante insinuazione al passivo fallimentare quindi, con la sentenza definitiva, accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo, che revocava. Anche la Corte d’appello di Palermo, adita dalla curatela soccombente con impugnazione della sentenza definitiva, confermava la decisione di primo grado. In particolare il giudice di seconde cure , accogliendo l’eccezione d’inadempimento sollevata dall’Amministrazione, osservava che tal eccezione non era necessariamente correlata alla conservazione del contratto, ma, traendo fondamento dalla interdipendenza delle reciproche obbligazioni delle parti contrattuali, consentiva al contraente, che non avesse ottenuto la prestazione di cui aveva di diritto, di rifiutare quella di cui era debitore. Avverso quest’ultima decisione la curatela proponeva ricorso per cassazione prospettando sette motivi di doglianza, cui resisteva con controricorso l’Amministrazione intimata. E gli Ermellini accolgono in parte il ricorso chiarendo che l’art. 1460 c.c. prevede non già l’estinzione, bensì soltanto la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, in presenza di un inadempimento della controparte, nella prospettiva dell’esecuzione del contratto, alla quale l’eccezione serve appunto di stimolo. E, nello specifico, lo scioglimento dell’appalto, anche di opera pubblica, per la dichiarazione di fallimento dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 81 l. fall., ha efficacia ex nunc , fa salvi, cioè, gli effetti contrattuali già prodottisi, e dunque all’appaltatore – e per esso al curatore fallimentare – spetta il corrispettivo maturato per le opere eseguite. In relazione alla censura accolta la sentenza viene cassata e rinviata alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione. Inadimplenti non est adimplendum. L’art. 1460, comma 1, c.c. stabilisce che nei contratti con prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto ed il secondo comma soggiunge che l’esecuzione non può essere rifiutata se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede. Si tratta di un’eccezione che non è finalizzata alla risoluzione, bensì a prevenire il rischio dell’inadempimento, e che viene a legittimare una sorta di diritto di non collaborazione, destinato a protrarsi finché perdura l’inadempimento della controparte. Perciò essa viene spesso riassunta nel brocardo inadimplenti non est adimplendum . La sospensione della prestazione della parte non inadempiente, non già l’estinzione. L’eccezione costituisce uno dei pochi casi di autotutela, e determina la legittimità della sospensione dell’esecuzione della prestazione da parte del contraente non inadempiente fino a quando costui non adempia la propria obbligazione. Sul punto, la parte motiva della sentenza in commento afferma che l’art. 1460 c.c. prevede infatti non già l’estinzione, bensì soltanto la sospensione della prestazione della parte non inadempiente. L’estinzione dell’obbligazione della parte non inadempiente, su sua richiesta, rientra nel diverso istituto della risoluzione contrattuale, che all’occorrenza la parte può domandare o provocare, ex artt. 1453 ss. c.c. Cass., n. 14597/2005 . Proprio perché si è in presenza di una mera sospensione, chi eccepisce l’inadempienza altrui non è liberato dalla propria obbligazione, né la sua obbligazione può qualificarsi inesigibile. In altre parole, ci si trova di fronte ad un mero rifiuto di adempimento, costituente però legittima reazione al contegno della controparte conseguentemente, l’eccezione è idonea a contrastare le azioni di adempimento, di esecuzione in forma specifica, di risoluzione del contratto, e più in generale ogni azione che l’altro contraente possa avviare contro l’eccipiente in forza del suo inadempimento. Sul piano processuale, è solo la parte a poter far valere il rimedio in parola, non competendo al giudice alcun potere di iniziativa in argomento. Lo scioglimento dell’appalto di opera pubblica, per il fallimento dell’appaltatore, ex art. 81 l. fall L’art. 81, l. fall. dispone che il fallimento di uno dei contraenti determina lo scioglimento ipso iure del contratto di appalto fra privati, senza operare alcuna distinzione fra appalti di lavori e di servizi. Tale evenienza determina lo scioglimento del contratto salvo che il curatore fallimentare eserciti la facoltà di subentrare nel rapporto. Nel caso degli appalti pubblici le norme di settore non disciplinano l’ipotesi del fallimento dell’appaltatore ad essi, quindi, si applica ancora l’art. 81, l. fall., con la precisazione che, in questo caso, allo scioglimento del contratto non si accompagna la possibilità del curatore di optare per la prosecuzione del rapporto. Tale orientamento, largamente condiviso in dottrina, trova conferma nella giurisprudenza che, in più occasioni, ha stabilito come, ex art. 81, l. fall., il contratto di appalto di opere pubbliche si sciolga ope legis per effetto del fallimento dell’appaltatore, facendo salvi gli effetti contrattuali già prodottisi e dunque all’appaltatore e per esso al curatore fallimentare spetta il corrispettivo per le opere eseguite Cass, n. 21411/2013 , salvo il risarcimento degli eventuali danni conseguenti – come dedotto nella specie dall’Amministrazione committente – al ritardo o al non corretto adempimento dell’appaltatore stesso. In conclusione, una volta che il contratto si sia sciolto, l’art. 1460 c.c. non può dunque essere invocato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 novembre 2014 – 6 marzo 2015, n. 4616 Presidente Ceccherini – Relatore De Chiara Svolgimento del processo Il Curatore del fallimento SIRAP Siciliana Incentivazioni Reali Attività Produttive s.p.a., premesso di avere stipulato con l'Assessorato Regionale Siciliano alla Cooperazione, Commercio, Artigianato e Pesca due convenzioni, dell'11 luglio 1988 e 18 gennaio 1991, per la realizzazione di un insediamento artigianale attrezzato in omissis , chiese ed ottenne dal Presidente del Tribunale di Palermo decreto ingiuntivo nei confronti dell'Assessorato per il pagamento di 2.376.494.620, oltre interessi, a titolo di corrispettivo di lavori eseguiti prima della dichiarazione di fallimento - risalente al 2 ottobre 1993 - mediante appalto conferito dalla SIRAP a un'associazione temporanea di imprese. L'Assessorato propose opposizione, osservando di avere già corrisposto alla società in bonis la somma di L. 4.380.000.000, a titolo di previste anticipazioni del 5 % e 10 %, nonché di prima rata di acconto del 20 % dell'importo della convenzione, e che aveva invece omesso di versare la seconda rata di acconto del 20 % a causa di gravi irregolarità nell'esecuzione dell'appalto da parte della SIRAP segnalate dalla commissione di collaudo ed emerse nel corso delle due visite effettuate dalla medesima al cantiere il che aveva prodotto un rilevantissimo danno economico per l'Amministrazione, quantificabile in una somma almeno pari al costo delle opere già comprese nella convenzione, che la SIRAP non aveva realizzato sinché era stata in bonis e che aveva dichiarato formalmente di non potere o volere realizzare. Eccepì, pertanto, di essersi correttamente rifiutato di adempiere in applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum e propose anche domanda riconvenzionale di risarcimento del danno. Il Tribunale dichiarò, con sentenza non definitiva, improcedibile la domanda riconvenzionale, che andava proposta mediante insinuazione al passivo fallimentare quindi, con la sentenza definitiva, accolse l'opposizione al decreto ingiuntivo, che revocò, e respinse la domanda della curatela. Qualificato il rapporto tra le parti come concessione di sola costruzione di opera pubblica, assimilabile all'appalto, il Tribunale ritenne il rapporto medesimo sciolto per effetto della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 81 legge fallim. con applicazione delle regole degli appalti di opere pubbliche e, in particolare, di quella secondo cui soltanto il collaudo e l'approvazione dell'opera da parte della stazione appaltante - nella specie invece mancanti - consente all'appaltatore di adire il giudice per la soddisfazione delle proprie pretese. La Corte d'appello di Palermo, adita dalla curatela soccombente con impugnazione della sentenza definitiva, ha confermato la decisione di primo grado, sia pure con diversa motivazione. Ha infatti ritenuto non necessario il collaudo, versandosi in fattispecie di scioglimento anticipato del rapporto, ma ha accolto l'eccezione d'inadempimento sollevata dall'Amministrazione, osservando che tale eccezione non è necessariamente correlata alla conservazione del contratto, ma, traendo fondamento dalla interdipendenza delle reciproche obbligazioni delle parti contrattuali, consente al contraente, che non abbia ottenuto la prestazione cui ha diritto, di rifiutare quella di cui è debitore. Gli inadempimenti denunciati dall'Amministrazione appellata ed accertati dalla Corte consistevano nella violazione della prescrizione di eseguire le indagini geognostiche e le verifiche geotecniche prima, e non dopo, il conferimento dell'appalto all'associazione temporanea di imprese che aveva eseguito i lavori , il che aveva comportato la necessità di varianti in corso d'opera che avevano fatto lievitare i costi e ritardare notevolmente l'esecuzione dei lavori, poi sospesi nel corso del mese di maggio 1993 - allorché risultava eseguito soltanto il 60 % delle previsioni progettuali - a seguito dell'arresto del direttore dei lavori stessi nell'ambito di indagini penali che avevano rivelato un'illecita gestione del rapporto concessorio da parte dei funzionari della SIRAP. La curatela ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi di censura, cui l'Amministrazione intimata ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia ultrapetizione perché l'eccezione d'inadempimento non era stata riproposta dall'Amministrazione nel giudizio di secondo grado con appello incidentale o, quantomeno, con espresso inserimento nelle conclusioni rassegnate dall'Amministrazione stessa. 1.1. - Il motivo è infondato. La comparsa di risposta dell'Amministrazione appellata contiene, infatti, ampia illustrazione dell'eccezione di cui trattasi e tanto basta, non essendo necessaria alcun'altra formalità, quale, in particolare, l'espressa enunciazione dell'eccezione nelle conclusioni dell'atto. Tantomeno era necessario, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., l'appello incidentale. 2. - Il secondo, il terzo e il settimo motivo, tra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente. Con il secondo motivo si censura l'accoglimento dell'eccezione d'inadempimento, osservando che essa è incompatibile con l'avvenuto scioglimento del contratto, perché è funzionale al rafforzamento del vincolo contrattuale stimolando all'adempimento la parte inadempiente. Con il terzo motivo si osserva che, a seguito dello scioglimento del rapporto di appalto per il fallimento dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 81 legge fallim., il curatore ha diritto, anche in applicazione dell'art. 1672 c.c., al pagamento degli acconti pattuiti maturati prima del fallimento in relazione alla parte di opera già eseguita che l'amministrazione appaltante inadempiente alla propria obbligazione di pagamento non può fondatamente avvalersi dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c. che comunque, essendo diversi i termini previsti per l'adempimento delle reciproche prestazioni delle parti, l'Amministrazione avrebbe potuto sollevare detta eccezione soltanto ove avesse dedotto il pericolo di perdere la controprestazione. Con il settimo motivo si afferma che la Corte d'appello avrebbe dovuto accertare e quantificare il credito della SIRAP nonostante l'eccezione d'inadempimento avversaria. 2.1. - La complessiva censura risultante da tali motivi è fondata in base alla assorbenti considerazioni che seguono. La Corte d'appello ha respinto - in accoglimento dell'eccezione d'inadempimento dell'Assessorato - la domanda di pagamento del corrispettivo dei lavori non già perché questi ultimi non fossero stati eseguiti, bensì perché erano stati eseguiti, in sostanza, con colpevole ritardo, aumento dei costi e conseguente danno per l'Amministrazione committente. Quest'ultima, però, non poteva opporre l'eccezione d'inadempimento, in forza della quale la domanda della curatela è stata respinta. L'art. 1460 c.c., che disciplina tale eccezione, prevede infatti non già l'estinzione, bensì soltanto la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, in presenza di un inadempimento della controparte, nella prospettiva dell'esecuzione del contratto, alla quale l'eccezione serve appunto di stimolo l'estinzione dell'obbligazione della parte non inadempiente, su sua richiesta, rientra nel diverso istituto della risoluzione contrattuale, che all'occorrenza la parte può provocare o domandare ai sensi degli artt. 1453 e ss. cc. cfr. Cass. 2923/1986 e 14597/2005, in motivaz. . Una volta che il contratto si sia sciolto, per qualsiasi causa, l'art. 1460 c.c. non può dunque essere invocato e trovano, invece, applicazione le norme che disciplinano gli effetti dello scioglimento. Nel caso in esame, secondo l'incensurata statuizione dei giudici di merito, il contratto - pacificamente disciplinato secondo le regole dell'appalto di opera pubblica - si era sciolto per effetto della dichiarazione di fallimento della SIRAP. Lo scioglimento dell'appalto, anche di opera pubblica, per la dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 81 legge fallim., ha efficacia ex nunc , fa salvi, cioè, gli effetti contrattuali già prodottisi, e dunque all'appaltatore - e per esso al curatore fallimentare - spetta il corrispettivo maturato per le opere eseguite cfr. Cass. 21411/2013, 5112/1994, 3529/1980 , salvo ovviamente il risarcimento degli eventuali danni conseguenti - come dedotto nella specie dall'Amministrazione committente - al ritardo o al non corretto adempimento dell'appaltatore stesso. Ha pertanto errato la Corte d'appello nel negare il diritto della SIRAP al corrispettivo in accoglimento dell'eccezione d'inadempimento dell'Assessorato. 3. - Restano in ciò assorbiti il quarto motivo con cui si deduce che l'Amministrazione aveva perso il diritto ad opporre l'accezione d'inadempimento, avendo proceduto senza rilievi a pagamenti in corso d'opera in favore della società concessionaria prima della dichiarazione del fallimento , il quinto con cui si deduce l'improponibilità dell'eccezione d'inadempimento, mai sollevata nel corso del rapporto, nei confronti delle curatela del fallimento della concessionaria e il sesto con cui si censura l'accertamento dell'inadempimento della SIRAP a proposito delle indagini geognostiche e verifiche geotecniche e delle varianti in corso d'opera del ricorso. 4. - La sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al seguente principio di diritto intervenuto lo scioglimento del contratto di appalto, anche di opera pubblica, per effetto della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 81 legge fallim., l'appaltante non può rifiutarsi di procedere al pagamento dei lavori eseguiti opponendo l'eccezione d'inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie nei sensi di cui in motivazione il secondo, il terzo e il settimo e dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.