E’ ammessa la compensazione col credito non dichiarato dalla banca nel pignoramento presso terzi

La fattispecie oggetto di esame da parte dell’odierno giudice della legittimità riguarda l’ammissibilità o meno in una procedura fallimentare della compensazione legale in favore della banca tra i saldi attivi e passivi di più rapporti intestati al cliente debitore.

Nello specifico, si tratta di stabilire se un istituto di credito possa o meno eccepire i propri crediti in compensazione del debito verso il correntista, anche se ne aveva taciuto l’esistenza in una precedente dichiarazione di scienza resa, ex art. 547 c.p.c., durante una procedura di pignoramento poi dichiarata improcedibile a causa del fallimento del debitore. E, i giudici della Prima sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 4380 depositata il 4 marzo 2015 affermano che, in tema di pignoramento individuale presso terzi di somma depositata su conto corrente bancario, non è precluso al terzo che abbia reso la dichiarazione positiva ex art. 547 c.p.c. nel procedimento espropriativo, in seguito dichiarato improcedibile per il sopravvenuto fallimento del debitore, di eccepire, nel giudizio ordinario intrapreso dal fallimento in luogo del debitore per il pagamento del saldo del conto corrente, la compensazione con riguardo al credito vantato dalla banca verso il fallimento in forza di un distinto rapporto di conto corrente, ai sensi dell’art. 56 l. fall Il fatto. Il Fallimento di una s.r.l. proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che, in riforma della decisione del giudice di prime cure , aveva respinto la domanda del fallimento stesso, volta alla condanna di un istituto di credito al pagamento di un’ingente somma di denaro. Nella vicenda in esame la Corte territoriale aveva ritenuta fondata l’eccezione di compensazione legale, sollevata dalla banca con riguardo all’esistenza di altri conti a saldo passivo di maggiore importo intestati al Fallimento. In particolare, la Corte d’appello di Roma aveva giudicato priva di pregio l’argomentazione del giudice di prime cure , il quale, nel reputare inammissibile la predetta eccezione, aveva attribuito rilevanza preclusiva alla mancata opposizione dell’eccezione in sede di riconoscimento del debito operato dall’istituto di credito, ex art. 547 c.p.c., nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi intrapreso da un creditore con riguardo ad un credito di minore ammontare, procedimento in seguito dichiarato improcedibile per il fallimento del debitore. La stessa corte territoriale aveva pertanto ritenuto applicabile l’art. 1853 c.c., trattandosi di reciproci crediti derivanti da distinti rapporti di conto corrente bancario e l’art. 56 l. fall., attesa l’anteriorità dei crediti della banca rispetto alla dichiarazione di fallimento. E, gli Ermellini, confermando la corretta applicazione del principio di diritto da parte della Corte territoriale, rigettano in toto i 5 motivi di censura fatti valere in sede di legittimità dal fallimento. In particolare, i Supremi Giudici, richiamando un grand arrêt delle Sezioni Unite Sez. Un., n. 775/1999 , ribadiscono che l’art. 56 l. fall. deroga al principio della par condicio , permettendo al creditore di soddisfarsi per intero, quando sia anche debitore del fallimento. Non rileva il momento in cui l’effetto compensativo si produce, ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte ciò che rileva è l’accertamento del momento in cui sussisteva il controcredito, anche qualora non fosse liquido o esigibile. La compensazione legale tra i debiti e i crediti della banca nei confronti del fallito. L’art. 56 l. fall., applicazione in sede fallimentare dell’art. 1853 c.c., consente la compensazione legale tra i debiti della banca verso il fallito con i crediti vantati sempre dalla banca nei confronti del fallito. I crediti e i debiti reciproci sono compensabili, anche se i crediti non siano ancora scaduti in applicazione dell’art. 55, comma 2, l. fall., la cui applicazione trova 2 limiti il primo costituito dalla autonomia dei crediti e debiti reciproci e il secondo dalla preesistenza al fallimento di tali debiti e crediti. La ratio della norma, chiaramente ispirata a criteri equitativi, è quella di evitare che il creditore in bonis da una parte debba pagare per intero un proprio debito al fallito e, dall’altra sia tenuto ad insinuare il proprio credito al passivo per essere pagato solo in moneta fallimentare. In tal senso l’istituto, consentendo al creditore di essere soddisfatto integralmente sfuggendo al concorso, costituisce una significativa deroga al principio della par condicio creditorum. Il ruolo del terzo quale mero ausiliare di giustizia. L’espropriazione presso terzi è l’espropriazione forzata che ha per oggetto beni mobili del debitore che sono in possesso di terzi o crediti del debitore presso terzi. Si tratta quindi di un’espropriazione di crediti che il debitore ha verso terzi o di un’espropriazione di mobili in possesso del terzo e di cui il debitore escusso non abbia la diretta disponibilità. Parti necessarie sono il creditore procedente ed il debitore, parti in senso sostanziale e processuale rispettivamente attiva e passiva. Il terzo, invece, è coinvolto nel processo in veste di mero ausiliare di giustizia, ai fini della identificazione e conservazione del bene aggredito. Tale impostazione implica, tra l’altro, che non occorre contro il terzo un apposito titolo esecutivo e che la dichiarazione resa ai sensi dell’art. 547 c.p.c. non possa essergli addebitata come fonte di responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., ma solo come illecito aquiliano, ex art. 2043 c.c Sul punto, nel decisum in commento si rimanda ad un non lontano arresto delle Sezioni Unite datato n. 9407/1987 che hanno ritenuto come, in ipotesi di dichiarazione reticente che abbia favorito il debitore arrecando pregiudizio al creditore istante, a carico del terzo sussiste non la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c. dato che egli, al momento di quella dichiarazione, non ha ancora la qualità di parte , ma la responsabilità per illecito aquiliano, in relazione alla lesione del credito altrui per il ritardo nel conseguimento del soddisfacimento provocato con quel comportamento doloso o colposo, avendo violato il dovere di collaborazione nell’interesse della giustizia quale ausiliario del giudice. Il valore della dichiarazione del terzo, ex art. 547 c.p.c Il terzo presso il quale si trova il bene dell’esecutato si deve presentare in udienza e fare la propria dichiarazione e, non essendo parte in causa, ut supra, e come viene chiarito dalla giurisprudenza costante di legittimità Cass., n. 18352/2005 , potrà renderla anche per mezzo di un mandatario speciale o di un difensore munito di procura speciale o stare in giudizio senza la presenza di un difensore. Con la dichiarazione resa all’udienza o, nei casi previsti, a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente, il terzo deve specificare di quali somme è debitor debitoris e di quali cose è in possesso e quando ne deve eseguire la consegna o il pagamento l’esistenza di fatti estintivi del credito pignorato e dare notizia delle cessioni e dei sequestri che gli sono stati notificati. La dichiarazione è un elemento integrativo del pignoramento, in quanto senza di essa quest’ultimo non si perfeziona. In dottrina si è affermato che la dichiarazione del terzo non costituirebbe un vero e proprio obbligo. Si ritiene si tratti in ogni caso di un onere in senso tecnico in relazione alla dichiarazione dei fatti impeditivi ed estintivi del credito occorsi anteriormente alla notifica dell’atto di pignoramento. Qualora non denunciati nella dichiarazione de qua , invero, tali fatti non sarebbero più opponibili in pregiudizio del creditore pignorante se non nei limiti della rilevabilità di un vizio della dichiarazione idoneo a causarne la revoca. Una dichiarazione di debito quale atto tipico endoprocessuale. Tuttavia, nel decisum che qui ci occupa, si chiarisce che tale dichiarazione di scienza, quale atto tipico endoprocessuale, non preclude al terzo, ove il procedimento esecutivo si estingua per qualsiasi ragione, di eccepire la compensazione nei suoi rapporti diretti con il debitore principale. La banca, nel caso de quo , difatti, in occasione della dichiarazione di terzo, ex art. 547 c.p.c., aveva omesso di rendere nota la sussistenza di un proprio controcredito di maggiore importo, derivante da altri conti correnti facenti capo al medesimo debitore, ciononostante, non è in seguito precluso all’istituto di credito medesimo, eccepire la compensazione, sebbene il procedimento espropriativo non sia mai pervenuto al decreto di assegnazione a causa di sopraggiunto fallimento e per tale ragione sia stato dichiarato improcedibile.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 27 novembre 2014 – 4 marzo 2015, n. 4380 Presidente Ceccherini – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo Il Fallimento della Solaria '84 s.r.l. propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma che, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda del fallimento, volta alla condanna della B.N.L. s.p.a. al pagamento della somma di Euro 280.231,26, oltre interessi. La corte territoriale ha ritenuto fondata l'eccezione di compensazione legale, sollevata dalla banca con riguardo all'esistenza di altri conti a saldo passivo di maggiore importo. In particolare, ha giudicato priva di pregio l'argomentazione del tribunale, il quale, nel reputare inammissibile l'eccezione, aveva attribuito rilevanza preclusiva alla mancata opposizione dell'eccezione in sede di riconoscimento del predetto debito operato dalla banca, ai sensi dell'art. 547 c.p.c., nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi intrapreso da un creditore con riguardo ad un credito di minore ammontare, procedimento in seguito dichiarato improcedibile per il fallimento del debitore. Ha, quindi, ritenuto applicabile l'art. 1853 c.c., trattandosi di reciproci crediti derivanti da distinti rapporti di conto corrente bancario, e l'art. 56 l.f., attesa l'anteriorità dei crediti della banca rispetto alla dichiarazione di fallimento del 14 luglio 1999. La B.N.L. s.p.a. ha depositato controricorso ed una memoria. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, la ricorrente deduce il vizio di motivazione, in tutti i suoi aspetti, per avere la sentenza impugnata omesso di motivare sulle ragioni per le quali il riconoscimento di debito da parte della banca nella dichiarazione ex art. 547 c.p.c. e la mancata dichiarazione di compensazione sarebbero privi di valenza. Con il secondo motivo, censura la violazione dell'art. 112 c.p.c., per mancata considerazione delle controeccezioni del fallimento, il quale aveva, a fronte dell'avversa eccezione di compensazione, sottolineato le conseguenze della dichiarazione positiva della banca nel procedimento espropriativo e la sua natura confessoria, nonché il vincolo derivante dall'essere dette somme tenute dalla banca a disposizione di giustizia, la mancata dichiarazione di estinzione per compensazione nel detto procedimento ex art. 547 c.p.c., il vincolo di indisponibilità del credito, il divieto di azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento. Con il terzo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 1988 c.c., 543, 546 e 547 c.p.c., avendo la corte territoriale dichiarato l'intervenuta compensazione tra il credito della società per saldo di conto corrente ed il credito della banca per i saldi passivi di altri due conti correnti, limitando la portata della ricognizione di debito del terzo pignorato ai suoi rapporti diretti con il creditore pignorante ed escludendone invece l'efficacia per il debitore assoggettato ad esecuzione. Con il quarto motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli art. 543, 546 e 547 c.p.c., 2917, 1241 ss., 1853 cc e 56 l.f., in quanto l'eccezione di compensazione non poteva più essere opposta efficacemente ai creditori della sua debitrice dopo l'udienza di cui all'art. 547 c.p.c Con il quinto motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 51 l.f., perché il vincolo di indisponibilità del credito che si produce con la notificazione dell'atto di pignoramento presso terzi genera l'inopponibilità al creditore di qualsiasi fatto sopravvenuto, e, se il debitore esecutato è dichiarato fallito dopo la notificazione stessa, tale inopponibilità va riferita alla massa fallimentare. 2. - Il primo motivo è inammissibile, essendo privo del momento di sintesi ex art. 366 bis c.p.c 3. - Il secondo motivo, oltre che presentare quesiti generici ai limiti dell'inammissibilità, è infondato, avendo la corte d'appello espressamente rigettato le eccezioni del fallimento. 4. - Gli ultimi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono infondati. Essi pongono la questione se, intrapreso dal creditore individuale procedimento di espropriazione presso terzi con riguardo alle somme depositate dal debitore su conto corrente bancario - conclusosi con decreto di improcedibilità per sopravvenuto fallimento del debitore - allorché peraltro la banca, in occasione della dichiarazione di terzo ex art. 547 c.p.c., abbia omesso di rendere nota la sussistenza di un proprio controcredito di maggiore importo, derivante da altri conti correnti facenti capo al medesimo debitore, sia in seguito precluso alla stessa, richiesta del pagamento di quel saldo attivo da parte del fallimento del suddetto debitore, eccepire la compensazione, sebbene il procedimento espropriativo non sia mai pervenuto al decreto di assegnazione a causa del sopraggiunto fallimento e per tale ragione sia stato dichiarato improcedibile. La questione proposta - cui il Collegio reputa di dare risposta negativa - richiede l'individuazione di alcuni caratteri del procedimento di espropriazione presso terzi. 4.1. - Secondo il principio enunciato più volte da questa Corte, il pignoramento presso terzi costituisce una fattispecie complessa, la quale si perfeziona con la dichiarazione positiva del terzo o con l'accertamento giudiziale del credito di cui all'art. 549 c.p.c. , fornendo essa al giudice dell'esecuzione le informazioni necessarie per provvederne all'assegnazione al pignorante Cass. 9 marzo 2011, n. 5529 27 gennaio 2009, n. 1949 15 luglio 1972, n. 2443 . La dichiarazione positiva del terzo come l'accertamento compiuto giudizialmente , pertanto, completa l'oggetto dell'espropriazione, che, ai fini esecutivi, è in tal modo definitivamente fissato il pignoramento è l'atto con cui s'individuano e si conservano i diritti del debitore sottoposti ad espropriazione. In particolare, nel pignoramento dei crediti l'accertamento dell'appartenenza del credito si atteggia in modi peculiari, dal momento che a differenza che di quella del bene nell'espropriazione mobiliare, che si trovi presso il debitore, e della trascrizione dell'immobile nei registri immobiliari , nella procedura esecutiva presso terzi altrettanti sintomi di appartenenza immediati non sono riscontrabili. È stato, invero, chiarito che qui soccorrono strumenti di verifica dell'appartenenza, che possono essere interni al processo esecutivo come la dichiarazione con la quale il terzo specifica di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso, ex art. 541, primo comma, c.p.c. , o esterni ad esso, costituiti da un processo di cognizione volto all'accertamento di una convenzionale ed esteriore appartenenza del credito al debitore esecutato artt. 548 e 549 del codice di rito Cass. 6 novembre 2002, n. 15549 . In ipotesi di esito normale del processo di espropriazione presso terzi, allorché questi renda la dichiarazione positiva, segue infine l'ordinanza di assegnazione. L'oggetto del pignoramento, come sopra accertato, è quindi l'oggetto dell'ordinanza di assegnazione del credito, la quale dovrà essere emessa nei limiti dell'accertamento sull'oggetto così compiuto Cass. 6 novembre 2002, n. 15549 e costituisce l'atto conclusivo del procedimento di espropriazione forzata presso terzi, il quale determina il trasferimento del credito dal debitore esecutato al suo creditore Cass. 26 agosto 1997, n. 8013 12 ottobre 1995, n. 10626 20 novembre 1990, n. 11195 . L'ordinanza di assegnazione conclude il processo e comporta il trasferimento del credito, anche se avviene pro solvendo. Nei confronti del terzo, il provvedimento di assegnazione peraltro non vale a renderlo esecutato, avendo esso il medesimo effetto che avrebbe una cessione negoziale del credito e l'ordinanza, con la quale il giudice dell'esecuzione, su istanza di assegnazione del creditore procedente, qualifica la dichiarazione resa dal terzo come positiva ed emette il provvedimento di assegnazione, è assunta nell'ambito dell'attività esecutiva e non di quella di accertamento del credito in altri termini, l'ordinanza di assegnazione contiene un accertamento che si esaurisce in ambito esecutivo cfr., tra le altre, Cass. 20 novembre 2012, n. 20310 18 maggio 2009, n. 11404 16 maggio 2005, n. 10180 8 aprile 2003, n. 5510 . 4.2. - Più in particolare, è stato chiarito dalla giurisprudenza costante di legittimità che nel processo di esecuzione forzata con espropriazione presso terzi sono parti necessarie solo i creditori ed il debitore esecutato, mentre il terzo pignorato non è il soggetto passivo dell'esecuzione, restando estraneo ad essa in quanto chiamato unicamente a rendere la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c. e multis, Cass. 16 settembre 2005, n. 18352 8 agosto 2003, n. 11976 23 aprile 2003, n. 6432 6 luglio 2001, n. 9215 20 febbraio 2001, n. 2465 10 settembre 1998, n. 8966 1 febbraio 1988, n. 905 13 gennaio 1983, n. 249 . Il pignoramento nelle forme di cui agli art. 543 ss. c.p.c. si realizza pur in mancanza di un titolo esecutivo verso il debitor debitoris, che non si trova in una condizione in cui tamquam pro condemnato habetur. Se destinatario degli effetti passivi del titolo è il debitore esecutato, il terzo è coinvolto solo di riflesso per la sua qualità di debitore del debitore, ovvero per il suo dovere di prestazione verso il titolare del credito. È per tale ragione che, ad esempio, le Sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto come, in ipotesi di dichiarazione reticente che abbia favorito il debitore arrecando pregiudizio al creditore istante, a carico del terzo sussiste non la responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. dato che egli, al momento di quella dichiarazione, non ha ancora la qualità di parte , ma la responsabilità per illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., in relazione alla lesione del credito altrui per il ritardo nel conseguimento del soddisfacimento provocato con quel comportamento doloso o colposo, avendo violato il dovere di collaborazione nell'interesse della giustizia quale ausiliario del giudice Cass., sez. un., 18 dicembre 1987, n. 9407 . 4.3. - Il nuovo art. 107, 6 comma, l.f. in vigore dal 16 luglio 2006 nel testo derivante dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 dispone che, se alla data di dichiarazione di fallimento siano pendenti procedure esecutive, il curatore può subentrarvi ma, in mancanza, il giudice dell'esecuzione dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione. Ciò rende inequivoca l'alternativa tra prosecuzione della procedura esecutiva e cessazione della stessa. All'epoca dei fatti di causa, invece, la norma prevedeva che il curatore si sostituisse al creditore istante e ciò per le sole procedure immobiliari. Al riguardo, si era ritenuto per tutte, Cass. 19 luglio 1999, n. 7661 che per le espropriazioni immobiliari in corso si deve parlare di una improseguibilità da parte del creditore procedente e di una proseguibilità, rimessa ad una scelta discrezionale, da parte del curatore. L'azione proseguita è, tuttavia, proprio quella iniziata dal singolo creditore, sia pure con le modificazioni indotte dall'apertura del concorso di tutti i creditori . Mentre, poi, il venir meno della legittimazione del curatore alla prosecuzione dell'azione esecutiva pendente ne provoca il riacquisto in capo ai creditori, i quali possono riprendere l'azione dal punto al quale era giunto il curatore Cass. 19 luglio 1999, n. 7661, cit. il fondamento del principio va individuato nell'incontestabile opportunità di risparmiare tempo e di utilizzare le attività processuali complesse e dispendiose già poste in essere, prima, per l'instaurazione della procedura esecutiva individuale e, poi, per la prosecuzione della stessa da parte del fallimento . Sebbene una sentenza non recente abbia esteso regola alle procedure esecutive mobiliari con riguardo all'inefficacia della vendita di un bene mobile pignorato effettuata dal debitore in pendenza della procedura di espropriazione ed anteriormente alla dichiarazione di fallimento Cass. 29 marzo 1969, n. 1040 , non è questo il caso di specie. Infatti, nella presente controversia nessuna delle parti afferma, né la circostanza è in alcun modo indicata nella sentenza impugnata, che il curatore abbia esercitato la facoltà di subentrare nella procedura esecutiva in corso, ma le parti deducono che la procedura esecutiva presso terzi si è conclusa con dichiarazione di improcedibilità. 4.4. - È ora necessario occuparsi della qualificazione e del valore della dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c Essa appartiene alla fase esecutiva, non introducendo la citazione del terzo, con l'invito a rendere la dichiarazione, un processo di cognizione nei suoi confronti. Secondo una risalente pronuncia della Corte, la dichiarazione del terzo si pone come figura atipica del processo esecutivo Cass. 30 maggio 1963, n. 1426 . Reputa il collegio che essa consista in una dichiarazione di debito, quale atto tipico endoprocessuale, avente natura di dichiarazione di scienza e funzione complementare al pignoramento. Autorevole dottrina lo paragonava ad una esibizione ideale del terzo actio ad exibendum e con questa l'analogia in effetti sussiste quanto all'obbligo del terzo di adempiere, a fini di giustizia, alla richiesta di informazioni sulla sua posizione verso il debitore che gli viene rivolta actio ad declarandum . Del resto, questa Corte ha più volte ragionato del dovere di collaborazione del terzo nell'interesse della giustizia quale ausiliario del giudice Cass., sez. un., 18 dicembre 1987, n. 9407 più di recente, Cass. 16 settembre 2008, n. 23727 . Ove dunque il terzo debitor debitoris, nel rendere la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c., renda noto il proprio credito compensabile con il credito del debitore esecutato, ciò non integra un'eccezione di compensazione in senso proprio, in quanto non si tratta di un giudizio di cognizione, il terzo non è parte in causa ed egli adempie ad un mero obbligo di giustizia. In ipotesi, poi, di estinzione del processo esecutivo, dispone l'art. 632 c.p.c. che, se essa si verifica prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, rende inefficaci gli atti compiuti. Pertanto, dovendosi alla dichiarazione positiva del terzo attribuire la natura di dichiarazione di scienza quale atto tipico endoprocessuale, essa non preclude al terzo, ove il procedimento esecutivo si estingua per qualsiasi ragione, di eccepire la compensazione nei suoi rapporti diretti con il debitore principale. In caso di fallimento, in particolare, l'art. 56 l.f. stabilisce la facoltà per i creditori di compensare i crediti che vantano verso il fallito ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento . La norma, in tal modo, ha ampliato l'ordinaria facoltà di compensazione ai crediti non liquidi o esigibili, ma esistenti, dando la giurisprudenza da una interpretazione estensiva dell'art. 56 l.f., in linea con una esigenza di equità, essendosi affermato Cass., sez. un., 16 novembre 1999, n. 775 che l'art. 56 l.f. deroga al principio della par condicio, permettendo al creditore di soddisfarsi per intero, quando sia anche debitore del fallimento. Non rileva il momento in cui l'effetto compensativo si produce, ferma restando l'esigenza dell'anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte ciò che rileva è l'accertamento del momento in cui sussisteva il controcredito, anche qualora non fosse liquido o esigibile Cass. 7 giugno 2013, n. 14418 31 agosto 2010, n. 18915 27 aprile 2010, n. 10025 . 4.5. - In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto In tema di pignoramento individuale presso terzi di somma depositata su conto corrente bancario, non è precluso al terzo che abbia reso la dichiarazione positiva ex art. 547 c.p.c. nel procedimento espropriativo, in seguito dichiarato improcedibile per il sopravvenuto fallimento del debitore, di eccepire, nel giudizio ordinario intrapreso dal fallimento in luogo del debitore per il pagamento del saldo del conto corrente, la compensazione con riguardo al credito vantato dalla banca verso il fallimento in forza di un distinto rapporto di conto corrente, ai sensi dell'art. 56 l.f. . 4.6. - La sentenza impugnata, che ha fatto applicazione di questo principio, non merita dunque le censure proposte. 5. - La sostanziale novità della questione trattata giustifica la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero le spese del giudizio di legittimità.