Nessuna contraffazione del marchio “Valentino” per il logo simile, ma facilmente distinguibile

Non è, infatti, consentito ad un’impresa titolare di un marchio anche se marchio forte di vietare ad un’altra l’uso di un marchio similare ma non confondibile, quando resti immutata la capacità distintiva dei suoi prodotti rispetto a quelli dell’altra impresa.

Questa la decisione della Corte di Cassazione presa con la sentenza n. 3118, depositata il 17 febbraio 2015. Il fatto. La Valentino spa - titolare del marchio consistente nella lettera V” inserita in una figura geometrica, per prodotti vari nel settore dell’abbigliamento ed accessori, firmati dallo stilista Valentino Garavani, citava in giudizio la Florence Fashion Jersey Ltd, la quale aveva ottenuto la registrazione del marchio consistente in una lettera V” stilizzata inserita in un ovale costituito da una lettera G”, utilizzato dalla Giovanni Valentino a Milano srl per contraddistinguere analoghi prodotti – e chiedeva al tribunale adito di dichiarare la nullità del marchio da esse utilizzato per difetto del requisito della novità, di accertarne la contraffazione, di inibirne l’utilizzazione e di emettere i provvedimenti consequenziali, nonché di accertarne la concorrenza sleale e di condannare le predette società al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Milano rigettava le domande, così come la Corte d’appello rigettava il successivo gravame. Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la Valentino spa. La qualificazione del marchio anteriore. I motivi del ricorso proposti, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono ritenuti infondati dal Collegio. Quest’ultimo, infatti, ricorda come l’apprezzamento sulla confondibilità tra segni distintivi similari è riservato al Giudice di merito, le cui valutazioni si sottraggono al controllo di legittimità se sono adeguatamente motivate. La premessa logica di tale apprezzamento è la qualificazione del marchio anteriore come forte o debole. La Corte d’appello ha qualificato il marchio della Valentina spa, di cui è chiesta la tutela, come forte, la ricorrente non ha, però, censurato tale qualificazione, dunque, non può essere messa in dubbio dai Giudici di legittimità. Quando la contraffazione è imputabile al marchio successivo? Sul punto, il Collegio riporta quanto noto, e cioè che per i marchi forti la contraffazione imputabile al marchio successivo e similare non viene meno non solo quando le varianti o modificazioni siano lievi, ma neppure quando siano consistenti e rilevanti, sempreché vi sia appropriazione dell’identità sostanziale ovvero del nucleo ideologico espressivo che caratterizza l’attitudine individualizzante di quello anteriore . Ciò vuol dire che quando, per effetto delle varianti o modificazioni, il nucleo ideologico espressivo che è proprio del marchio anteriore resti impregiudicato e cioè non confondibile con il secondo, la tutela del primo si arresta, non essendo consentito ad un’impresa titolare di un marchio anche se marchio forte di vietare ad un’altra l’uso di un marchio similare ma non confondibile, quando resti immutata la capacità distintiva dei suoi prodotti rispetto a quelli dell’altra impresa. Diversa composizione del marchio successivo. Ciò è avvenuto nel caso di specie, dove la Corte territoriale ha accertato che il marchio registrato dalla Florence Fashion Jersey era caratterizzato da una diversa composizione che lo rende del tutto differente rispetto al logo della società ricorrente e, quindi, distinguibile in una valutazione globale e sintetica, avendo riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi e alla normale capacità percettiva di un consumatore medio che, quando di lusso come nel caso in esme , è una clientela verosimilmente selezionata ed avveduta. Il ragionamento seguito dai Giudici di merito appare, pertanto, coerente con le indicazioni della giurisprudenza, e con il principio secondo il quale non è possibile presumere la confusione per il solo fatto dell’esistenza di un rischio di associazione tra i segni . La Corte d’appello, infatti, svolgendo un giudizio di fatto adeguatamente motivato, ha escluso la confondibilità all’esito di una comparazione dei segni globale ed astratta svolgendo, tra l’altro, un esame del certificato di protezione del marchio, impraticabile, tra l’altro, in sede di legittimità . Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 dicembre 2014 – 17 febbraio 2015, n. 3118 Presidente Forte – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo Con citazione notificata il 24 maggio 2002, la Valentino spa - premesso che era titolare del marchio n. 370035, registrato su domanda del 26 aprile 1979 e regolarmente rinnovato, consistente nella lettera V inserita in una figura geometrica, per prodotti vari appartenenti a sedici classi merceologiche, nel settore dell'abbigliamento ed accessori, firmati dal celebre stilista Ga.Va. , e che la Florence Fashion Jersey Ltd aveva ottenuto, in data 14 maggio 1998, la registrazione del marchio n. , consistente in una lettera V stilizzata inserita in un ovale costituito da una lettera G , utilizzato dalla G.V. a Milano s.r.l. per contraddistinguere analoghi prodotti - conveniva in giudizio le predette società e chiedeva di dichiarare la nullità del marchio da esse utilizzato per difetto del requisito della novità, di accertarne la contraffazione, di inibirne l'utilizzazione e di emettere i provvedimenti consequenziali, nonché di accertare la concorrenza sleale e di condannarle al risarcimento dei danni. Nel contraddittorio con le società convenute e con G.V. che spiegava intervento adesivo, il Tribunale di Milano rigettava le domande. Il gravame della Valentino spa è stato rigettato dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza 8 settembre 2010. La corte ha condiviso la valutazione del primo giudice che aveva qualificato il logo V dell'attrice come marchio forte, perché frutto di fantasia e in quanto tale dotato di una maggiore incisività della tutela rispetto ai marchi deboli, ma aveva escluso ugualmente la confondibilità all'esito di una valutazione non analitica, come contestato dall'appellante, ma globale e sintetica delle caratteristiche grafiche e di forma dei due marchi, avuto riguardo ai loro nuclei espressivi e ideologici, in ragione delle differenze che li rendevano distinguibili. Valentino spa ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi, cui si oppongono la Florence Fashion Jersey Ltd e N.A. , in qualità di erede di G.V. . Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 47, comma 1, lett. a e 17, lett. b ed e , del r.d. 21 giugno 1942 m. 929 e, attualmente, degli artt. 25, comma 1, lett. a , e 12 del d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 c.p.i. , per avere erroneamente applicato il principio, pur correttamente enunciato, secondo cui la tutela del marchio forte implica l'illegittimità delle variazioni anche rilevanti ed originali che - come nella specie, secondo la ricorrente - lascino sussistere l'identità sostanziale del nucleo espressivo e caratterizzante del marchio anteriore e per avere compiuto il giudizio di confondibilità in concreto, anziché in astratto. Infatti la corte del merito non avrebbe considerato che tale nucleo era costituito da una lettera V inserita in una figura geometrica, allo stesso modo in cui un'analoga lettera V era inserita nel marchio registrato dalla Florence Fashion, non rilevando l'esistenza di una minima diversità grafica il primo con un'apertura verso l'alto, il secondo con un'apertura in alto verso destra, somigliante ad una G che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, non identificava l'acronimo dello stilista G.V. , sicché rimaneva intatto il rischio di confusione tra i consumatori per la somiglianza dei segni riferiti ai medesimi generi merceologici. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1, comma 1, lett. b , del r.d. n. 929/1942 art. 20, comma 1, lett. b, del d. lg. n. 30/2005 per avere erroneamente valutato il rischio confusorio in concreto anziché in astratto, avuto riguardo alla somiglianza dei segni, entrambi di fantasia e utilizzati per contraddistinguere prodotti dello stesso genere merceologico, a prescindere dall'uso e dalla possibilità delle convenute di avvalersene, in un determinato momento storico, come segno identificativo delle iniziali G e V dello stilista G.V. . Nel terzo motivo è dedotto vizio di motivazione su un punto decisivo, per avere ritenuto erroneamente che il nucleo ideologico ed espressivo del marchio GV conservasse intatto il significato indicativo delle iniziali dello stilista G.V. e che non vi fosse rischio di confusione poiché il pubblico era in grado di decodificare i due segni riferiti entrambi a noti stilisti il primo a Ga.Va. e il secondo a G.V. . La corte del merito non avrebbe considerato che il nucleo espressivo e concettuale dei due marchi sarebbe unico e costituito dalla lettera V iniziale di V. disegnata in modo quasi identico in entrambi i segni, che vi sarebbe un enorme divario di notorietà tra i due stilisti, che non sarebbero stati indicati gli elementi dimostrativi della notorietà di G.V. e che il pubblico potrebbe essere indotto a credere che la lettera V inserita in una G indichi le iniziali di Ga.Va. . I predetti motivi, inscindibilmente connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati. L'apprezzamento sulla confondibilità tra segni distintivi similari è riservato al giudice di merito, le cui valutazioni si sottraggono al controllo di legittimità se adeguatamente motivate v. Cass. n. 4405/2006, n. 13592/1999 . La premessa logica di siffatto apprezzamento è la qualificazione - rilevante ai fini dell'intensità della tutela - del marchio anteriore come forte o debole. Quello della Valentino spa, di cui è chiesta tutela, è stato qualificato dalla corte del merito come forte tale qualificazione non è stata censurata e, quindi, non può essere messa in dubbio neppure è stata posta in dubbio la validità del medesimo marchio in quanto avente come contenuto la rappresentazione grafica di una lettera dell'alfabeto, alla luce degli artt. 16 del. r.d. n. 929/1942 sostituito dal d. lgs. 4 dicembre 1992 n. 480 e 7 c.p.i. che includono le lettere tra i segni suscettibili di registrazione, purché idonei a svolgere una funzione distintiva dei prodotti e dei servizi di un'impresa v. Cass. n. 14684/2007 , com’è indiscusso nel caso del marchio dell'attrice. È noto che per i marchi forti la contraffazione imputabile al marchio successivo e similare non viene meno non solo quando le varianti o modificazioni siano lievi, ma neppure quando siano consistenti e rilevanti, sempreché vi sia appropriazione dell'identità sostanziale ovvero del nucleo ideologico espressivo che caratterizza l'attitudine individualizzante di quello anteriore v. Cass. n. 1906/2010, n. 14787/2007, n. 18920/2004 . Ciò significa che quando, per effetto delle varianti o modificazioni, il nucleo ideologico espressivo che è proprio del marchio anteriore resti impregiudicato e cioè non confondibile con il secondo, la tutela del primo si arresta, non essendo consentito ad un'impresa titolare di un marchio anche se forte di vietare ad un'altra l'uso di un marchio similare ma non confondibile, quando resti immutata la capacità distintiva dei suoi prodotti rispetto a quelli dell'altra impresa. È quanto accaduto nel caso in esame. La corte d'appello, con razionale e adeguato giudizio di fatto, ha accertato che il marchio registrato dalla Florence Fashion Jersey era caratterizzato da una diversa composizione che lo rende del tutto differente rispetto al logo della società attrice e, quindi, distinguibile non solo in una valutazione analitica ma anche e soprattutto in una valutazione globale e sintetica , avendo riguardo all'insieme degli elementi salienti grafici e visivi e alla normale capacità percettiva di un consumatore medio del genere di prodotti di cui si tratta che, quando - come nella specie - di lusso, è una clientela verosimilmente selezionata e avveduta. Questo giudizio è coerente con le indicazioni della giurisprudenza v. Cass. n. 4405/2006 sull'apprezzamento della confondibilità in via sintetica e globale e con il principio secondo cui non è possibile presumere la confusione per il solo fatto dell'esistenza di un rischio di associazione tra i segni v. Cass. n. 21086/2005 . La ricorrente, verosimilmente al fine di paralizzare la possibile obiezione secondo cui il titolare di un marchio consistente nella rappresentazione grafica di una o più lettere dell'alfabeto non può ottenere la protezione nei confronti dell'imprenditore concorrente che utilizzi le stesse lettere dell'alfabeto ove sussistano anche lievi modifiche o aggiunte v. Cass. n. 9827/1994 , ritiene che i giudici di merito avrebbero dato eccessivo peso all'origine del marchio posteriore come sigla dello stilista G.V. . È questa una censura che richiederebbe un esame impraticabile nel giudizio di legittimità del certificato di protezione del marchio e che è rivolta ad un giudizio di fatto adeguatamente motivato dai giudici di merito, i quali hanno escluso la confondibilità all'esito di una comparazione dei segni in via globale e astratta. Inoltre, il riferimento alle iniziali di G.V. come identificativo del marchio contestato era giustificato poiché la domanda da esaminare era stata proposta nei confronti della società G.V. a Milano srl licenziataria di quel marchio in un giudizio in cui G.V. era intervenuto ad adiuvandum in proprio. Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 2598 c.c., 112 e 115 c.p.c. e vizio di motivazione, per avere operato un confronto dei marchi per come descritti nei certificati di protezione, senza riferimenti a come essi appaiono sui rispettivi prodotti, esame che sarebbe stato essenziale per giudicare sull'autonoma domanda di concorrenza sleale che presupponeva l'esame del concreto impatto visivo dei marchi apposti sui prodotti. Il motivo è infondato. Avendo l'attrice proposto la domanda di concorrenza sleale in via dipendente da quella di violazione del marchio registrato, il giudizio della corte d'appello ritenuto assorbito l'ulteriore profilo di censura concernente la concorrenza sleale è una logica conseguenza del giudizio negativo sulla confondibilità tra i marchi. In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in Euro 10200,00, di cui Euro 10000,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.