Può essere dichiarata fallita l’impresa che non versa in modo continuativo l’IVA

La società che non versa in modo sistematico l’IVA può essere dichiarata fallita senza che sia necessario attendere il versamento dell’acconto di dicembre, che rappresenta il momento in cui il reato si manifesta.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2824 del 12 febbraio 2015, ha affermato che una società, che in modo sistematico non versa l’IVA entro il 16 del mese o del trimestre successivo, può essere dichiarata fallita. Il caso. La Corte d'appello in riforma della sentenza del Tribunale del gennaio 2007, avevo revocato la sentenza dello stesso Tribunale che dichiarava il fallimento di un imprenditore titolare di una ditta individuale. Il fallimento era stato dichiarato su istanza del P.M. sulla base dell'annotazione giudiziaria dell'Agenzia delle Dogane, pervenuta durante le indagini preliminari a carico dell’imprenditore, secondo cui questi, nell'attività di commercio autoveicoli, acquistava da fornitori intracomunitari aventi sede nella Comunità europea in regime di non imponibilità Iva e rivendeva in Italia, per lo più ad autosaloni, per un prezzo leggermente maggiorato comprensivo di IVA, che, esposta nelle fatture ed annotata nei registri IVA vendite, non veniva mai versata in sede di liquidazione mensile, così evadendo l'IVA in modo intenzionale e sistematico il debito IVA accertato dall’Agenzia delle Dogane ammontava a oltre 2milioni di euro. L’imprenditore sosteneva, nella tesi difensiva a fronte della contestazione del reato di omesso versamento IVA, che il termine per la presentazione annuale dell'IVA non era scaduto, e che l'articolo 13, comma 1, d.lgs. n. 472/97, afferma che in caso di omesso tardivo o insufficiente versamento dell'imposta derivante da liquidazioni periodiche, dall'acconto o dalla dichiarazione annuale, prevede la semplice irrogazione di sanzione amministrativa. Per i giudici del merito di secondo grado l'insolvenza era stata ritenuta esclusivamente in via induttiva sulla base dell'annotazione penale dell’Agenzia delle Dogane, secondo cui l’imprenditore effettuava la rivendita degli autoveicoli con sotto-fatturazione, ovvero praticando un prezzo di cessione inferiore a quello di acquisto, tale comunque da non consentire, in assenza di frodi, un minimo margine di guadagno, indispensabile per un' attività commerciale non indirizzata al fallimento, ed al vantaggio fiscale costruito per gli acquirenti, che pagavano un prezzo apparentemente comprensivo di IVA, corrispondeva il sorgere del debito della stessa natura in capo all’imprenditore. Nei confronti dell’imprenditore, tuttavia, la contestazione riguardava un debito che, in ogni caso, non era stato ancora formalmente né accertato né dichiarato i giudici della Corte di appello avevano, pertanto, accolto le motivazioni dell’imprenditore. Avverso tale sentenza il Pubblico Ministero è ricorso in Cassazione. Nuova fattispecie delittuosa diretta a sanzionare l'omesso versamento dell'IVA dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale. Il ricorso del Pubblico Ministero è fondato la Corte di Cassazione evidenzia che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che, in mancanza della dichiarazione annuale IVA da parte del contribuente, i cui termini non erano ancora scaduti alla data della sentenza di fallimento, o di un accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria, non potesse ritenersi sussistente la pretesa tributaria e quindi l'insolvenza. Va evidenziato che, l'articolo 35, comma 7, d.l. n. 223/06, convertito in legge n. 248/2006, mediante l'inserimento degli artt. 10- ter e 10- quater nel d.lgs. n. 74/2000, integra il sistema delle sanzioni tributarie penali, introducendo 2 fattispecie delittuose riferite all'omesso versamento dell'IVA e all'utilizzazione in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, ove l'ammontare ecceda 50mila euro per ciascun periodo d'imposta. In particolare, l'articolo 10- ter del citato d.lgs. n. 74/2000 , ha introdotto una nuova fattispecie delittuosa diretta a sanzionare l'omesso versamento dell'IVA dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale. A tale nuova fattispecie è estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente articolo 10- bis , secondo cui È punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 50mila euro per ciascun periodo d'imposta . Il comportamento del soggetto che non versa l'IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è, quindi, assimilato dal legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto d'imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Considerato che il predetto articolo 10- ter stabilisce che La disposizione di cui all'articolo 10- bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l'imposta sul valore aggiunto , occorre che l'omesso versamento superi l'importo di cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta. Il momento consumativo” del reato è individuato dal citato articolo 10- ter nell'omesso versamento dell'IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo . In proposito si ricorda che l'articolo 6, comma 2, Legge n. 405/1990 stabilisce che l'acconto IVA va versato entro il giorno 27 del mese di dicembre. Conseguentemente, per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l'omissione del versamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione, si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento. La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, rileva che l'articolo 6, d.p.r. n. 633/1972, al comma 5, prevede che L'imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti e l'imposta è versata con le modalità e nei termini stabiliti dal titolo secondo , che prevede la liquidazione mensile, alla quale la ditta fallita era tenuta, o trimestrale nel caso di soggetti con ridotto volume d'affari. Impresa dichiarata fallita. Per gli acquisti intracomunitari, l'articolo 6, d.p.r. n. 633/1972, va integrato con gli artt. 38 e 39 d.l. n. 331/1993, convertito nella legge n. 427/1993, secondo i quali detti acquisti si considerano compiuti, e quindi dovuta l'imposta, con la consegna del bene nel territorio dello Stato al cessionario o a terzi per suo conto, o in caso di trasporto con mezzi del cessionario, nel momento di arrivo nel luogo di destinazione nel territorio stesso. Per i giudici di legittimità la normativa IVA, pertanto, prevede il sorgere del debito d'imposta nel momento in cui l'operazione imponibile si considera effettuata e ne dispone il pagamento entro il giorno 16 del mese o del trimestre successivo ne consegue che alla data del fallimento dell’imprenditore risultavano scadute e non versate tutte le liquidazioni mensili dal marzo 2004, che rappresentava la data di inizio attività. La Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso del Pubblico Ministero condanna l’imprenditore alle spese dell'intero giudizio l’impresa è stata, quindi, dichiarata fallita.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 novembre 2014 – 12 febbraio 2015, numero 2824 Presidente Ceccherini – Relatore Di Virgilio Svolgimento del processo La Corte d'appello di Trento, sez. distaccata di Bolzano, con sentenza depositata in data 22 agosto 2008, in riforma della sentenza del Tribunale di Bolzano del 2/20 gennaio 2007, ha revocato la sentenza del Tribunale di Bolzano del 15/4/05, dichiarativa del fallimento di C.F. , titolare della ditta individuale Alpicar di C.F. . Il fallimento era stato dichiarato su istanza del P.M. presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bolzano, sulla base dell'annotazione giudiziaria del 10/12/2004 del Servizio Vigilanza Antifrode Doganale S.V.A.D. dell'Agenzia delle Dogane, pervenuta durante le indagini preliminari a carico del C. , secondo cui questi, nell'attività di commercio autoveicoli, acquistava da fornitori intracomunitari aventi sede in Germania e in Belgio in regime di non imponibilità Iva e rivendeva in Italia per lo più ad autosaloni, per un prezzo leggermente maggiorato comprensivo di Iva, che, esposta nelle fatture ed annotata nei registri Iva vendite, non veniva mai versata in sede di liquidazione mensile, così evadendo l'Iva in modo intenzionale e sistematico, tanto da avere accumulato dal marzo 2004, data di costituzione della ditta, all'ottobre 2004, un debito accertato di Euro 2.034.626, 65. Con i due motivi d'appello avverso la sentenza del Tribunale di reiezione dell'opposizione a sentenza di fallimento, il C. aveva fatto valere l'insussistenza dello stato di insolvenza, atteso che il termine per la presentazione annuale dell'Iva non era scaduto, come ammesso dallo stesso S.V.A.D., e che l'articolo 13, 1 comma del d.lgs. 4 72/97 in caso di omesso tardivo o insufficiente versamento dell'imposta derivante da liquidazioni periodiche, dall'acconto o dalla dichiarazione annuale, prevede la semplice irrogazione di sanzione amministrativa che l'intera procedura fallimentare era stata avviata sulla base dell'unico debito fiscale e senza istruttoria. Secondo la Corte del merito, l'insolvenza era stata ritenuta esclusivamente in via induttiva sulla base dell'annotazione penale dello S.V.A.D., secondo cui il C. effettuava la rivendita degli autoveicoli con sottofatturazione, ovvero praticando un prezzo di cessione inferiore a quello di acquisto, tale comunque da non consentire, in assenza di frodi, un minimo margine di guadagno, indispensabile per un' attività commerciale non indirizzata al fallimento, ed al vantaggio fiscale costruito per gli acquirenti, che pagavano un prezzo apparentemente comprensivo di Iva, corrispondeva il sorgere del debito della stessa natura in capo alla parte C. . Il C. , osserva la Corte d'appello, era stato ritenuto, alla data del fallimento del , inadempiente per un debito che andava onorato entro il gennaio 2006 e che comunque non era stato ancora formalmente né accertato né dichiarato, né a tal fine poteva ritenersi sufficiente la cosiddetta annotazione giudiziaria, tant'è vero che gli accertamenti erano stati effettuati in maniera del tutto approssimativa anche in epoca successiva al fallimento vedi punto 3 della relazione del Curatore del 12/5/2005 . Avverso detta pronuncia ricorre P.G., sulla base di un unico motivo. Ricorre altresì il Fallimento, con ricorso da ritenersi incidentale, sulla base di sei motivi. Si difende con controricorso il C. . Il Fallimento ed il C. hanno depositato le memorie ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1.1.- Con l'unico motivo del ricorso, il Procuratore generale presso la Sez. distaccata di Bolzano della Corte d'appello di Trento censura la sentenza impugnata per i vizi ex articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. il motivo non presenta né il quesito di diritto né il momento di sintesi. 2.1.- Con il primo motivo del ricorso, da ritenersi incidentale, in quanto successivamente proposto rispetto al ricorso del P.G., il Fallimento si duole del vizio di nullità della sentenza impugnata per ultrapetizione, per non avere il C. impugnato la sentenza di primo grado relativamente alla ritenuta sussistenza del credito Iva, non contestato nell' an e nel quantum , ed essendosi la parte limitata a far valere la possibilità del ravvedimento operoso ex articolo 13, 1 comma, d.lgs. 472/97. 2.2.- Col secondo motivo, il Fallimento denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 del d.p.r. 633/1972, integrato dagli artt. 38 e 39 del d.l. 331/93, convertito nella l. 427/93, e dell'articolo 1 d.p.r. 100/1998. Secondo il ricorrente, alla data del fallimento il debito era certo, essendo sorto, al più tardi, con l'arrivo del bene nel paese di destinazione la Corte d'appello ha erroneamente fatto riferimento al principio dell'autotassazione, che è invece proprio delle imposte dirette, e la dichiarazione annuale dell'Iva è una mera raccolta dati da cui non sorge nessuna obbligazione tributaria, né come presupposto d'imposta né come versamento d'imposta errato è il riferimento alla possibilità di pagare entro la scadenza annuale, atteso che il c.d. ravvedimento operoso ex articolo 13 del d.lgs. 472/97, che consente il pagamento tardivo dell'imposta dovuta entro il termine dell'ultima scadenza utile per la presentazione della dichiarazione annuale beneficiando di una sanzione ridotta, presuppone il debito certo, liquido ed esigibile. 2.3.- Col terzo, il ricorrente incidentale si duole del vizio di motivazione sull'insolvenza, per avere la Corte d'appello omesso di esaminare i documenti dai quali risultava l'esistenza del debito tributario regolarmente registrato ed insinuato al passivo, ed il Curatore al punto 3 della relazione ha riferito l'approssimazione al proprio calcolo e non già ai rilievi dello S.V.A.D 2.4.- Col quarto motivo, il Fallimento si duole del vizio di violazione dell'articolo 5 l.f., per avere la Corte d'appello sostenuto che l'accertamento dell'insolvenza risultava solo in via induttiva, sulla base della sistematica sottofatturazione, senza che vi fosse una chiara e precisa pretesa tributaria, in quanto non ancora dichiarata dal contribuente né accertata dall'Amministrazione. 2.5.- Col quinto, il Fallimento si duole del vizio di contraddittorietà della motivazione sull'insolvenza, per avere la Corte del merito ritenuto che il C. potesse pagare il debito d'imposta, senza specificare come, e quindi affermando un fatto astrattamente possibile, già in realtà dichiarato impossibile nel caso concreto. 2.6.- Col sesto, il ricorrente incidentale denuncia il vizio di contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza del debito, ritenuto insussistente e, nel contempo, da pagare entro gennaio 2006, e quindi sussistente. 3.1.- Va premesso che la mancata comunicazione al P.G. ricorrente dell'avviso d'udienza non spiega alcun effetto, essendo presente nel giudizio di legittimità l'Ufficio del P.M. rappresentato dal P.G., che non ha avanzato alcuna richiesta di differimento per articolare le proprie conclusioni motivate. Il ricorso del P.G. è inammissibile, in quanto privo del quesito di diritto e del momento di sintesi, necessari ex articolo 366 bis c.p.c., come introdotto con decorrenza dal 2 marzo 2006, dall'articolo 6 del d.lgs. 40/2006, e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dall'articolo 47 della l. 69/2009, applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009, ex articolo 58, 5 comma, della l. 69/2009. 4.1.- Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato. Deve infatti escludersi la violazione dell'articolo 112 c.p.c. da parte della Corte del merito sotto il profilo dell'ultrapetizione, atteso che la stessa si è limitata a sviluppare la doglianza dell'appellante, intesa a far valere l'inesigibilità del debito Iva per essere ancora in termini per saldare il debito in oggetto. 4.2.- Il secondo motivo è fondato. La Corte di merito ha erroneamente ritenuto che, in mancanza della dichiarazione annuale Iva da parte del contribuente, i cui termini non erano ancora scaduti alla data della sentenza di fallimento, o di un accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria, non potesse ritenersi sussistente la pretesa tributaria e quindi l'insolvenza. Di contro a detta statuizione, va rilevato che l'articolo 6 del d.p.r. 633/1972, al 5 comma prevede che L'imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti e l'imposta è versata con le modalità e nei termini stabiliti dal titolo secondo , che prevede la liquidazione mensile, alla quale la ditta fallita era tenuta, o trimestrale nel caso di soggetti con ridotto volume d'affari ex articolo 1 del d.p.r. 100/1998, che ha sostituito l'articolo 27 del titolo secondo del d.p.r. 633/1972 . E per gli acquisti intracomunitari, l'articolo 6 del d.p.r. 633 cit. va integrato con gli artt. 38 e 39 del d.l. 331/1993, convertito nella l. 427/1993, secondo i quali detti acquisti si considerano compiuti, e quindi dovuta l'imposta, con la consegna del bene nel territorio dello Stato al cessionario o a terzi per suo conto, o in caso di trasporto con mezzi del cessionario, nel momento di arrivo nel luogo di destinazione nel territorio stesso. Posto quindi che per l'Iva la normativa prevede il sorgere del debito d'imposta nel momento in cui l'operazione imponibile si considera effettuata e ne dispone il pagamento entro il giorno 16 del mese o del trimestre successivo, ne consegue che alla data del fallimento risultavano scadute e non versate tutte le liquidazioni mensili dal marzo 2004, data di inizio dell'attività. 4.3.- Il terzo motivo è fondato. Ed infatti, la Corte del merito, nel ritenere non sufficiente l'accertamento compiuto dallo S.V.A.D. nella c.d. annotazione giudiziaria, per essere stati effettuati gli accertamenti anche in data successiva al fallimento in maniera del tutto approssimativa , come rilevato dal Curatore al punto 3 della relazione del 12/5/05, è incorsa nel vizio denunciato, per avere omesso di esaminare lo specifico contenuto dell'annotazione penale prodotta dal Fallimento in primo grado, basata sulle scritture contabili obbligatorie dell'imprenditore, evidenziante un rilevante debito Iva alla data della sentenza di fallimento e l'omesso pagamento alle scadenze mensili le domande di ammissione del credito Iva in oggetto al passivo del Fallimento e lo stato passivo del Fallimento da cui risultava l'ammissione documenti tutti che il ricorrente principale ha indicato e reso parte del ricorso . Quanto al richiamo al punto 3 della relazione del Curatore ex articolo 33 l.f., che secondo la Corte avrebbe avvalorato la natura approssimativa degli accertamenti, è di chiara evidenza come il Curatore faccia ivi riferimento ai propri controlli e non già agli accertamenti dello S.V.A.D 4.4.- Il quarto motivo è assorbito dall'accoglimento del secondo motivo. Ed infatti, il motivo è articolato nel senso che la Corte del merito avrebbe dovuto rilevare l'insolvenza ex articolo 5 l.f., anche a non ritenere già sussistente il debito Iva. 4.5.- Il quinto motivo è fondato. Secondo la Corte territoriale, il C. avrebbe potuto comunque far fronte al debito d'imposta tale affermazione, del tutto ipotetica, è peraltro in contraddizione con il rilievo che l'attività del C. , stante la sistematica sottofatturazione, non poteva che generare perdite. 4.6.- Il sesto motivo, sempre relativo al profilo della sussistenza del debito, è assorbito. 5.1.- Conclusivamente, dichiarato inammissibile il ricorso principale, respinto il primo motivo del ricorso incidentale del Fallimento, vanno accolti i motivi secondo, terzo e quinto, assorbiti gli altri motivi, e, cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, non residuando alcun accertamento di fatto, la causa va decisa ex articolo 384, 2 comma c.p.c., con la reiezione dell'appello proposto da C. Franco avverso la sentenza del Tribunale di Bolzano del 2-20 gennaio 2007, di reiezione dell'opposizione alla sentenza di fallimento del Tribunale di Bolzano del 15/4 - 18/4/2005. Le spese di lite sopportate dal Fallimento, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Quanto all'Ufficio del P.M., lo stesso non può essere condannato alle spese, per consolidata giurisprudenza v. le pronunce numero 20652/2011 e 5165/04 . P.Q.M. La corte dichiara inammissibile il ricorso principale respinge il primo motivo del ricorso incidentale del Fallimento, accoglie il secondo, il terzo ed il quinto motivo di detto ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, respinge l'appello proposto da C.F. avverso la sentenza del Tribunale di Bolzano del 2/20 gennaio 2007, di reiezione dell'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento del C. , resa dal Tribunale di Bolzano il 15/18 aprile 2005. Condanna C.F. alle spese dell'intero giudizio, che liquida in favore del Fallimento per il primo grado in Euro 2000,00 per diritti, Euro 2400,00 per onorari ed Euro 180,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge per il grado d'appello, in Euro 2200,00 per diritti, Euro 2700,00 per onorari ed Euro 180,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge per il presente giudizio, in Euro 10.000,00 per compenso oltre Euro 2000,00 per esborsi oltre spese forfettarie ed accessori di legge.