Valido l’accollo a garanzia dell’adempimento dei debiti sociali in cambio della cessione della quota dell’altro socio

In tema di obbligazioni di s.n.c. e quindi di responsabilità solidale dei soci verso terzi, i soci possono stabilire, mediante scrittura privata, appositi accordi per garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte dal socio, stretto congiunto, ancora in vita ed evitare il fallimento della stessa società così, possono intervenire, come fideiussori, in sede di contrattazione ed accollarsi la quota debitoria spettante ad altro socio in cambio della cessione della sua quota su beni, attrezzature ed eventuali crediti sociali.

E’, così, legittima, e quindi va confermata, la sentenza di merito con cui, accertati la qualificabilità delle scritture private tra soci congiunti come preliminare di compravendita e transazione, la finalità dell’immediato trasferimento dei cespiti anche in favore di terzi nonché l’escludibilità della conclusione dell’accordo per incapacità e/o violenza morale e la mancata iscrizione delle eventuali anticipazioni nel bilancio peraltro non tempestivamente impugnato di liquidazione della società, il socio cedente” venga liberato” dalla restituzione delle somme versate dagli altri soci per l’estinzione delle obbligazioni sociali. Il principio si argomenta dalla sentenza n. 2667/15, depositata l’11 febbraio. Il caso. I soci congiunti di altro socio in precario stato di salute, intervenendo quali fideiussori, concordavano, con apposita scrittura privata, l’accollo della quota dei debiti sociali di pertinenza di un altro socio in cambio della cessione, da parte di quest’ultimo, della relativa quota su beni, attrezzature ed eventuali crediti sociali spettanti in sede di liquidazione nonché della relativa quota del terreno in comunione qualche giorno dopo, gli stessi soci si impegnavano, mediante altra scrittura privata, ad estinguere le obbligazioni del medesimo socio congiunto ed, infine, provvedevano allo scioglimento ed alla liquidazione della società. In primo grado, con decisione però riformata in sede di gravame, veniva, agli stessi, riconosciuto il diritto alla restituzione delle somme versate, però non risultanti nel bilancio finale di liquidazione peraltro non impugnato da alcun socio. I debiti-crediti sociali tra patti successori ed accordi transattivi la psico-condotta” e la qualità dei contraenti. In primis , vanno richiamati gli artt. 458, 1229, 1362, 1418, 1419, 1965, comma 1, e 2291 c.c., nonché gli artt. 112 e 342 c.p.c All’uopo, necessita focalizzare sul concetto di società, proprietà, obbligazione, illecito, adempimento, responsabilità. Sul piano formale, due le principali osservazioni da effettuare. La prima inerente l’articolazione dell’atto di impugnazione da questo devono, infatti, emergere, con sufficiente chiarezza, le statuizioni concretamente contestate e le contrapposte argomentazioni dell’appellante Cass. n. 7786/2010, n. 24817/2005 il quale deve, cioè, esporre ragioni incompatibili con l’iter logico-giuridico posto a fondamento della stessa decisione Cass. n. 2877/2007, n. 5445/2006 e n. 9793/2005 . La seconda osservazione riguarda la legittimità di una sentenza che, fondata su distinte rationes decidendi , possa restare autonomamente sostenuta dalle residue argomentazioni non validamente censurate dall’appellante Cass. n. 2108/2012, n. 12372/2006 e n. 20454/2005 . Sotto il profilo sostanziale, due le osservazioni da effettuare. La prima osservazione ha ad oggetto l’esatta individuazione della fisionomia” dell’atto sottoscritto tra i soci onde identificare correttamente la relativa natura giuridica così, va detto che una scrittura privata non è nulla per violazione del divieto dei patti successori se intesa in termini transattivi e se valida a tal fine e non è, altresì, annullabile per incapacità del socio congiunto se manchino testimonianze e/o certificato medico ad hoc . Sul punto, è da sottolineare, infatti, che le reciproche concessioni transattive vanno poste in relazione con le reciproche pretese e contestazioni e non già con i diritti effettivamente spettanti alle parti in base alla considerazione obiettiva della legge Cass. n. 9348/2003, n. 9114/1990 e n. 4619/1987 . Segnatamente, può parlarsi di violenza morale, come vizio del negozio, quando in mancanza di quella apposita minaccia la parte non avrebbe stipulato il contratto Cass. n. 6044/2010, n. 12484/2007 e n. 235/1007 va, invece, esclusa quando il soggetto abbia agito per circostanze oggettive, anche di pericolo, ovvero per mero metus ab intrinseco e non ricollegabili al comportamento di controparte Cass. n. 13644/2004 e n. 7844/1993 . La seconda osservazione sui rapporti inter partes tra i soci e sull’eso-efficacia verso terzi a riguardo, va notato che l’esonero di un socio dal pagamento dei debiti sociali non richiede una modifica statutaria e che ogni patto contrario alla responsabilità illimitata e solidale dei soci è inefficace soltanto verso terzi e non anche tra i soci stessi. De iure condito , un accordo tra soci congiunti rileva quale patto successorio se abbia la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione ancora non aperta se la cosa o i diritti del negozio siano stati considerati come parte della futura successione e quindi se l’acquirente abbia agito come avente diritto alla stessa successione e se il promittente abbia inteso disporre della propria successione, privandosi dello ius poenitendi se il trasferimento debba operare mortis causa , anche come legato Cass. n. 1683/1995 e n. 2404/1971 . Così, l’impegno formale per l’accollo della quota di debito dell’altro socio, non stretto congiunto, in cambio della cessione delle quote sociali di quest’ultimo e per ottenere dalla vendita dei beni il denaro necessario per l’estinzione dei debiti sociali non si configura o almeno sic et simpliciter quale patto dispositivo o abdicativo, dunque contra legem . In altri termini, in ambito societario, in rispetto di determinate circostanze, non è vietata, a priori, la stipulazione, tra soci, di atti aventi effetti obbligatori e di figurativa esclusione” da responsabilità in tal senso, la sottoscrizione di una transazione risulterebbe compatibile con il principio di solidarietà passiva tra soci e verso terzi. Rebus sic stantibus , non rileva che la garanzia sia stata prestata in considerazione dello stato di salute del socio-dante causa e per assicurare l’adempimento delle obbligazioni da quest’ultimo contratte, anche in caso di decesso, nonché il rischio di fallimento della società e dei soci in mancanza di conclusione del medesimo accordo. L’intenzione e le circostanze della condotta costituiscono i parametri per rubricare l’accordo tra soci congiunti come patto successorio o mero accordo transattivo e, quindi, stabilire la relativa validità ex lege. In ambito di accordi tra soci stretti congiunti ed esonero di un altro socio dal pagamento dei debiti della società, il socio, come sostenuto dalla Corte di appello di Bari n. 943/2008 e contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Foggia n. 1320/2005 , può stipulare, formalmente, scritture con altri soci suoi stretti congiunti e queste, se aventi ad oggetto beni non considerati dai soci intervenienti come possibili componenti di una futura successione, non rilevano come patti successori, anche se comportino la rinuncia dell’altro socio ai propri diritti e doveri sociali così, è improponibile la richiesta di restituzione delle somme che siano state eventualmente versate dai soci congiunti del dante causa in favore dell’altro socio cedente”. Ergo, il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 novembre 2014 – 11 febbraio 2015, n. 2667 Presidente Forte – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. - S.M. , D.L.M. nato il omissis , M.G. , An. ed A. , in qualità di eredi di D.L.B., già socio dell'Impresa Di.La.Ar., B. e Mi. S.n.c., ed Di.La.Ar. , socio della medesima società, convennero in giudizio Di.La.Mi. nato il omissis , anch'egli socio dell'Impresa D.L. , esponendo di aver contribuito al pagamento dei debiti sociali in misura superiore a quella sostenuta da quest'ultimo, nonostante il pari valore delle quote sociali, e chiedendo pertanto la condanna del convenuto alla restituzione delle maggiori somme da loro anticipate, ed in subordine il riconoscimento dell'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento. Si costituì Di.La.Mi. , ed eccepì che con atto del 1 aprile 1996 gli altri soci si erano impegnati a far fronte personalmente all'integrale pagamento dei debiti, accollandosi anche la sua quota di sua spettanza, in cambio della cessione della quota a lui spettante sui beni, le attrezzature e i crediti della società, nonché della quota di proprietà di un fondo con il cui ricavato avrebbero provveduto all'estinzione dei debiti. Essendosi nel frattempo ammalato D.L.B. , con atto del 4 aprile 1996 i suoi familiari si erano obbligati ad estinguere le obbligazioni da lui contratte alle condizioni pattuite, e da quel momento tra le parti non erano intercorsi altri rapporti, in quanto gli attori avevano provveduto allo scioglimento ed alla liquidazione della società. 1.1. - Con sentenza n. 1320 del 2005, il Tribunale di Foggia accolse la domanda, condannando Di.La.Mi. a rimborsare le somme dovute a ciascuno degli altri soci, oltre interessi e maggior danno da svalutazione monetaria. 2. - L'impugnazione proposta dal D.L. è stata accolta dalla Corte d'Appello di Bari, che con sentenza del 20 ottobre 2008 ha rigettato la domanda proposta dagli attori. A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la novità della eccezione sollevata dall'appellante, secondo cui dal bilancio finale di liquidazione della società non risultava l'avvenuta anticipazione di somme per conto della società o di altri soci, osservando che, in quanto attinente alla responsabilità solidale dei soci nei confronti dei terzi, che rappresentava il fatto costitutivo della domanda, tale circostanza era rilevabile anche d'ufficio, anche alla luce dell'affermazione del Giudice di primo grado, secondo cui lo statuto sociale non prevedeva limitazioni di responsabilità in favore del convenuto. Ciò posto, la Corte ha ritenuto fondata la censura, rilevando che l'unico titolo in virtù del quale gli attori avrebbero potuto agire nei confronti dell'appellante era costituito dal bilancio finale di liquidazione, non impugnato da alcuno dei soci, dal quale però non risultava alcun residuo attivo da ripartire, né l'avvenuta anticipazione di somme da parte di alcuni soci per conto di altri. La Corte ha poi ritenuto che le scritture private sottoscritte il 1 ed il 4 aprile 1996 non fossero nulle per violazione del divieto dei patti successori, rilevando che la prima era stata stipulata quando D.L.B. era ancora in vita, ed i suoi congiunti vi erano intervenuti soltanto per garantire le obbligazioni da lui assunte e per prestare la loro adesione alla futura vendita dei beni che sarebbero stati utilizzati per il pagamento dei debiti sociali, mentre la seconda era volta a garantire l'adempimento dell'obbligazione assunta con il contratto preliminare, per l'ipotesi in cui il D.L. fosse deceduto prima della scadenza del termine per la stipulazione del contratto definitivo. Precisato che tale impegno era dettato dalla volontà di salvaguardare il buon nome del D.L. , scongiurando il fallimento della società, ha osservato che, anche in assenza di quell'intervento, i congiunti del D.L. sarebbero rimasti comunque obbligati ex lege, avendo accettato l'eredità del defunto, con il conseguente subingresso nei suoi diritti e nei suoi obblighi, ivi compreso quello derivante dal preliminare di compravendita, da loro adempiuto mediante la partecipazione al rogito notarile di vendita. La Corte ha altresì escluso che la scrittura privata del 1 aprile 1996 fosse annullabile per incapacità di D.L.B. , rilevando che tale incapacità non risultava né dalle testimonianze assunte né da alcun certificato medico, ed aggiungendo che dalle testimonianze e dal contenuto delle pattuizioni stipulate non emergeva alcuna coartazione della volontà del D.L. o dei suoi familiari per indurii ad accollarsi i debiti sociali o per limitare la responsabilità di D.L.M. , ma solo l'intento di esonerare quest'ultimo dal pagamento dei debiti, contro la rinuncia ad ogni credito per utili e prestazioni maturati nei confronti della società. Ha ritenuto infine che la predetta scrittura non fosse nulla per contrasto con l'art. 1229 cod. civ., ravvisandovi un valido atto transattivo, e precisando che l'esonero di D.L.M. dal pagamento dei debiti non richiedeva una modifica statutaria, in quanto, ai sensi dell'art. 2291 cod. civ., ogni patto contrario alla re-sponsabilità illimitata e solidale dei soci deve ritenersi inefficace soltanto nei confronti dei terzi, e non anche nei rapporti tra i soci. 3. - Avverso la predetta sentenza gli attori propongono ricorso per cassazione, articolato in otto motivi. L'intimato non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1. - Prioritario, rispetto all'esame delle altre censure sollevate con il ricorso, è quello del quarto motivo d'impugnazione, con cui i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 132 n. 4 e 342 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di pronunciare in ordine all'eccezione, da loro sollevata, d'inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi di gravame. Sostengono infatti che l'appellante si era limitato a negare genericamente l'applicabilità degli artt. 458, 1418 e 1419 cod. civ. ed a lamentare l'omessa valutazione delle scritture private comprovanti gli accordi intervenuti tra i soci, astenendosi dal censurare le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, in particolare l'affermazione secondo cui la limitazione della responsabilità del socio avrebbe dovuto essere prevista dallo statuto della società. 1.1. - Il motivo è infondato. La natura processuale del vizio lamentato consente di procedere all'esame diretto dell'atto di appello, dal quale si evince che, nell'impugnare la sentenza di primo grado, D.L.M. aveva proposto tre distinti motivi d'impugnazione, riflettenti rispettivamente l'improponibilità della domanda di restituzione delle somme anticipate, la validità dei patti stipulati con D.L.B. ed i suoi eredi e la possibilità di ravvisare negli accordi intervenuti tra i soci un accollo dei debiti sociali avente come contropartita la rinuncia alla quota di partecipazione all'attivo risultante dalla liquidazione. In quanto fondata sull'efficacia preclusiva della mancata contestazione del risultato finale della liquidazione, la prima censura era volta ad inficiare il fatto costitutivo della pretesa azionata, rappresentato dall'anticipazione delle somme necessarie per l'estinzione dei debiti sociali, che il Giudice di primo grado aveva posto a fondamento della decisione. Gli altri due motivi, aventi ad oggetto l'interpretazione dei predetti patti, la loro riconducibilità all'art. 458 cod. civ. e l'immunità da incapacità o da vizi della volontà, miravano invece a confutare le argomentazioni svolte in riferimento alle eccezioni sollevate dal convenuto, il cui rigetto era stato giustificato dalla sentenza di primo grado proprio con l'invalidità dei predetti accordi, in quanto qualificabili come patti successori o limitativi della responsabilità di uno dei soci, e comunque viziati dall'incapacità d'intendere e di volere di D.L.B. o dalla coartazione della volontà dello stesso e dei suoi eredi. Non poteva dunque ritenersi inadempiuto l'onere imposto all'appellante dall'art. 342 cod. proc. civ., per l'osservanza del quale, com'è noto, è necessario che dall'atto d'impugnazione emergano con sufficiente chiarezza le statuizioni concretamente contestate e le ragioni poste a fondamento del gravame, il cui grado di specificità non può essere d'altronde stabilito in via generale ed assoluta, ma dev'essere posto in correlazione con la motivazione della sentenza impugnata, occorrendo che alle argomentazioni svolte dal giudice a quo vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime cfr. explurimis, Cass., Sez. III, 31 marzo 2010, n. 7786 24 novembre 2005, n. 24817 Cass., Sez. lav., 19 febbraio 2009, n. 4068 . 2. - È altresì infondato il sesto motivo, con cui i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., osservando che, nell'escludere la necessità dell'inclusione dei patti limitativi della responsabilità nello statuto sociale, la sentenza impugnata ha pronunciato in ordine ad una censura non sollevata dall'appellante, il quale si era limitato a ribadire l'avvenuta dimostrazione della propria rinuncia alla partecipazione agli utili derivanti dalla liquidazione del patrimonio sociale, in tal modo travisando la sentenza di primo grado, che aveva invece giustificato l'accoglimento della domanda con la mancata prova dei crediti ai quali il convenuto aveva rinunciato. 2.1. - Nel riconoscere il diritto degli attori alla restituzione delle somme anticipate per l'estinzione delle obbligazioni sociali, la sentenza di primo grado aveva infatti negato il carattere transattivo dell'accordo intervenuto tra i soci, ritenendo non provati i crediti che il convenuto aveva sostenuto di aver maturato nei confronti degli altri, ed aveva conseguentemente escluso che il D.L. fosse stato esonerato dalla responsabilità illimitata e solidale posta a suo carico, in quanto tale limitazione, oltre a non essere menzionata nelle scritture private sottoscritte dalle parti, avrebbe dovuto essere prevista dallo statuto sociale o comportare una modificazione dello stesso, restando altrimenti inopponibile ai soci. Le predette affermazioni erano state censurate con il terzo motivo di gravame, con cui l'appellante aveva contestato l'interpretazione dell'accordo fornita dal Giudice di primo grado, ribadendo che lo stesso prevedeva l'accollo dei debiti sociali in cambio della rinuncia alla quota di partecipazione all'attivo risultante dalla liquidazione tale qualificazione, in quanto logicamente incompatibile con la configurazione dell'accordo come patto limitativo della responsabilità, doveva ritenersi di per sé sufficiente a rimettere in discussione l'applicabilità dell'art. 2291 cod. civ., addotta dalla sentenza di primo grado quale causa d'inoperatività dell'accordo, in alternativa alla nullità per violazione dell'art. 458 cod. civ. ed all'annullabilità per incapacità di D.L.B. o coartazione della sua volontà e di quella dei suoi eredi. Ai fini della specificità dei motivi di gravame, non è infatti necessario che l'appellante si soffermi sui singoli passaggi argomentativi della sentenza impugnata, ma è sufficiente che esponga ragioni incompatibili con l'iter logico-giuridico posto a fondamento della decisione, risultando inutile la confutazione di specifiche argomentazioni, ove le censure proposte dall'appellante si pongano in contrasto con le stesse premesse del ragionamento seguito dal giudice a quo cfr. Cass., Sez. I, 9 febbraio 2007, n. 2877 10 maggio 2005, n. 9793 Cass., Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5445 . 3. - Va quindi esaminato il settimo motivo, con cui si fa valere la violazione e la falsa applicazione degli artt. 458 e 1362 cod. civ., nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso che le scritture private del 1 e del 4 aprile 1996 contenessero patti dispositivi o abdicativi riguardanti l'eredità di D.L.B. . Sostengono i ricorrenti che la avvenuta stipulazione dei predetti patti non era esclusa dalla partecipazione del D.L. alla formazione di una delle scritture, avendo essi garantito, con il medesimo atto, la regolare conclusione della vendita degl'immobili, ed avendo in tal modo assunto, in qualità di congiunti, un impegno che non aveva carattere meramente morale, ma trovava giustificazione soltanto in rapporto alla futura successione del D.L. . Nell'affermare che gli attori sarebbero rimasti comunque obbligati ex lege, la Corte di merito non ha poi considerato che al momento dell'assunzione del predetto impegno essi ricorrenti non erano affatto tenuti ad intervenire nelle questioni societarie, né a subentrare al D.L. in caso di morte dello stesso. 3.1. - Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha infatti accertato che con le predette scritture D.L.B. ed Ar. si obbligarono a far fronte al pagamento integrale dei debiti della società, accollandosi anche la quota di pertinenza di D.L.M. , il quale cedette loro in cambio la propria quota sociale, nonché la quota a lui spettante sui beni, i crediti e gli utili della società e la sua quota di proprietà di un terreno in comunione con i soci e con altri soggetti, la cui vendita avrebbe dovuto fornire il denaro necessario per l'estinzione dei debiti alla stipulazione delle scritture intervennero anche i ricorrenti, in qualità di congiunti di D.L.B. , i quali, in considerazione del precario stato di salute del loro familiare, prestarono garanzia per l'adempimento delle obbligazioni da lui contratte, ivi compresa quella di procedere alla vendita del terreno, nel frattempo assunta mediante la stipulazione di un contratto preliminare. Così ricostruito il contenuto delle scritture, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, rilevato che D.L.B. era ancora in vita all'epoca in cui furono stipulati gli accordi e che i suoi congiunti erano intervenuti alla stipulazione in qualità di fideiussori, al fine di garantire le predette obbligazioni e di assicurare l'esatta esecuzione dell'obbligo di procedere alla vendita del fondo, ha escluso la configurabilità degli stessi come patti successori, contrari al divieto di cui all'art. 458 cod. civ., nella parte riguardante i predetti soggetti. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la duplice circostanza che la quota sociale ed i diritti e gli obblighi ad essa inerenti, nonché la quota del terreno di proprietà di D.L.B. fossero destinati, alla sua morte, a divenire parte della sua eredità, cui sarebbero stati chiamati i ricorrenti, in qualità di più stretti congiunti del de cujus , e che la garanzia prestata da questi ultimi trovasse la sua giustificazione nello stato di salute del dante causa e nell'intento di assicurare l'adempimento delle obbligazioni da lui contratte, anche in caso di decesso. Questa Corte ha infatti chiarito che, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all'art. 458 cod. civ., occorre accertare a se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta, b se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa, c se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi , d se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa, e se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa , ossia a titolo di eredità o di legato cfr. Cass., Sez. II, 16 febbraio 1995, n. 1683 22 luglio 1971, n. 2404 . Nella specie, non ricorreva alcuna delle predette condizioni, dal momento che le obbligazioni assunte con le scritture in questione erano destinate a produrre immediatamente effetto, indipendentemente dalla morte di D.L.B. , ed i beni che ne costituivano oggetto non erano stati considerati dalle parti come possibili componenti di una futura successione, bensì come cespiti suscettibili d'immediato trasferimento, anche in favore di terzi. 4. - Con l'ottavo motivo, i ricorrenti deducono l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell'escludere l'avvenuta coartazione della volontà di D.L.B. o dei suoi familiari, la Corte d'Appello non ha indicato gli elementi sui quali ha fondato il proprio convincimento, contrastante con la deposizione resa da uno dei testi. Nell'attribuire natura transattiva alla scrittura privata del 1 aprile 1996, in virtù della rinuncia dell'appellante ad ogni diritto inerente alla quota sociale, ai beni sociali ed agli utili, la sentenza impugnata ha invece omesso di considerare che non solo non era stata mai provata l'esistenza di utili della società, ma era anzi pacifico che la stessa si trovava sull'orlo del fallimento, con la conseguenza che l'atto, ove qualificabile come transazione, avrebbe dovuto essere ritenuto privo di causa. 4.1. - Il motivo è infondato in entrambe le sue articolazioni. La deposizione invocata dai ricorrenti, il cui contenuto è stato testualmente riportato nel ricorso, non può infatti ritenersi idonea ad orientare in senso diverso la decisione, non avendo il teste riferito circostanze dalle quali possa desumersi che il consenso alla conclusione degli accordi fu prestato da D.L.B. e dai suoi familiari per effetto di violenza morale. Perché sia configurabile tale vizio, è necessario che la parte abbia subito una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il suo consenso alla conclusione del negozio, proveniente dalla controparte o da un terzo e idonea ad incidere con efficienza causale sulla sua determinazione volitiva, sì da potersi ritenere che, in mancanza, essa non avrebbe stipulato il contratto cfr. Cass., Sez. III, 12 marzo 2010, n. 6044 Cass., Sez. II, 28 maggio 2007, n. 12484 10 gennaio 2007, n. 235 . Nella specie, gli unici elementi significativi della deposizione sono costituiti dall'affermazione del teste di aver segnalato alle parti l'iniquità, peraltro soltanto morale, delle condizioni da loro pattuite, e dalla dichiarazione, asseritamente ricevuta dalle sorelle di D.L.M. , che in mancanza della sottoscrizione degli atti la società ed i soci rischiavano il fallimento la prima affermazione, tuttavia, oltre ad esprimere una convinzione meramente soggettiva, risulta piuttosto generica ed equivoca, mentre la seconda fa riferimento ad una situazione di pericolo che, in quanto non ricollegabile alla condotta della controparte, ma a circostanze oggettivamente esistenti, non è di per sé sufficiente ad integrare la violenza morale, configurandosi come semplice metus ab intrinseco cfr. Cass., Sez. I, 22 luglio 2004, n. 13644 Cass., Sez. II, 15 luglio 1993, n. 7844 . 4.2. - Quanto poi alla qualificazione dell'accordo intervenuto tra i soci come negozio transattivo, gli stessi ricorrenti riconoscono che, nell'individuare le concessioni fatte da D.L.M. agli altri soci, la Corte di merito non si è affetto limitata a prendere in considerazione la rinuncia agli utili derivanti dall'attività sociale, la cui effettività doveva considerarsi piuttosto improbabile, avuto riguardo allo stato di difficoltà economica in cui versava la società, ma ha tenuto conto anche dell'intervenuta cessione di cespiti realmente esistenti, quali i beni e le attrezzature della società, nonché la quota di proprietà del terreno da porre in vendita per l'estinzione dei debiti sociali. Nella valutazione della rinuncia agli utili, non poteva d'altronde essere trascurata la tesi sostenuta dal convenuto, secondo cui l'accordo transattivo traeva origine dall'affidamento esclusivo della gestione sociale ad Di.La.Ar. e B. e dalla conseguente appropriazione degli utili da parte degli stessi, che, pur non essendo stati concretamente provati in giudizio, potevano costituire a loro volta oggetto di una pretesa restitutoria suscettibile di abdicazione da parte di D.L.M. . È noto infatti che le reciproche concessioni cui si riferisce l'art. 1965, primo comma, cod. civ., dovendo riguardare le posizioni assunte dalle parti non solo in ordine ad una lite in atto, ma anche ad una controversia che possa insorgere tra loro e che esse intendono prevenire, vanno poste in relazione con le reciproche pretese e contestazioni, e non già con i diritti effettivamente spettanti alle parti in base alla considerazione obiettiva della legge cfr. Cass., Sez. II, 11 giugno 2003, n. 9348 Cass., Sez. III, 4 settembre 1990, n. 9114 20 maggio 1987, n. 4619 . 5. - Il rigetto delle predette censure comporta l'inammissibilità, per carenza d'interesse, di quelle proposte con il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo d'impugnazione, con cui i ricorrenti hanno fatto valere l'inammissibilità dell'eccezione d'improponibilità della domanda, in quanto sollevata per la prima volta in sede di gravame, e della documentazione prodotta a sostegno della stessa, in quanto riguardante fatti non tempestivamente allegati, contestando inoltre l'efficacia preclusiva della mancata impugnazione del bilancio di liquidazione e lamentando l'omessa valutazione dei documenti e delle testimonianze attestanti il pagamento delle somme da loro versate ad estinzione dei debiti sociali. Ai fini del rigetto della domanda proposta in primo grado, la Corte di merito ha infatti addotto due distinte rationes decidendi , autonomamente idonee a sorreggere la decisione adottata, e costituite rispettivamente dall'improponibilità della domanda, in conseguenza della mancata iscrizione delle anticipazioni effettuate dai ricorrenti nel bilancio finale di liquidazione della società, non impugnato tempestivamente, e dall'accollo della quota dei debiti sociali di pertinenza di D.L.M. , concordato con gli altri soci in cambio della rinuncia ai diritti a lui spettanti in sede di liquidazione e della cessione della quota del terreno in comunione. Il rigetto delle censure sollevate avverso quest'ultima affermazione, determinandone il definitivo consolidamento, quale ragione d'infondatezza della domanda, comporta il venir meno dell'interesse ad ottenere una pronuncia in ordine alle doglianze concernenti l'altra ragione che ha costituito oggetto d'impugnazione, non potendo le stesse condurre, anche in caso di accertamento dei vizi denunciati, alla cassazione della sentenza impugnata, autonomamente sostenuta dalle residue argomentazioni cfr. Cass., Sez. III, 14 febbraio 2012, n. 2108 24 maggio 2006, n. 12372 Cass., Sez. I, 21 ottobre 2005, n. 20454 . 6. - Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna Di.La.Ar. , D.L.A. , Di.La.An. , D.L.M. nato il omissis , D.L.M.G. e S.M. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, ivi compresi Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.