I proventi derivanti da nuova attività del fallito non sono automaticamente acquisiti dalla curatela fallimentare

Le attività pervenute al fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento restano nella disponibilità del primo nella misura decisa dal giudice delegato. Il pagamento ricevuto dal fallito quale corrispettivo per una attività svolta successivamente alla dichiarazione di fallimento, non è automaticamente inefficace e di pertinenza del fallimento ma è regolamentato con decreto del giudice delegato che fissa i limiti di utilizzabilità. Ove detto provvedimento sia assente il fallito può utilizzare interamente l'attività percepita art. 46 l.f. .

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1724, depositata il 29 gennaio 2015. Il caso. Una persona fisica veniva dichiarata fallita. Un ente pubblico, in data successiva alla dichiarazione di fallimento, effettuava un pagamento in favore del fallito. La curatela impugnava il pagamento affinché fosse dichiarata la sua inefficacia. Il tribunale respingeva la domanda confermando la regolarità del pagamento. La Corte d'appello, riformava la sentenza di primo grado e dichiarava l'inefficacia del pagamento. L'ente, che aveva originariamente disposto il pagamento, ha proposto ricorso per cassazione. La difesa dell'ente ha sostenuto che il pagamento era stato eseguito correttamente perché scaturente da titolo successivo attività lavorativa del fallito alla dichiarazione di fallimento. Pagamenti successivi alla dichiarazione di fallimento. La legge fallimentare chiarisce che tutti gli atti compiuti dal fallito ed i pagamenti da lui eseguiti successivamente alla dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori. Sono ugualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento. Detto principio, ha chiarito la Cassazione, è finalizzato a cristallizzare il patrimonio del debitore sino alla dichiarazione di fallimento e consentirne lo spossessamento con conseguente trasferimento di beni ed attività in favore della curatela. Sotto altro e diverso profilo, i giudici di legittimità hanno chiarito che l'attività eventualmente aggredibile è quella nettata delle passività necessarie alla sua produzione, dovendosi escludere l'acquisizione dell'attività nella sua totalità. Crediti del fallito derivanti da nuova attività. La norma richiamata nelle righe precedenti non disciplina i crediti derivanti da nuove attività svolte dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento. In tali ipotesi la disciplina deve essere individuata richiamando diverse norme contenute all'interno della legge fallimentare. Sono acquisiti dal fallimento i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione degli stessi. Non sono compresi nel fallimento 1 i beni ed i diritti di natura strettamente personale 2 gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia 3 i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall'art. 170 c.c. 4 le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge. Detti ultimi proventi, resteranno nella disponibilità del fallito nella misura stabilita con decreto motivato dal giudice delegato che dovrà tenere conto anche delle condizioni personali e familiari del debitore. In assenza del predetto decreto le attività escluse dal fallimento restano a disposizione del fallito. Nel caso in commento, l'attività oggetto di contesa scaturisce da prestazioni lavorative erogate dal debitore soltanto successivamente alla dichiarazione di fallimento, dunque, considerata l'assenza di decreto utile a disciplinare l'utilizzabilità delle predette attività, le somme percepite risultano essere state correttamente versate dalla P.A. in favore del fallito che correttamente ne ha disposto liberamente. Con queste argomentazioni la Cassazione ha confermato la condotta dell'ente pubblico e respinto tutti i motivi di ricorso articolati dalla curatela.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 settembre 2014 – 29 gennaio 2015, n. 1724 Presidente Rordorf – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con sentenza del 29 novembre 2006 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Foggia n. 2435/2003, accoglieva la domanda con cui il fallimento di D.R. aveva chiesto la declaratoria di inefficacia del pagamento di E 19.898,93 effettuato dalla Provincia di Foggia nelle mani del fallito dopo la dichiarazione di fallimento ed in relazione al corrispettivo da essa dovuto per lavori svolti dal fallito nell'esercizio di una nuova attività d'impresa. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Provincia di Foggia, deducendo 1 la violazione dell'art. 44 1. fall., atteso che tale disposizione non trova applicazione nell'ipotesi, ricorrente nella specie, di beni sopravvenuti dopo la dichiarazione di fallimento ed atteso che, comunque, le somme guadagnate dal fallito con la sua attività possono essere acquisite dal fallimento soltanto detraendo le passività incontrate 2 la violazione dell'art. 42, comma 2, l. fall., per le stesse ragioni esposte nel primo motivo. Il fallimento resiste con controricorso Motivi della decisione I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati. Invero, il regime di inefficacia previsto dall'art. 44, comma 2, 1. fall. trova integrale applicazione soltanto per i pagamenti ricevuti dal fallito per titoli anteriori al fallimento e si ricollega tanto alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, quanto allo spossessamento conseguenti alla dichiarazione di fallimento e cioè al fatto che quest'ultima priva il fallito, dalla data di deposito della sentenza, dei poteri di amministrazione e disposizione del suo patrimonio, trasferendoli agli organi della procedura fallimentare, nell'interesse della massa dei creditori. Rispetto ai pagamenti ricevuti dal fallito per titoli sorti dopo la dichiarazione di fallimento e collegati ad una sua nuova attività, la disposizione dettata dall'art. 44, comma 2, l. fall. deve essere coordinata con le disposizioni dettate dagli artt. 42, comma 2, e 46, comma 1 n. 2, l. fall. La prima disposizione sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi , pur sembrando riferirsi ai soli acquisti del fallito, esprime chiaramente il noto principio secondo cui le attività non possono acquisirsi separatamente dalle passività che ad esse ineriscono fructus non intelleguntur nisi deductis impensis e trova in realtà applicazione a tutti i beni pervenuti al fallito e perciò anche quando i beni pervenuti consistono in somme di denaro, come è reso evidente dal fatto che il successivo art. 46 1. fall. non esita ad annoverare tra i beni non compresi nel fallimento anche somme di denaro. Dal menzionato principio discende che anche il corrispettivo pagato al fallito per una attività da lui svolta dopo la dichiarazione di fallimento non può essere acquisito per intero, ma soltanto dopo la deduzione delle passività incontrate dal fallito per generare il corrispettivo in questione. D'altro canto, una volta depurato il corrispettivo delle spese sostenute dal fallito per produrlo, la somma residua rappresenta ciò che il fallito guadagna con la sua attività e cioè uno dei beni che la seconda delle ricordate disposizioni esclude dal fallimento non sono compresi nel fallimento 1 2 gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia , non essendo dubbio che il guadagno conseguito dal fallito con la sua attività sia da intendere come guadagno netto, e ciò non solo per il collegamento con quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia , ma anche per la considerazione del guadagno unitamente ad introiti certamente netti quali gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari . A tale ultimo riguardo, poiché il secondo comma dell'art. 46 1. fall. prevede che i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia siano stabiliti dal giudice delegato con decreto motivato, si deve rammentare che questa Corte, superando una risalente giurisprudenza, ha chiarito la natura soltanto dichiarativa del decreto, in quanto destinato ad individuare i limiti quantitativi di un diritto che ad esso preesiste con la conseguenza che non può esser dichiarata l'inefficacia dei pagamenti compiuti dal debitore direttamente al fallito prima dell'emanazione del decreto Cass. 27 settembre 2007, n. 20325 ovvero senza che il decreto sia stato mai emanato Cass. 31 ottobre 2012, n. 18843 . Il riconoscimento della natura meramente dichiarativa del suddetto decreto, trova, poi, conferma in quella giurisprudenza che attribuisce al decreto un'efficacia retroattiva v. Cass. 2 settembre 1995, n. 9268, e Cass. 30 luglio 2009, n. 17751 . Da quanto sinora detto discende, da un lato, che l'acquisizione del corrispettivo conseguito dal fallito per una attività svolta dopo il fallimento presuppone l'efficacia nei confronti del fallimento del pagamento delle spese incontrate per produrre il reddito ovvero, alternativamente, il pagamento delle dette spese da parte del fallimento. L'acquisizione del guadagno netto, d'altro lato, è possibile soltanto nella parte in cui supera i limiti eventualmente fissati dal giudice delegato. Ne consegue che dopo il fallimento il fallito, che mantiene capacità giuridica e capacità di agire, può, con efficaciaverso il fallimento, destinare le somme ricevute quale corrispettivo di una sua attività al pagamento delle passività incontrate per generare il reddito e, quanto al residuo netto, al mantenimento suo e della sua famiglia. Dalla efficacia verso il fallimento della destinazione attribuita dal fallito alle somme ricevute discende logicamente l'efficacia dei pagamenti ricevuti dal fallito stesso. Sarebbe, infatti, del tutto incongruo escludere la possibilità di acquisire presso il fallito le predette somme ed affermare che le stesse potrebbero essere ripetute presso il terzo che ha effettuato il pagamento al fallito. In conclusione, poiché la disposizione dettata dall'art. 44, comma 2, l. fall. deve essere coordinata con le disposizioni dettate dagli artt. 42, comma 2, e 46, comma 1 n. 2, 1. fall., il pagamento ricevuto dal fallito quale corrispettivo per una attività svolta dopo la dichiarazione di fallimento non è inefficace quanto all'importo delle passività connesse a detta attività e neppure quanto al residuo netto, ove non sia stato emesso il decreto con cui il giudice delegato fissa i limiti entro i quali ciò che il fallito guadagna con la sua attività occorre al mantenimento suo e della sua famiglia. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda. In relazione alla novità della questione, soccorrono giusti motivi per compensare le spese dell'intero giudizio. P.Q.M. accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda.