La holding impugna la delibera della controllata, ma per farlo deve avere la strada libera

L’esercizio dell’azione di accertamento della nullità di delibere dell’assemblea presuppone, ai sensi dell’art. 2379 c.c. e come risulta dal costante orientamento interpretativo dei giudici di legittimità, un interesse concreto ed attuale riferibile specificamente alla dichiarazione di nullità. Il difetto della qualità di socio in capo all’attore, al momento della proposizione della domanda o della decisione, preclude la configurabilità di un interesse concreto ad agire.

È quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1041/15, depositata il 21 gennaio. Il caso. La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza pronuncia dal locale Tribunale circa l’inammissibilità della domanda presentata da due società, appartenenti al medesimo gruppo, volta ad ottenere la dichiarazione di nullità di una delibera assembleare assunta da una società partecipata. Con la predetta delibera era difatti stato modificato lo statuto di quest’ultima società, distinguendo due categorie di azioni, con attribuzione di un diritto di prelazione sulla azioni di una categoria nei confronti degli azionisti dell’altra, ma non viceversa. Era inoltre stato modificato il meccanismo di voto di lista per la nomina degli amministratori, attribuendo ai soci di minoranza la possibilità di designare la maggioranza del consiglio di amministrazione, circostanza alla quale si era poi aggiunta la previsione di elevati quorum costitutivi e deliberativi anche per l’assemblea ordinaria in seconda convocazione. La Corte d’appello motivava la propria pronuncia sulla base del rilievo di un potenziale contenuto lesivo della delibera impugnata, in riferimento allo specifico profilo della modifica dei quorum deliberativi dell’assemblea ordinaria in seconda convocazione, ma affermava poi come l’attualità dell’interesse dell’attore vada escluso in quanto, nonostante l’illegittimità della clausola, la delibera impugnata non risulta avere una concreta portata lesiva del soggetto che risulta non essere socio della società interessata, ma esclusivamente controllante del socio maggioritario di quest’ultima. La holding propone ricorso per Cassazione. L’interesse ad agire come lo prospetta il ricorrente Il motivo principale su cui si basa il ricorso, e che viene esaminato nel dettaglio dai giudici di legittimità per fondare la propria pronuncia, lamenta l’esclusione dell’interesse ad agire in capo al ricorrente operata dai giudici di merito. Infatti, secondo le doglianze presentate, era stato trascurato l’interesse della holding in merito all’amministrazione della società interessata, rientrante nel medesimo gruppo e quindi riferibile alla medesima impresa. Nel dettaglio, l’interesse in gioco era quello di rimuovere meccanismi statutari che avevano di fatto impedito alla holding di nominare gli amministratori della società controllata, i quali risultavano aver intrapreso una gestione impropria degli affari sociali e volevano quindi impedire qualunque intervento esterno di natura amministrativa. e come lo definisce la Cassazione. Il motivo di ricorso così prospettato, viene dichiarato infondato dai Supremi Giudici. Viene affermato che l’esercizio dell’azione di accertamento della nullità della delibera assembleare presuppone un interesse attuale e concreto in riferimento esclusivo all’azione di nullità. Pertanto, il difetto della qualità di socio nell’attore, al momento della proposizione della domanda o della decisione sulla stessa, esclude la sussistenza dell’interesse ad agire, salvo il caso in cui la qualità di socio sia venuta meno proprio a causa della delibera impugnata. Ne consegue dunque che, nel caso concreto, non avendo l’attore indicato alcun argomento utile ad individuare un suo interesse attuale e direttamente riferibile all’annullamento della delibera, limitandosi invece ad allegare l’impossibilità di modificare le nomine del CDA della società partecipata a causa della delibera impugnata, considerando inoltre che, anche in caso di declaratoria della nullità della delibera, ciò non varrebbe a fargli acquistare la qualifica di socio o altro risultato pratico apprezzabile, l’interesse ad agire deve essere escluso e deve dunque essere rigettato il ricorso per inammissibilità del motivo principale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 settembre 2014 – 21 gennaio 2015, n. 1041 Presidente Rordorf – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con sentenza del 14 dicembre 2006 la Corte di appello di Roma rigettava l'appello proposto dalla s.p.a. Cecchi Gori Group FIN.MA.VI. d'ora innanzi FINMAVI. e dalla s.r.l. Cecchi Gori Group Media Holding d'ora innanzi Media avverso la sentenza in data 14 maggio 2003 con cui il Tribunale di Roma aveva dichiarato l'inammissibilità della loro domanda intesa ad ottenere, previa sospensione ai sensi dell'art. 2378 c.c., la dichiarazione di nullità della delibera in data 11 agosto 2000 con la quale la s.p.a. Cecchi Gori Communications d'ora innanzi CGC aveva modificato alcuni articoli del suo statuto, prevedendo a la distinzione delle azioni in due categorie, contrassegnate dalle lettere A e B b l'attribuzione di un diritto di prelazione sulle azioni di categoria A in favore degli azionisti di categoria B, ma non viceversa c un meccanismo di voto di lista per la nomina degli amministratori, volto a consentire ai soci di minoranza, corrispondenti alla categoria B, di designare la maggioranza del consiglio di amministrazione d l'introduzione di elevati quorum costitutivi e deliberativi, questi ultimi applicabili, sia pure con riferimento al capitale presente, anche all'assemblea ordinaria in seconda convocazione. In particolare, la Corte di appello osservava che 1 esattamente, salvo che per i quorum deliberativi dell'assemblea ordinaria in seconda convocazione, il Tribunale aveva escluso la configurabilità di ipotesi di nullità, atteso che la delibera peraltro adottata quando Media deteneva l'intero capitale sociale di CGC ledeva l'interesse del socio di maggioranza tale divenuta Media dopo l'ingresso in CGC della s.p.a. Seat Pagine Gialle con il 25% del capitale sociale al controllo della gestione della società e non un interesse generale, il solo presidiato dalla sanzione di nullità ne conseguiva l'inammissibilità della domanda per il mancato deposito dei certificati azionari e per l'assenza della qualità di socio mai posseduta da FINMAVI semplice controllante di Media e persa da quest'ultima dopo l'azzeramento del capitale sociale e la mancata sottoscrizione delle nuove azioni, emesse, a seguito di delibera assembleare del 7 aprile 2001, per la ricostituzione del capitale sociale 2 contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, la modifica dei quorum deliberativi dell'assemblea ordinaria in seconda convocazione poteva astrattamente configurare gli estremi di un vizio qualificabile come nullità per violazione della norma inderogabile dettata dall'art. 2369, comma 3, c.c. tuttavia, si doveva escludere un interesse attuale all'impugnazione sia perché la legittimità della clausola non risultava avere avuto incidenza nei rapporti tra Media ed ancor meno FINMAVI e la controllata CGC, sia perché venuta meno la qualità di socio in capo a Media, quest'ultima non poteva coltivare legittime aspettative in ordine alle finalità ed agli obiettivi della gestione della società né, tanto meno, poteva coltivarle la sua controllante FINMAVI che non era mai stata socia. Nel merito, peraltro, doveva escludersi che la clausola in questione, che richiedeva un quorum deliberativo stabilito nell'85% del capitale sociale rappresentato in assemblea, fosse affetta da nullità, poiché essa rendeva impossibile una deliberazione senza il consenso della minoranza soltanto nel caso di partecipazione all'assemblea dell'intero capitale sociale e soltanto nel caso di una perdurante concreta distribuzione di quest'ultimo tra soli due soci. Il fallimento della FINMAVI, dichiarato nelle more della decisione d'appello, propone ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi. La s.p.a. Telecom Italia Media già Seat Pagine Gialle ed incorporante la s.p.a. Holding Media Comunicazione, già CGC resiste con due distinti controricorsi, ciascuno con ricorso incidentale affidato ad un motivo ed entrambi illustrati con memoria, formulando distintamente le proprie difese con riguardo alla originaria posizione di CGC e con riguardo alla originaria posizione di Seat Pagine Gialle. La s.r.l. Cecchi Gori Group Media Holding non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente fallimento deduce la violazione degli artt. 2377, 2378 e 2379 c.c., lamentando che la Corte di appello aveva escluso la nullità dell'impugnata delibera dando erroneamente rilievo non, come avrebbe dovuto, al solo profilo oggettivo del contrasto con principi inderogabili attinenti alla organizzazione della società ed alla libera circolazione delle azione, ma al momento, contestuale o successivo alla deliberazione, nel quale si era manifestato l'interesse ad agire in capo al soggetto pregiudicato. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2368, 2369, 2377, 2378 e 2379 c.c., lamentando che la sentenza impugnata aveva escluso la nullità della clausola che prevedeva quorum costitutivi e deliberativi tali da richiedere, nella concreta situazione della CGC, l'unanimità dei consensi. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 2377, 2378, 2379, 2347, 2348 e 2351 c.c., lamentando che la Corte di appello - disattendendo i principi in tema di indivisibilità del voto, di divieto di azioni a voto plurimo e di limiti alla emissione di azioni a voto limitato - aveva escluso la nullità della clausola statutaria che, ai fini della elezione alle cariche sociali, prevedeva un diverso quoziente in base al quale computare i voti di lista, a secondo della categoria di appartenenza degli azionisti presentatori della lista medesima. Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 2377, 2378, 2379, 2355 c.c., poiché la sentenza impugnata aveva escluso la nullità, per violazione del principio di libera circolazione delle azioni, della clausola statutaria che stabiliva, in una società con due soci e strutturalmente chiusa, il diritto di prelazione ad esclusivo vantaggio di una sola delle due previste categorie di azioni. Con il quinto motivo il ricorrente principale deduce la violazione degli artt. 2379 e 1421 c.c. nonché dell'art. 100 c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata aveva escluso l'interesse ad agire per la declaratoria di nullità di clausole statutarie di CGC in capo a FINMAVI, controllante di Media, già socia di maggioranza di CGC, senza considerare il concreto interesse di FINMAVI, che indirettamente, attraverso Media e nell'ambito di un gruppo, controllava CGC ed esercitava, quindi, la medesima impresa esercitata direttamente dalla sub controllata. Tale interesse era quello di rimuovere quei meccanismi statutari che le avevano impedito di sostituire gli amministratori di CGC, nominati dal socio di minoranza Seat, che avevano attuato una impropria gestione della società, come se questa fosse integrata nel gruppo Telecom-Seat e con finalità di estromissione del socio di maggioranza Media, e ciò anche dopo la risoluzione di diritto del contratto che aveva previsto l'ingresso in CGC di Seat e che aveva imposto alla prima l'adozione delle clausole statutarie di cui si discute. Con il ricorso incidentale proposto con riferimento alla originaria posizione di CGC, la s.p.a. Telecom Italia Media deduce la violazione degli artt. 2377, 2378 e 2379 c.c., lamentando che la Corte di appello, disattendendo sul punto quanto stabilito dal giudice di primo grado, aveva ritenuto in astratto lesiva di interessi generali la deliberazione che aveva introdotto quorum costitutivi e deliberativi qualificati e che, al più, poteva ledere l'interesse del singolo socio o di gruppi di soci. In ogni caso si doveva escludere che la deliberazione avesse un oggetto illecito o impossibile. Con il ricorso incidentale proposto con riferimento alla originaria posizione di Seat, la s.p.a. Telecom Italia Media deduce la violazione degli artt. 2369, comma 3, e 237 9 c.c., poiché la sentenza impugnata aveva qualificato in termini di nullità l'impugnativa della delibera assembleare, nella parte relativa ai quorum deliberativi dell'assemblea ordinaria in seconda convocazione, e ciò malgrado la funzione assembleare, per quanto importante, non abbia la rilevanza dell'ordine pubblico. Il quinto motivo del ricorso principale deve essere esaminato per primo, per ragioni di ordine logico, ed è infondato. L'esercizio dell'azione di accertamento della nullità di delibere assembleari presuppone, in virtù del richiamo agli artt. 1421 e 1423 c.c. operato dall'art. 2379 c.c. nel testo, anteriore alla riforma del 2003 nella specie applicabile ratione temporis , un interesse concreto ed attuale Cass. 25 settembre 2013, n. 21889 Cass. 20 luglio 2007, n. 16159 Cass. 25 marzo 2003, n. 4372 Cass. 25 febbraio 2002, n. 2721 Cass. 11 gennaio 2001, n. 338 , riferibile specificamente all'azione di nullità pertanto, il difetto della qualità di socio in capo all'attore al momento della proposizione della domanda, o al momento della decisione della controversia, esclude la sussistenza dell'interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile, salvo nel caso in cui proprio in virtù della delibera impugnata l'attore abbia perso la qualità di socio Cass. n. 21889/2013 cit. e, con riferimento all'azione di annullamento, Cass. 7 novembre 2008, n. 26842 . Orbene, benché logicamente sollecitato dal tenore della pronunzia impugnata, neppure in questa sede l'attore ha potuto indicare un risultato utile conseguibile direttamente attraverso la declaratoria di nullità della delibera, ma ha solo allegato che proprio le clausole impugnate hanno impedito alla FINMAVI di ottenere la sostituzione degli amministratori della sub controllata CGC. Tale indubbia circostanza, tuttavia, non individua alcun interesse attuale alla declaratoria di nullità della delibera impugnata. Da siffatta declaratoria, infatti, non conseguirebbe certo né il riacquisto da parte di Media, controllata da FINMAVI, della qualità di socia di CGC qualità persa a seguito della delibera del 7 aprile 2001 di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale votata all'unanimità dall'intero capitale sociale, ancorché il diritto di voto per Media sia stato nell'occasione esercitato proprio da Seat, creditore pignoratizio , né alcun altro risultato pratico giuridicamente apprezzabile. Al rigetto del quinto motivo consegue l'inammissibilità per difetto di interesse degli altri motivi del ricorso principale e l'assorbimento dei ricorsi incidentali, implicitamente condizionati all'accoglimento del ricorso principale. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. riunisce i ricorsi rigetta il ricorso principale e dichiara assorbiti quelli incidentali condanna il fallimento della s.p.a. Cecchi Gori Group FIN.MA.VI. al rimborso, in favore della s.p.a. Telecom Italia Media, delle spese di lite liquidate in Euro 10.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CP.