Il mancato pagamento degli oneri contributivi sociali comporta automaticamente l'esclusione dal diritto di voto del socio inadempiente

In tema di esclusione del socio dalle votazioni assembleari, l'atto di costituzione in mora indirizzata al socio inadempiente non è prodromico all'esclusione dello stesso dalle votazioni delle delibere assembleari. Difatti, la lettera della norma parla chiaramente di morosità nei pagamenti e non di un socio preventivamente messo in mora. L'esclusione è quindi indipendente dalla mora sollevata o da un'eventuale intimazione di una diffida ad eseguire il pagamento nel termine di trenta giorni, la quale va indirizzata al socio moroso al solo fine di dare inizio alla procedura di vendita in danno dell'intera quota sottoscritta, salva restando la decadenza dall'esercizio del diritto di voto. L'esclusione è, quindi, conseguenza naturale dell'inadempimento contributivo, in ogni caso e senza preventiva costituzione di messa in mora o sollecitazione con diffida.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 585, depositata il 15 gennaio 2015. Il caso. Con atto di citazione, A, socio di una s.r.l., convenne nel luglio 2001 in giudizio B, la società stessa, chiedendo l'annullamento delle delibere assembleari, adottate in sede ordinaria e straordinaria trenta giorni prima, con cui, a fronte di perdite d'esercizio, la società aveva azzerato e contestualmente ricostituito il capitale sociale, deducendone l'invalidità in quanto assunte con il solo voto favorevole dell'altro socio e senza computare, ai fini del quorum costitutivo e deliberativo, la quota a lui spettante, e ciò sulla base del presupposto, ritenuto erroneo da A, che egli fosse moroso sul versamento dei 7/10 del capitale sottoscritto e, quindi, avesse perduto il diritto di voto. Il Tribunale rigettò la domanda in quanto ritenne effettiva la morosità contestata ad A, a norma dell'art. 2466 c.c. in quel tempo previgente. La Corte di appello ribalta la tesi di primo grado, in quanto, pur essendo stato riconosciuto l'inadempimento di A, B non aveva provveduto a costituirlo in mora. Avverso la sentenza di secondo grado, la società B ricorre con due motivi principali a la violazione degli artt. 2466 e 1219 c.c., nonché l'art. 12 disp. prel. c.c., per non aver considerato che l'esclusione del diritto di voto derivava dalla morosità di A che non discendeva dall'aver egli ricevuto o meno uno specifico atto di costituzione in mora, ma dal fatto che non aveva eseguito il versamento dei decimi delle quote sottoscritte nel termine prescritto b l'inesistenza di un atto di costituzione di messa in mora indirizzata al socio moroso. Effetti della morosità. Chiamata la sez. I Civile, il giudicante rileva la fondatezza del primo motivo di ricorso, in quanto l'atto di costituzione in mora non è prodromico all'esclusione del socio moroso la lettera della norma parla chiaramente di morosità nei pagamenti e non di un socio preventivamente messo in mora Se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni. Decorso inutilmente questo termine gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione per l'esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci in proporzione della loro partecipazione la quota del socio moroso. La vendita è effettuata a rischio e pericolo del medesimo per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato. In mancanza di offerte per l'acquisto, se l'atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all'incanto. Se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente. Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci . L'esclusione è quindi indipendente dalla mora sollevata o da un'eventuale intimazione di una diffida ad eseguire il pagamento nel termine di trenta giorni, la quale va indirizzata al socio moroso al solo fine di dare inizio alla procedura di vendita in danno della intera quota sottoscritta, salva restando la decadenza dall'esercizio del diritto di voto l'esclusione è, quindi, conseguenza naturale dell'inadempimento contributivo, in ogni caso e senza preventiva costituzione di messa in mora o sollecitazione con diffida. Pertanto, il secondo motivo viene assorbito ed il ricorso si rigetta per infondatezza delle sue domande.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 novembre 2014 – 15 gennaio 2015, n. 585 Presidente Forte – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 21 luglio 2001, R.A. conveniva in giudizio la Erregi Ristorazioni srl e chiedeva l'annullamento delle delibere assembleari, adottate in sede ordinaria e straordinaria in data 21 giugno 2001, con cui, a fronte di perdite d'esercizio, la società aveva azzerato e contestualmente ricostituito il capitale sociale, deducendone l'invalidità in quanto assunte con il solo voto favorevole dell'altro socio e senza computare, ai fini dei quorum costitutivo e deliberativo, la quota a lui spettante, e ciò sulla base del presupposto, ritenuto erroneo, che egli fosse moroso nel versamento dei 7/10 del capitale sottoscritto e, quindi, avesse perduto il diritto di voto. Il Tribunale di Catania, che rigettava la domanda, riteneva - per quanto ancora interessa - che il R. fosse stato legittimamente escluso dalla società perché moroso nel versamento dei residui decimi del capitale sociale, a norma del previgente art. 2466 v. ora 2477 c.c Il gravame del R. è stato accolto dalla Corte di appello di Catania, con sentenza 3 marzo 2011, che ha escluso che egli fosse privo del diritto di voto poiché, pur essendo indiscusso il suo inadempimento, la società non aveva provveduto alla sua costituzione in mora, non essendo ravvisabile un simile contenuto in due lettere inviategli il 5 e 6 giugno 2001, ed ha quindi dichiarato illegittime le impugnate delibere. Avverso questa sentenza ricorre la Erregi Ristorazioni srl sulla base di due motivi, cui si oppone il R. . Motivi della decisione Nel primo motivo la società ricorrente deduce la violazione degli artt. 2477 nel testo previgente , 1219 c.c. e 12 disp. prel. c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., per non avere considerato che l'esclusione del diritto di voto derivava dalla morosità del R. che non discendeva dall'avere egli ricevuto o meno uno specifico atto di costituzione in mora, ma dal fatto che non aveva eseguito il versamento dei decimi delle quote sottoscritte nel termine prescritto. Il motivo è fondato. L'errore in cui è incorsa la corte di appello è di avere implicitamente ritenuto che, ai fini dell'esclusione del diritto di voto, non fosse sufficiente il mancato pagamento da parte del socio delle quote sottoscritte nel termine prescritto , come previsto dall'art. 2477, comma 1, c.c., ma che fosse richiesto un apposito atto di costituzione in mora, non rinvenuto nel caso di specie. Tuttavia una corretta lettura della norma impone di rilevare che non può esercitare il diritto di voto il socio che non esegue il pagamento della quota nel termine prescritto , che è appunto il socio in mora , come previsto dal quarto comma della citata disposizione, indipendentemente sia da uno specifico atto di costituzione in mora v. anche l'art. 1219, comma 2, n. 3 c.c. , sia dall'intimazione di una diffida ad eseguire il pagamento nel termine di trenta giorni, la quale va indirizzata al socio moroso al solo fine di dare inizio alla procedura di vendita in danno della intera quota sottoscritta, salva restando la decadenza dall'esercizio del diritto di voto. Tale interpretazione, confortata da due pronunce di questa Corte v. Cass. 1874/1995, n. 909/1965 , comporta l'accoglimento del primo motivo, con assorbimento del secondo concernente l'esistenza o meno della costituzione in mora non essendovi ulteriori accertamenti da compiere, la causa può essere decisa nel merito, a norma dell'art. 384, comma 2, c.p.c., con rigetto della domanda del R. di annullamento delle delibere assembleari impugnate. Le spese dei giudizi di merito e di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di R.A. lo condanna alle spese dei giudizi di merito, che liquida in complessivi Euro 1.000,00 per il primo grado e in Euro 2.100,00 per il secondo grado, e di cassazione, che liquida in Euro 2600,00, di cui Euro 2.400,00 per compensi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.