Inefficaci i pagamenti effettuati senza autorizzazione del Tribunale

I pagamenti effettuati in esecuzione di contratti in corso dall'imprenditore ammesso alla procedura di concordato preventivo non si sottraggono alla regola dell'inefficacia - soprattutto se relativi a debiti sorti anteriormente all'inizio della procedura - a meno che siano stati autorizzati dal giudice delegato ai sensi dell'art. 167 legge fallimentare.

Con la sentenza n. 26691 del 18 dicembre 2014, la Corte di Cassazione decide nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. una controversia relativa all’efficacia o meno di un pagamento effettuato, in favore di un creditore dell’imprenditore, da un terzo ma per conto dell’imprenditore stesso soggetto a concordato preventivo, affermando che anche tale tipologia di rimesse, ai sensi dell’art. 167 l.f., sono inefficaci se effettuati senza l’autorizzazione del Giudice delegato. Il caso. Il quesito posto all’attenzione della Corte di Cassazione e definito con la sentenza in commento attiene all’efficacia o meno del pagamento effettuato dal debitore dell’imprenditore soggetto a concordato preventivo in favore di un terzo creditore di quest’ultimo alla base dell’operazione contestata, infatti, vi è l’adempimento di un negozio di compravendita, siglato in pendenza del concordato preventivo senza l’autorizzazione del Tribunale, e per il quale il promissario acquirente effettuava il pagamento mediante rimessa in favore non del creditore soggetto a concordato preventivo ma di un terzo a sua volta creditore di quest’ultimo. Agisce in giudizio il curatore per chiedere l’inefficacia del pagamento in questione, affermando che tale importo era destinato alla massa dei creditori tale domanda viene accolta in primo grado e rigettata in appello, sul rilievo che il pagamento non era entrato nella disponibilità dell’imprenditore soggetto a procedura concorsuale. Il S.C., decidendo nel merito, chiarisce che tale tipologia di pagamento rientra tra quelle previste dall’art. 167 l.f. e per la quale, quindi, è necessaria la preventiva autorizzazione del Tribunale. Concordato preventivo e spossessamento del debitore. In materia di procedure concorsuali, il debitore – in ciò differenziandosi dal fallimento - conserva l'amministrazione del suoi beni e l'esercizio dell'impresa durante tutto il periodo del concordato fallimentare. Il debitore ammesso al concordato preventivo subisce, infatti, uno spossessamento attenuato , in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà come nel fallimento , l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all'esecuzione del concordato. In particolare, nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come di mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene oltre che la proprietà dei beni, come visto la legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata dall'art. 43 legge fall. per il fallimento. Concordato preventivo e limiti dell’agire dell’imprenditore. L’imprenditore ammesso al concordato preventivo, tuttavia, non è libero nell'espletamento della sua attività ma opera ed agisce sotto il controllo e la vigilanza del commissario giudiziale e sotto la direzione del giudice delegato. Sono fatti salvi, tuttavia, taluni atti che, ai sensi dell'art. 167 della legge fall., l'imprenditore può compiere da solo prescindendo dall'autorizzazione scritta del giudice delegato. Conservazione del patrimonio quale ordinaria amministrazione L'attività svolta dal professionista nel periodo successivo alla apertura della procedura di concordato preventivo, consistente nella conservazione e nel miglioramento del patrimonio dell'impresa per il mantenimento dei presupposti della procedura nella specie anche attraverso colloqui con i creditori , non è atto di straordinaria amministrazione e non necessita, pertanto, dell'autorizzazione del giudice delegato prevista dall'articolo 167, comma 2, legge fallimentare. Ordinaria e straordinaria amministrazione il criterio distintivo del concordato preventivo. In tema di concordato preventivo, la valutazione in ordine al carattere di ordinaria o straordinaria amministrazione dell'atto posto in essere dal debitore senza autorizzazione del giudice delegato, ai fini della eventuale dichiarazione di inefficacia dell'atto stesso ai sensi dell'art. 167 legge fallimentare deve essere compiuta dal giudice di merito tenendo conto che il carattere di atto di straordinaria amministrazione dipende dalla sua idoneità ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone la capacità a soddisfare le ragioni dei creditori, in quanto ne determina la riduzione, ovvero lo grava di vincoli e di pesi cui non corrisponde l'acquisizione di utilità reali prevalenti su questi. Alla luce di questo principio, devono ritenersi di ordinaria amministrazione, a titolo di esempio, gli atti di comune gestione dell'azienda, strettamente aderenti alle finalità e dimensioni del suo patrimonio e quelli che - ancorché comportanti una spesa elevata - lo migliorino o anche solo lo conservino, mentre ricadono nell'area della straordinaria amministrazione gli atti suscettibili di ridurlo o gravarlo di pesi o vincoli cui non corrispondano acquisizioni di utilità reali su di essi prevalenti. Atti compiuti senza autorizzazione quale sorte per il concordato? La violazione del divieto contenuto nell'art. 167, comma 2, l. fall. di compimento di atto eccedente l'ordinaria amministrazione senza autorizzazione non può determinare ex se l'improcedibilità della domanda di concordato. Nel caso di riscontrata insussistenza in concreto degli atti frodatori indicati dall'art. 173 l. fall., richiamato dall'art. 161, comma 6, l. fall. nel testo risultate dalla modificazione recata dal d.l. n. 69/2013 convertito con legge n. 98/2013 , non sussistono i presupposti per dichiarare improcedibile la domanda di autorizzazione. Inefficacia ex art. 167 o revocatoria ex art. 67? Secondo la giurisprudenza, è già inefficace ai sensi dell'art. 167 l. fall., e non può essere sottoposto a revoca ai sensi dell'art. 67 l. fall., il pagamento di un debito sorto da un atto eccedente l'ordinaria amministrazione stipulato, in mancanza della necessaria autorizzazione, dall'imprenditore ammesso a concordato preventivo. Incarico ad un legale è straordinaria amministrazione E' atto eccedente l'ordinaria amministrazione ai sensi dell'art. 167, comma 2, l. fall., il conferimento di un mandato ad un difensore per l'assistenza nella procedura di concordato preventivo tale atto deve ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, quindi, inefficace, qualora non sia stato debitamente autorizzato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 novembre – 18 dicembre 2014, n. 26691 Presidente Rordorf – Relatore Didone Ragioni in fatto e in diritto della decisione 1.- F.A. , titolare di una farmacia, è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con decreto del 18.2.1992 e, nel corso di tale procedura, ha promesso in vendita, senza autorizzazione del G.D., la propria azienda al dr. D.I.C. per il prezzo di 2 miliardi di lire. Una parte del prezzo convenuto in corrispettivo, e precisamente L. 448.000.000, è stato versato dal D.I. alla Guacci s.p.a., creditrice della F. , in nome e per conto” di quest'ultima. Successivamente è stato dichiarato il fallimento della F. e il D.I. ha chiesto e ottenuto l'ammissione allo stato passivo del Fallimento per il suddetto importo. Pertanto il curatore del fallimento ha convenuto in giudizio la s.p.a. Guacci deducendo l'inefficacia del pagamento. Il Tribunale di Napoli ha parzialmente accolto la domanda e ha condannato la convenuta a pagare all'attore la somma di Euro 232.372,69 già L. 448.000.000 oltre agli interessi legali ed alle spese di lite, affermando l'inefficacia ex art. 167 L.F. del preliminare di vendita stipulato fra la F. e il D.I. , in quanto atto eccedente l'ordinaria amministrazione compiuto in assenza di autorizzazione del G.D. e ritenendo irrilevante, alla luce della natura meramente dichiarativa dell'azione ex art. 167 LF., il profilo dell'eventuale assenza di pregiudizio patrimoniale. Secondo il tribunale, in ogni caso, il pagamento eseguito dal D.I. avrebbe potuto essere destinato alla soddisfazione paritaria dei creditori ex art. 2741 c.c Con la sentenza impugnata depositata il 3.9.2007 la Corte di appello di Napoli, in accoglimento dell'appello proposto dalla s.p.a. Guacci, ha rigettato la domanda. Secondo la corte di merito è coperta da giudicato interno, la dichiarazione di inefficacia ex art. 167 II comma L.F. del contratto preliminare di compravendita stipulato fra la F. e il D.I. . Ma se la sanzione di inefficacia ha colpito l'intero contratto, il Fallimento non può pretendere di farla valere unilateralmente, ovvero solo con riguardo a ciò che con tale contratto era stato promesso dalla F. e continuare, per altro verso, a sostenere che il pagamento dedotto in giudizio è stato eseguito con denaro della fallita. La somma anticipata dal D.I. non è mai entrata a far parte del patrimonio della fallita e il pagamento che la convenuta ha apparentemente ricevuto dal supposto promissario acquirente in nome e per conto della F. si configura in realtà quale pagamento del debito altrui eseguito da un terzo in difetto di un sottostante rapporto di delegazione ed in difetto della relativa provvista, ed è pertanto estraneo alla previsione di cui all'art. 167 comma 2 L.F., che presuppone che l'atto sia compiuto dal debitore ammesso al concordato. Proprio attraverso l'ammissione al passivo del D.I. è stata ripristinata la situazione giuridica antecedente al contratto dichiarato inefficace, con l'unica differenza irrilevante per la massa che al credito della Guacci si è sostituito il credito, di identico importo, del terzo che ha pagato in luogo dell'effettiva debitrice altrettanto evidente è che dall'accoglimento della domanda deriverebbe un ingiustificato arricchimento per il Fallimento, che acquisirebbe la disponibilità di una somma di denaro che non è mai entrata nel patrimonio della fallita e dunque neppure ne è mai fuoriuscita. Infine, il riconoscimento da parte della Guacci dell'avvenuto pagamento del credito da essa vantato verso la F. da parte del D.I. non implica il riconoscimento della supposta, sottostante delegazione. 1.1.- Contro la sentenza di appello il curatore del fallimento di F.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso la s.p.a. Guacci. Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. le parti hanno depositato memoria. 2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 167 e 168 l. fall., nonché vizio di motivazione lamentando che la corte di merito abbia esteso la sanzione di inefficacia dal contratto preliminare al pagamento, mentre il contratto era valido tra le parti e l'inefficacia colpiva l'atto relativamente ai creditori. La richiesta di ammissione al passivo del D.I. costituirebbe la prova che il pagamento è stato imputato nei rapporti con la F. quale anticipazione del contratto. Talché il pagamento eseguito in nome e per conto della F. era da ritenere inefficace nei confronti della massa dei creditori. 2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 1269 c.c. e la falsa applicazione dell'art. 1180 c.c., nonché vizio di motivazione, lamentando che erroneamente il pagamento eseguito per conto della F. sia stato qualificato come pagamento da parte del terzo eseguito spontaneamente. 2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione delle norme in tema di prova legale e di valutazione della prova nonché vizio di motivazione lamentando che la corte di merito abbia omesso di considerare che la convenuta aveva ammesso che il pagamento da parte del D.I. era avvenuto in nome e per conto della F. , così come emerge dalle difese di quest'ultima. Il D.I. , poi, aveva affermato nell'istanza di insinuazione al passivo di avere eseguito il pagamento su espressa disposizione della fallita e la circostanza era stata accertata dalla Corte di appello con la sentenza di ammissione del credito sentenza prodotta in atti. Il pagamento su delega della debitrice non poteva essere qualificato come pagamento spontaneo ai sensi dell'art. 1180 c.c 2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione del principio della par condicio creditorum nonché vizio di motivazione lamentando che erroneamente la corte di merito abbia omesso di considerare che il pagamento eseguito alla convenuta aveva alterato la par condicio, affermando erroneamente che la somma non era mai entrata nel patrimonio della fallita e dunque non ne era fuoriuscita. 3.- I motivi del ricorso del fallimento esaminabili congiuntamente, sostenendosi con essi che l'inefficacia del contratto preliminare sopra menzionato non inciderebbe sulla prestazione di parziale pagamento del prezzo, già eseguita dal promissario acquirente, né quindi varrebbe a mettere in dubbio la circostanza, del resto ammessa nelle difese della controparte, che quel pagamento era stato effettuato a mani del creditore della promittente venditrice per conto di quest'ultima onde la relativa somma, stante il divieto di eseguire pagamenti preferenziali in corso di procedura concordataria, era di pertinenza della società poi fallita ed andrebbe restituita ora alla massa sono fondati. Non è contestabile, invero, che il pagamento del debito della F. , allora in concordato, sia stato effettuato dal promissario acquirente dell'azienda in forza dell'obbligazione contrattuale assunta verso la promittente venditrice e, quindi, con l'intento e con la funzione di assicurare a quest'ultima l'utilità che essa si proponeva di ricavare dal contratto riducendo la propria esposizione debitoria verso un terzo. Se così è come, d'altronde, risulta dalla stessa sentenza impugnata nella parte narrativa , ne consegue che detto pagamento è effettivamente avvenuto, come il fallimento sostiene, per conto della promissaria acquirente. È bensì vero che il contratto preliminare di cui si parla è da considerarsi inefficace nei confronti della massa, in quanto atto di straordinaria amministrazione stipulato senza la dovuta autorizzazione, ma questo non incide sulla funzione obiettivamente svolta dal pagamento, comunque eseguito in esecuzione di quel contratto, né che vale a trasformarlo, obiettivamente ed anche nei confronti dell'accipiens, in un pagamento senza causa operato da un soggetto terzo con denaro proprio. L'inopponibilità alla massa del contratto in esecuzione del quale il promissario acquirente ha versato al terzo creditore della promittente venditrice l'anticipo sul prezzo pattuito non sarebbe certo valso ad escludere che, qualora invece quell'anticipo sul prezzo fosse stato versato a mani della stessa promittente venditrice, poi fallita, la massa ne avrebbe beneficiato, ed allora non pare che l'aver destinato in concreto quell'anticipo al soddisfacimento di un creditore della promittente venditrice modifichi i termini della situazione ed impedisca di scorgere nell'accaduto una forma di non consentito pagamento preferenziale del creditore mediante una somma di denaro spettante alla fallita. Il ricorso, dunque, deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Peraltro, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la Corte può decidere la causa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c. negli stessi termini di cui alla sentenza di primo grado, dovendo essere accolta la domanda di declaratoria di inefficacia del pagamento, in quanto eseguito in violazione della par condicio creditorum , dopo l'ammissione alla procedura del concordato preventivo cfr. Sez. 1, n. 578/2007 con conseguente condanna della convenuta alla restituzione della somma percepita con gli interessi dalla domanda. Le spese dei gradi di merito e quelle del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie la domanda dichiara l'inefficacia del pagamento ricevuto dalla convenuta per il tramite di D.I.C. ” e condanna la convenuta medesima a restituire alla curatela attrice la somma di Euro 231.372,69, oltre interessi dalla domanda, nonché a rimborsare alla stessa le spese del giudizio liquidate in Euro 4.282,93 di cui Euro 450,00 per esborsi quanto al primo grado, in Euro 5.518,00 per il grado di appello e in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese forfettarie, quanto al giudizio di legittimità.