Inutilizzabile il marchio patronimico già registrato da un’altra impresa

In tema di marchi registrati e quindi di tutela della concorrenza, non è consentito registrare ovvero utilizzare, sotto qualsiasi forma e sostanza, un marchio che riproduca il patronimico del marchio anteriore la ratio legis è impedire il rischio di pubblica confusione tra attività economiche. E’, così, illegittima, e quindi va riformata, la sentenza di merito con cui, accertata e dichiarata la contraffazione della ragione sociale, dell’insegna e del marchio precedentemente registrato e la concorrenza sleale nonché ordinata l’inibizione alla continuazione dell’uso dell’ulteriore marchio patronimico, consenta comunque l’uso dello stesso cognome come marchio unitamente al nome dell’imprenditore e con quest’ultimo in maggiore rilevanza grafica, visiva e fonetica ed in un contesto grafico non generante confusione.

Il principio si argomenta dalla sentenza n. 23648/14, decisa il 30 settembre e depositata il 6 novembre 2014. Il caso. Un’impresa ricorreva in giudizio nei confronti di un’altra ditta che utilizzava il cognome omonimo come marchio in primo grado, con conferma in appello, veniva dichiarata la contraffazione della ragione sociale, dell’insegna e del marchio nonché la concorrenza sleale, consentendo però l’uso del medesimo cognome esclusivamente insieme al nome dell’imprenditore e con quest’ultimo in maggiore rilevanza grafica, visiva e fonetica ed in un contesto grafico non generante confusione. Così, la stessa impresa ricorreva in sede di legittimità e l’altra impresa, convenuta, invocava il giudicato derivante dall’anteriore pronuncia di un lodo arbitrale sulla medesima questione. L’imprenditore e la concorrenza i segni distintivi dell’impresa e del prodotto. In primis , vanno richiamati gli artt. 2, 3, 4 e 41 Cost., 2563, 2564, 2565, 2568 e 2598 c.c., 824- bis c.p.c., 1- bis r.d. n. 929/1942, 2 d.lgs n. 480/1992 e 21 d.lgs n. 30/2005, nonché la l. n. 69/2009. All’uopo, necessita focalizzare sul concetto di impresa, imprenditore, concorrenza, antigiuridicità, danno, illecito. Sotto il profilo procedurale e formale, due le principali osservazioni da effettuare e, rispettivamente, la prima sulla possibilità di produrre documenti se ritenuti dal giudice indispensabili per la decisione ed, altresì, se la parte provi di non averli potuti produrre per causa ad essa non imputabile e la seconda sulla non invocabilità del lodo arbitrale, e quindi della formazione di alcun giudicato, se non sia stata esaminata, con pronuncia ad hoc , la domanda specifica sulla tutela e sull’uso del marchio. In termini di diritto sostanziale, va distinto tra ditta, quale elemento caratterizzante l’impresa, e marchio, quale segno distintivo della provenienza del prodotto e quindi dell’imprenditore produttore. Segnatamente, la ditta deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore, con necessità di integrazione o modificazione mediante indicazioni idonee a differenziarla quando la ditta ovvero l’insegna sia uguale o simile a quella di altro imprenditore e possa creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa sia esercitata Cass. n. 12136/2013 e n. 16283/2009 . L’ordinamento, quindi, prevede l’applicazione delle stesse norme per ditta ed insegna e di una distinta disciplina per marchio e concorrenza. A riguardo, va notato che il nome patronimico, in base al principio di correttezza professionale Trib. Milano ordinanza 24 marzo 2014 , può essere utilizzato, in ambito commerciale, esclusivamente in funzione descrittiva e non distintiva, quindi non come marchio Cass. n. 6021/2014 . Sul punto, è da sottolineare il divieto dell’uso del nome in contraffazione dell’altrui marchio quando tale uso non sia conforme ai principi di correttezza professionale, sia tale da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni e da indurre in inganno il pubblico circa la provenienza dei prodotti. In altri termini, va inibito l’uso, sia da solo che in combinato, dell’identico cognome come marchio in tal senso, non è, quindi, sufficiente l’aggiunta di elementi differenziali di contorno, soprattutto quando sia altamente probabile il rischio di confusione per l’identità o l’affinità dei prodotti Cass. n. 13067/2008 e n. 8119/2009 . Sussiste, così, contraffazione e violazione della concorrenza quando il marchio contenga il patronimico ex tunc protetto di altra impresa, pur se accompagnato da altri elementi Cass. nn. 29879/2011, 16283/2009, 6024/2003, 9154/1997 e 8157/1992 . Decisione illecito e risarcibile l’uso, anche con prescrizioni giudiziali”, del patronimico omonimo come marchio. In ambito di libertà d’iniziativa economica privata e tutela dell’impresa, non è possibile, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello di Milano, nella pronuncia n. 2385/2008 e dal Tribunale di Lecco il 30 novembre 2004, utilizzare, come marchio d’impresa, lo stesso cognome, già registrato ed in uso, di altro imprenditore anche unitamente all’aggiunta, in evidenza, del proprio nome ed in un contesto non generante confusione. Ergo , il ricorso va accolto e la sentenza va cassata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 settembre – 6 novembre 2014, n. 23648 Presidente Forte – Relatore Ragonesi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 2.6.2000, la società comma conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Lecco la società G. comma per l'accertamento della contraffazione del proprio marchio, nonché della propria ditta/ragione sociale e della propria insegna C. da parte della convenuta, nonché per l'accertamento del compimento di atti di concorrenza sleale da parte di quest'ultima ai sensi dell'art. 2598 c.c. con le conseguenti sanzioni inibitorie e risarcitorie la fissazione di una penale, il ritiro dal commercio, l'ordine di pubblicazione della sentenza con favore delle spese e competenze di causa. Con comparsa del 3.10.2000, si costituiva in giudizio la convenuta contestando quanto contenuto nell'atto di citazione e chiedendo la reiezione delle domande svolte dall'attrice. In particolare, la società G. comma eccepiva che la questione dell'uso della ditta e marchio C. era ormai coperta da giudicato essendo intervenuto lodo arbitrale del 7 aprile 1979 tra la società attrice e G. C., di cui la convenuta continuava l'attività in forma societaria tra gli eredi. Fallito un tentativo di conciliazione, il Tribunale di Lecco, con sentenza del 30.11.04, così provvedeva dichiara che l'uso come marchio della parola comma da parte della società G. comma Prodotti Caseari dei F.lli comma Walter & amp C S.n.c., costituisce contraffazione della ragione sociale, insegna e marchio comma dell'attrice, nonché atto di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598 n. 1 cod. civ. per le ragioni esposte in motivazione - inibisce la continuazione dell'uso della parola comma come marchio, nonché qualsiasi modo idoneo a creare confusione con i segni distintivi dell'attrice, ordinando che la medesima venga utilizzata esclusivamente unitamente al nome G. al quale dovrà essere attribuita una maggiore rilevanza grafica, visiva e fonetica ed entrambe le parole dovranno essere inserite in un contesto grafico che non ingeneri confusione con quello proprio dell'attrice condanna la convenuta al risarcimento dei danni nella misura che sarà liquidata in separato giudizio ordina la distruzione di tutti i prodotti, gli stampati, il materiale pubblicitario, le confezioni e di quant'altro recante i marchi contraffatti disponendone la distruzione o la rimozione in presenza di incaricati dell'attrice e a spese della convenuta ordina la pubblicazione dell'intestazione e del dispositivo della presente sentenza a caratteri doppi del normale per 2 giorni consecutivi non festivi sui quotidiani il OMISSIS a cura dell'attrice e a spese della convenuta . Provvedeva infine sulle spese. La sentenza veniva impugnata da comma SNC DI comma VITTORIO E ALFREDO con atto di appello con il quale si chiedeva la riforma limitatamente alla seconda parte del capo 2 ,q poneva alcune questioni sulle spese. Si costituiva in appello G. comma PRODOTTI CASEARI dei F.lli comma Walter & amp comma S.n.c., e chiedeva, preliminarmente, che fosse dichiarata l'inammissibilità della documentazione in quella sede prodotta e che il gravame fosse dichiarato parzialmente inammissibile nel merito, il rigetto dell'appello e, con appello incidentale, la riforma della sentenza del Tribunale di Lecco nelle parti in cui accoglieva le domande di s.n.c. comma e disponeva circa la pubblicazione della sentenza e le spese di lite. La Corte d'appello di Milano, con sentenza 2385/08, rigettava entrambi gli appelli. Avverso tale decisione ricorre per cassazione la G. comma di comma Vittorio e Alfredo snc sulla base di sette motivi cui resiste con controricorso la G. comma prodotti caseari dei fratelli comma Walter & amp C snc che ha proposto altresì ricorso incidentale basato su due motivi Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che erroneamente La Corte d'appello non ha ordinato alla resistente, in applicazione dell'art. 21 comma primo lettera a CPI, la soppressione del nome controverso. Con il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla assenza di consequenzialità fra illecito accertato e sanzione comminata. Sostiene la ricorrente che, avendo il Tribunale di Lecco con decisione confermata in appello, accertato la contraffazione, la concorrenza sleale e la violazione dell'art. 1 bis legge marchi, avrebbe dovuto concludere inibendo qualunque uso dell'espressione comma sia da sola sia combinata ad altre parole in subordine avrebbe dovuto motivare sul perché optava per la diversa soluzione. Con il terzo motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla mancata distinzione fra uso dell'espressione comma da parte della resistente come marchio, come ditta, come ditta in funzione di marchio e come insegna. Secondo la ricorrente i Giudici di primo e di secondo grado non hanno preso in considerazione separatamente i diversi istituti del marchio, della ditta/denominazione sociale, della ditta utilizzata in funzione di marchio e dell'insegna, giungendo a conclusioni comunque erronee senza prendere in considerazione separatamente le singole e diverse fattispecie giuridiche dando così luogo ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Con il quarto motivo lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per non aver tenuto conto, nell'applicazione dei principi di diritto, della specifica e particolare concreta fattispecie. Secondo la ricorrente poiché l'art. 21 comma 1 lettera a CPI, letto congiuntamente alla lettera b , vieta Fuso del nome in contraffazione dell'altrui marchio quando tale uso non sia conforme ai principi della correttezza professionale, sia tale da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni, sia tale da indurre in inganno il pubblico circa la provenienza dei prodotti, la sentenza risulta viziata nella misura in cui ha omesso di considerare talune circostanze di fatto decisive e, pur avendone rilevate altre, è giunta a conclusioni opposte senza motivare, o senza sufficiente motivazione, risultando così quest'ultima anche contraddittoria. Con il quinto motivo si duole per la violazione e falsa applicazione dell'art. 824 bis cpc sull'efficacia del lodo e dei principi sul giudicato. Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe travisato il contenuto del lodo intercorso tra le parti e costituente cosa giudicata riferentesi solo alla ditta e non ad istituti giuridici diversi. Con il sesto motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla richiesta maggiore rilevanza fonetica del nome G. art. 360 comma 1 n. 5 cpc . Secondo la ricorrente la sentenza risulta omissiva e contraddittoria nella misura in cui assegna efficacia dirimente anche alla rilevanza fonetica fra il prenome G. e il cognome comma senza rendersi conto della impossibilità concreta di attuazione della sentenza. Con il settimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 cpc. Sostiene la ricorrente che l'art. 345 cpc in vigore prima della L. 69/2009 consente la produzione di documenti sia nel caso in cui il Collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione, sia nel caso la parte dimostri di non averli potuti produrre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza impugnata laddove la Corte d'appello ha ritenuto il regolamento definito dagli Arbitri nel lodo del 7 aprile 1979 applicabile solo con riguardo alla ditta e non anche con riguardo al marchio. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 342, 132 e 277 per non avere ai giudici di appello preso in considerazione tutti i motivi di appello incidentale, esponendo — quanto meno in via concisa - le motivazioni dell'accoglimento o del rigetto di ciascuno di essi. I primi cinque motivi del ricorso, tra loro connessi e strettamente correlati, possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano fondati nei termini che seguono. La doglianza sostanziale della società ricorrente investe il fatto che la Corte d'appello, confermando la sentenza di primo grado, nonostante abbia pronunciato l'inibitoria pronunciata nei confronti della convenuta all'utilizzo della denominazione C. come marchio idoneo a creare confusione con i segni distintivi dell'attrice al tempo stesso abbia disposto che la parola comma poteva essere utilizzata unitamente al nome G. a condizione che a quest'ultimo venisse attribuita maggiore rilevanza grafica, visiva e fonetica rispetto al cognome C., e purché entrambi i nomi fossero inseriti in un contesto grafico che non ingenerasse confusione con quello proprio dell'attrice. La decisione della sentenza è in effetti basata sull'affermazione che il criterio individuato ed indicato nel lodo per quanto riguarda la ditta potesse essere utilizzato anche per il marchio in tal modo consentendo con adeguati accorgimenti l'uso del patronimico comma anche per il marchio dovendosi individuare l'area nella quale il libero utilizzo del proprio cognome può essere confinato, onde evitare di procurare un danno alla controparte, che, altrettanto legittimamente, pretende sia tutelata la propria immagine e riconoscibilità commerciale . Tale decisione non appare corretta. La disciplina relativa all'uso del patronimico nel marchio è infatti diversa da quella espressamente disciplinata dall'art 2564 c.c. per la ditta. È già stato chiarito a proposito della ditta che quest'ultima, comunque sia formata, deve contenere, a norma dell'art. 2563, secondo comma, cod. civ., almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore, salvo quanto è disposto dal successivo art. 2565. Tuttavia, in base all'art. 2564, primo comma, cod. civ. – applicabile anche all'insegna in virtù dell'art. 2568 cod. civ. - allorché la ditta sia uguale o simile a quella usata da un altro imprenditore e possa creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa venga esercitata, essa deve essere integrata o modificata con indicazione idonee a differenziarla . Cass. 12136/13 Cass. 16283/09 . L'articolo 2564 c.c. però trova applicazione unicamente nei confronti della ditta ma non del marchio. I due istituti si basano infatti su principi e presupposti diversi. La ditta, comunque sia formata,in quanto elemento individualizzante l'imprenditore deve contenere, a norma dell'art. 2563, secondo comma, cod. civ., almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore stesso, salvo quanto è disposto dal successivo art. 2565 c.c Tali presupposti non vigono ovviamente per il marchio la cui funzione quale segno distintivo della provenienza del prodotto è quella di indicare l'imprenditore che ha prodotto le merci od i servizi e per il quale vale il diverso principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui, ai sensi dell'art. 1-bis del r.d. 21 giugno 1942, n. 929, in materia di marchi registrati nel testo aggiunto dall'art. 2 del d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 , l'utilizzazione commerciale del nome patronimico, deve essere conforme ai principii della correttezza professionale e, quindi, non può avvenire in funzione di marchio, cioè distintiva, ma solo descrittiva, in ciò risolvendosi la preclusione normativa per il titolare del marchio di vietare ai terzi l'uso nell'attività economica del loro nome ne consegue che sussiste la contraffazione quando il marchio accusato contenga il patronimico protetto, pur se accompagnato da altri elementi. Cass. 29879/11 16283/09 6024/03 9154/97 Cass. 8157/92 . È quindi preclusa, per difetto di novità, la registrazione di un successivo marchio che riproduca il cuore del marchio anteriore costituito dal patronimico, nonostante l'aggiunta di elementi differenziatori di contorno, potendosi determinare un rischio di confusione per il pubblico, quale rischio di un erroneo riferimento dell'attività dell'una all'altra impresa, soprattutto qualora tale eventualità sia resa altamente probabile dall'identità, o quantomeno affinità,dei prodotti Cass. 21 maggio 2008 n. 13067 Cass. 3 aprile 2009 n. 8119 . Tale principio è stato ribadito anche dopo l'entrata in vigore del codice della proprietà intellettuale essendosi confermato che, ai sensi dell'art. 21 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, l'utilizzazione commerciale del nome patronimico, corrispondente al marchio già registrato da altri, non può avvenire in funzione distintiva, ma solo descrittiva, in quanto l'avvenuta modifica normativa, rispetto alla previsione dell'art. 1-bis del r.d. 21 giugno 1942, n. 929 con la soppressione dal testo normativo delle parole e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva” , lascia ferma la necessità che l'uso del marchio debba essere conforme ai principi della correttezza professionale. Cass. 6021/14 . I primi cinque motivi del ricorso meritano di conseguenza accoglimento, restando assorbiti il sesto ed il settimo. Venendo all'esame del ricorso incidentale, il primo motivo è infondato. Invero, come già affermato dalle due sentenze di merito, ancorché il lodo dia atto riportando le conclusioni delle parti che comma Vittorio ed Alfredo avevano chiesto che venisse dichiarato illegittimo l'uso del nome comma fatto da G. comma sia come ditta sia come marchio,sia in generale sui documenti e stampati della di lui impresa che vengano a contatto con i terzi,sia come scritta pubblicitaria sugli automezzi da trasporto che tali usi vengano pertanto inibiti . omissis lo stesso tuttavia non ha in alcun modo esaminato la domanda in relazione al marchio onde nessuna pronuncia può ritenersi avvenuta sotto tale profilo. La statuizione contenuta al punto 7 del dispositivo respinge tutte le altre domande proposta da tutte le parti deve infatti riferirsi alle domande formulate in giudizio che sono state oggetto di decisione motivata da parte del lodo e precisamente le domande di risarcimento danni per l'uso illegittimo del patronimico comma e di ulteriori danni per la ritardata consegna di un appartamento oltre quello liquidato in lire 166 mila nonché la domanda di sospensione di pagamento dell'ultima rata di quanto tra le parti a suo tempo pattuito regolata dal lodo in modo diverso sulla base dell'equità proposta dagli attuali ricorrenti, a cui deve aggiungersi la domanda di G. comma di limitare il pagamento per la ritardata restituzione dell’immobile sulla base dell'equo canone. Deve pertanto escludersi che si sia formato alcun giudicato in relazione alla violazione del marchio in virtù dell'esaminato lodo. Venendo all'esame del secondo motivo di ricorso incidentale, lo stesso risulta inammissibile. Invero la Corte d'appello ha ritenuto i due motivi dell'appello incidentale estremamente generici e non sorretti da adeguata motivazione. La ricorrente contesta siffatta decisione ma la doglianza è anche in questo caso generica e non specifica. La stessa si limita infatti a riassumere il contenuto dei due motivi ma non indica in modo specifico e dettagliato le ragioni per cui gli stessi non erano generici ma si incentra in argomentazioni volte a dimostrare la fondatezza dei due motivi in esame. Il ricorso incidentale va conclusivamente respinto. Sussistendo i requisiti di cui all'art. 384 cpc la causa può essere decisa nel merito dovendosi disporre che la sentenza di primo grado, confermata dal giudice di appello, disponga esclusivamente l'inibitoria dell'uso della parola comma come marchio da parte della società odierna resistente nonché in qualsiasi modo idoneo a creare confusione con i segni distintivi dell'attrice con esclusione della parte in cui ordina che la parola stessa possa essere utilizzata come marchio esclusivamente con il nome G. al quale dovrà essere attribuita una maggiore rilevanza, grafica, visiva e fonetica ed entrambe le parole dovranno essere inserite in un contesto grafico che non ingeneri confusione con quello proprio della ricorrente. Tale ordine infatti, come in precedenza esaminato può essere disposto, ai sensi dell'art. 2564 c.c. solo in riferimento alla ditta ed all'insegna e non per il marchio. La complessità della vicenda e la sua novità giustificano la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. accoglie i primi cinque motivi del ricorso principale, assorbiti il sesto ed il settimo, rigetta il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito, dispone esclusivamente l'inibitoria dell'uso della parola comma come marchio da parte della società odierna resistente nonché in qualsiasi modo idoneo a creare confusione con i segni distintivi dell'attrice con esclusione di ogni altra pronuncia relativa all'uso possibile della parola G. in relazione al marchio compensa le spese di giudizio.