Acquisto di beni dal socio per conto della società e successivo obbligo di ritrasferimento: o con le buone, o con le cattive

Nell’ipotesi in cui la società si estingua prima che il socio agente abbia operato il ritrasferimento del diritto acquistato in nome proprio e per conto della stessa, la situazione giuridico soggettiva, di natura obbligatoria, vantata dalla società al ritrasferimento del bene, prevista dall’art. 1706, comma 2, c.c., si trasmette in con titolarità a tutti i soci che siano tali al momento dell’estinzione dell’ente.

Ne deriva che, accertata la sussistenza di siffatto obbligo traslativo del socio e del corrispondente diritto dei soci rimanenti, il giudice può disporre, ai sensi dell’art. 2932 c.c., direttamente in favore di questi ultimi il trasferimento delle rispettive percentuali di proprietà del bene, il quale diviene in tal modo nella con titolarità di tutti i soci, ivi compreso l’originario intestatario, in capo al quale si riuniscono le qualità di creditore e di debitore, onde l’obbligazione si estingue pro quota ai sensi dell’art. 1253 c.c. Con la sentenza n. 22988 del 29 ottobre 2014, il S.C. si sofferma su alcuni temi relativi sulla titolarità e circolazione dei diritti spettanti alla società qualora il socio non abbia ancora effettuato il trasferimento previsto dal contratto di mandato, nel caso di acquisti di beni immobili effettuati dal mandatario. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione con la pronuncia in commento ha ad oggetto la sussistenza di una società di fatto tra due fratelli e l’obbligo, in capo ad uno dei due, di trasferire alla società quanto acquistato per conto della stessa, pur in assenza di un mandato scritto, ma desumibile dal fatto che tali beni sono stati acquistati con denaro della società de qua . In primo ed in secondo grado viene confermato l’esistenza di una società di fatto, con alterni esiti in ordine ai beni facenti parte della società o, comunque, oggetto di successivo trasferimento alla società in quanto acquistati con denaro dell’attività sociale. Viene promosso ricorso per Cassazione dagli eredi di uno dei soci, contestando le modalità con le quali i giudici di merito avrebbero valutato la sussistenza dell’obbligo di ritrasferimento dei beni alla società, sul rilievo che non risulta provato che i beni sono stati acquistati con denaro dell’attività sociale. Il ricorso viene rigettato ma ciò non impedisce alla Corte di svolgere alcune pregevoli precisazioni sui punti controversi. Trasferimento di beni immobili e mandato senza rappresentanza. Richiamando un principio generale espresso dalla disciplina del mandato, il S.C., come visto in precedenza, si esprime nel senso che l’amministratore di una società di persone, che in forza della legge o del patto sociale compia disgiuntamente dagli altri amministratori negozi giuridici, acquistando beni che intesta a se medesimo, è tenuto a rimettere alla società i beni mobili o immobili che siano stati oggetto, nell’esercizio delle sue funzioni, della compravendita ne consegue che nel caso in cui il suddetto amministratore non rimetta alla società i detti beni, questi non possono considerarsi parte del patrimonio sociale fin quando a seguito dell’esercizio dell’azione ex art. 1706 c.c. non sia ottenuto un titolo giudiziale che dichiari e/o costituisca il diritto di proprietà della società su di essi. Rimedio ex art. 2932 c.c. anche senza mandato in forma scritta. Peraltro, si è osservato che la dichiarazione unilaterale con la quale il mandatario dichiara di aver partecipato ad una vendita all'incanto per conto di altro soggetto, il mandante, verso il quale si impegna a trasferire il medesimo bene immobile, è sufficiente a fondare l'acquisto immobiliare e, a fortiori, l'esperibilità del rimedio di cui all'art. 2932 c.c., ancorché il contratto di mandato senza rappresentanza sia privo di forma scritta. Liquidazione della quota o quota di liquidazione? Alle conclusioni di cui sopra – riassunte nella massima in epigrafe - il S.C. arriva per il tramite di passaggi logico – giuridici che verranno a seguire illustrati e, prima di tutto, chiarisce quando si è in presenza di un procedimento di liquidazione. Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, perfezionatosi prima del verificarsi di una causa di scioglimento della società, al socio uscente spetta la liquidazione della sua quota, ai sensi dell’art. 2289 c.c., e non la quota di liquidazione risultante all’esito del riparto fra tutti i soci, in quanto il presupposto per l’assorbimento del procedimento di liquidazione della quota del socio in quello di liquidazione della società è costituito dalla coincidenza sostanziale tra i due, la quale sussiste solo ove il primo attenga ad un diritto non ancora definitivamente acquisito, quando si verifichino i presupposti per l’apertura del secondo. Dissidio tra soci e scioglimento della società. Scioglimento che, nelle società di persone composte da due soli soci, può derivare dal dissidio tra soci e che sia imputabile al comportamento di uno dei due gravemente inadempiente agli obblighi contrattuali ovvero ai doveri di fedeltà, lealtà, diligenza o correttezza inerenti alla natura fiduciaria del rapporto societario, rilevando come giusta causa di recesso del socio adempiente o, in alternativa, di esclusione del socio inadempiente certamente, non può costituire causa di scioglimento della società ai sensi dell’art. 2272, n. 2, c.c., giacché detto dissidio non è tale da rendere impossibile” il conseguimento dell’oggetto sociale, essendo eliminabile mediante uno dei due rimedi predetti ne consegue che, a titolo di esempio, allorquando uno dei due soci receda dalla società adducendo quale giusta causa l’insanabile dissidio imputabile all’altro socio, l’accertamento giudiziario dell’imputabilità o meno del dissidio, e conseguentemente della sussistenza o meno di una giusta causa di recesso, non può ritenersi precluso, giacché tale dissidio non può costituire di per sé causa di scioglimento della società, e il giudice di merito non può ritenere irrilevanti gli accertamenti inerenti alla sussistenza della dedotta giusta causa di recesso ovvero alla idoneità del dissidio se non imputabile ad alcuno a rendere impossibile il perseguimento dei fini sociali. Scioglimento della società ed inderogabilità del procedimento di liquidazione. Il socio di una società di persone, quindi, che adduca un sopravvenuto ed essenziale mutamento della attuale realtà societaria rispetto alla situazione iniziale, per avere la società dismesso l’esercizio dell’attività d’impresa ed essere rimasta solo formalmente in vita per l’espletamento di un’attività di mera gestione dei propri beni immobili, fa valere una causa di scioglimento dell’ente e, quindi, al fine di ottenere la divisione degli immobili con attribuzione della quota di sua competenza, non può esperire l’azione all’uopo accordata al comproprietario della cosa comune, dovendo, viceversa, necessariamente avvalersi del procedimento di liquidazione di cui agli art. 2275 seg. c.c., a meno che egli non alleghi e dimostri la esistenza di un contratto equipollente, sostitutivo della liquidazione, nel quale risultino fissati anche i diritti di ciascun socio sul patrimonio della disciolta società dopo la definizione dei rapporti pendenti . Estinzione della società e rapporti giuridici pendenti. Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale a l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali b i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore giudiziale o extragiudiziale , il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 settembre – 29 ottobre 214, n. 22988 Presidente Ceccherini – Relatore Nazzicone Svolgimento del processo Provvedendo sulle domande proposte da M.N. e dalle figlie A. , A.M. e W. , volte all'esclusione del fratello del primo, Ma.At. , dalla società di fatto esistente tra le parti, alla liquidazione della quota ed, in subordine, allo scioglimento della società, il Tribunale di Lecce, sezione stralcio, con sentenza non definitiva del 4 febbraio 2005 le respinse e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarò l'esistenza della società di fatto tra i soli M.N. ed A. , nonché quest'ultimo per esso i suoi eredi titolare della metà dei beni immobili acquistati con i proventi dell'attività sociale, rimettendo la causa in istruttoria per identificare detti beni. Con sentenza definitiva del 24 gennaio 2007, il Tribunale dichiarò, quindi, gli eredi di Ma.At. proprietari della metà dei beni nella titolarità di N. , ma risultati acquistati con denaro sociale l'intero fabbricato sito in omissis all'angolo con via omissis , articolato su due piani il suolo edificatorio all'angolo fra via omissis e via il fondo rustico denominato omissis il camioncino . La sentenza della Corte d'appello di Lecce del 30 aprile 2008, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha escluso dal trasferimento il primo piano adibito ad abitazioni del fabbricato in omissis , il suolo edificatorio ed il fondo rustico siti nel medesimo comune, nonché l'automezzo. Infatti, riuniti gli appelli proposti contro la sentenza parziale e definitiva, la corte d'appello, circa la domanda riconvenzionale proposta in primo grado da Ma.At. , volta all'accertamento dell'esistenza fra i due germani di una società di fatto avente ad oggetto il commercio di generi alimentari sin dal 1955, ha ritenuto dimostrato, sulla base delle prove raccolte numerose testimonianze e documenti e puntualmente valutate, che sin dagli anni '50 i fratelli svolsero attività ambulante e poi di vendita di generi alimentari. Con riguardo alla domanda di liquidazione della quota, proposta in via riconvenzionale da Ma.At. , la Corte d'appello ha osservato che non tutti i beni pervenuti nel patrimonio dei germani potessero automaticamente reputarsi - come invece statuito dal Tribunale - come acquistati in nome proprio e per conto della società, ma solo quelli in cui ciò risultasse dall'atto di compravendita dunque, ha ritenuto che solo per i medesimi potesse affermarsi l'obbligazione del socio di ritrasferirli alla società, ai sensi dell'art. 1706, 2 comma, c.c., richiamato dall'art. 2260 c.c In tale prospettiva, la sentenza impugnata ha escluso dal patrimonio sociale il fondo omissis , acquistato nel 1960 da M.N. , includendovi, invece, il suolo edificatorio acquistato dal medesimo nel 1967, sul quale era stato costruito lo stabilimento industriale, adibito al piano terra a sede sociale e deposito. Viceversa, ha ritenuto non provato che le sovrastanti abitazioni furono costruite per conto della società, né che per la stessa fu acquistato da M.N. un altro fondo edificatorio destinato alla costruzione di una casa di civile abitazione non di lusso. Infine, ritenuto che la domanda riconvenzionale menzionava solo gli immobili, ha escluso il trasferimento della metà della proprietà dell'automezzo. Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione gli eredi di M.N. , sulla base di quattro motivi. Non hanno svolto difese gli intimati. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto la domanda di liquidazione della quota non è mai stata proposta da Ma.At. , avendo questi in primo grado chiesto, in via riconvenzionale, soltanto l'accertamento dell'esistenza di una società di fatto, partecipata nella misura del 50% dai fratelli At. e N. , ed il trasferimento in proprio favore della metà dei beni immobili acquistati da N. per conto della società. Con il secondo motivo, deducono l'omessa e contraddittoria motivazione, nonché la violazione e la falsa applicazione degli art. 1706, 2260 e 2729 c.c., in quanto la corte del merito ha confermato il trasferimento direttamente in favore degli eredi della metà dei beni immobili, e non, invece, disposto il trasferimento in favore della società, pur dopo aver richiamato il principio secondo cui il socio, che acquista in nome proprio e per conto della società personale, è tenuto a ritrasferirle il bene. Inoltre, censurano l'accertamento relativo all'acquisto, per conto della società, del suolo edificatorio ove sorse lo stabilimento industriale, in quanto fondato sull'unico elemento presuntivo della dichiarazione di M.N. , al momento dell'acquisto, dell'intenzione appunto di costruirvi lo stabilimento, e sul fatto che il fabbricato fosse stato adibito a magazzino senza pagamento di alcun corrispettivo al formale intestatario. Con il terzo motivo, lamentano la violazione o la falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per avere la corte d'appello provveduto anche con riguardo al trasferimento del suolo acquistato nel 1969 e dei sovrastanti edifici, mentre tale domanda non era stata formulata in comparsa di risposta, ove veniva chiesto il trasferimento solo del fondo acquistato nel 1967. Con il quarto motivo, deducono la violazione o falsa applicazione dell'art. 279, n. 4, c.p.c., in quanto, sebbene la sentenza parziale del tribunale avesse demandato al prosieguo dell'istruttoria l'individuazione dei beni acquistati con i proventi sociali, la corte d'appello ha utilizzato all'uopo presunzioni ossia, la dichiarazione di M.N. al momento dell'acquisto del suolo e della stipula del contratto di appalto per la costruzione del magazzino la concessione a titolo gratuito del bene alla società già esistenti in atti, e ritenute dalla sentenza parziale del tribunale come inidonee a sorreggere una statuizione definitiva. 2. - I primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto intimamente connessi, non hanno pregio. 2.1. - Affermano i ricorrenti che il convenuto Ma.At. in comparsa di risposta aveva chiesto, in via riconvenzionale, soltanto l'accertamento dell'esistenza di una società di fatto, partecipata nella misura del 50% dai fratelli At. e N. , ed il trasferimento in proprio favore della metà dei beni immobili acquistati da N. per conto della società, lamentando che la corte d'appello abbia invece provveduto a liquidare la quota. La sentenza impugnata afferma essere stata proposta la domanda di liquidazione della quota di pertinenza di At. , ma poi conferma l'attribuzione - operata già dal tribunale - ad Ma.At. della metà dei beni di spettanza della società, così ragionando in realtà in termini di quota di liquidazione, e non di liquidazione della quota ed anzi, operando l'attribuzione nella contitolarità diretta dei soci dei beni sociali, ha in sostanza ritenuto che la società fosse ormai estinta. Ciò è confermato dal fatto che la sentenza impugnata mai ha confutato la ricostruzione del giudice di primo grado, ed afferma come dalla lettura della comparsa di risposta depositata nel corso del giudizio di primo grado da Ma.At. risulta chiaramente di quali beni immobili egli reclamasse la comproprietà in sede di liquidazione della società p. 22 . Tutta l'ampia motivazione della sentenza d'appello è, poi, volta all'individuazione dei beni di pertinenza del patrimonio sociale, al fine di attribuirne la metà alla diretta comproprietà del socio non acquirente. Il tribunale, in definitiva, cui ha fatto seguito la corte d'appello, con l'attribuire la proprietà dei beni per la metà direttamente all'altro socio, non intestatario dei medesimi, ha implicitamente considerato la società non solo sciolta, ma ormai estinta, ed i beni e diritti, di pertinenza della stessa, caduti in comproprietà dei soci. La decisione di provvedere al diretto trasferimento dei beni in favore dell'altro socio, ponendosi dunque in una prospettiva di cessazione dell'ente collettivo, invece che di liquidazione della quota del socio At. la cui domanda, coerente con i falliti precedenti tentativi di divisione bonaria , era diretta appunto alla definitiva liquidazione della società , era imputabile al primo giudice e non è stata impugnata con l'appello. Infatti, il secondo motivo di appello censurava l'attribuzione ad At. della metà degli immobili non già perché At. vantasse solo un credito pecuniario di quota nei confronti della società, ma perché gli immobili attribuiti non erano di pertinenza della società. La questione non può perciò più farsi valere in questa sede. Giova peraltro precisare che la detta ricostruzione fa corretta applicazione dei principi secondo cui a occorre tenere distinti i concetti di liquidazione della quota e di quota di liquidazione nelle società personali la prima derivante dall'uscita a qualunque titolo del socio dalla società, con liquidazione in denaro art. 2289 c.c. , la seconda conseguenza dello scioglimento dell'ente collettivo e spettante a ciascun socio all'esito della liquidazione, se, dopo il pagamento dei creditori, sussistano beni sociali, che allora potranno essere ripartiti fra i soci anche in natura art. 2280, primo comma 2383 c.c. e, nel rapporto tra i due procedimenti, questa Corte chiarito che tutto dipende dalla cronologia degli eventi Cass. 27 aprile 2011, n. 9397 , onde, ove manchi la prova del perfezionamento della fattispecie relativa allo scioglimento del singolo rapporto sociale, non potrà che verificarsi la seconda evenienza b l'insanabile contrasto fra i soci integra una causa di scioglimento della società ai sensi dell'art. 2272, n. 2, c.c., posto che un tale conflitto non può che condurre alla paralisi della vita sociale e di qualsiasi decisione vitale per l'ente collettivo Cass. 10 settembre 2004, n. 18243 , mentre comunque lo stesso conseguimento dell'oggetto sociale, rispetto ad attività imprenditoriali consistenti in reiterate operazioni produttive e commerciali, è insito nell'abbandono delle operazioni medesime, pacifico e definitivo, di per sé attestante l'esaurimento dei patti costitutivi Cass. 4 febbraio 1999, n. 959 c il procedimento di liquidazione del patrimonio sociale non è indefettibile nelle società personali, potendo, ai sensi dell'art. 2275 c.c., essere evitata la nomina del liquidatore e gestita tale fase direttamente dai soci, mediante l'identificazione delle attività e delle passività sociali, il soddisfacimento dei creditori e la definizione dei rapporti pendenti Cass. 4 febbraio 1999, n. 959 d trattandosi di società personale di fatto, la prolungata cessazione dell'attività d'impresa può palesare l'avvenuta sua estinzione cfr. Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070 e all'estinzione della società segue una situazione di contitolarità fra i soci dei diritti già facenti capo alla società cfr. ancora Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070 Il subingresso dei soci nei debiti sociali suggerisce immediatamente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, sparita la società, s'instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni pertengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione f il socio-amministratore che per conto della società personale compia negozi giuridici, acquistando beni che intesta a se medesimo, è tenuto a rimettere alla società i beni mobili o immobili oggetto della compravendita in mancanza, essi non sono parte del patrimonio sociale fin quando, a seguito dell'esercizio dell'azione ex art. 1706 c.c., non sia ottenuto un titolo giudiziale che dichiari o costituisca il diritto di proprietà della società sui medesimi Cass. 9 marzo 1994, n. 2301 e ciò anche quando un mandato ad acquistare non risulti da atto scritto, avendo il socio amministratore, rispetto agli altri soci art. 1706, 2257, 2260 c.c. , la veste di mandatario ex lege Cass. 23 febbraio 1990, n. 1349 g lo strumento di tutela previsto dall'art. 2932 c.c. dell'esecuzione specifica dell'obbligo a contrarre è suscettibile di applicazione generale ed, in particolare, nel mandato ad acquistare fra le altre, Cass. 20 marzo 1982, n. 1814 e 30 maggio 1995, n. 6071 da ultimo, 2 settembre 2013, n. 20051 . Da tali principi, posti fra loro in connessione logica e consequenziale, discende la soluzione del caso di specie, in sostanza seguita dalla sentenza impugnata, e che può essere riassunta nel seguente principio di diritto Nell’ipotesi in cui la società si estingua prima che il socio agente abbia operato il ritrasferimento del diritto acquistato in nome proprio e per conto della stessa, la situazione giuridica soggettiva, di natura obbligatoria, vantata dalla società al ritrasferimento del bene, prevista dall'art. 1706, secondo comma, c.c., si trasmette in contitolarità a tutti i soci che siano tali al momento dell'estinzione dell'ente. Ne deriva che, accertata la sussistenza di siffatto obbligo traslativo del socio e del corrispondente diritto dei soci rimanenti, il giudice può disporre, ai sensi dell'art. 2932 c.c., direttamente in favore di questi ultimi il trasferimento delle rispettive percentuali di proprietà del bene, il quale diviene in tal modo nella contitolarità di tutti i soci, ivi compreso l'originario intestatario, in capo al quale si riuniscono le qualità di creditore e di debitore, onde l'obbligazione si estingue prò quota ai sensi dell'art. 1253 c.c. . 2.2. - Quanto al lamentato vizio di motivazione circa l'accertato acquisto per conto della società del suolo edificatorio ove sorse lo stabilimento industriale, la censura non ha pregio. La corte del merito ha fatto corretta applicazione del procedimento presuntivo, in ordine al quale spetta al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, precisandosi altresì che la censura per vizio di motivazione in ordine all'utilizzo del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l'assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio Cass. 2 aprile 2009, n. 8023 . Nulla di tutto ciò nel caso in esame, dove la corte del merito ha ampiamente motivato le ragioni, desunte dalle numerose prove testimoniali assunte e dai documenti in atti, per le quali ha ritenuto acquistato con i proventi sociali il fondo edificatorio dove fu costruito l'edificio, adibito nel suo piano terra a magazzino per lo svolgimento dell'attività dell'impresa sociale. 3. - Il terzo motivo è infondato. Il vizio denunciato non sussiste, avendo il giudice d'appello correttamente ritenuto che ciò che identificava il bene preteso era il fabbricato, oggetto pacificamente della rivendicazione di At. . La circostanza, emersa in sede di consulenza tecnica, che l'immobile insisterebbe in parte sul terreno attiguo acquistato nel 1969 non implica dunque ultrapetizione. 4. - Il quarto motivo è infondato. Il tribunale, pronunciata la sentenza parziale, ha con ordinanza disposto il prosieguo della causa, al fine di accertare definitivamente quali beni fossero stati acquistati con i proventi sociali. Ha, quindi, disposto una c.t.u. ed assunto prove costituende, all'esito pronunciando la sentenza definitiva di trasferimento, come si è visto parzialmente riformata dalla corte d'appello, che ha ripercorso l'iter del ragionamento probatorio, concludendo per la sussistenza dell'obbligo di ritrasferimento solo con riguardo ad alcuni dei beni acquistati da uno dei soci in nome proprio. A tal fine, i giudici del merito hanno esposto un adeguato ragionamento, fondato in parte anche su presunzioni derivanti dai documenti in atti prima della pronuncia della sentenza parziale. Tale circostanza, tuttavia, in alcun modo vizia la sentenza impugnata, posto che nessuna norma imponeva al giudice, nel momento in cui era chiamato ad accertare quali fossero i beni da ritrasferire, di tenere presente solo il materiale probatorio formatosi dopo la sentenza parziale al contrario, era preciso obbligo dei giudici del merito di decidere sulla base di tutte le prove raccolte, ferma restando l'insindacabile valutazione discrezionale circa la forza persuasiva di quel materiale. 5. - Le spese seguono la soccombenza dei ricorrenti nei confronti di M.I. , costituitasi in corso di causa con procura speciale notarile. Nulla quanto agli altri intimati, rimasti contumaci. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese di lite in favore di M.I. , che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.