Delucidazioni sulla notifica alle società

Qualora la notifica presso la sede sociale della società sia risultata infruttuosa e l’atto sia stato restituito al notificante, questi può certamente riaffidarlo all’ufficiale giudiziario per la notifica al legale rappresentante, provvedendo in tale occasione ad indicarne le generalità e la residenza. Difatti, la mancata indicazione del nominativo della persona fisica che rappresenta la società, nell’atto a questa notificato ab origine presso la sede, non preclude la possibilità di qualsivoglia ulteriore tentativo di notifica nei confronti del predetto soggetto.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 19387, depositata il 15 settembre 2014. Il caso. La Corte di Appello respingeva il reclamo proposto da P.P. s.r.l. contro la sentenza del Tribunale dichiarativa del suo fallimento ad istanza di Telecom s.p.a., il cui credito era stato accertato con sentenza del tribunale non passata in giudicato. La corte territoriale ha, in primo luogo, ritenuto rituale la notifica dell’istanza di fallimento, ripetutamente tentata da Telecom, dapprima presso la sede sociale della P.P., non più operante, quindi presso la residenza dell’amministratore, alla quale questi risultava sloggiato, ed infine eseguita, sempre nei confronti dell’amministratore, con il rito degli irreperibili. Ha, in particolare, rilevato che l’omessa menzione ab origine , nell’atto notificato alla società, del nominativo del suo legale rappresentante non era certamente preclusivo di successiva integrazione ai fini dell’ulteriore corso della notifica e che non v’era prova che il destinatario della notifica fosse rintracciabile ad altro indirizzo. La sentenza della Corte d’Appello veniva impugnata dalla P.P. s.r.l. con ricorso per cassazione. La notifica alle società. La norma di cui all’art. 145 c.p.c. notificazione alle persone giuridiche non può essere interpretata, così come pretende la società ricorrente, nel senso che la mancata indicazione del nominativo della persona fisica che rappresenta la società, nell’atto a questa notificato presso la sede, precluda la possibilità di qualsivoglia ulteriore tentativo di notifica nei confronti del predetto soggetto. Al contrario, una volta che la notifica presso la sede sia risultata infruttuosa e che l’atto sia stato restituito al notificante, questi può certamente riaffidarlo all’ufficiale giudiziario per la notifica al legale rappresentante, provvedendo in tale occasione ad indicarne le generalità e la residenza ciò che, per l’appunto, è accaduto nel caso di specie. Il vizio della notificazione. La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva che il vizio della notificazione dedotto dalla società ricorrente non è sorretto da produzioni documentali, ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., su cui il motivo si fonda e che, dunque, la ricorrente avrebbe dovuto allegare in copia gli atti notificati o, quantomeno, indicare dove gli stessi potevano essere rintracciati all’interno del fascicolo di parte che risulta specificamente prodotto o di quello d’ufficio. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 14 maggio– 15 settembre 2014, n. 19387 Presidente Di Palma– Relatore Cristiano Fatto e diritto E' stata depositata la seguente relazione La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza del 20.8.2012, ha respinto il reclamo proposto da Primo Piano in seguito, per brevità, PP s.r.l. contro la sentenza del Tribunale di Modena dichiarativa del suo fallimento ad istanza di Telecom Italia s.p.a., il cui credito era stato accertato con sentenza del tribunale non passata in giudicato. La corte territoriale ha in primo luogo ritenuto rituale la notifica dell'istanza di fallimento, ripetutamente tentata da Telecom, dapprima presso la sede sociale di PP, non più operante, quindi presso la residenza dell'amministratore, dalla quale questi risultava sloggiato, ed infine eseguita, sempre nei confronti dell'amministratore, con il rito degli irreperibili. Ha, in particolare, rilevato che l'omessa menzione ab origine, nell'atto notificato alla società, del nominativo del suo legale rappresentante non era certamente preclusivo di successiva integrazione ai fini dell'ulteriore corso della notifica e che non v'era prova che il destinatario della notifica fosse rintracciabile ad altro indirizzo. La corte del merito ha poi affermato che la dichiarazione di fallimento non poteva essere impedita dal rigetto di una precedente istanza di Telecom basata sullo stesso credito, ha riconosciuto la legittimazione attiva della creditrice istante ed ha infine rilevato che la reclamante non aveva provato di non essere assoggettabile a fallimento ai sensi dell'art. 1, comma 2, l. fall. La sentenza è stata impugnata da PP s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui Telecom Italia s.p.a. ha resistito con controricorso. Il curatore del Fallimento di Primo Piano non ha svolto attività difensiva. 1 La ricorrente, con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 145, 143 e 161 c.p.c., lamenta che la corte del merito abbia escluso la nullità o l'inesistenza della notificazione dell'istanza di fallimento, pur se priva dei requisiti previsti dall'art. 145 1° comma, Il periodo c.p.c., ritenendola erroneamente sanata dalla successiva integrazione compiuta dall'ufficiale giudiziario. 2 Col secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 2697 c.c., sostiene che, in ogni caso, la notifica non avrebbe potuto essere eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c. in quanto nella relata della notificazione tentata presso la residenza anagrafica, in Pavullo, dell'amministratore, l'ufficiale giudiziario aveva attestato che il destinatario si era trasferito a Modena. 3 Con il terzo motivo, denunciando vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta che la corte territoriale non abbia tenuto conto che il rigetto di una precedente istanza di fallimento fondata sul medesimo credito costituiva impedimento di fatto all'accoglimento della nuova istanza e non abbia valutato se le contestazioni mosse giudizialmente alle pretese della Telecom, munita di sentenza non definitiva impugnata in appello dal curatore, fossero serie o meramente dilatorie. 4 Con il quarto motivo, deducendo violazione dell'art. 5 I. fall., assume che il mancato pagamento di un solo debito, anche se di entità rilevante, non sarebbe sufficiente a determinare lo stato di insolvenza. 5 Con il quinto motivo, denunciando ulteriore vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale abbia escluso che essa avesse fornito prova del possesso congiunto dei requisiti dimensionali di cui all'art. 1 II comma l. fall. in base al rilievo della confusione e della scarsa attendibilità delle scritture contabili esibite, senza esercitare quei poteri istruttori ufficiosi che le avrebbero consentito di accertare la veridicità dei bilanci contesta, inoltre, l'accertamento della corte di merito secondo cui il debito verso Telecom, sommato a quelli appostati a bilancio per € 216.963 , superava l'ammontare di 500.000 euro. 6 Con il sesto motivo, rileva, ancora, che nel quantificare il credito di Telecom il giudice avrebbe erroneamente tenuto conto anche delle spese di un atto di precetto, divenuto inefficace, ai sensi dell'art. 481 c.p.c., per pignoramento negativo. Tutti i motivi appaiono manifestamente infondati o inammissibili. 7 Va in primo luogo rilevato che la mancata indicazione della persona fisica che rappresenta la società nell'atto che va a questa notificato preclude all'ufficiale giudiziario, cui in linea di principio compete la scelta del procedimento notificatorio più corretto, di ricorrere alla propria scienza privata per acquisire la relativa informazione e dunque non gli consente di optare secondo quanto previsto dall'attuale I comma dell'art. 145 c.p.c. per l'esecuzione in via diretta della notifica a mani o presso la residenza, la dimora o il domicilio dei legale rappresentante, anziché presso la sede della società allo stesso modo in cui, nel precedente regime, non gli consentiva di procedere immediatamente - ovvero senza restituire l'atto al notificante - alla notifica nei confronti del legale rappresentante, qualora quella tentata presso la sede sociale non fosse andata a buon fine . . La norma non può invece essere interpretata, così come pretende la ricorrente, nel senso che la mancata indicazione del nominativo della persona fisica che rappresenta la società, nell'atto a questa notificato presso la sede, precluda la possibilità di qualsivoglia ulteriore tentativo di notifica nei confronti del predetto soggetto al contrario, una volta che la notifica presso la sede sia risultata infruttuosa e che l'atto sia stato restituito al notificante, questi può certamente riaffidarlo all'ufficiale giudiziario per la notifica al legale rappresentante, provvedendo in tale occasione ad indicarne le generalità e la residenza ciò che, per l'appunto, è accaduto nel caso di specie, avendo la Telecom eseguito un primo tentativo di notifica, a mezzo posta, presso la sede di PP e, successivamente, affidato l'atto all'U.G. per la notifica all'amministratore della debitrice, di cui ha specificato nome, cognome ed indirizzo. 8 La corte territoriale ha poi accertato che il predetto amministratore si era allontanato per ignota destinazione e che la sua reperibilità in Modena o altrove non solo non era mai stata documentata ma non era neppure riscontrabile attraverso ricerche concretamente esigibili dall'U.G. incaricato ne consegue la palese genericità della censura con la quale la ricorrente ha contestato la validità della notifica, infine eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c. solo perché, in calce alla relata della notifica tentata ai sensi dell'art. 139 c.p.c. l'U.G. aveva attestato che il notificando risulta di fatto trasferito, pare in Modena . 9 Il decreto che respinge l'istanza di fallimento, inidoneo al passaggio in giudicato, non ha alcuna efficacia preclusiva, neppure di mero fatto, dell'accoglimento di una successiva istanza fondata sul medesimo credito. Non risulta, poi, che in sede di reclamo PP abbia contestato la sussistenza del credito di Telecom e il proprio stato di insolvenza, con la conseguenza che al di là della palese infondatezza dell'assunto secondo cui il mancato pagamento di un debito di rilevante entità, già accertato con sentenza esecutiva, non è di per sé sufficiente a giustificare la dichiarazione di fallimento le relative questioni non possono essere sollevate per la prima volta nella presente sede di legittimità. 10 Infine l'art. 1, 2° comma l.fall. pone a carico del debitore l'onere di dimostrare il possesso congiunto dei requisiti che lo rendono non assoggettabile a fallimento. La ricorrente, che non contesta il giudizio di sostanziale inattendibilità dei proprio bilancio, in base al quale la corte territoriale ha escluso che tale prova fosse stata fornita, non può d'altro canto lamentare il mancato esercizio da parte del giudice dei propri poteri istruttori d'ufficio, atteso che in sede di reclamo le era certamente consentito di produrre tutta la documentazione atta a fornire la prova richiesta o di sollecitarne l'acquisizione, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c. Resterebbero assorbite le censure illustrate nella seconda parte del quinto e nel sesto motivo del ricorso, con le quali è contestata la ricorrenza di uno solo dei requisiti dimensionali di cui al citato art. 1, II comma, l. fall. Si dovrebbe pertanto concludere per il rigetto del ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c. La ricorrente ha depositato memoria. Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contraddette da Primo Piano nella memoria depositata. Va in primo luogo ribadito che, una volta che la prima notifica eseguita presso la sede sociale non sia andata a buon fine e l'atto sia stato restituito dall'U.G. al notificante, questi può certamente riaffidarlo all'ufficiale giudiziario per la notifica al legale rappresentante, provvedendo in tale occasione ad indicare le generalità e la residenza del destinatario. Tanto è stato affermato anche dalla corte del merito, dinanzi alla quale non risulta essere stata dedotta la diversa questione della mancata indicazione del nominativo dell'amministratore negli atti a lui notificati, dapprima all'indirizzo dal quale si era allontanato e poi ai sensi dell'art. 143 c.p.c. Ma al di là del rilievo della scarsa credibilità di un tale assunto, non essendo dato comprendere in qual modo l'U.G. possa procedere alla notifica di un atto nei confronti di un soggetto di cui non sono specificate generalità ed indirizzo , resta che per poter consentire a questa Corte la verifica della ricorrenza del denunciato vizio della notificazione, la ricorrente avrebbe dovuto produrre, ai sensi dell'art. 366 n. 6 c.p.c., i documenti su cui il motivo si fonda e dunque o allegare in copia gli atti notificati o, quantomeno, indicare dove gli stessi potevano essere rintracciati all'interno del fascicolo di parte che non risulta specificamente prodotto o di quello d'ufficio. Il primo motivo si rivela pertanto, prima ancora che infondato per le ragioni esposte nella relazione, inammissibile. La memoria, per il resto, ripropone argomenti che non valgono a superare la già rilevata genericità tanto della censura con la quale Primo Piano ha lamentato la nullità della notifica ex art. 143 c.p.c. per il mancato espletamento di ricerche volte a individuare il luogo di residenza o domicilio del suo legale rappresentante quanto di quelle concernenti il preteso vizio di motivazione della sentenza, nella parte in cui non avrebbe tenuto conto delle deduzioni difensive della reclamante. A tale ultimo proposito va comunque ribadito che dalla lettura della decisione impugnata non emerge che Primo Piano abbia contestato in sede di reclamo l'esistenza del credito Telecom ed il proprio stato d'insolvenza, sicché - ai fini dell'ammissibilità dei motivi in esame - la ricorrente avrebbe dovuto richiamare le argomentazioni svolte a riguardo dinanzi alla corte del merito e rinviare alla lettura delle specifiche pagine dell'atto di reclamo o del verbale d'udienza che le contenevano. Va infine rilevato che ai fini della dichiarazione di fallimento è sufficiente la ricorrenza di uno solo dei requisiti dimensionali di cui all'art. 1, II comma, l. fall. e che pertanto, una volta accertato che il debitore fallendo non ha provato il mancato raggiungimento delle soglie di cui ai punti a e b della norma, é del tutto irrilevante stabilire se i suoi debiti superino o meno l'ammontare di 500.000 euro. Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto. Le spese dei giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di Telecom Italia s.p.a., che liquida in € 3.100, di cui e 100 per esborsi, oltre rimborso forfetario dl 15% ed accessori di legge.