Azioni societarie da liquidare: il valore si determina secondo la continuità aziendale

E' consentito prevedere statutariamente che la consistenza patrimoniale, alla quale fa riferimento l’art. 2437- ter , comma 2, c.c. ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso ma anche, in virtù del richiamato operato dell’art. 2355- bis , comma 3, c.c. in caso di prelazione nella circolazione mortis causa , venga valutata secondo il criterio che tiene conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale. Il criterio della continuità aziendale cosiddetto going concern risulta, oltretutto, il più coerente rispetto ai beni aziendali, il cui valore complessivo, sino a che continua l’attività di impresa, non si risolve nella somma del valore statico dei singoli, essendo invece inevitabilmente influenzato dalla prospettiva della continuazione dell’attività.

Così precisando, la Prima Sezione civile di Cassazione, con sentenza n. 16168, depositata il 15 luglio 2014, ha accolto il ricorso presentato da una società, limitatamente a uno dei cinque motivi proposti, cassando sul punto l’impugnata sentenza di appello e rinviando, per un nuovo esame, alla Corte territoriale di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità, su un caso avente ad oggetto un lodo arbitrale riguardante un’ipotesi di recesso da parte di un socio della stessa. Il lodo arbitrale e la sentenza d’appello. Oggetto del contendere era stato un lodo arbitrale, il quale aveva a dichiarato la nullità di alcune clausole dello statuto speciale riguardanti il diritto di prelazione in caso di trasferimento delle azioni sia inter vivos che mortis causa , i casi di recessi del socio e la liquidazione della partecipazione azionaria in tali casi b accertato la legittimità del recesso esercitato dal socio richiedente il lodo e che aveva visto accogliere le proprie domande , relativamente a una parte della propria partecipazione al capitale sociale. Resistevano in sede di gravame le eredi del socio de cuius e la Corte di appello di Roma rigettava le istanze della società. Valutazione del patrimonio aziendale. In disparte i motivi cassati, più complesso e oggetto di accoglimento da parte della Suprema Corte è il secondo dei motivi avanzati dalla società. A essere impugnata in appello era stata la clausola statutaria che, nel prevedere nel trasferimento mortis causa la prelazione in favore dei soci superstiti delle azioni del socio deceduto, stabilisce che il prezzo delle azioni verrà determinato sulla base della consistenza patrimoniale valutata tenuto conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva della conservazione della continuità aziendale, delle prospettive reddittuali della società, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni . Punto della discordia era stata la locuzione continuità aziendale . Secondo il Collegio arbitrale e la Corte d’appello tale inciso poteva essere letto in modo non univoco e aggiungere un elemento la cui valutazione era affidata alla discrezionalità dell’arbitratore. I giudici di piazza Cavour accolgono, invece, la tesi della società, statuendo come il motivo di impugnazione de quo fosse diretto a porre il seguente quesito di diritto, e non già una mera questione di interpretazione della clausola statutaria se sia o non consentito prevedere statutariamente che la consistenza patrimoniale, alla quale fa riferimento l’art. 2437- ter , comma 2, c.c. ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso ma anche, in virtù del richiamato operato dell’art. 2355- bis , comma 3, c.c., in caso di prelazione nella circolazione mortis causa , venga valutata secondo il criterio che tiene conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale . Quesito di diritto, questo, rimasto inevaso in secondo grado e a cui la Cassazione offre una risposta positiva, venendo, così, risolto la richiamata consistenza patrimoniale va valutata senza discostarsi, nel risultato finale, dal presumibile valore di mercato delle azioni ciò premesso appare legittima la clausola in trattazione, giacché l’elemento della consistenza patrimoniale si presta a una pluralità così ampia di criteri di valutazione, che l’adottato criterio della continuità aziendale non può che risultare non in contrasto con il dettato di legge. Inoltre, si rileva come il criterio del going concern appaia il più coerente rispetto ai beni aziendali, il cui valore complessivo, sino a che continua l’attività di impresa, non si risolve nella somma del valore statico dei singoli, essendo invece inevitabilmente influenzato dalla prospettiva della continuazione dell’attività . Si specifica, così, nel dettaglio, che suddetto criterio comporta la valutazione del patrimonio sociale non a valore di libro, ma in funzione dell’attività svolta e della rappresentazione complessiva del capitale di funzionamento dell’impresa.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 marzo – 15 luglio 2014, n. 16168 Presidente Rordorf – Relatore Scaldaferri